Votes given by Cameron Cohen

  1. .
    Mia Freeman
    Prefetto Ametrin

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    parlato - pensato- ascoltato
    Era sicura che un incontro come quello sarebbe risultato, nella migliore delle ipotesi, strano e, nella peggiore e più probabile, sbagliato. Aveva imparato a conoscere Cam come le sue tasche, o meglio si era illusa di aver compreso i suoi meccanismi, di essere capace di leggere tra i suoi gesti e i suoi silenzi quello che gli passava per la testa, e all'improvviso si era resa conto di essersi costruita solo dei bellissimi castelli in aria. Non negava di aver idealizzato la loro relazione, di essersi illusa di poter migliorare anche lui, di poterlo salvare dai suoi demoni, quando forse avrebbe dovuto concentrarsi più che altro sul salvare se stessa. Si era chiesta quanti segnali si fosse persa, quanti sguardi avesse ignorato prima che la tragedia avvenisse. Doveva aver sottovalutato qualcosa prima o poi, doveva aver perso il momento in cui tutto aveva cominciato ad andare a rotoli. Ma non riusciva a perdersi le note di dolore nella voce dell'altro, non riusciva a ignorare la sua sofferenza, fare finta di niente e pensare ad altro.
    "Non sei obbligato ad accettarlo." provò a fargli notare, cercando di leggere il più possibile nelle sue iridi, ora quasi in tempesta, e provare a trovare le parole giuste per dargli più conforto possibile.
    "Non ha diritto di tornare all'improvviso e rivolere tutto indietro. Tu invece hai diritto ad avere i tuoi spazi, a prenderti i tuoi tempi." aggiunse poco dopo, anche se sospettava che nessuna frase avrebbe davvero potuto aiutare ad affrontare una situazione così complessa.
    Si concesse un respiro profondo, mentre incassava appena la testa tra le spalle e la scuoteva leggermente, quasi a voler negare l'evidenza: la verità era che lei si sarebbe accollata tutti i suoi pesi e i suoi problemi senza battere ciglio, lo aveva fatto in passato e non negava la possibilità di rifarlo ancora. Come poteva dire di no a quegli occhi? Come poteva voltargli le spalle sapendo quel che stava passando? Sospettava che non fosse più nemmeno colpa della sua empatia, del fatto che tendesse naturalmente ad immedesimarsi troppo nel prossimo, a quel punto viveva nella convinzione che Cameron fosse il suo più grande punto debole.
    Il fatto che fosse stata la sua prima volta, sotto molti aspetti, di sicuro giocava a suo favore: il ragazzo l'aveva segnata, suo malgrado, e per quanto nei momenti peggiori si fosse augurata un Oblivio per troncare la sua agonia, sapeva già che dimenticare certe cose le avrebbe fatto più male che bene.
    Era lì, in quel preciso istante, con tutti i suoi traguardi e i suoi obiettivi raggiunti, anche per merito di Cameron, e nonostante tutto non si pentiva di quel che era successo anche se, tornando indietro, avrebbe cambiato qualche dettaglio. Come quell'affetto così viscerale e profondo che la portò a sbuffare e minimizzare il tutto con un gesto distratto della mano.
    "Non mi stai dando nessun peso che non sia disposta a sopportare." si limitò a replicare per poi abbassare lo sguardo e scrutare la propria tazza di te alla ricerca di una risposta appropriata da dargli. Aveva fame? Non proprio. Ma rifiutare significava allontanarlo e, se lo conosceva ancora anche solo un po', Cameron avrebbe letto in un rifiuto miliardi di non detti inesistenti.
    "Perchè no?" finì quindi per rispondere alla fine, accennando un leggero sorriso.
    code made by gin
  2. .
    Mia Freeman
    Prefetto Ametrin

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    parlato - pensato- ascoltato
    Era ovvio che quella non fosse una scelta semplice o facile, decidere di intraprendere con Cameron la strada dell’amicizia - che poi, la stavano davvero intraprendendo?- non era qualcosa a cui aveva riflettuto abbastanza da saper prendere una decisione. Dopo la proposta che le aveva fatto ci aveva pensato, anche più di quanto le piacesse ammettere, eppure c’era sempre qualcosa che stonava e che la portava a sbilanciarsi, a fasi alterne, tra il sì è il no più assoluto. Era innegabile che Cam fosse stato il suo primo amore, non aveva mai provato per nessuno quel che aveva provato per lui ed era arrivata a fidarsi a livelli che per lei erano quasi inconcepibili.
    Mia non era una facile, in nessun senso, eppure per lui aveva provato a superare i suoi limiti, si era messa in discussione e stupidamente aveva fatto progetti. Non aveva condiviso granché, non aveva mai dato voce a quel che aveva in testa, e ora era felice di non averlo fatto. Aveva progettato di andare a vivere assieme, dopo Hidenstone, magari di prendere anche un altro gatto e trovare un posto in cui anche … potesse stare bene. Erano sogni sciocchi, idee balzane a cui anche lei aveva dato poco peso, almeno finché non aveva realizzato di essere l’unica ad averci pensato.
    Non sapeva nemmeno lei cosa fosse meglio, se l’idea che Cameron avesse avuto un colpo di fulmine o che si fosse annoiato: il primo non poteva ignorarlo, il secondo lo rendeva uno stronzo ben distante dalla persona che si era sempre immaginata di avere accanto.
    Non aveva mai pensato, almeno non dopo il primo periodo, che Cameron fosse il ragazzo idiota e scostante che mostrava a tutti: si era illusa quella fosse una maschera, aveva provato a guardarci sotto e aveva cercato in tutti i modi di salvarlo. Chissà da cosa poi.
    Col senno di poi aveva capito che non poteva salvare chi non voleva essere salvato, o che quantomeno non poteva essere l’eroe giusto per tutti.
    Se non altro si sentiva più matura adesso, abbastanza da riuscire a reggere la sua presenza così ravvicinata senza andare in frantumi e provo a ricordarsi di tutti i passi avanti fatti fino a quel momento. Blake le avrebbe detto che stava facendo una cazzata, e temeva che Aibi ed Emma e chiunque altro sarebbero stati d’accordo.
    Sospirò piano, prendendosi qualche istante per digerire il peso delle constatazioni dell’altro.
    “Sì, sono andate male.” confermò, perché nonostante la sua dolcezza era inutile negare la realtà.
    Non era sorpresa dalle speranze di Cameron, in vino veritas dopotutto ed era già stato tutt’altro che didascalico, ma le risultava difficile essere ugualmente propositiva. Non riuscì a non irrigidirsi, spostandosi appena quando l'altro le scostò i capelli dal viso pur senza allontanarlo: quello era troppo, almeno per ora, non era sicura di saper reggere certe attenzioni così presto. "Non dovremmo evitarci, questo è un inizio." concesse, cercando di ammorbidire la sua reazione con un sorriso appena accennato. Immaginava che per Cam fosse difficile vederla reagire così, non voleva ferirlo, ma al contempo non poteva nemmeno fingere, non era giusto.
    Arricciò appena il naso. "L'essere problematico non è mai stato un problema." provò a fargli notare subito, istintivamente più sulla difensiva pur senza volerlo davvero. Era sciocco e ingiusto ridurre il tutto al suo essere problematico, Mia quel lato di lui lo aveva sempre accettato ed era l'ultimo dei suoi problemi.
    D'altra parte però non stavano parlando di lei e nemmeno della loro relazione, era chiaro che il ritorno di suo padre fosse un argomento più delicato e conoscendo il ragazzo gli fu comunque grata per aver espresso qualcosa di così complicato come la paura. Non si aspettava quel genere di confessione e ne riconosceva il peso, per quanto fosse difficile replicare adeguatamente. Si tese verso di lui, pur senza toccarlo, per avere maggiore intimità.
    "Sei giustificato ad avere paura, Cam, ma lui ti ha fatto del male e tu hai ogni diritto di non volerlo vedere. Cerca di non affrettare le cose, di fare tutto con i tuoi tempi." cercò di suggerire quindi.

    code made by gin
  3. .
    Mia Freeman
    Prefetto Ametrin

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    parlato - pensato- ascoltato
    Sospettava che nessuna tra le persone che tenevano a lei le avrebbe dato ragione in quel momento, nessuno avrebbe supportato la sua scelta fino in fondo. Si era chiesta se fosse davvero il caso di fare un passo simile, si era anche domandata se Cameron avrebbe davvero colto quel ramoscello d'ulivo e avrebbe interpretato la sua presa di posto come un messaggio per lui e non come una semplice coincidenza. Si era fatta parecchie domande in merito a Cameron, al loro rapporto, dopotutto aveva passato tutta l'estate a riflettere, eppure ancora non aveva mai trovato alcune delle risposte che cercava. Aveva finito per chiedersi, molteplici volte, se davvero il loro rapporto fosse esistito e se non fosse stato invece frutto della sua immaginazione. A posteriori sospettava di essere stata pedante, una ragazzina innamorata che vedeva solo quello che voleva vedere, probabilmente un peso per qualcuno come Cameron che cercava ben di più di romanticherie e baci in una relazione. Se anche, col tempo, si era spinta oltre ed era convinta di aver fatto passi avanti, aveva sempre saputo di essere strana, difficile per certi versi, e sperare che uno come Cameron accettasse quel lato di lei per sempre ra da idioti.
    Lei al per sempre aveva giurato di non crederci mai, si era ripetuta mille volte che certe relazioni idilliache erano proprie solo delle fiabe, perchè allora era stato così facile illudersi che le cose tra lei e Cam sarebbero durate più del previsto?
    Si era data parecchie colpe, forse più di quelle che aveva affibbiato al ragazzo, che fosse giusto o meno si sentiva responsabile non tanto di come erano andate a rotoli le cose -quello ammetteva che non era stata una sua decisione- ma per averci sperato così tanto da rimanere scottata. Si era illusa che tutto funzionasse, che avessero trovato un equilibrio, ma doveva aver ignorato qualche segnale se erano finiti in quella situazione.
    Non sapeva nemmeno lei che reazione si aspettasse, forse era sicura che Cam avrebbe continuato con la sua vita, magari senza nemmeno notare quel cambiamento, lasciandola da sola con la sensazione di essere ancora più stupida di quanto credesse.
    Non aveva messo in conto che avrebbero potuto davvero parlare, non così in fretta, e quando captò un movimento famigliare al lato del suo campo visivo non poté fare a meno di voltarsi e osservare l'altro avvicinarsi.
    Corrucciò le sopracciglia alle sue parole, inclinando appena le testa. "E' andata male...cosa?" domandò, scoprendosi se non altro capace di dare voce ai suoi pensieri e meno imbrigliata di quanto avesse temuto. Pensava che sarebbe stato imbarazzante parlarsi di nuovo, ma scoprì che almeno al momento lo era di certo meno del previsto. Era strano, faceva male sapere quel che erano diventati, ma parlare con Cameron rimaneva naturale, semplice per certi versi.
    Annuì quando l'altro le chiese il permesso di sedersi e trovò solo difficile sostenere il suo sguardo per tutto il tempo in cui rimasero in silenzio, chiedendosi a che cosa stesse pensando. Proprio quando stava per aprire bocca e chiedere cosa gli passasse per la mente, l'altro la precedette mettendo a segno il suo colpo.
    Sospirò piano di fronte alle sue scuse, ne percepì il peso ma non riusciva ancora a fare una conversazione su quel tema. "Lo so. A me dispiace che questo non cambi le cose." ammise sincera. Lei al destino non riusciva a non crederci, ci aveva provato ma era arrivata alla conclusione che si trattava di qualcosa di piacevole, in qualche modo perverso, pensare che ci fosse un disegno più grande di cui loro erano parte. Schiuse le labbra quando le dita di Cameron le sfiorarono la guancia, incapace di spostarsi ma consapevole di quanto quel tocco fosse in grado di incendiarla. Non prese fuoco, miracolosamente, e sostenne il suo sguardo. "Lo siamo stati, almeno per un po'. Immagino che sia così che vadano le cose." rispose con qualche istante di ritardo, provando a non essere troppo fredda o arcigna, cogliendo negli occhi di Cameron la tempesta prima ancora di sentire il primo tuono.
    Conosceva la situazione famigliare di Cameron, non sapeva quante altre persone la conoscessero ora ma una parte di lei, inevitabilmente, si sentì importante all'idea che fosse comunque tornato da lei per una questione così delicata. Ascoltò attenta le sue parole, per poi soppesare il suo succo di zucca nel tentativo di trovare la risposta migliore.
    "Come ti senti al riguardo?" domandò alla fine, nel modo più delicato possibile.
    code made by gin
  4. .
    Non era mai stato famoso per essere una persona paziente e quel poco di cui disponeva l'aveva moltiplicata diverse volte, manco fosse un moderno Messia, fino a quando era arrivato al limite. Nicholas era nuovamente sparito e, questa volta, l'O'Connor dopo settimane decise di chiudere la serranda a quella relazione che sembrava esser nata sotto la cattiva stella e naufragata prima del previsto.
    Odiava il “senno del poi” perché lo tormentava sempre, portandolo a mettere in discussione ogni singola scelta che faceva, seppur conscio del male che si auto-infliggeva. Se rimuginare fosse stato uno sport olimpico lui deterrebbe record mondiale per numero di vittorie, non proprio qualcosa di cui andar fiero. Era già andato oltre il suo credo con il Dioptase, concedendogli una seconda possibilità che però era sfumata via, neanche fosse stata neve al sole. Il sentimento acerbo, anche se totalizzante, stava lasciando spazio agli artigli dell'odio e lui non avrebbe di certo frenato quell'avanzata. E non era stato per le parole del gemello nel voler sapere se sarebbe rimasto o meno nella camerata. Avrebbe voluto scrollarlo dal suo mondo di farfalle e gorgosprizzi e fargli vedere che il suo completo era sul letto pronto per essere indossato. E quindi rispose con un laconico: «ti lascerò col fiato sospeso nell'attesa di scoprirlo». Tanto nell'eventualità in cui avrebbe smesso di respirare ci sarebbe stata Amalea cozza attaccata allo scoglio, altresì conosciuta come gatta attaccata ai maroni Davidson a praticargli la respirazione bocca a bocca.
    Nessun commento aggiuntivo su Mc Callister, anche perché non gli avrebbe mai rivelato che aveva preso la decisione unilaterale di porre fine a quella relazione: era piuttosto curioso di vedere quanto tempo ci avrebbe impiegato nello scoprirlo da solo. Probabilmente da lì alla fine di Hiddenstone, ovvero tre anni e mezzo.
    Non ci sarebbe stato nessuno ad attenderlo, né per lui a mettersi in fila al banco salumi all'ingresso delle altre Sale Comuni per recuperare qualcun altro; non ci sarebbe stato nessun presente a gonfiargli le tasche del suo abito rosso passione vendetta, dal taglio sartoriale e che lasciò sbottonato per far intravedere una camicia nera perfettamente stirata. Aveva smesso i panni verde-argento per abbracciare quelli del perfetto stronzo Black Opal. L'unico accessorio, tolta la bacchetta all'interno della tasca interna della giacca, era il suo claddagh che sfoggiava all'anulare destro. Chi fosse stato in grado di decifrare il significato celato nei modi di indossarlo avrebbe potuto dedurre in autonomia che fosse più libero di una gazzella nella Savana. Si pentì di non aver portato una pozione elimina coppie con sé, da spruzzare ogni qualvolta avesse beccato una coppietta in atteggiamenti amorosi, avrebbe potuto far appello a qualche incantesimo ma desistette vedendo che persino la Preside presenziava quel futile evento. Per non parlare poi della scelta di mettere una pista di pattinaggio nel bel mezzo della Sala Grande. «Merlino, dammi la forza per superare questa serata», pensò, posando gli avambracci sulla ringhiera della pista che tanto fissava con disgusto e godendosi lo spettacolo che gli altri stavano mettendo in atto. Del gemello ancora nessuna traccia -o almeno lui non lo vedeva tra tutta quella gente- ed andava bene così. Poi un raggio di sole oscuro illuminò la ragazza dai capelli bicolor con cui aveva diviso il banco in una delle lezioni del biennio special. Le si avvicinò, ignorando le altre -persino la Lestrange che era un anno dietro sin dai tempi di Hogwarts e con cui questa player non sa in che rapporti sono- tentando di stabilire una complicità. «Perché, allora, non lo rendi interessante?»
    Fitz O'Connor

    "
    I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass.
    "

    Black Opal
    Serpeverde
    Bisex

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    Fondamentalmente non fa un cavolo. Interagisce con Brooks Ryan O'Connor in camera e poi si ferma a guardare, come i vecchi coi cantieri, gli avvenimenti della pista di pattinaggio con disgusto, fino a provocare Zuleyka.
  5. .
    Guardava la sua immagine riflessa nel piccolo specchio da trucco che aveva posato sulla pila di cuscini che aveva creato per stabilizzarlo il più possibile. Gli occhi erano sempre gli stessi, dalla forma allungata, le ciglia voluminose e definite, l'azzurro reso più brillante da un leggero smokey nero; le labbra idratate da una tinta rosso scuro, che richiamava il sangue. I lunghi capelli erano intrecciati e poi arrotolati su se stessi fino a creare uno chignon alto ed elegante. I tratti erano molto più affilati e decisi rispetto a tre anni prima. Quella fu la prima differenza che notò. La seconda l'assenza di orecchini o cerchietti in tema natalizio, nessuna musichetta ad accompagnare il lampeggiare delle lucine del piccolo alberello montato sopra. Ai lobi vi erano i gioielli che in realtà celavano delle armi al loro interno: da quando Garlic glieli aveva fatti recapitare non li toglieva mai. Come quella collana che spuntava dall'accappatoio che ancora indossava sull'intimo scuro. Aveva giurato che non l'avrebbe mai tolta da lì, eppure quella sera avrebbe dovuto fare a meno del pegno di Cameron poiché cozzava con il vestito che aveva scelto e che ancora era appeso alla gruccia ferma sulla parte superiore della porta per non sgualcirlo. Non era in ansia come al suo secondo anno quando sentiva la pressione di dover aprire il ballo e senza cavaliere, con i dubbi su Josh e la sparizione di Lucas. Quella sera sarebbe andata con Cameron e non in un modo qualunque, non di certo in qualità di amica, come ci avevano tenuto entrambi a precisare. Stavano insieme, da pochissimo, ma erano passati in sordina. Non sarebbe stato lo stesso quella sera.
    Arricciò le labbra, i pollici a scrocchiare i mignoli e poi gli anulari.
    Quella serata avrebbe cambiato gli equilibri. Quella serata non le avrebbe permesso di nascondersi tra le ombre, di manovrare i fili e studiare le mosse degli avversari: avrebbe camminato tra loro, a testa alta, ora come allora anche se per motivi differenti. Il magifonino si illuminò. Si allungò dall'altro lato per leggere un messaggio che trasudava nervosismo ad ogni sillaba.

    Per favore, non diventare uno di quei pinguini e non andare in ansia da prestazione. Sappiamo entrambi che non ne hai bisogno. Ci vediamo tra poco.

    Nessun cuore, nessuno smile, solo tanti punti e frasi dal doppio senso assicurato.
    Avrebbe fatto meglio a muoversi dato che era rimasta l'unica della sua stanza ad essere ancora lì.

    Scese l'ultima rampa di scale, quella principale, sollevando il vestito che fu, in qualche modo, il primo pezzo del puzzle del deja-vu che andava componendosi. Il modello non era così diverso da quello rosso indossato tempo prima, un colore che aveva scelto per rimarcare quanto fosse forte nonostante si stesse presentando sola all'evento più importante dell'anno scolastico. Quella volta optò per un vestito dalle sfumature del lilla, grigio e nero, impreziosito da dettagli luminosi e spalline cascanti che mettevano in risalto il suo seno, stretto dalle coppe cucite al suo interno. Ai piedi un paio di décolleté dalle sfumature che richiamavano l'abito; più su, all'altezza dei fianchi vi erano delle tasche nascoste dalle pieghe del tulle che nascondevano il magifonino e il catalizzatore. Nella mano destra stringeva una piccola scatolina quadrangolare che celava al suo interno un bracciale in cuoio nero, con un mondo diviso a metà ed unito da due figure stilizzate che si tenevano per mano. Fermato dal fiocchetto argento c'era un piccolo pezzo di pergamena piegato in quattro:

    Per ricordarti che due “meno male” sono l'àncora dell'altro ed io sarò la tua, sempre.
    Buon Natale
    Liz


    Lo vide, lì, con le spalle al muro nel suo miglior vestito e con la cravatta un po' storta. Sorrise, superando gli ultimi gradini in scioltezza e lasciando che l'abito accompagnasse ogni singolo passo verso di lui. Strinse ancor di più la scatoletta quando lui le disse che era bellissima. «Facciamo finta che tu non abbia detto un cliché e che io non ti stia per sistemare la cravatta», annunciò, piazzandogli in mano il suo regalo ed allungando le mani fino al collo per raddrizzare la cravatta. «Ecco, così va meglio!» Poi, abbassando lo sguardo sull'oggetto che gli aveva smollato andò controcorrente al suo annuncio di darle il regalo successivamente. «Io vorrei che il mio lo aprissi ora», ammise, fulminando con lo sguardo chi rallentava per osservarli, chiedendosi se avrebbero mai smesso di farlo.
    Il secondo momento di deja-vu giunse dopo che accettato il braccio di lui fecero il loro ingresso nella Sala Grande finemente decorata a festa. Le venne l'orticaria. Eppure cercò di rimanere inflessibile mentre avanzavano e lo sguardo a far la conta dei presenti e degli assenti. Un brivido le corse lungo la schiena nel vedere quella pazza della sua compagna di stanza sbracciarsi verso la pista di pattinaggio, indicando quel panda rosso, per cui paventava sempre l'ipotesi di sopprimerlo -non era un caso che non avesse scelto il corso in cura dei viventi- che non avrebbe dovuto essere lì e per cui si dimenava come se ne valesse della sua vita. «Mi sa che dovrai attendere per il cibo», annunciò, voltandosi a guardarlo, «a meno che non vogliamo dividerci», sperava non propendesse per la seconda ipotesi, ma, ad ogni modo, non avrebbe potuto attendere ancora molto prima di intervenire. Recuperare il catalizzatore dalla tasca mentre si avvicinava alla McKenzy, puntarlo in direzione di Pinkie e recitare la formula fu un mero atto di egoismo. Un «Carpe retractum» suonò chiaro vicino alle orecchie dell'amica di vecchia data che salutò con un cenno del capo, mentre tentava di modellare l'incantesimo nel tentativo di riportare il famiglio alla padrona, che avrebbe tenuto sveglio l'intero dormitorio con i suoi eventuali pianti funebri, cercando di evitare gli altri presenti sulla pista. «Se non lo mette al guinzaglio la prossima volta lo faccio esplodere», sibilò a voce bassa in modo tale che solo Cameron, se l'avesse seguita, e Deva l'avrebbero potuta udire.
    Una volta conclusasi quella parentesi -sperava, in cuor suo, senza ulteriori incidenti di percorso- si sarebbe soffermata a guardare il vestito della Lestrange con un sorriso, avvicinandosi a lei e mettendosi al suo fianco, dando le spalle alla pista di pattinaggio. «Scelta di colore interessante», all'inizio da perfetta Serpeverde aveva avuto qualche problema con il rosso e domandarsi se anche per l'altra fosse stato altrettanto difficile indossarlo.
    Qualora il norvegese fosse stato presente la Lynch sarebbe passata alle presentazioni con un semplice «Deva, ti presento Cameron Cohen. Cam, lei è Deva Lestrange, vedi di non farti odiare anche da lei, ne potrei soffrire», il sorriso che sembrava non volersi spegnere. Se non ché... le iridi cerulee avevano scandagliato la pista da ballo, vedendo chi si fosse già arrischiato nelle danze, trovando più di un elemento capace di farle gelare il sangue in pochi secondi. Da una parte Joshua con Lilith Clarke, ex fidanzatina perfetta di Blake, insieme al ritratto della famiglia della Mulino Bianco: Lucas, Jessica e il -resuscitato- figlio di lei con indosso una tutina che gli aveva regalato insieme all'Ametrin tre anni prima. «Morgana, mi stai prendendo in giro?!» Cercò lo sguardo di Deva, mentre sentiva la sua lingua biforcuta sbrigliarsi dalla gabbia in cui l'aveva chiusa prima di lasciare il dormitorio. «La Whitemore non smetterà mai di prendersi i miei avanzi», commentò caustica, mentre il fastidio di vedere Jones così vicino a lei veniva ricacciato indietro, insieme a quello che era successo sui monti. Nessuno, tranne loro due, sapeva quello che era successo. Avrebbe continuato così, non voleva rischiare di mandare all'aria -per l'ennesima volta- le cose con Cohen. «Mi spiace solo per Lucas, meriterebbe di meglio», non era nuovo all'orecchie di entrambi il tipo di rapporto che legava Jessica ed Elisabeth sin dai tempi di Hogwarts. Due nemiche che avevano tentato la strada della diplomazia e rispetto reciproco, ma che sembrava iniziare a scricchiolare in quel momento. Infine, dal viso della Lestrange tornò a focalizzarsi sul suo primo e la vicinanza alla Caposcuola che, fino a quel momento, aveva sempre ignorato rispettosamente. «E così Evans ha deciso di far da cavaliere alla Clarke?» Non sapeva di certo che, quella sua domanda ad alta voce, aveva appena dato via ad un butterfly effect.
    Elisabeth
    Lynch

    "
    Sometimes you have to stand alone. Just to make sure you still can.
    "

    Black Opal
    Prefetta
    Battitrice

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    Interagisce con Cameron Cohen, Deva L. Lestrange ed in qualche modo Gyll McKenzy. Cerca di usare un carpe retractum sul panda pattinatore per riportarlo alla legittima proprietaria. Inoltre, fa commenti acidi sui quattro+1 dell'Apocalisse (Lucas Jughed Jones, Lilith Clarke, Joshua B. Evans e Jessica).

    Azione 1: carpe retractum su panda
    PP: Intelligenza, 17
    Incantesimo: Nome: Incantesimo Aggrappante
    Classe: Generico
    Formula: Carpe Retractum
    Movimento: puntare l’oggetto a cui aggrapparsi, una linea bianca si aggrapperà ad esso e si verrà trascinati in quella direzione o viceversa.
    Effetto: permette di aggrapparsi agli oggetti, raggiungendo posti inaccessibili
    Note: con Tecnica > 25 è possibile modificarne la consistenza della linea bianca
  6. .

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Tic. Tac. Tic. Tac.
    Sentiva le lancette del suo rolex al polso sinistro che risuonavano fin dentro il vuoto del suo petto. Meno male, doveva ammettere che almeno riusciva a regolarizzare il battito del proprio in quella attesa estenuante che era diventato il tempo in cui Regina non si degnava a scendere dalla scalinata del suo dormitorio.
    Socchiuse gli occhi, cercando di respirare a ritmo di quel ticchettare che altrimenti gli avrebbe dato fastidio in situazioni diverse, oggi, invece, si stava ritrovando a ringraziare che esistesse, come se fosse la cosa più rilassante che potesse tenerlo con i piedi a terra, senza che morisse dalla paura di non essere all'altezza, o che Regina lo bucasse per... Blake?
    Non aveva portato con sé nemmeno il telefono, non aveva la minima intenzione di pensare a squilli, messaggi, tag e quant'altro: oggi si sarebbe dedicato solo ed esclusivamente a lei. Era la loro serata speciale e avrebbe fatto di tutto per fargliela ricordare per sempre, sperando che sarebbe stato anche il loro debutto come coppia in quella mandria di assatanati che erano i suoi compagni di scuola, ma questo era un altro conto.
    Vide una ragazzina del primo anno affacciarsi alle scale, con il suo vestitino rosa confetto e a vederlo arrossì, portandosi le mani in volto. Era abituato a quel tipo di reazione, ma quel giorno - stranamente - reagì con un sorriso abbozzato, stretto tra le labbra, quasi come se non riuscisse nemmeno a pensare di poter essere il solito farfallone, nemmeno per l'anticamera del cervello. La ragazzina iniziò a scendere il primo scalino, reggendo con una mano lo scorrimano e con l'altra il proprio vestito. Sembravano tremarle le gambe, mentre lo guardava come se fosse diretta verso lui. Il riccio si guardò attorno, non c'era nessun altro effettivamente alle scale se non lui, che avesse frainteso? Era intento a sollevare lo sguardo e chiarire la situazione, quando alle spalle della ragazzina-caramella, lo spettacolo si mostrò ai suoi occhi.
    Julian sgranò gli occhi, schiudendo la bocca per un breve istante, mentre sulle sue labbra si apriva lentamente un sorriso completamente perso. La ragazza-caramella non aveva capito assolutamente niente, quindi sembrò quasi gonfiarsi come un pavone, pensando che fosse per lei quel sorriso e quello stupore.

    «Meravigliosa...»

    Soffiò lentamente dalle proprie labbra, creando ancora più confusione nella ragazzina, che ancora credeva fosse per lei. Julian, invece, non aveva occhi che per Regina. Puntò il suo cupo sguardo su di lei e con una falcata cercò di arrivare a metà della scalinata, affiancando la ragazza-caramella, che - come risvegliata dal suo sonno profondo - si girò dietro a vedere verso chi era teso il braccio di Julian, che nel mentre si era preoccupato di afferrare la mano della sua dama. In quel frangente brevissimo, l'altra inciampò tra i suoi piedi e nonostante fosse accanto al riccio, questo non la vide minimamente, preso com'era da quella che era la musa della sua vita.
    Si preoccupò di infilarle la coroncina in capo, con una dolcezza disarmante, rendendola ancora più preziosa, mentre il suo ghigno caratteristico non abbandonava le sue labbra mentre la sentiva farsi domande che per lui erano inutili. Quindi, dalla sua altezza, si abbassò al suo orecchio.

    «Io saprò sempre tutto di te, Beauvais

    Le sussurrò con un leggero tocco di lussuria, come se volesse provocarle dei brividi. Quindi la mise sotto il proprio braccio e la fece passare, ignorando ancora una volta la bimba-caramella e scivolando fuori dalla sala comune.
    Una volta davanti la Sala Grande, Julian guardò Regina con la coda dell'occhio.

    «Quando vuoi andare, andiamo. Io sono qui per te, per nessun altro... »

    Quindi avrebbe atteso lei e avrebbe mosso un passo nella sala, aprendo la vista sugli addobbi.

    «Apperò! Fanno le cose in grande stile anche qui... cosa vuoi fare per prima cosa, Rey? Ti strabatto ad una sfida di pattinaggio o preferisci concedermi il primo ballo?»

    Guardò poi l'albero di Natale, notando come in molti usavano quelle sfere per fare una loro foto.
    Julian sussultò, quindi tentò di far scivolare la mano verso le dita dell'altra, afferrandola e trascinandola all'albero.

    «Foto del ballo?»

    Prese una pallina e la mostrò a lei. La loro prima foto del loro ballo ad Hidenstone.

    Julian Miller

    "
    Light my fire.
    "
    Studente, II anno - Dioptase

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  7. .
    Preda e predatore si stavano studiando: ogni respiro in più, un gesto interrotto od uno sguardo prolungato erano sotto la lente d'ingrandimento di entrambi. Era una danza dove entrambi volevano condurre ma anche essere trasportati, ma, per funzionare, sarebbe giunto il momento che uno dei due avrebbe dovuto cedere. Non sapeva come sarebbe andata a finire quella sera e neanche tra loro due, l'unico controllo che aveva e poteva pretendere era di scriverlo sul momento, senza alcuna cosa prestabilita da esseri che se ne fregavano dei comuni mortali quali erano.
    Evitò i paragoni tra quella serata e una di tanti anni prima più o meno nello stesso periodo, perché non sarebbe stato giusto nei confronti di un passato che avrebbe difeso e custodito gelosamente, ma anche per chi era di fianco a lei, nel presente, e che forse avrebbe fatto parte di un futuro un po' più lontano dell'indomani.
    Non commentò la scelta del suo piatto così come lui aveva fatto con lei, forse perché non aveva avuto da ridire sulla scelta del vino che avrebbe accompagnato quella cena che aveva l'aria di essere un primo appuntamento, per una profana come lei. Non ne aveva mai avuto uno e dubitava che mai ci sarebbe stato, non quando si buttava in una cosa a capofitto, seguendo un istinto che l'aveva tradita un paio di volte. Eppure non una sola volta si era pentita delle sue scelte, nonostante avesse accarezzato l'idea del contrario.
    Un brindisi riunì quello che l'alcol aveva diviso, con parole ampliate dal norvegese e che le diedero quella spinta finale per crederci in una risoluzione del conflitto ma anche della natura del loro rapporto. «Nella buona e nella cattiva sorte», riassunse, usando un'espressione che veniva pronunciata sotto forma di giuramento in contesti ben più sacri ed importanti. Si stavano spingendo oltre i confini che avevano disegnato, poi cancellato e poi impilato mattone dopo mattone fino a formare un muro. Lei aveva preso una piccozza per abbatterlo ma non sapeva se l'altro stesse facendo lo stesso o se preferiva osservarla dalle microscopiche crepe che lei stessa stava creando.
    La busta che aveva tenuto con lui per tutto quel tempo tornò alla sua attenzione, ciò che non credeva possibile era la presenza di un ulteriore presente oltre quello che indossava. Stava per rimarcare di non aver bisogno di oggetti, luoghi e ogni qualsivoglia cosa costosa, ma l'espressione di lui e le parole che usò non sembrarono casuali. Si morse la lingua per non commentare come quel pacchetto fosse ben incartato a differenza di altri passati. Probabile che fosse un segno della preziosità che gli stava regalando, molto più del gioiello che impreziosiva la sua scollatura. La carta regalo venne tratta con cura, seguendone i profili dello scotch magico e della piegatura della carta stessa, rivelando qualcosa che sapeva essere davvero importante per Cohen. Una copia di Alice nelle Meraviglie un po' sgualcita e provata dal passare del tempo era ora a metà tra tavolo e grembo, le dita a carezzarne la copertina e la costa, quest'ultima rivelatrice di quante volte e come fosse stato letto. «È di Arya», mormorò, sollevando lo sguardo ceruleo nel suo rivelando quanto fosse turbata. «Non posso accettarlo, era il libro preferito di tua sorella e devi tenerlo tu, Cam, perché io», ma si bloccò, nel sentire quell'insolito ordine pronunciato con delicatezza. Per una volta non si dimostrò essere un palo lì dove non batte il sole. Sigillò le labbra e sollevò la copertina rivelando la prima pagina ed un biglietto. Le pupille lessero quelle parole più volte, il cervello non sembrava voler collaborare nel processare quella richiesta. Se qualche mese prima lo avesse chiesto non si sarebbe fatta remore, se non per i sentimenti di Mia e la possibilità di vederli insieme, nell'accettare perché sarebbero andati in qualità di due amici e non di coppia, ma lì, in quel caso, il tentennamento non sembrò la cosa più giusta da fare, così come continuare a tergiversare ed accettare senza essersi tolta ogni dubbio. «Mi stai chiedendo di venire al ballo con te come amica?» Quell'oppure non pronunciato, risuonava potente nella sua testa e forse non solo nella sua.
    Elisabeth
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  8. .

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    «Sì, vedrai! Ci divertiremo!»

    Rispose all'altro con convinzione, sistemandosi i riccioli indomabili che aveva in testa.

    «Tutto sto vapore mi ammoscerà i ricci.»

    Commentò, guardandosi allo specchio. Era davvero sicuro? No, non lo era, ma ormai il dado era tratto e per quanto lui fosse aperto a tutto, quella era una delle cose più strane che stavano per fare. Aver invitato una ragazza a cena, con la sola idea di portarla in camera, era qualcosa che andava oltre ogni sua fantasia recondita. Eppure, non aveva saputo farne a meno, soprattutto quando aveva visto Cameron riverso in stato pietoso per le due dame che li avevano pugnalato il cuore (?) o era lui ad averne pugnalato qualcuno?
    Vabbé, comunque, fatto sta che Julian aveva solo uno scopo in quella giornata: eliminare dalla testa di Cameron tutti i problemi e se per farlo doveva pagare la cena a Giada, allora lo avrebbe fatto.
    Evadere dai pensieri era necessario per entrambi e Julian avrebbe fatto di tutto per quella testa di cazzo di Cameron Cohen.

    «Muoviti, cinque minuti sono troppi.»

    Lo prese in giro, finendo di girare la canna, quindi gliel porse e lo guardò da capo a piedi. Si posizionò davanti allo specchio accanto a lui e annuì al suo mantra dettato dall'idea che quella sera non sarebbero esistite altre donne.

    «Bella, bro. Stiamo egregiamente.»

    Quindi avrebbe tirato dalla canna anche lui e al suo cenno avrebbe annuito.
    Il viaggio lunghissimo verso Londra, fu un susseguirsi di risate e stronzate sulle ragazze dell'accademia, come se dovessero allegerire la mente a tal punto da risultare più orribili del solito, ma allo stesso tempo un sacco adorabili.
    Poi quell'anno c'era un sacco di merce da valutare, in quell'Accademia, quindi avevano molto di cui parlare, i due.

    «Tutto questo, secondo me è per fregarsi i soldi del Galeone.»

    Disse, lasciandosi smaterializzare con l'altro fino all'ingresso dell'hotel, dov'era già presente la ragazza che avevano invitato.
    Appena la vide da lontano, non mancò di dare qualche gomitata leggera all'amico, ritrovandosi ad ascoltare le sue parole e a ridere.

    «Te l'ho detto, bro. E' quello che ci meritiamo oggi!»

    Lo disse a bassa voce, mentre si avviava verso la ragazza. Notò l'atteggiamento di Cameron e quasi voleva ridere per come si stava adeguando bene alla situazione. Si affiancò dall'altro lato della ragazza e le sorrise splendidamente.

    «Allora? Pronta per questa serata?»

    Le fece un occhiolino, aprendo la porta del ristorante e facendo passare entrambi, quindi lanciò un'occhiata a Cameron dopo che passò davanti Giada e guardò il sedere della ragazza. Sì aveva ragione, era decisamente perfetto. Vennero quindi accompagnati al tavolo prenotato per loro e Julian allargò la sedia alla ragazza, lasciando che Cameron la facesse sedere, così da mettersi ad un lato di lei, lasciando l'altro posizionarsi dal lato opposto.

    «Mi fa piacere che tu sia venuta, Giada. Avevamo prenotato questo tavolo e volevamo condividerlo con qualcuno di speciale.»
    Julian Miller

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  9. .
    La tensione nel profilo delle spalle, le dita che afferravano i polsini della camicia e tiravano verso il basso la stoffa già tesa, lo sguardo che non l'abbandonò nemmeno per un istante da quando gli aveva permesso di vederla. Non ci furono convenevoli tra loro due, nessuna stretta di mano o bacio. Solo una scatoletta preziosa ritornata al mittente che se ne stava davanti all'ingresso di uno degli alberghi più rinomati di Londra. «Non è il luogo che mi interessa, ma la compagnia», ricordò lui, perché non gli erano mai interessati il lusso e gli sfarzi nonostante i fior fior di Galeoni che le avevano lasciato i suoi genitori, persino suo padre che nel suo delirio pozionistico aveva lasciato tutto alla madre e quindi a lei. Non erano i soldi che voleva da Cohen, bensì qualcosa di più platonico, intangibile eppure necessario. Non sapeva se quella sarebbe stata la scelta giusta, la strada da percorrere, magari qualcosa avrebbe di nuovo scombussolato tutto, ma al momento era tutto quello che desiderava. E se in passato aveva cercato di affogare i suoi desideri aveva deciso che non lo avrebbe più fatto.
    Lo iniziò a pretendere da quel ciondolo che restituì solo affinché lui lo allacciasse al suo collo. Assaporò ogni secondo dei suoi gesti delicati nell'aprire quella scatolina e poi sfilare la collana. Si girò per dargli le spalle, allentare la vestibilità del cappotto e della blusa e sollevando i capelli per posarli su una spalla e dargli libero accesso. Capelli che aveva spostato solo dopo che lui li aveva scostati delicatamente. Trattenne quel cerchio perfetto di fuoco con il palmo pieno contro il petto, lì dove sarebbe sempre rimasto fino a quando le sarebbe sembrato giusto. Si voltò verso di lui e gli sorrise, leggermente imbarazzata per gli sguardi dei passanti curiosi che si erano fermati ad osservarli. «Andiamo», ripetè, accettando quel braccio che segnava il ritorno ad un loro contatto. La sentiva solo lei l'energia che si attivò tra di loro? Lo seguì dapprima nella hall e poi verso la sala del ristorante dell'albergo che non si aspettava essere così intimo. Scivolò sul divanetto fino a raggiungere la curva più ampia e a sbottonarsi il cappotto che lasciò scivolare lungo le braccia per poi piegarlo sulla piccola borsa accanto a lei. Accavallò le gambe, sistemò la blusa e riposò una mano sul petto ad altezza collana. Un cameriere giunse prima ancora di poter parlare con chi l'aveva invitata, due drink ed i menu eleganti. Ma il suo sguardo fu tutto per Cameron e la sua camicia bianca perfettamente stirata. Aveva un debole per le camice bianche e non le sarebbe mai passato. «D'accordo», mormorò aprendo il menu e nascondendosi dietro a nomi complicati per piatti semplici. Alla fine ordinò un filetto alla Wellington con contorno di verdure miste e patate arrosto, arrogandosi perfino la scelta del vino -un sassicaia del 2003- che ben si sposava con la carne ed i sapori decisi, esaltandoli. «Credo che dovremmo brindare», ruppe il silenzio in cui erano caduti dopo che il cameriere si fu allontanato, afferrando il Vieux Carré più vicino a lei e sollevandolo nella sua direzione. «All'essere il nostro meno male anche nei momenti difficili», iniziò, lasciando che fosse l'altro ad aggiungere qualcosa qualora l'avesse desiderato prima di far tintinnare i bicchieri tra loro e berne un sorso generoso. «È un posto bellissimo, tutto questo è così romantico, ma lo sai che sarebbe andato bene anche il giardino della scuola se avessi voluto parlarmi», il capo era rivolto verso di lui, soprattutto dal momento che svariato tempo era passato dall'ultima volta in cui erano stati così, vicini e senza azzannarsi alla giugulare. «O anche per non parlare, semplicemente per stare insieme», e mandò giù solo un altro piccolo sorso. Questa volta avrebbe atteso prima di avere qualcosa di sostanzioso nello stomaco e poi concedersi qualche bicchiere di troppo.
    Elisabeth
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  10. .
    Dicembre si stava avvicinando e quello significava l'avvicinarsi del Natale, un mese difficile quando non si aveva il calore di una famiglia da condividere. Dicembre era un mese carico di ricordi agrodolci, di mercatini natalizi, case gallesi e l'odore di disinfettante tipico delle strutture ospedaliere.
    Dicembre però era anche il mese dello Jul Ball e se, per due anni di fila, era riuscita a sottrarvisi quell'anno la spilla che indossava la metteva nelle condizioni di partecipare per forza.
    Da quando Evans era tornato sembrava di rivivere un continuo loop temporale con delle new entry. Il rifugiarsi tra le braccia di Jones su quei monti che erano stati la cornice della rottura degli equilibri precari tra lei e Cohen. Giorni si erano accumulati, silenzi e sguardi sfuggenti avevano accompagnato il loro ritorno a lezione dopo quel sabato nefasto.
    Le mancava.
    Nella complicità, nel sopportare le ronde solitarie in solitudine, nel non sentire il suo magifonino vibrare costantemente per via dei suoi messaggi di uno strano umorismo, ben lontano da quello comune.
    Gli mancava ma lo odiava. Lo odiava per avergli lasciato quei segni sui polsi, spariti dopo quasi una settimana costringendola ad allungare le maniche fino a metà palmo. Gli scatti di rabbia li aveva anche lei, persino una vena aggressiva ma quell'uso spropositato della forza accompagnava i suoi sonni, agitandoli.
    Gli mancava, ma non aveva il coraggio di tornarlo a cercare. Quello che aveva da dire gliel'aveva detto anche se non pensava che l'altro avesse capito quanto gli avesse davvero detto, cosa lui avesse iniziato a rappresentare per lei.
    Le sue spalle, la sua schiena su Ashura le avevano dato la conferma che non fosse lo stesso per lui.

    Dopo la classica corsa mattutina, con l'umidità come unica compagnia, tutto ciò che bramava era il getto caldo dell'acqua a sciogliere anche il muscolo più ostinato e poi l'abbraccio del letto e delle coperte pesanti, con ancora addosso l'accappatoio. Non aveva obblighi. Non aveva progetti.
    Fino a quando, uscita dal bagno con un turbante in testa -vi si era fiondata senza guardarsi attorno- non vide una scatolina con un biglietto posato. Aprì per prima quel foglietto ripiegato più volte. Scorse veloce le parole in una grafia fin troppo familiare. Le divorò. Le tornò a leggere. Cosa diamine stava a significare? Perché darle appuntamento a Londra? Su quello che celava la scatola le bastò aprirla. Un ciondolo dalla forma circolare, probabile argento se non oro bianco, recava incastonato al suo centro una pietra rossa o forse un semplice vetro colorato ma che sembrava animato da giochi di luce a ricordare le fiamme a seconda di come vi rifletteva. Sembrava lei in quel semplice oggetto. «Cosa significa, Cam?» Mormorò, stringendolo in un pugno. La decisione di andare non era stata neanche messa in discussione.

    Un gonna di pelle nera le arrivava a metà coscia, all'interno aveva fermato una camicia carta da zucchero priva di bottoni e dallo scollo decisamente profondo. Tutto coperto da un cappotto nero perfettamente abbottonato. Sul petto non brillava il dono del norvegese, la scatolina che lo conteneva era nella mano destra. Era arrivata da alcuni minuti, ma usava i londinesi e i turisti nel loro andirivieni come mantello invisibile, studiando il nervosismo più che il suo outfit alquanto elegante per i suoi standard. Era bellissimo. Uno stronzo bellissimo. Ed insicuro. Aveva perso il conto delle volte che si era sistemato la camicia candida.
    Si concesse ancora qualche istante prima di permettergli di vederla. Il passo sicuro nonostante i tacchi; le gambe nude che avrebbero tanto tremato di freddo se non fosse stato per quella morsa allo stomaco che non la lasciava da settimane; lo sguardo fiero, incendiario. «Il Berkeley, eh?» Solo in quel momento vide che aveva una di quelle buste regalo in un argento così simile ai colori della sua vecchia casa. Allungò la scatolina verso di lui, guardandolo negli occhi. «Scaramanzia vuole che quando si regala un gioiello chi fa il dono aiuta ad indossarlo», l'angolo dello scatolino contro il petto di lui coperto da giacca e camicia. «Non lo accetterò in altro modo», una conferma di essere un dito in culo, come sempre. «Entriamo?»
    Elisabeth
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Jeans, t-shirt nera corta in vita con il collo alto e un giubbino di pelle anch'esso nero, con delle borchie a contornarne i bordi. Quello era l'outfit che Lilith aveva scelto per uscire quella sera. Non aveva granché voglia di starsene davanti all'armadio a decidere cosa indossare per uscire con Cohen. Non che ci tenesse ad apparire uno schifo ai suoi occhi, ma in quel periodo poco gliene fregava di come la vedevano gli altri, tanto sarebbe stata sempre imperfetta agli occhi di tutti. O quasi.
    In quei giorni le cose stavano andando ad un ritmo completamente strano, distorto. Blake lo vedeva poco, dopo quella volta in aula in disuso, lei aveva sempre un sacco da fare e si era ripromessa di non stare intorno all'Opale, non dopo quelle parole che erano sembrate come lame infuocate nel suo petto. Poi c'era quel primino di cui aveva parlato solo con Jey. Ah, già... Jessica. Finalmente l'aveva ritrovata, era stata come una mano afferrata mentre cadeva giù negli abissi.
    Il rapporto con Cameron, invece, era strano. Per lei il ragazzo era importante, ma sembrava un po' come se gli eventi li spingessero uno lontano dall'altro. Da quando si era lasciato con Mia, aveva cercato di stargli vicino, ma tutto l'Universo si era messo contro (leggasi la player di sta riccia stronza è svanita!) e non era riuscita nemmeno a chiedergli scusa per questo suo comportamento.
    Forse era per questo che quella sera non gli servì pregarla poi così tanto per poter avere un incontro con lei, complice anche le ronde notturne che in quell'anno le stavano portando parecchia sfortuna. Legò i suoi capelli in una coda alta e si diresse in sala comune, attendendo l'altro mentre giochicchiava col suo cellulare.
    Quando l'altro le arrivò alle spalle, la ragazza sussultò trovandosi il freddo vetro sulla guancia accaldata dal caminetto della sala comune.

    «Cazzo, Cam... mi hai fatto spaventare!»

    Mormorò socchiudendo gli occhi e portandosi una mano al cuore, mentre si girava in direzione del ragazzo, scuotendo il capo. Il tono era un sussurro, atto a non svegliare eventuali concasati.
    Lo guardò da capo a piedi, quindi gli sorrise, notando come il suo sorriso non era il solito ghigno del Cohen.

    «Tu hai qualcosa che non va, Cohen.»

    Lo toccò con l'indice sul petto, quindi inclinò il capo, fissando i suoi cristalli sul volto di lui.

    «Allora, dove volevi andare?»
    Lilith Clarke

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    La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati.
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    Dioptase, Caposcuola

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  12. .

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Il tutto era stato una escalation di cose strane. Insomma, non capiva nemmeno come ci fossero arrivati a quella folle idea, lui e Cameron, ma doveva ammettere che la cosa non gli dispiaceva per niente. Insomma, Cam aveva bisogno di liberarsi e di pensare ad altro, lui d'altro canto, doveva occupare la mente in qualcosa che non lo facesse innervosire.
    Questo era il motivo per cui quel sabato sera aveva deciso di inviare un semplice messaggio a Giada, mentre il compagno di stanza si stava preparando.
    CITAZIONE
    Hey principessa, io e un mio caro amico andiamo al Luxury Hotel. C'è un ottimo ristorante, che ne dici di unirti a noi?

    Sapeva che la dioptase non si sarebbe tirata indietro, quindi avrebbe mandato la posizione alla ragazza, proprio mentre Cameron usciva dalla sua sauna in bagno.

    «Cazzo, bro. Sta il Sahara lì dentro.»

    Commentò quel vapore che aveva creato con la doccia calda che il ragazzo si era fatto, mentre agitava la mano a cacciare via un po' di fumo.
    Quindi si sistemò la camicia bianca, senza infilarla nei pantaloni e ficcandosi su una giacca di pelle nera.

    «Sei pronto? Vedrai, questa serata la ricorderemo per sempre.»

    Ghignò appena, ben consapevole che Cameron sapesse quale fosse l'intento di Julian, ma che non avesse avvisato la ragazza che aveva invitato. Il riccio sapeva essere davvero pessimo, delle volte, ma sapeva sempre come farsi perdonare.

    «Oggi non esistono Regina, Mia o Elisabeth. Oggi ce ne fottiamo del mondo e facciamo quello che cazzo ci pare, Cohen. Chiaro? Canna prima di arrivare?»

    Propose sventolando il calumè della pace davanti agli occhi del compagno di stanza, si era preoccupato di prepararlo prima, così che potessero fumare nel tragitto che li avrebbe portati a Londra.
    Julian Miller

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    Studente, I anno - Dioptase

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  13. .
    Mia Freeman
    Prefetto Ametrin

    SHEET |STAT |DRESS
    parlato - pensato- ascoltato
    Non aveva idea di che cosa si aspettasse da parte sua, d'altra parte aveva già capito che le cose tra lui ed Elizabeth sarebbero durate, con ogni probabilità, e non poteva fare niente per contrastare quella verità. Lo aveva realizzato alla festa di inizio anno, quando li avevi visti assieme e aveva capito, suo malgrado, che erano troppo vicini, troppo in sintonia per poter essere stati una "scopata" e basta, come aveva detto Cameron la prima volta che si era confessato.
    Se non altro sospettava che la sincerità fosse un buon strumento anche in quel momento, se avessero anche cominciato a mentirsi a vicenda non aveva idea di che cosa di buono avrebbero potuto trarre da quel momento. E doveva pur essere una parte buona no?! "No." ammise alla fine, mordendosi piano il labbro inferiore. "Non penso sia saggio andare da qualche parte da soli ma sospetto non lo sia nemmeno rimanere qui." rispose poco dopo, cercando di addolcire la prima risposta in qualche modo.
    Vederlo allontanarsi da lei in quel modo faceva male, ma al tempo stesso non sarebbe riuscita ad accettare una vicinanza fisica come quella, così delicata e quasi gentile -in contrasto col resto- troppo a lungo.
    Aveva pensato più e più volte a che cosa sarebbe successo se si fossero parlati di nuovo, quando sarebbe successo. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato ma pensava che sarebbe stato tutto più chiaro e netto, preciso e definito. In quel momento invece provava solo confusione, non capiva dove l'altro volesse andare a parare, che cosa di preciso volesse ottenere con quel discorso, perchè l'avesse cercata in primo luogo e che cosa volesse comunicarle. Per quel che la riguardava era piuttosto convinta che fosse lì per qualcosa che non fosse chiederle di tornare assieme o qualsiasi altra ragione ci fosse dietro a domande come quella che le aveva appena rivolto.
    Era...interesse? Come avrebbe dovuto sentirsi al riguardo? Si ritrovò a sospirare piano, corrucciando appena le sopracciglia per poi scuotere piano la testa. "Certo... certo che li ho ancora. Hai intenzione di chiederli indietro?" domandò di getto per poi cercare di riprendere il controllo e sospirare piano. "Non intendevo... solo sì, li ho ancora, certo che li ho ancora." provò a correggersi pur sapendo che era troppo tardi.
    Seguì lo sguardo dell'altro verso il libro rimasto aperto a terra ma non lesse niente nell'immagine della fenice, che svettava decisa sulla pagina, e si chinò per raccoglierlo giusto in tempo perchè le parole dell'altro la colpissero in pieno petto. Si portò il libro al petto e lo strinse appena, rialzandosi con più calma del necessario per cercare di soppesare le parole con cura. Provò a calibrare la sua reazione, a non essere troppo dura, ferma o fredda, anche perchè sospettava di non riuscirci su un argomento come quello. " Io... non credo di riuscirci adesso. Forse, un giorno ma... forse per te è stato facile, non lo so, ma per me non lo è. Non ancora almeno." ammise alla fine, cercando di mantenere fede alla sua promessa di essere quantomeno sincera

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  14. .
    Mia Freeman
    Prefetto Ametrin

    SHEET |STAT |DRESS
    parlato - pensato- ascoltato
    Non si sarebbe mai definita violenta e quel genere di reazione non era da lei, tanto che sentì comunque le mani tremare leggermente, costringendola a nasconderle incrociando le braccia al petto. Sentì il senso di colpa montare quasi subito, anche se questa volta mescolato a più rabbia e fastidio del solito.
    Non amava essere aggredita in quel modo, ogni volta che qualcuno si intrometteva nel suo spazio personale in modo imprevisto si irrigidiva e le sembrava di tornare a quando, tempo prima, non tollerava nemmeno che un ragazzo la sfiorasse, anche se rendeva chiare le sue intenzioni. La cosa che più la infastidiva era che Cameron lo sapeva più che bene, aveva affrontato con lui ogni passo del suo percorso di guarigione, e ora si imponeva così?!
    Non l'aveva spaventata comunque quanto avrebbe dovuto, sospettava che una parte di lei lo avrebbe sempre riconosciuto anche in mezzo una folla, e avrebbe riconosciuto il suo tocco e il suo calore anche dopo anni. Le faceva male quella sensazione di famigliarità, la vaga sensazione che avrebbe potuto tornare a fidarsi di lui anche dopo tutto quello che le aveva fatto.
    Non riuscì a prendere con la solita leggerezza le sue parole però, e quando l'altro la apostrofò senti un brivido di vergogna e di ripugnanza comunque, all'idea che potesse davvero farle allusioni di un certo tipo dopo tutto quel che era successo. Poteva sbagliarsi, ma quello le sembrava più il Cameron stronzo che aveva sempre visto da lontano che il "suo" Cameron, che non le avrebbe mai suggerito di usare le sue labbra davvero altrove, non con quel tono almeno. "Se continui così penso che ne userò anche di peggiori." ammise con distacco, prendendosi qualche istante per studiarlo meglio, cercando di capire quanto fosse lucido e quanto invece mosso dall'alcool e non sapeva nemmeno cosa sperare.
    Una parte di lei preferiva pensare che fosse ubriaco marcio piuttosto che pensare che potesse trattarla così da sobrio, d'altra parte però cosa poteva essergli successo per ridurlo così a quell'ora? Avrebbe dovuto allontanarlo, le sembrava quasi di sentire Blake urlarle nell'orecchio di andarsene e lasciarlo da solo, ma alla fine lanciò un'occhiata alla Sala Grande e sospirò piano, arrendendosi all'idea di saltare l'ora di pranzo.
    "Direi comunque fin troppo per stare qui, forse è meglio andare in un posto più tranquillo?" propose, cercando di essere condiscendente e optare per il male minore. Forse davvero un po' di pace avrebbe giovato ad entrambi, anche se si pentì della sua offerta quando l'altro cominciò a passarle le dita tra i capelli, portando il suo stomaco a ritorcersi all'istante. Non era ribrezzo quello, anzi, si chiedeva come avrebbe mai potuto chiudersi in una stanza da sola con Cameron che cominciava ad accarezzarla e...piangere? In quel momento anche il suo cuore si strinse in una morsa, portando i suoi occhi a diventare lucidi.
    "Me lo avevi detto." rispose solo, a fatica, e in parte fu quasi felice di quella domanda fuori luogo, anche solo perchè la riportò alla realtà. Alzò gli occhi al cielo, prendendogli un polso per togliergli le dita dai propri capelli.
    "Ti respingo perchè hai fatto già la tua scelta Cameron, e ora non puoi tornare qui, baciarmi e pensare che sia tutto come prima."

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  15. .
    Mia Freeman
    Prefetto Ametrin

    SHEET |STAT |DRESS
    parlato - pensato- ascoltato
    Non si sarebbe sbilanciata affermando che le cose ora andavano bene, ma se non altro stavano migliorando. Se si guardava indietro e analizzava la se stessa prima dell’estate poteva affermare con una certa onestà di aver fatto notevoli passi avanti, forse più di quelli che si sarebbe aspettata.
    La rottura con Cameron era stata come aveva sempre temuto: improvvisa, dolorosa e violenta. Aveva sempre avuto paura di che cosa le sarebbe successo nel momento in cui si sarebbe stancato di lei, almeno all’inizio lo aveva reputato inevitabile, eppure non era comunque pronta a quello che era successo. Certo, non aveva potuto prevedere un tradimento, quello era ben lontano dai suoi piani e in un certo senso forse era la parte che aveva fatto più male.
    Ammetteva senza problemi che la loro fosse sempre stata una coppia particolare, nessuno sembrava credere che lei e Cameron potessero durare a lungo e forse proprio quell’aspetto del loro rapporto l'aveva sempre intrigata. Non era una che ricercava relazioni complicate, le erano successe abbastanza cose da non volersi cercare nuovi problemi, eppure le sembrava che le loro differenze rendessero il loro rapporto ancora più voluto e profondo. Nonostante tutto si erano scelti no? Doveva esserci qualcosa di romantico nel loro superare le difficoltà senza separarsi.
    Era certo che ci fosse stato davvero, che il loro legame fosse stato saldo e sicuro almeno fino ad un certo punto, e nonostante tutto non riusciva a negare che quel che avevano condiviso era stato speciale, forse per certi versi impossibile da replicare. Sapeva di avere lasciato a Cameron parecchie "prime volte", cose che non avrebbe più sperimentato con nessun altro, non allo stesso modo.
    Forse la parte che aveva più faticato a digerire era che, nonostante gli sforzi fatti fino a quel momento, lui non avesse pensato di lasciarla ma di tradirla, per di più con Elizabeth Lynch. Non aveva niente contro l'altra ragazza, o quantomeno non la detestava prima di quell'estate, forse non aveva mai stravisto per lei ma aveva anche provato a fare dei passi nella sua direzione, a non escluderla troppo, ad essere comprensiva. Era arrivata addirittura a sentirsi in colpa per essere stata più distaccata del solito con una persona che sembrava capire Cameron così bene, e ora si sentiva sciocca per esserci ricreduta.
    Aveva davvero avuto senso sesto senso fin dall'inizio? Forse. In ogni caso si era impegnata parecchio per "farsela passare", e se anche non poteva affermare di stare bene fino in fondo, comunque le cose erano migliorate almeno in parte. Si sentiva meno tesa, anche ora che vivevano nello stesso posto, e non sentiva più le mani fremere ogni volta che incrociava la Lynch per i corridoi, anche se si assicurava succedesse meno spesso possibile. Sapeva bene di non poter evitare nè lei nè Cameron per sempre, ma fino a quel momento ci era riuscita senza enormi sforzi.
    Aveva anche ripreso confidenza con l'idea di essere circondata dalle persone, di non essere più rinchiusa nella sua cameretta, dove poteva piangere, disperarsi o solamente cercare il silenzio senza farsi problemi: essere tornata a scuola e, per di più, essere ancora Prefetto significava dover aver a che fare con gli altri studenti, farci anche amicizia quando e se possibile e provare ad essere la solita Mia di sempre. Ecco, forse quella parte era la più difficile da perseguire, forse non poteva tornare la "solita Mia di sempre" ma poteva comunque provare ad essere una versione di se decente.
    Si era accorta che era ora di pranzo solo per caso e si era inserita nel flusso di studenti diretti verso la Sala Grande mentre leggeva ancora un libro di Cura delle Creature Magiche appena recuperato in biblioteca, e proprio perchè immersa nella lettura aveva reagito in ritardo a quello che stava accadendo. Prima di rendersene conto si era ritrovata spinta contro una nicchia del muro, il libro che le cadeva sui piedi, i polsi tra le dita calde di Cameron e le labbra premute contro le sue. Sentì il cuore schizzare nelle tempie, il respiro farsi affannato e la cosa più istintiva che le venne da fare, sul momento, fu mordergli un labbro per poi cercare di divincolarsi per quanto possibile dalla sua presa.
    "Cosa cazzo fai?" si ritrovò a ringhiare, in una risposta che non le sembrava nemmeno sua e che si attenuò solo quando realizzò che sapore avesse ora sulle labbra. "Sei... ubriaco?! A quest'ora?" aggiunse quindi subito dopo, il tono già più basso e lo sguardo preoccupato, anche se velato ancora dalla rabbia e dal fastidio del momento.

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