Lezione di Incantesimi - Biennio

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    Eva Ivanova • statscheda

    Lunedì, 11 Novembre 2019
    Ore 15.30



    Sono passati ormai dieci giorni da quella fatidica notte.
    Ognuno è tornato stanco e distrutto, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente.
    Eva aveva capito, in quella stessa notte, un sacco di cose per quel che riguardava lei. Una di queste era che a quegli studenti, tenesse più di ogni altra cosa al mondo, erano la sua famiglia e lei avrebbe fatto di tutto per difenderli.
    Ma c'era stato anche dell'altro che era scattato dentro di lei: la paura di perdere qualcuno non aveva coinvolto solo i suoi studenti. Era scattata anche nel momento in cui aveva visto Samuel Black, docente di Alchimia e Trasfigurazione, essere attaccato da quella creatura che Naga aveva deciso di chiamare per tenerli occupati.
    Per Eva era stata una sensazione strana, come se una freccia, l'avesse trafitta dritta nel cuore. Era qualcosa che eran giorni che cercava di spiegarsi ma ancora non trovava una soluzione.
    Si era ripromessa che non ci avrebbe pensato poi troppo, visto che aveva altre cose da fare, ma il pensiero del docente era rimasto come un chiodo fisso nella sua testa.
    Probabilmente lo avrebbe trovato strano anche suo fratello, se glielo avesse raccontato.

    Tuttavia, un altro era il pallino che continuava a martellare nella testa di Eva: la sicurezza dei suoi studenti. Molti di loro erano stati buttati sul campo di battaglia, prima ancora che potessero aver compiuto almeno due anni di scuola. Inesperti, con un bagaglio di incantesimi scarno, che non poteva permetter loro di essere utili quanto volessero.
    Era colpa sua? No, purtroppo i tempi erano stati quelli che erano stati, e lei non aveva potuto accelerare le cose.
    Aveva passato il resto dei giorni successivi alla situazione di Naga, a passare dall'infermeria alle aule. Alternava il lavoro con l'assistenza e quando tornava in camera era sempre troppo stanca per fare qualsiasi altra cosa volesse.
    Aveva visto le lezioni dei primi giorni essere vuote, e i pochi venuti tra i banchi, passavano il tempo con gli occhi calati.
    Doveva fare qualcosa per riprenderli.
    Lei era responsabile di tutti loro e avrebbe dovuto prendere in mano le redini, prima che a poco a poco, crollassero tutti.
    Ma come?
    Non aveva idee... era stanca anche per quelle.

    Era per questo, che quella mattina aveva deciso di svegliarsi prima e di iniziare da subito a preparare la sua lezione. Si chiuse in studio e finalmente ebbe un'illuminazione: scese di corsa nella sua aula e iniziò a sistemare tutto il necessario.
    Il risultato?
    Quando entrate in aula, troverete dei banchi triangolari, con tre sedie ciascuno, sparse nel lato destro della stanza, nella parte dove siete sempre stati abituati a fare le lezioni teoriche. La parte alla vostra sinistra, il campo pratico, al momento sembra celato da una barriera opaca che non vi permette di vedere cosa c'è dall'altro lato.
    L'entrata la conoscete e anche la modalità per entrarvi, quindi non dovete fare altro che entrare e prendere posto.

    Alla lavagna non troverete scritto altro che una frase: «Vietato aprire le pergamene.», infatti, quando vi siederete, noterete che sui vostri banchi ci saranno dei piccoli rotolini di pergamena, legati con un nastrino azzurro.
    Al vostro arrivo, Eva è seduta dietro la cattedra, gamba accavallata, intenta a scrivere qualcosa su delle pergamene. Sul suo lato sinistro ci sono i compiti che avete fatto ad Ottobre.
    Ad ogni vostro saluto, risponderà con un sorriso dolce e accogliente ed un cenno del capo.
    Nell'aria c'è un delicato odore di vaniglia che rende la stanza un pochetto più accogliente di una classica aula da studio.
    //Benvenuti piccolini miei, a questa prima lezioni di incantesimi.
    Non dovete fare altro che prendere posto.
    I banchi hanno posti per tre persone, come avete potuto vedere, quindi voi accomodatevi come preferite, in base alla coerenza del vostro personaggio, consapevoli che potrei farvi qualche scherzetto al prossimo post ;) ma niente paura, non sarà alcunché di spaventoso ♥

    Vi invito a leggere la descrizione dell'aula che trovate qui, dove troverete le modalità per accedere all'Aula di Incantesimi.
    Rimango a disposizione per delucidazioni e informazioni varie, riservandomi il diritto di non rispondere qualora potessero svelarvi i segreti di questa lezione :P
    Vi chiedo una cosa molto importante, che valuterò ai fini della buona riuscita della lezione: coerenza.

    Data Scadenza per Entrare in Orario: 17.11.2019, h 23.59
     
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  2. Joshua B. Evans
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    Joshua Benjamin Evans
    Studente | 17 anni
    Il primo pomeriggio era il momento peggiore per sostenere una lezione, ma in quel periodo Josh faticava a trovare un momento adatto per fare qualunque cosa. Con il peso di una notte trascorsa quasi insonne a causa della malattia, in particolare modo della febbre, non si era posto il problema di pensare al fatto che ultimamente quei malori fossero sempre più ricorrenti. Con il volto pallido e due marchiate occhiaie, si avviò con tutta calma verso l’aula di Trasfigurazione dopo un lauto pasto. Almeno l’appetito pareva non mancargli.
    Era solito arrivare a lezione con un qualche compagno, ma negli ultimi giorni non aveva granché voglia di compagnia, motivo per cui puntò la bacchetta contro la porta ed, eseguendo il movimento che ormai ripeteva a menadito da più di un anno, castò l’incantesimo di apertura.
    «Alohomora.»
    Oltrepassò la soglia dell’aula in completa solitudine. Lo sguardo gli cadde sul lato destro della ampia stanza e notò dei banchi triangolari.
    Fantastico, devo avere a che fare con ben due persone.
    Moriva dalla voglia.
    Con le mani in tasca si avviò verso il secondo banco e lasciò scivolare la borsa sul pavimento, sollevando lo sguardo verso la docente di Incantesimi seduta dove il suo ruolo richiedeva, al di là della cattedra.
    «Buon pomeriggio, professoressa. »
    Si lasciò cadere sulla sedia e sbuffò, passandosi una mano sul volto stanco e chiudendo gli occhi per un momento. Si sfilò il berretto e lo poggiò sotto il banco, per poi rivolgere la propria attenzione su una strana barriera sul lato opposto dell’aula che non lasciava intravedere cosa vi fosse dall’altra parte.
    Un’altra barriera magica? Ma scherziamo?
    Era evidente che la Ivanova avesse uno strano -e macabro- senso dell’umorismo.
    Solo allora si rese conto della presenza di un rotolo di pergamena sotto il proprio sguardo, e del solito lieve odore di vaniglia a inebriargli i sensi.

    «Parlato» - Pensato - Ascoltato | Scheda PG - Stat.

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    EDIT: Il banco di Josh dovrà essere occupato da Jesse ed Elisabeth perché... in quest abbiamo sofferto troppo poco, perciò vogliamo farci male :)


    Edited by Joshua B. Evans - 15/11/2019, 22:31
     
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    Jessica Veronica Whitemore
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    Dieci giorni. Dieci fottutissimi giorni erano passati da quella notte. La notte in cui avevano rischiato il tutto per tutto per salvare le loro amiche e sconfiggere Naga, la notte in cui aveva quasi perso tutto, la notte in cui la sua vita è rimasta appesa ad un filo... la notte dove tutto è cambiato. Anche se l'operazione di salvataggio era andata a buon fine e la strega era morta, la giovane corvina sentiva di essere cambiata da quel giorno. Non era più la spensierata -circa- Jessica. Quella notte l'aveva segnata nel profondo, come una cicatrice indelebile sul cuore. Non c'era stata notte, da allora, durante la quale gli incubi non l'avessero tormentata. Sognava di essere ancora nella presa mortale del Malboro, di cadere di nuovo in quella voragine buia e senza via d'uscita. Quindi, in sostanza, dormiva di merda. In una settimana si era svegliata sudata per almeno quattro notti. Una morsa che le stringeva il cuore. Era mancato pochissimo. Pochissimo perché Alex la perdesse. Aveva commesso una cazzata madornale e il figlio sarebbe rimasto senza genitori completamente. Un brivido le percorse la schiena al solo pensiero. Avrebbe dovuto ascoltare Kenna quando le diceva che sarebbe stato meglio tornare prima che si facesse troppo complicata la situazione. Il cuore le batteva a mille quella notte quando si svegliò. Sentiva una mano gelida ed invisibile attorno al collo, si sentiva soffocare... il respiro era corto ed irregolare mentre la ragazza cercava disperatamente di riassumerne il controllo.
    Ci rivediamo, Jess le aveva sussurrato all'orecchio una voce fredda e metallica. Stavolta per sempre. Era in quel momento che la neo mamma si era svegliata in preda all'angoscia. Fuori le civette svolazzavano e si esibivano nei loro versi, le stelle brillavano tenui in cielo e le nuvole coprivano la luna. Sembrava una normalissima notte, in fondo la vita scorreva come sempre, il tempo passava, indifferenti alle sofferenze degli abitanti di quel mondo pericoloso e pieno di insidie. Si strinse nel leggero pigiama che copriva le sue membra ancora affaticate dopo tanti giorni. Sembrava quasi che non avesse mai dormito da allora. Ed in effetti era più o meno così. Aveva dormito pochissimo e malissimo. Si strofinò gli occhi arrossati e guardò l'ora. Le quattro di notte. Aveva almeno altre tre ore e mezza di sonno prima di doversi alzare e trascinarsi alle lezioni. Gettò un'occhiata ad Alex che dormiva tranquillo nella culla. Aveva vissuto l'attacco lontano dal castello e, comunque, anche se vi fosse stato sarebbe stato del tutto ignaro. Aveva solo quattro mesi. Si buttò nuovamente tra le lenzuola di lino e si addormentò, cadendo in un sonno oltremodo agitato.

    Ci rivediamo, Jess ripeté quella voce mortifera. Stavolta per sempre. Una mano fredda, ghiacciata, così tanto da far male, le si posò sulla spalla. Non rivedrai mai più nessuno di loro. Davanti agli occhi di Jessica apparve nitida un'immagine con tutti i suoi amici. E per ultima apparve un'immagine del figlio. Non li rivedrai mai più ripetè la voce, ghignando di soddisfazione.

    Jessica si svegliò di soprassalto e sentì la mano bagnata. Credeva fosse il gelo della morte, ma poi si accorse che Pantera era affianco a lei e le stava leccando la mano. Pure la guancia era bagnata, ma il suo gatto non c'entrava nulla. Se l'asciugò con un gesto nervoso della mano. Vieni qui, piccolino. disse sbuffando al gatto, che non se lo fece ripetere due volte e si acciambellò sopra il suo stomaco. Ehi, dovrei anche andare a lezione gli disse lei, spostandolo e sistemandolo sul suo letto. Pantera non fece una piega, se non un miagolio assonnato per poi riprendere il suo sonno da dove lo aveva interrotto. Beata creaturina pensò la ragazza con un sospiro, prima di alzarsi. Erano le sette e mezza e la prima lezione sarebbe cominciata da lì ad un'ora. Fece in modo automatico quello che faceva ogni mattina da dieci giorni. Andò in bagno. Si fece la doccia. Si lavò i denti. Applicò del trucco per nascondere le borse sotto gli occhi. Uscì dal bagno e prese i suoi vestiti. Non badava più di tanto al look ultimamente, quindi fortunatamente a lezione dovevano indossare la divisa, o chissà come si sarebbe conciata. Dopo averla indossata, si diresse alla culla di Alex e lo prese in braccio. I suoi occhietti innocenti la guardarono gioiosi. Riconosceva la sua mamma ed era felice quando la vedeva. Jessica lo strinse al petto protettiva, ma non troppo forte. Piccolo mio, avrei potuto perderti... sussurrò, all'aria. Adesso mamma deve andare a lezione, ci vediamo dopo. Era davvero strano da dire. Provò a simulare una vocina allegra perché era convinta che, seppur così piccolo e inconsapevole, capisse quando sua madre aveva qualcosa che non andava. Beh, comunque la voce le uscì stridula e fastidiosa. Diede un bacio sulla testa al figlio e lo posò nuovamente sulla culla, mettendogli affianco il giochino donatogli da Olwen. Aspettò l'arrivo dell'elfo domestico e quando arrivò, gli affidò come sempre il figlio. Si diresse poi verso l'uscita, senza nemmeno guardare se vi fossero o meno le sue compagne di dormitorio. Non aveva voglia di vedere nessuno; era da due settimane quasi che cercava di evitare i suoi amici, che trascurava le lezioni e se ci andava, non prestava sufficiente attenzione. Così fu anche quella mattina. Se rispondeva alle domande dei professori, lo faceva in maniera atona e poco convinta. Quel pomeriggio, però, avevano un'altra lezione con i primini. Sarebbe toccato ad incantesimi con la professoressa Ivanova. Se fino a poco prima avrebbe strepitato per sapere quali incantesimi avrebbero imparato quel giorno, ora Jess si diresse come un'automa verso l'aula. Aveva pranzato non da moltissimo e aveva fatto un salto in dormitorio per salutare il figlio. Fortunatamente Incantesimi si svolgeva nello stesso piano in cui si trovava il dormitorio dei Black Opal. Non aveva assolutamente voglia di presentarsi a quella lezione, infatti per un momento le balenò per la mente l'idea di non andarci. Ma non poteva fuggire per sempre ai sui obblighi scolastici. L'unica cosa che la rincuorava era il fatto che la professoressa Ivanova fosse sempre -o quasi- dolce e gentile con i suoi studenti. Se un Ensor l'avrebbe bacchettata, magari Eva avrebbe capito. Sarebbe stata un pelo più comprensiva. Dopo quelle che parvero ore, anche se non erano altro che secondi, raggiunse la porta dell'aula. Stava quasi per aprirla con le mani, ma poi si ricordò che non era quello il modo per entrarvi. Estrasse la bacchetta e la puntò verso la porta. Alohomora. Disse, senza variare troppo il suo tono di voce. Appena entrata, il classico odore di vaniglia che permaneva nell'aula le colpì le narici con delicatezza. Era sempre stato un odore dolce e mai troppo forte o sgradevole. Ma una cosa la stupì. Anzi, due. Dalla parte destra dove avrebbero dovuto esserci i banchi con due posti, vi erano banchi triangolari. Due compagni. Aveva due compagni con cui avrebbe rischiato di dover parlare o, nella peggiore delle ipotesi, collaborare per un qualche lavoro di gruppo. Automaticamente il suo sguardo cadde sull'altro lato, dove solitamente facevano la pratica, chiedendosi se qualcosa fosse cambiato anche là. Un lieve tremolio le percorse il corpo quando vide che lo spazio era celato da una sorta di barriera, ma non commentò. 'Giorno biascicò alla professoressa, guardandosi intorno. Notò subito Joshua seduto da solo in un banco. Di norma si sarebbe seduta affianco a lui, sorridente. Ma non quel giorno. Quel giorno voleva stare sola con i suoi pensieri. Raggiunse il banco più lontano e si sedette in uno dei tre posti, chiedendosi distrattamente chi si sarebbe seduto. Notò la pergamena sopra il banco. Un altro test? Non credeva di essere preparata. Avrebbe voluto sbirciare, ma alla lavagna era chiaramente scritto di non farlo, quindi la scostò appena per posare le braccia conserte sopra al banco e, a sua volta, posare il mento tra di esse. Aveva salutato Josh solo con un cenno del capo, ma non aveva detto nulla.
    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato" | Scheda | Stat.
    by Lance


    Io metto lo spoiler anche se ora non serve gne. E così al prossimo post me lo ricordo xD La parte in corsivo ovviamente è il sogno e.e E niente, entra in aula come un cadavere e muore sul banco u.u
     
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    Adamas Vesper
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    Il senso di colpa è un piccolo tarlo che, nei momenti meno opportuni, fa crollare certezze che si reputavano solide come se fossero legno marcio.
    Adamas aveva sempre saputo di non essere particolarmente coraggioso, e dieci giorni prima ne aveva avuto un’ennesima conferma: tuttavia aveva sempre pensato di essere un buon amico. Ma la notte in cui avevano affrontato (e per grazia del Cielo sconfitto) Naga, aveva scoperto che, forse, non era proprio quel tipo di amico. Certo, aveva agito - o meglio, era fuggito - per paura della morte ed istinto di autoconservazione: ma forse doveva ricredersi sui modi che aveva usato per prendere le sue scelte.
    Aveva rischiato di perdere Nikolai perché era un codardo.
    In quei dieci giorni si era isolato e, rimuginando sopra all’accaduto, non era riuscito a trovare la pace interiore; se ripensava a quella notte, e a tutte le scuse che aveva porto al Dioptase di persona o nel suo cuore, ancora rabbrividiva per la vergogna.
    ‘Tutti gli eroi hanno il loro peccato fatale… ma sinceramente, non voglio che il mio sia la codardia…’
    Doveva cercare di essere più assertivo e combattivo; questo non voleva dire che avrebbe snaturato il suo carattere, ma ormai non era più un ragazzino che doveva avere paura di suo padre o chicchessia. No, era quasi un adulto: e, come aveva appreso durante la lezione di Brian contro Mollicci e Mutaforma, doveva avere paura di se stesso. E da quella notte, un po’ ne aveva.
    ‘Chissà cos’altro sarei capace di fare… non mi conosco ancora abbastanza… diamine.’
    Era giunto il momento di iniziare a lavorare sulla sua psiche. Seriamente.
    Perso nei suoi pensieri, era finalmente arrivato davanti alla porta della classe di Incantesimi.
    "Alohomora."
    La professoressa Ivanova aveva scelto di sicuro una procedura meno pericolosa di quella del professor Ensor, e meno scenografica di quelle di Olwen. Ma, sinceramente, dopo gli eventi della notte di Halloween era decisamente meglio così: un conto era dover essere coraggiosi e far scelte azzardate in pericolo di vita, un altro essere perennemente impulsivi. La scelta di un incantesimo di più facile esecuzione e senza troppi rischi di dare effetti collaterali non denotava, forse, un certo riguardo nei confronti delle persone? Soprattutto dopo che avevano subito abbastanza traumi emotivi nel periodo appena trascorso.
    “Buongiorno, professoressa”: il tono di Adamas, cordiale e limpido, era incrinato da una leggera tensione, più dovuta ai suoi tormenti interiori che al pensiero di una prova durante la lezione. Chiunque l’avesse osservato con attenzione avrebbe notato due leggere occhiaie, mascherate parzialmente dalla sua carnagione, e un leggero arrossamento degli occhi, come se avesse pianto. Cosa effettivamente successa diverse volte, nel corso di quei dieci giorni.
    L’odore di vaniglia ebbe un effetto vagamente calmante sull’Ametrino.
    Avrebbe fatto un cenno, accompagnato da un sorriso sghembo, rivolto verso Joshua, e avrebbe rivolto uno sguardo comprensivo e solidale ad una Jessica accasciata sul banco. Non era il caso di disturbare nessuno.
    Come al solito, si sedette in un banco vuoto posto in prima fila; se fosse arrivato Nikolai, l’avrebbe salutato alzando la mano in maniera goffa. Chissà se il Dioptase voleva ancora avere a che fare con lui, dopo tutto ciò che era accaduto… non l’avrebbe di certo biasimato, se si fosse seduto altrove... diamine, non l'avrebbe biasimato neanche se non avesse più voluto avere niente a che fare con lui.
    Mise le mani nella tasca della comoda felpa nera che indossava: presentarsi in tuta alle lezioni era lecito? Sapeva solo che in quel momento aveva seriamente bisogno di indossare vestiti confortevoli e senza troppi fronzoli.
    ‘Ma sì, che me ne importa - non lo noterà nessuno...’
    Si mise, con lo sguardo apparentemente fisso sulla lavagna, a fissare nel vuoto, aspettando che arrivasse la necessità di muoversi, interagire, agire. La pergamena, con il nastro azzurro che la abbracciava saldamente, sarebbe stata ignorata fino a nuovo ordine della prof.
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    Molly Jane Trouble
    Studentessa | 16 anni

    Il trentuno di Ottobre la vita a Hidenstone e dintorni era cambiata per sempre. Una miracolosa spedizione aveva riportato a casa le quattro ragazze scomparse, e definitivamente sconfitto il pericolo di Naga. Judy aveva avuto incubi per tutta la sera, aveva sfidato il coprifuoco perché non riusciva a staccarsi dalla sorella, Molly, neanche un istante. Lei l'aveva stretta a sé, mormorando che sarebbe andato tutto bene, per quanto non ne avesse la benché minima certezza. Il tempo nebbioso non prometteva nulla di buono, né tanto meno l'umore collettivo aiutava a vedere la situazione positivamente. Tutt'altro. Solo che Molly non voleva dirlo, per timore di aver ragione. E per sua fortuna, si era sbagliata. La vita era tornata alla normalità l'indomani, e la routine scolastica era ripresa come se nulla fosse. Perché nessuno avrebbe fornito l'antidoto utile a dimenticare la notte degli orrori, né per coloro che l'avevano vissuta in prima persona, né per il resto dello studentato, in attesa di risposte al sicuro nei Dormitori. Nessuno avrebbe fatto un'orazione a sfondo psicologico su come affrontare la vita che continua a scorrere, rapida e veloce, indifferente alle ferite altrui e ai loro tempi di ripresa. I ragazzi - per quanto giovani fossero - avrebbero dovuto trovare la forza di andare avanti dentro di sé, nei propri affetti ed amici, sperando di non rivivere le stesse torture una volta ancora.

    Quel giorno l'atmosfera non è affatto diversa. Molly afferra distrattamente la borsa a tracolla, spiega la divisa che ha riposto con poca cura nell'armadio, pentendosi amaramente della propria sbadataggine e prendendo atto di quanto adesso sia sgualcita. Respira a pieni polmoni mentre abbandona la stanza con il letto ancora disfatto, e contemporaneamente sistema i capelli da un lato. La bacchetta è al sicuro nella tasca della giacca; le emozioni, invece, sono un po' meno nascoste. Le sue insicurezze sono chiaramente leggibili in uno sguardo smarrito, la confusione è percepibile nelle labbra serrate e restie a proferire parola. Prova vergogna per non aver partecipato alla spedizione? No, non è questo il punto. Non conosce quasi nessuno di quei ragazzi, al massimo avrà scambiato una chiacchierata con Joshua. Però il loro dolore la mette francamente a disagio, quasi che per omologarsi debba provarlo lei stessa. Altrimenti resta un pesce fuor d'acqua, l'unico sopravvissuto in una battaglia contro gli squali. Ma che senso ha averla vinta, se alla fine sei comunque da solo? «Alohomora.», punta la bacchetta in direzione della porta dell'Aula di Incantesimi, come da regola. Ha già frequentato alcune lezioni della professoressa Ivanova, ma non può dire di conoscerla bene, essendo il suo primo anno a Hidenstone. L'odore di vaniglia è così intenso da storcere il naso, inizialmente. Quando però sfonda le barriere del suo corpo, riesce davvero a tranquillizzarla, come la più dolce delle dipendenze. «Buongiorno, professoressa.», dice distrattamente, per poi indirizzarsi a passo spedito verso i banchi, dove nota subito dei posti a tre. I pochi presenti hanno optato per la via della solitudine, ognuno accaparrandosi un banco vuoto. Probabilmente è per l'attitudine comune che fa la stessa scelta anche lei, o forse per non disturbare nessuno. O forse perché in quel loro separatismo sono, in realtà, tanto uniti da farla comunque sentire fuori posto. Sceglie la seconda fila, per non essere troppo distante né troppo visibile all'occhio attento della Ivanova, e con le mani sfiora la pergamena che è vietato aprire, per quanto estrema sia la curiosità che da sempre è la sua principale caratteristica.

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    Come on skinny love what happened here

    Mia non era riuscita a darsi davvero pace, nonostante fossero passati ormai dieci giorni da quella terribile notte. Ai suoi già pregressi incubi si ne erano aggiunti di nuovi, e nonostante si fosse ripresa quasi del tutto dallo shock e dai danni fisici subiti, non poteva dire di sentirsi davvero in forma. C’era comunque cose per cui avrebbe dovuto gioire, per esempio nessuna delle persone che conosceva si era fatta davvero male, Charles stava bene ed era andato a trovarla un paio di volte mentre si trovava ancora in infermeria, anche Tess nonostante la terribile esperienza era riuscita a riprendersi –almeno a livello fisico, ed era già qualcosa-, eppure non sembrava abbastanza. Non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che avrebbe potuto fare di più, che avrebbe dovuto impegnarsi di più, anziché lasciarsi prendere dal Malboro e diventare pressoché inutile. Come se fosse stata davvero colpa sua…!
    Quella mattina, nonostante avrebbe dovuto affrontare una delle sue lezioni preferite, scese dal letto con ben poca voglia di alzarsi e vestirsi. Si trascinò per la stanza recuperando un paio di jeans e un maglioncino senza nemmeno badare a quali fossero –su questo le piaceva vincere facile, avere un armadio composto da massimo quattro tonalità diverse le garantiva un aspetto ordinato anche col minimo sforzo-, cercando se non altro di non arrivare in ritardo. Il suo appetito ultimamente scarseggiava ma anche per non far preoccupare Tess si obbligò a mangiucchiare qualcosa prima di dirigersi verso l’aula.
    Il poco sonno la stava portando all’autodistruzione, era certa che continuando così avrebbe finito per impazzire, ma non aveva alcuna soluzione e temeva che non ci fosse niente in grado di farla sentire meglio. Dopotutto, per quanto avesse passato la sua intera vita a fare la parte dell’adulto, almeno verso sé stessa, rimaneva una ragazzina di sedici anni e a quell’età qualsiasi tipo di ostacolo appare enorme e invalicabile. Certo, c’era da dire che i traumi non le erano stati risparmiati, ultimamente, e che la sua situazione era peggiorata dalla sua testardaggine e dal fatto che preferisse apparire sempre tranquilla e disponibile, faticando a condividere il proprio dolore e le proprie preoccupazioni con gli altri. Forse, se si fosse concessa di essere più debole, se si fosse permessa di mostrarsi fragile, avrebbe potuto sorprendersi del conforto che avrebbe ricevuto in cambio, ma Mia era ben lontana da arrivare a quella conclusione. Se non altro la presenza di Tess e di qualche altro amico, che si stava sorprendentemente guadagnando nell’ultimo periodo, erano un sollievo per le sue spalle appesantite da tutti quei problemi.
    Se c’era qualcosa, però, di cui era estremamente consapevole era l’atmosfera che ora si respirava nell’Accademia: era chiaro che chiunque avesse partecipato a quella notte ne fosse uscito cambiato e le sembrava di poter sentire sulla pelle il peso e l’importanza di quei cambiamenti. Ormai aveva paura di chiedere troppo, di andare oltre, di risvegliare in uno qualunque dei suoi compagni ricordi spiacevoli e forse anche per questo tendeva ad essere ancora più silenziosa e chiusa del solito. Arrivata davanti alla porta dell’aula pronunciò un ”Alohomora” a mezza voce, quasi avesse paura di disturbare, e poi scivolò nella stanza silenziosa, stringendo con una mano la tracolla della propria borsa di cuoio marrone. Si diresse nell’ala della stanza riservata ai banchi, senza prestare troppa attenzione a ciò che la circondava, ma non mancò di sentire un leggero odore di vaniglia inebriarle i sensi e rilassarla, almeno in parte.
    Come sempre puntò alla prima fila, da brava alunna “modello” –o almeno questa era sempre stata la sua inclinazione- e come sempre trovò @Adamas già seduto al proprio posto. Se non fosse successo nulla appena dieci giorni prima si sarebbe seduta con tranquillità, lo avrebbe saluto con un sorriso gentile e magari gli avrebbe fatto anche qualche domanda, ma in quel caso si avvicinò quasi temendo di disturbarlo. Non le servì molto per capire che lui, così come Jessica, poco distante, erano nella sua stessa condizione: tutti quanti provati da ciò che era successo. Non voleva disturbare la ragazza, che sembrava davvero stanca, e anche se avrebbe voluto avvicinarsi e offrirle il suo supporto si limitò a scegliere il posto più vicino al suo senza però condividere il suo banco. Le rivolse un’occhiata e un leggerissimo “Ehi…”, senza però essere troppo invadente, lasciandole il suo spazio.
    Si avvicinò quindi ad Adamas e gli sfiorò piano una spalla, nel modo più delicato e gentile che conoscesse. “Posso?” domandò quindi, incerta, sperando che al ragazzo non desse troppo fastidio la sua domanda o la sua presenza. Nel caso di risposta positiva si sarebbe seduta al suo fianco, aspettando che anche gli altri compagni la raggiungessero.

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    Erik Foster | Ametrin | II anno
    Erano trascorsi dieci giorni da quando Hidenstone e Denrise avevano fratto fronte comune contro una minaccia all'apparenza insormontabile. Dieci giorni non erano niente, quella sera aveva visto la propria vita scorrere davanti, aveva scoperto cosa significasse la parola terrore e per la prima volta aveva davvero avuto paura di morire.
    Per assurdo fu più tranquillo nei primi giorni successivi a quella notte, ma trascorsa una settimana aveva cominciato a metabolizzare cos'era successo, cosa avessero rischiato e quanto fossero stati fortunati ad accogliere in infermeria solo feriti e nessun morto. Se le possibilità di morire erano molto alte era colpa nostra. Da amico avrebbe dovuto cercar il modo di fermare Blake quando si allontanò dal gruppo e, successivamente, doveva pensar prima a zittirlo e invece fu bloccato dalla paura. Non ci fu nessun morto, ma si sentiva responsabile come se fosse lui stesso la causa di ciò che era accaduto.
    Nel cuore aveva un turbinio di emozioni, tuttavia questo da solo non poté frenare lo svolgimento delle lezioni. Quel primo pomeriggio, tra le tante, avrebbero avuto il corso tenuto dalla professoressa Ivanova. Se non altro è una materia che mi piace. Erik non era di certo famoso per la sua predisposizione allo studio, tuttavia quelle materie più pratiche gli riuscivano meglio.
    Dopo il pranzo mangiò poco, dopodiché si recò fuori dal castello per una rinvigorente boccata d'aria e poi passò per la sua Sala Comune per prendere la classica tracolla che preparava il giorno prima con all'interno tutto l'occorrente per le lezioni giornaliere. L'aula di incantesimi si trovava al terzo piano ed era impossibile non notarla grazia ad una porta estremamente ampia. Quando Erik arrivò questa era chiusa, così agì come di consueto. Impugnò la bacchetta, la puntò contro la serratura, chiuse gli occhi e Alohomora. Decisamente più classico rispetto alle fantasiose invenzioni di Olwen, ma assai più sicura dei sadici modi di Ensor. Nel complesso lo stile della professoressa Ivanova piaceva all'ametrino.
    Una volta dentro salutò con un'alzata di mano la docente e in un secondo momento arrivò la sua voce. Professoressa, buon pomeriggio! Trattenne la mano in alto per salutare anche tutti i presenti, lasciando poi cadere la tracolla sulla postazione accanto a Molly Jane Trouble, la studentessa con cui aveva parlato qualche giorno prima del 31 Ottobre. Buongiorno raggio di sole. E tutta questa confidenza? Ahimé, Erik era estremamente spontaneo con le sue uscite, ad ogni modo nella sua frase non c'era nessuna malizia o ironia. Era solito salutare le persone nei modi più stravaganti e chi lo conosceva bene lo sapeva, mentre per tutti gli altri era semplicemente strano.
    Ah, scusami, non ti ho chiesto se il posto era libero. Se aspetti qualcuno dimmelo e cerco un altro posto dove sedermi. Ecco, quella era la prova che l'Ametrino agiva prima di pensare, ma in fondo era buono e cercava sempre di rimediare alle proprie goffaggini.
    Fu solo in un secondo momento che si accorse della scritta sulla lavagna. ACCIDERBOLINA, FA CHE NON SIA UN COMPITO! Ok, doveva respirare piano. Eva non è Brian. Eva non è Brian. Ev-FA CHE NON SIA UN TEST A SORPRESA! Fu allora che l'occhio cadde sul rotolo di pergamena che, diciamolo pure, non aveva nessuna intenzione di aprire.


    RevelioGDR
     
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    Theresa van Aalter ( ▲ Scheda |▼Stat ) - 16 anni -Lycan - Ametrin - I Anno
    «Being brave means knowing that when you fail, you don't fail forever.» - Lana Del Rey
    Dieci giorni e si era già tornati direttamente in aula. C'era tensione e disagio nonostante si cercasse di fare in modo da sorvolare. Ma inevitabilmente quell'esperienza aveva segnato un po' tutti, nel bene e nel male. Theresa s'era presa del tempo per prepararsi con calma, aveva abbandonato i suoi soliti accessori che la contraddistinguevano per l'avere un look un po' punk/goth e poco a poco aveva iniziato sempre più a vestirsi in maniera più semplice e colorata. Perchè i teschi, il nero e il disagio che questi gli rievocavano ricordandole brutte cose erano ancora un qualcosa di difficile da affrontare e non era pronta per portarne il peso.

    Nikolai era al corrente delle sue condizioni. Il non riuscire più ad articolare parola non aveva alcun tipo di collegamento con traumi di tipo fisico, ma unicamente una situazione di blocco emotivo che presto o tardi avrebbe elaborato da se non senza un po' di aiuto e di sostegno da parte delle persone accanto a lei. Welmer s'era fatto sempre più apprensivo, le loro telefonate si riducevano a lui che parlava e Tess che stava zitta o il più delle volte provava a mugolare per rispondergli, ma per fortuna c'era suo fratello a cui partecipava ben volentieri e movimentava un po' il tutto, rassicurando suo padre con cui aveva ripreso dei rapporti decenti e stimolando le risposte di Tess nell'interagire. Doveva ammettere che se non ci fosse stato lui a sostenerla, non sapeva che fine avrebbe realmente fatto. Doveva moltissimo a lui e tutto l'affetto che finora non gli aveva dimostrato, era via via ogni giorno più forte e più sincero, il loro legame fraterno non solo si era rinsaldato ma era cresciuto molto di più.

    Leonoor guardò sua figlia e ne accarezzò i capelli bruni. C'erano loro due, una staccionata e tre barattoli vuoti impilati su di essi. C'erano solo loro in quell'immensa distesa di verde e campagna, ed erano all'incirca a tre metri da questi. "...Concentrati Tessy." Le disse in un soffio mentre con la presa salda e decisa si accostò alle spalle della figlia e direzionò la revolver, mostrandole in quale modo dovesse tenerla tra le mani. "No, non così, l'impugnatura va presa a fasciatura-... Vedi? Ecco, la destra va qui, ed è la mano dominante, quella che premerà il grilletto. La sinistra va su di essa e l'accompagna."

    "Scusa mamma, ma nei film fanno vedere che si usa una mano sola, perchè io devo usarne due se è una cavolata sparare?" La donna mora sorrise e poi spiegò con calma "I film sono pura finzione e solo gli idioti sparano con una mano sola. La sinistra serve a far questo." E le spostò la direzione lentamente "Prendi la mira intanto che cerchi di familiarizzare con questi concetti. Lo vedi come si sposta più facilmente la tacca di mirino e mirino? Così avrai una maggior precisione nel target." "S-si... Si è più facile così, è vero! Chefforza!"

    "Mpf... Facciamo un gioco adesso... Conta e poi quando ti senti pronta spara."

    1-...2....-3! BAAAANG!

    Il colpo fu troppo veloce, Tess premette sul grilletto ansiosamente e quello schizzò via impazzito, nonostante stesse perfettamente mirando al barattolo che aveva di fronte

    "Hai strappato, chi ti ha detto di contare fino a tre?"

    "Ouhhn! Cazzo! Ma perchè non ci riesco?!" "Ti sei messa fretta. Continua a contare anche fino a sei o a dieci, non fermarti... Lentamente il dito scivolerà fino al punto in cui sarai sorpresa dal colpo. Non c'è ritmo, non c'è tempo. C'è solo il tuo tempo Tessy. Riprova pensando a tutto ciò che ti ho detto."

    Se la destra sono io... E la sinistra è Nikolai. Io sono la potenza che scaturisce il fuoco premendo il grilletto, la mia mano sostiene con una presa salda il rinculo della pistola che altrimenti sbanderebbe ovunque. Nikolai è la mano che direziona il mio colpo, mi guida. Il colpo invece-... E' uno scandire del tempo che poco a poco farà sì che quel proiettile partirà e colpirà il bersaglio.

    "Sei ...Sette, otto.." BAAAANG!

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    Il barattolo era stato colpito ed era volato a terra, fumava ed aveva un bel buco nel centro.

    "Così! Questo vuol dire sparare. E adesso torniamo dentro, che zia ci sta aspettando per i dolcetti."


    Suo fratello probabilmente sarebbe giunto da lì a poco per darle una mano ad entrare nell'aula ma nel frattempo, perchè non avrebbe potuto mettere a frutto quel vecchio consiglio. Okay, la bacchetta non era una revolver, ma anche lei poteva essere un'arma, forse il concetto era lo stesso.

    "no... ue... t-tre... qua-... cin-..." Inspirò profondamente incominciando a contare in un mormorio stentato
    Sei... Sette... Otto....
    "Ah-ah-..Lohnun!" Si sforzò di articolare le parole che le morirono in gola. Strinse l'impugnatura della bacchetta tra le dita e ci riprovò.

    Uno ... Due... Tre ... Quattro

    Puntò la bacchetta contro la serratura e focalizzò l'immagine di una chiave nella mente.

    "Auhlomo-... arhan!"

    Niente. Ancora una volta.

    E proprio mentre suo fratello era nel corridoio, che la stava raggiungendo, lei agitò la bacchetta, fasciandone la presa con entrambe le mani.

    La mano sinistra comanda, la destra direziona. Uno... Due... Tre... Quattro... Cinque....

    "A-alohmora-..."

    Bisbigliò ma con decisione e una breve luce scaturì dalla bacchetta e si propagò fino all'interno della serratura. TLA-TLACK! L'aveva aperta.

    Sorrise con incredulità e una contentezza affatto trattenuta mentre gli occhietti azzurri guizzavano verso il fratello, attendendolo prima di entrare per mostrargli il risultato. Poi una volta che fu dentro chinò il capo rispettosamente verso la docente ed anche verso gli studenti. Si soffermò cercando posto a fianco di Mia Freeman ed Adamas lasciando però a Nik, lo spazio più vicino a quest'ultimo dato che ci teneva particolarmente al fatto che i due tornassero a parlarsi e ad avere un rapporto genuino come prima del 31 ottobre. Con Blake Barnes la questione era più spinosa, ma avrebbe trovato il modo di far riappacificare anche loro.
    Hear me scream, feel my rage, RevelioGDR.
     
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    Nikolai van Aalter
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    Nik.. era stato veramente ingenuo. Pensare che aver salvato le ragazze dalle grinfie di Naga sarebbe equivalso a far sparire con uno schiocco di dita la pesantezza dagli stomaci di tutti quanti.. era stupido.
    Si era ricordato a più riprese, in quei dieci giorni, di essere stato un idiota. Se prima di Halloween le sue notti erano tormentate da incubi, beh, adesso gli incubi lo cercavano anche quando aveva gli occhi aperti.
    Erano negli sguardi di tutti coloro che avevano partecipato a quella follia. Gli tornavano a battere la mente quando incrociava per la scuola gli sguardi di Ayla, Lilith ed Elisabeth. Tornavano a martellarlo ogni volta che si rendeva conto come, dopo quella sera, fosse rimasto isolato. Adamas, Blake, gli altri suoi amici.. non aveva più spiccicato una parola con nessuno di loro.
    Naga.. era morta. Ma potevano davvero dire che avesse perso? Forse no. Forse l'aver spaccato in maniera così decisa i rapporti tra di loro era una sconfitta ben più pesante. L'unica persona con cui, per forza di cose, aveva potuto stare, era sua sorella.
    Insomma, con quale coraggio avrebbe potuto anche solo pensare di non starle vicino in ogni momento libero, con tutto quello che le era successo.
    Nonostante la ragazza capisse e rispondesse a modo suo.. ormai portare avanti da solo le loro discussioni.. stava diventando difficile, per Nik.
    Avrebbe desiderato solo sentirla parlare di nuovo, anche se gli fosse costato un occhio della testa.
    Quando, il giorno prima, era arrivata la comunicazione di una lezione di Incantesimi per il biennio.. il Dioptase non l'aveva presa benissimo.
    Se fino a quel momento era riuscito ad evitare di passare troppo tempo con molte delle parti lese di quella notte, durante quella lezione non avrebbe avuto scampo.
    Li avrebbe avuti tutti quanti davanti a lui, come un plotone d'esecuzione pronto a sparare.
    "Cazzo.. cazzo.. cazzo. La porta. Tess. Ho fatto tardi, senza di me non può entrare.."
    Si maledisse l'olandese, mentre i suoi passi scandivano rapidamente il corridoio del terzo piano.
    Certo, le modalità d'entrata nella classe della professoressa Ivanova erano sicuramente più pacate e meno.. brutali di quelle di classi come quella di Ensor, ma non era quello il problema.
    Theresa, nelle sue condizioni attuali.. non avrebbe neppure aperto una porta che richiedeva di lanciare un "Accio". O almeno.. così credeva suo fratello.
    T-Tess! Scusami il ritardo, c-ci sono. Adesso... entria-
    Stava per dirle, quando la sentì sussurrare uno stentato Alohomora, capace comunque di essere riconosciuto dalla sua bacchetta. Ci era.. riuscita?
    "Forse.. ha molto meno bisogno di me.. di quanto io abbia bisogno di lei, dopotutto."
    Questa presa di coscienza colpì dritto al petto il ragazzo. Fino a quel momento si era convinto di star aiutando lei, di starle facendo compagnia, di star vivendo per aiutarla ad uscire da quella brutta condizione.
    Forse sono io.. quello che sta rimanendo indietro..
    Già. Probabilmente, vista dall'esterno, una qualsiasi delle loro giornate passate insieme avrebbe dato molto più l'impressione che fosse la ragazza a prendersi cura di lui piuttosto che il contrario.
    Alohomora..
    Avrebbe quindi sussurrato a testa bassa il riccio, salutando poi con un piccolo cenno della testa la professoressa, mentre che si guardava attorno per ammirare la diversa disposizione dell'aula rispetto al solito.
    "Ottimo.. faccia a faccia con altre due persone.. proprio quello di cui avevo bisogno oggi, prof..."
    Alzò la testa appena, come a cercare con lo sguardo Tess. Con un po' di fortuna avrebbe potuto sedersi al suo stesso triangolo, in modo da poter avere di fronte solo un paio di occhi di cui sapeva non avrebbe potuto sostenere lo sguardo. Ed invece.. la sorella aveva scelto di sedersi assieme a Mia ed Adamas. Insomma, la ragazza che era quasi morta per tentare di aiutarli ed il ragazzo che gli era stato accanto per tutta la notte e che lui, di tutta risposta, aveva bellamente ignorato per dieci giorni filati. Siii... proprio il duo accanto al quale avrebbe voluto più sedersi nella storia dell'accademia.
    Deglutì. Poteva davvero anteporre la sua codardia al bene che quelle persone gli avevano fatto?
    Giorno..
    Fu l'unica parola che utilizzò Nik per annunciarsi a tutta la classe, prima di dirigersi verso le prime file. Si sarebbe seduto in un banco vicino a quello del trio dell'apocalisse, ma avrebbe scelto una sedia che gli avrebbe permesso di dar le spalle, o almeno il fianco, alla maggior parte di loro.
    Non se la sentiva di guardargli negli occhi.
    E-ehi.. ragazzi.
    Avrebbe comunque salutato nuovamente il banco accanto al suo ancora vuoto. Non era comunque arrivato ad un livello di pusillanimità tale da togliere loro il saluto. Però lo sguardo.. no. Nessuno sguardo, tentò di non incrociare gli occhi di nessuno.
    Non fece altro che sedersi al proprio posto, buttare un occhio sulla lavagna e sulla pergamena di fronte a lui e poggiare i gomiti sul tavolo, in modo da usare le mani per reggersi la testa adornata di ricci.
    Se la sentiva pesante. Quel semplice saluto sembrava avergli tolto tutte le forze.
    "Ti prego.. se c'è veramente un Dio.. allora fa che questi due posti restino vuoti per tutta la lezione."
    RevelioGDR
     
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    Jesse A. Lighthouse | Prefetto Black Opal
    Come già ribadito da fin troppi narratori, erano trascorsi 10 giorni da quella fatidica notte, durante la quale Jesse aveva scoperto l'orrore della violenza e quando fosse affine al suo animo, per quanto fosse spaventoso ammetterlo.
    Qualcuno avrebbe potuto pensare che il rischiare la vita o il sentirsi affine ad una vita del genere potesse friggere i pochi neuroni sani dell'aspirante marine, ma niente era riuscito in ciò, anzi, dando uno strano senso di comfort al ragazzo, che infatti aveva ripreso la sua routine, per quanto possibile, quasi più convintamente di prima: aveva un posto, uno scopo, e ora sapeva che quella poteva essere davvero una via praticabile e non solo un'aspirazione.
    La guerra dunque aveva rinvigorito il ragazzo che, nel vuoto pneumatico generatosi post-Naga, si era dimostrato attivo e propositivo su ogni fronte, cercando di essere quanto più possibile di aiuto; a sconvolgerlo, per riflesso, era stato l'amore, o meglio (volendo chiamare le coseappropriatamente) il sesso.
    Eh sì, perché, che se ne potesse dire, Jesse Lighthouse aveva finalmente iniziato a combinar qualcosa, a modo suo (nel disagio e ritardo), ma ci era riuscito, e se sul momento aveva rivelato una risolutezza insperata, col senno di poi non aveva saputo davvero come elaborare il fatto, e soprattutto, la bizzarra attrazione che provava, al punto da rimanere quasi ossessionato da Joshua, sentendosi a disagio in sua presenza qualunque cosa facesse: se lo ignorava si sentiva idiota, se lo avvicinava si sentiva invadente, se cercava di essere amicale ma distaccato si sentiva falso, se anche solo pensava di scrivergli o proporre qualcosa si sentiva un idiota illuso.
    'Sì ecco... in fondo lui... boh...' non sapeva davvero concludere quel discorso e quello forse lo frustrava più di ogni altra cosa. Giunse alla porta di incantesimi da solo, perso nei suoi pensieri, di fatto quasi manco vedendola, tanto che tentò di aprirla manco fosse un uscio normale, aggrottando poi la fronte ed insistendo.
    "Oh..." realizzò infine distanziandosi dall'ingresso e comprendendo quanto si fosse davvero perso in sé stesso quel giorno. Si guardò intorno per vedere se qualcuno l'avesse notato, colpevole, quindi portò la mano destra al fianco, pronto ad incantare la porta. Quando lo fece però, sgranò gli occhi 'Oh... merda... BLAKE!'
    Portando una mano al fianco il ragazzo non trovò una ma ben due bacchette, una in un fodero blu (la propria), la seconda, appartenente al Barnes infiammabile, dentro un fodero rosso. Quella mattina lui ed Elisabeth si erano scambiati come consueto la bacchetta dell'opale, al fine di averla in custodia equamente, e tutto era filato liscio, ma poi verso pranzo lui aveva iniziato ad avere la mente sgombra e a suon di rimuginare su Joshua aveva finito col trovarsi nella posizione attuale.
    Sospirò, portò una mano alla nuca, posò a terra lo zaino e si appoggiò al muro, attendendo il Socio.
    "Socio!" lo salutò quando lo scorse, salutando eventualmente anche Lilith, cui avrebbe rivolto un sorriso imbarazzato, in quanto, oggettivamente, non sapeva bene cosa dire ad una persona che non apprezzava, che però stava col suo migliore amico e, al contempo, aveva subito l'orrore che aveva subito.
    Il che poi per lui non era poi una novità: non aveva mai saputo come comportarsi con la gente!
    Gli consegnò la bacchetta e quindi puntò la propria alla porta "Alohomora!" esclamò, precedendo i due e soffermandosi oltre l'uscio non poco sorpreso 'Ma che cazz...'
    Si scansò per far entrare gli altri con un balzello, approfittandone per controllare di aver recuperato lo zaino, quindi osservò il suo amico, provando a mettergli una mano sulla spalla "Ok, direi che per lezione puoi tenere la bacchetta, ma, ricordiamoci le regole di Dark Souls: noi non siamo non-morti, quindi non vincoliamo la fiamma e non oltrepassiamo la nebbia, ok?" chiarì lui alzando l'indice e puntando poi la barriera che divideva quella parte di aula dal resto.
    C'era da chiedersi quante altre raccomandazioni avrebbe dovuto dare il prefetto al suo migliore amico da lì a fine anno, a quel ritmo...
    Un occhiolino all'amico, un cenno alla sua bella e lui osservò la classe, cogliendo i banchi triangolari e la particolare distribuzione delle persone "Buongiorno professoressa" disse lui con un sorriso un po' tirato, chiedendosi nel frattanto ove prendere posto.
    Si guardò in giro e notò diverse persone che lo attirarono, tra cui, manco a dirlo, Joshua, seduto da solo con un cartello virtuale che recitava "state alla larga". Deglutì e nel dubbio avvicinò Adamas "Ti sei allenato nella pausa pranzo?" gli chiese parlando forse troppo velocemente, in riflesso ai precedenti pensieri "Sì, ecco, bravo... potremmo una volta allenarci assieme... era stato... fico!"
    Gli sorrise più convintamente possibile, salutò con la mano Mia e tentò di sfiorare la spalla di Theresa, quindi congedò il trio e Nikolai per dirigersi verso il suo parabatai "Yo! C'è posto per me?" disse lui, salutando con la mano anche Molly, cui colse l'occasione di presentarsi "Ciao, sono Jesse, il parabatai di Erik, piacere di conoscerti" affermò con un ampio sorriso, forse mancando lievemente il territorio.
    Tornò a fissare l'amico, pronto a sedersi al suo fianco, quando il suo sorriso si spense. Sospirò "Mi siederei qui... ma forse.. devo andare un po' dal musone là... altrimenti stanotte poi tocca a te rimetterlo di buon umore" rifletté lui ad alta voce, indicando Joshua con un far leggero, finché un pensiero non invase la sua mente 'O forse tocca lo stesso a me?'
    Il prefetto sbiancò, quindi, un po' rigido, si congedò dai due andando a sedersi vicino all'ametrino.
    "Yo!" esclamò lui, posando lo zaino e prendendo posto "Posso?" chiese lui quando ormai era già seduto, facendo intendere come non si sarebbe spostato facilmente.
    "Un compito in classe e una barriera opaca: dici che è l'inizio di una nuova avventura?" propose lui poco convintamente, rendendosi conto troppo tardi di non essere proprio la persona adatta a tirar su di morale il prossimo. O far conversazione, se era per quello.
    RevelioGDR
     
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    Ayla Holmes
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    Ciò che Ayla aveva desiderato più di tutto durante tutti quei giorni di prigionia era stato tornare alla vita di sempre, ma adesso neanche la vita ad Hidenstone le sembrava più la stessa. Era impossibile cancellare ciò che le era successo, per quanto ci provasse.
    Tanto per cominciare, le sue notti erano tormentate costantemente da incubi riguardanti ciò che le era successo, terribili visioni e ricordi confusi del suo rapimento e delle torture subite. Questo le rendeva difficile dormire, e la rendeva nervosa durante la giornata. Pur di dimenticare, si applicava il doppio nello studio nel tentativo di tenere la mente il più impegnata possibile, e così, spesso e volentieri, si ritrovava con un fortissimo mal di testa, alimentato dalle poche ore di sonno che riusciva a fare durante la notte.
    Ayla non era mai stata tanto irascibile e intrattabile in sedici anni. Era sempre stata calma, tranquilla ed educata, ma ultimamente covava così tanta rabbia dentro che le si poteva a malapena rivolgere la parola. Non che fosse arrabbiata con i suoi compagni o con i professori, anzi, era grata loro per averla salvata appena in tempo. Semplicemente ce l'aveva con sé stessa per essersi fatta rapire e per non essere riuscita a proteggere sé stessa e le sue compagne, con la vita, il destino, il fato, qualunque cosa le avesse messe in quella condizione. Con Naga, per aver architettato tutto solo per poter tornare giovane e forte, con i suoi scagnozzi che si erano divertiti a torturare quattro povere studentesse per tutti quei giorni...
    Non era sicura di poter riuscire a convivere con tutto ciò che era successo quel mese di Ottobre.

    Ormai era giunto Novembre, Natale era vicino, ma lei non riusciva a sentirsi felice come lo sarebbe stata in condizioni normali.
    Si sentiva così male quella mattina che sarebbe volentieri rimasta a letto, ma così avrebbe finito solo per rimuginare su tutto ciò che era accaduto, così si costrinse ad alzarsi.
    Si recò alle varie lezioni, prese appunti quasi come un automa, e lo stesso fece rispondendo alle domande. Mangiò a malapena, aveva lo stomaco chiuso, e ricambiò borbottando i saluti che alcuni compagni le rivolgevano.
    Durante il pomeriggio, si recò come da programma verso l'aula di Incantesimi della professoressa Ivanova. Nonostante fosse una dei suoi insegnanti preferiti, non sorrideva come faceva solitamente quando si recava in quell'aula. La testa le scoppiava e avrebbe tanto voluto andare a dormire.
    Credo che dopo la lezione andrò in infermeria... magari Mave può darmi qualcosa per dormire meglio...
    Uscì la bacchetta, una volta di fronte alla porta, e la puntò contro la serratura pronunciando la formula "Alohomora", compiendo il gesto necessario ad aprirla.
    Entrò salutando la professoressa con il Buongiorno più educato che le riuscisse e un sorriso forzato, facendo lo stesso con i ragazzi già arrivati. Accennò un sorriso a Theresa, e un altro ben più spontaneo a Joshua, Adamas e Nikolai, che l'avevano aiutata tanto.
    Erano stati loro tre a salvarla, dopotutto.
    E con Nikolai avrebbe dovuto parlare in privato, per rassicurarlo che non fosse colpa sua ciò che le era successo, che lei non era arrabbiata con lui e non lo incolpava affatto. Sospirò e si sedette in disparte rispetto agli altri.
    Parlato - Pensato - Ascoltato | Scheda | Stat.
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    Blake
    Barnes
    Una discussione infinita con suo fratello per il fatto che non aveva più la sua bacchetta. Davvero gli aveva levato la bacchetta e l'aveva data ai suoi prefetti? Doveva ammettere che la cosa non solo gli rodeva intensamente ma era anche una coa che lo innervosiva più di quanto già non lo fosse dopo quel 31 ottobre. Una giornata allucinante ma sopratutto assolutamente di merda. Blake che non sapeva gestire se stesso adesso non solo doveva farlo per forza ma doveva farlo per il bene e il sentimento che provava per Lilith Clarke. Era tutto così assolutamente strano che non sapeva neanche come definirlo. Da quando lei era tornata in quell'accademia lui non faceva altro che stare fuori la porta dei Dioptase, se era necessario si addormentava li e non si sarebbe schiodato da quella porta fin quando non sarebbe torato tutto come prima. Lilith non parlava, lo abbracciava, si stringeva a lui, ma ogni volta che lui cercava di capire cosa fosse successo nel dettaglio lei si chiudeva ancora di più e con i gesti quasi lo supplicava di non insistere. O comunque era quello che lui percepiva. Blake stava impazzando. Era completamente impotente davanti a tutto quello, non sapeva cosa fare per lei e per aiutarla, non sapeva con chi prendersela - se non con tutto il mondo- perchè lei non gli diceva chi le aveva fatto male. Insomma, cavolo! Non si poteva andare avanti in quel modo. Il suo socio era diventato quasi un piccolo nemico, la sua migliore amica era stata lesa anche lei ma allo stesso tempo aveva avuto un compito ben preciso, Aaron non faceva altro che stargli addosso, e poi Eilidh. CHI CAZZO ERA QUESTA? Insomma gli esplodeva il cervello un minuto si ed anche l'altro. Senza contare il fatto che avrebbe voluto prendere tutti quelli che si dichiravano amici suoi a pugni. Nikolai, Joshua, Erik, lo stesso Jesse, la stessa Elisabeth, ed anche Lucas - ma lui più per partito preso che per altro - Insomma cominciava a pensare che se non avesse ricominciato a prendere a pugni qualcuno o meglio un sacco sarebbe impazzito prima della scadenza di quell'anno, senza contare che novembre era uno dei mesi che odiava di più! Faceva freddo era sempre buio e non riusciva a concentrarsi per niente. Stupidi compiti e sopratutto stupidi professori che non capivano che in quel momento delle lezioni e dei compiti in generale a lui non fregava veramente una minchia. La professoressa Ivanova aveva dato il suo annuncio della lezione e lui non voleva andare neanche per sbaglio, ma Lilith aveva bisogno di andare a lezione e sopratutto ricominciare la sua vita da prefetta e da perfettina e da secchioncella. Non poteva non accompagnarla, non poteva non stare con lei. Non parlava, come poteva fare una lezione di incantesimi? Si alzò presto e cercò di sfilare la sua bacchetta, ma niente non ce la fece,mandò una maledizione mentale a suo fratello e allo stesso Jesse e poi andò con la sua divisa da Opalino davanti al'apertura della stanza dei Dioptase. Non si rendeva neanche più conto di quanto le ragazzine del primo anno gli sorridessero o comunque gli facessero vari ammiccamenti, aspettò semplicemente la sua riccia e quando la vide le sorrise. Ehi! Quando la vide uscire la prese per mano e le diede un piccolo bacio sulla guancia, all'angolo della bocca. Era successo qualcosa qualcosa a cui non voleva neanche pensare. Le pasò un braccio intorno alle spalle e la strinse a se andando verso l'aula di incantsimi. Una volta li alzò gli occhi al cielo riprendendosi la sua bacchetta dalle mani di Jesse e scuotendo il capo. Rifarei le stesse cose tremila volte!Lo bofonchiò quasi prima di puntarla verso la porta. Alohomora! Disse poi mettendosi la bacchetta in tasca e sorridendo a Lilith. Sarebbero entrati insieme, non l'avrebbe persa di vista neanche un attimo. Oramai poteva dire che viveva in sua funzione. Doveva capire cosa diavolo le era successo ed una volta capito, beh, Blake non sapeva cosa avrebbe fatto ma sicuramente sarebbe andata meglio. Buongiorno Prof! Sorrise quasi strafottente andandosi a sedere all'ultimo banco con affianco Lilith. Nelle lezioni precedenti non si erano mai seduti vicini perchè Blake era il classico tipo che le sue cose sentimentali preferiva viversele nell'intimità dei fattacci suoi, ma adesso non era importante, non era assolutamente importante niente di tutto quello. Vide la pergamena, ma lungi da lui dal leggere la lavagna! Sono fortunato ad essere seduto vicino alla più brava della classe! Sussurrò a Lilith prima di posarle una mano sulla coscia ed accarezzargliela leggermente. Perchè non voleva parlare almeno con lui? Cazzo!
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    Elisabeth Lynch
    Black Opal II anno | Prefetto | Battitrice | parlato | pensato | database: | scheda: | stat.:

    I lunedì le sembravano infiniti, portatori di sfiga e tristi. I babbani avevano addirittura eletto il primo giorno della settimana come il giorno dei sentimenti per lo più depressivi e negativi. Eppure il lunedì poteva essere visto come il giorno delle nuove possibilità, dei nuovi inizi e della speranza di una vita diversa. In quale categoria apparteneva lei? Un tempo sicuramente del primo schieramento, ma ora... ora le sembrava di essere divisa a metà. Sia chiaro, odiava ancora il giorno dedicato alla luna, anche se non ai livelli di prima. Quanto le era successo nell'ultimo mese continuava ancora a tormentarla, soprattutto di notte e quando si avvicinava nei pressi del lago, ma tutto sommato era ancora felice di sentirsi viva. Respirare, mangiare, sognare, perdersi nei suoi pensieri, passare del tempo con gli altri erano divenuti più frequenti -rispetto ai suoi standard, sia chiaro- ma da qui a sorridere ce ne passava di acqua sotto i ponti. Tante erano le cose non ancora dette, chiare nella sua vita -e, forse, non lo sarebbero mai state- eppure non voleva sprecare nulla, neanche il più piccolo momento. Essere vicina alla morte, poi, le aveva fatto rivedere alcune priorità. Non tutte, perché andiamo... come poteva venir meno ad un incarico affidatole nientepopo'dimenoche dal fratello di Blake l'aspirante suicida? Come ogni mattina, in quegli ultimissimi giorni, aveva ripreso il catalizzatore dell'amico dal nascondiglio che aveva ricavato -una tasca segreta all'interno del suo baule dove nascondeva la bacchetta all'interno di un paio di vecchi e bitorzoluti calzini dalla fantasia improponibile- e l'aveva infilata nella tasca interna del suo mantello per poi passarla o al legittimo proprietario, qualora una lezione richiedesse l'uso del legnetto, o al suo partner di vigilanza, Jesse Lighthouse. Con il biondino avevano persino stilato una bozza di turni, con lei per lo più notturni, vista l'impossibilità per i ragazzi nell'accedere ai dormitori delle ragazze, e con lui a vigilare più da vicino il pazzo quando il sole splendeva in alto nel cielo. Ormai era diventata anche quella una routine, con la Prefetta che borbottava un buongiorno e passava la bacchetta all'altro preferendo i giorni in cui Blake si trovava tra i due, proprio per farlo impazzire di più e fargli odorare -letteralmente- quello che aveva perso per un suo delirio di onnipotenza. Questo non significava affatto che lui fosse una persona cattiva, solo un po' troppo grifondoro per i suoi gusti, visto che il cervello sembrava lasciarlo ogni giorno sul suo comodino. Però si sa': i pavoni sono belli e non si può di certo odiarli.
    Con quei pensieri si era diretta fino al terzo piano, arrestato il suo passo, lento e costante, solo quando si trovò davanti la pesante. Afferrò la sua undici pollici e disegnò un arcobaleno -ovvero un semplice arco- partendo però da destra per concluderlo al suo lato opposto e simmetrico. Alohomora! La serratura sarebbe scattata e lei avrebbe spinto il battente per fare il suo ingresso nell'aula. Aula che sembrò subito diversa, presentando dei banchi davvero curiosi, a forma di triangolo -un po' come la sua vita sentimentale? o forse quella figura geometrica non era esattamente quella idonea a rappresentare tutta la matassa che in realtà era presente- ma sempre e comunque rigorosamente bianchi, dando ulteriore luce alla stanza. Buon pomeriggio, professoressa. Salutò la bellissima responsabile della cattedra di Incantesimi, per poi lasciar scivolare il suo sguardo tra i presenti. Rimase sorpresa nel trovare anche gli studenti del primo anno, per il solo e semplice fatto che si era dimenticata dell'avviso apparso qualche giorno prima. Ma fu quando le iridi cerulee virarono verso la parte sinistra della stanza, dove erano soliti esercitarsi con gli incantesimi appresi, che la Lynch si sentì mancare l'aria. Una barriera, che seppur di colore e sostanza diverse, le ricordo quella che l'avvolgeva mentre sentiva venir meno le proprie forze per colpa di quella donna che l'aveva rapita. Chiuse gli occhi, potendo avvertire distintamente il rumore delle pesanti catene di ferro, le lacrime che le rigavano il volto e le urla che si era lasciata sfuggire quando la sua pelle stava bruciando. D'istinto portò una mano sul fianco destro, lì dove evidenti erano ancora i segni di quello che le era successo. Una cicatrice che le sarebbe rimasta per il resto della vita. Si sentiva in apnea, come quando aveva provato a resistere a quel dolore sordo e continuo che aveva solo finito con l'ottenebrarle la mente. Spalancò le palpebre di scatto, cercando un viso, qualunque viso le fosse familiare, per ancorarsi a un qualcosa che fosse reale e non frutto delle sue paure.
    E com'era successo la notte del 31 dicembre, il primo viso che trovò fu quello di Joshua Benjamin Evans. Anche se da quella notte si erano praticamente evitati, con lui piuttosto sfuggente dopo che era tornata ad Hidenstone, il suo inconscio non ascoltò la ragione che quasi urlava di non andare da lui e di continuare quello stupido gioco di silenzi. Dannazione, lui le aveva detto apertamente che le piaceva, lei l'aveva implorato di tornare da lei, dopo aver salvato le altre rapite. Come diavolo erano finiti in quella situazione? Tremante, con lo sguardo sgranato si diresse fino a quel tavolo dalla figura geometrica che suonava quasi quanto un avvertimento. È libero sì? Quella domanda suonò più come retorica, lasciando che il suo corpo scivolasse su quella seduta, adagiando la borsa a terra. Solo quando levò lo sguardo si accorse anche della presenza di Jesse. Provò ad abbozzare un sorriso, ma tutto ciò che uscì fu una smorfia che non faceva altro che accentuare il suo stato d'ansia, insieme allo sguardo spaurito verso la barriera smerigliata(?). Pensa ad altro. Vedi altro. Distraiti. Cercò di rimproverarsi, lasciandosi pervadere dall'alone vanigliato che si respirava nell'aula della sempiterna Ivanova, mentre le pupille si muovevano frenetiche alla ricerca di qualcos'altro che non fosse la barriera o l'eventuale imbarazzo che la sua presenza avrebbe creato ai suoi due compagni di banco. Lo trovò in qualcosa che era stato scritto alla lavagna. Dovette socchiudere un po' gli occhi per mettere a fuoco quanto c'era scritto. Vietato aprire le pergamene. Una verifica? Sul serio? Certo, la Ivanova era lontana anni luce dal loro malefico responsabile, ma questo non significava che potesse essere come il suo collega. Anche se bisognava ammettere che aveva classe nel presentare il loro compito in classe con una pergamena stretta da un nastrino azzurro. Per caso mi sono persa che c'era un compito? Domandò ai due, salvo poi soffermarsi su Evans. Perché non me l'hai detto? Stava davvero riversando la sua frustrazione sull'ametrino con la scusa di un compito a sorpresa? Sì, e se lo meritava anche tutto. Sbuffò un poco calando lo sguardo su quel piccolo rotolo posto proprio sulla sua seduta, reclinando di poco il volto per vedere se dal piccolo buchino riuscisse a leggere qualcosa. Niente. Nada. Nisba. Sbuffò nuovamente, virando la sua visuale sulla porta, sentendola aprirsi. Sperava che fosse Jug -perennemente in ritardo, anche se nell'ultimo periodo si era mostrato molto presente con lei- e che soprattutto non si offendesse del fatto che fosse seduta con altri e non con lui. In fondo, non era proprio lei ad aver scelto quel posto, no? La Ivanova. Tutta colpa della Ivanova e della sua stupida barriera. E ingoiò l'ennesimo boccone vuoto, mentre una parte di lei non smetteva di tremare.


    Can you get a clue?
    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf



    Liz si siede al tavolo con Jesse e Joshua.
     
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    Frederick Frodo Freak
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    Freddie avrebbe voluto dare una mano, davvero. Non è il tipo coraggioso pronto a sfidare la sorte pur di partecipare ad una battaglia, anzi, se ha modo di evitarla lo preferisce di gran lunga. Però è spesso in prima linea quando si parla di amici, compagni o persino conoscenti - annoverati in questo calcolo per il semplice fatto che lui tenda ad esagerare qualsiasi cosa gli venga detta. Per dire, se per caso vi capitasse di rivolgergli la parola a lezione, nella sua testa scatterebbe una sorta di pallino indicatore di quanto profonda, solida e duratura la vostra meravigliosa amicizia sia. Infatti, una volta saputo che alcuni concasata avrebbero partecipato alla missione, ecco che si era procurato uno zainetto pieno di medicinali, un coltello - si sa mai perda la bacchetta, cosa altamente probabile parlando di Freddie - e una borraccia. Di fatto era quasi arrivato al cortile esterno, e si sarebbe persino incolonnato all’ombra del prefetto Ametrino, tutto questo se Betty Moore, sua cugina da parte materna, non avesse delicatamente deciso di schiantarlo prima che potesse mettere piede fuori. «Ma... Cosa fai???», le urla lui, consapevole che i sogni di gloria in cui veniva riportato all’Accademia sulle solide spalle dei compagni fossero appena andati in frantumi. «Ti salvo la pelle, Freddie. Un grazie sarebbe bastato.», e addio tentativi di farsi amico Blake Barnes e compagnia bella. «Ma... Non volevo essere salvato», si lamenta lui, riuscendo a malapena a muovere le labbra dalla posizione in cui si ritrova, steso a terra sul pavimento a faccia in giù. E questo è l’epilogo di come Freddie Freak abbia preso parte agli eventi del trentuno Ottobre.
    Esattamente dieci giorni dopo, mentre i compagni leccano le ferite che finge anche lui di avere - e non perché li voglia prendere in giro, sia chiaro, solo per sentirsi parte integrante della storia, avendo quanto meno provato a partecipare alla spedizione, evitata grazie allo Schiantesimo che lo ha immobilizzato -, la professoressa Ivanova comunica che si terrà la lezione di Incantesimi. Freddie inizia ad iperventilare, perché è uno dei moduli che ha trascurato. Perdonatelo, non riesce a fare troppe cose contemporaneamente: di conseguenza, a furia di offrirsi volontario per chiacchierare con i reduci di guerra in infermeria, ha dimenticato l’intero contenuto dei molteplici capitoli già studiati in precedenza, forse con un po’ troppa superficialità. «Oooohhhh cavolo», mugugna, impiegando cinque ulteriori preziosi secondi del proprio tempo, che contribuiranno a peggiorare un ritardo già abbastanza marcato. Corre in direzione dell’aula di Incantesimi, prova ad aprire freneticamente la porta che, malauguratamente, gli risponde con un solenne silenzio. «Nonadessononadessononadessoooo», inizia a farneticare, mentre gli occhiali si appannano per la sudorazione. «Come cavolo si apre???», si lamenta, dopo aver fatto l’ennesimo tentativo. «E tu a cosa servi nel momento del bisogno?», impreca contro la bacchetta, ricordandosi poi che... Ehi, è una bacchetta. «E tu... sei un mago, Freddie!», vorrebbe alzare il pugno verso l’alto a mo’ di Superman, ma soprattutto vorrebbe ricordare dove ha già sentito questa frase. Sta di fatto che finalmente si ricorda di avere un cervello, per quanto il settanta per cento della sua popolazione neuronale sia spesso disattivato, e pronuncia la fatidica parola magica: «Alohomora.», mentre nella testolina di noce di cocco inizia a chiedersi se per caso Alohobionda possa essere più carina.
    «Buongiorno professoressa, sono Frederickfrodofreak», ma lo dice così veloce e così piano che nessuno lo sente, probabilmente non ha fatto capire neanche il labiale. Corre in direzione del primo posto libero che trova, e siede accanto ad Ayla, dopo essere diventato rosso pomodoro per l’agitazione. «Scusa, spero non sia occupato.», biascica qualche parola in direzione della ragazza, per poi ammirare l’invitante pergamena sul tavolo e la barriera presente in aula. «Oddio, la prof ha già detto qualcosa? Che mi sono perso? Non si deve aprire, giust...? No, no, non si deve aprire.», si risponde da solo, dopo aver semplicemente... Seguito le istruzioni.

    "Parlato" - Pensato - Ascoltato | Scheda PGStat.
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    Dieci giorni.
    Erano passati solo dieci giorni da quella fatidica notte, aveva passato quel distacco dall'Accademia, a casa di Blake e Aaron, unico posto dove si era sentita realmente sicura. Inoltre, la conoscenza con Eilidh, per quanto lenta e mirata, non sembrava andare tanto male, anzi...
    Lilith vedeva in Eilidh quello che lei sarebbe voluta diventare, con l'unica differenza che il ramo in cui sarebbe voluta eccellere era interno al Ministero.
    Chissà se lo avrebbe potuto ancora fare.
    Tuttavia, erano tornati alla normalità, tra le mura dell'Accademia, le stesse mura che l'avevano data nelle grinfie di una pazza isterica, che voleva risucchiare la loro energia, per ringiovanire.
    Tutto quello che era successo in quella foresta aveva dei vuoti che lei ancora non riusciva a colmare. Tutto quello che girava intorno al rapimento, era una strana macchia di nebbia che lei non riusciva a smacchiare.
    L'unico spiraglio di aria, ultimamente, era Blake. Oddio, spiraglio di aria insomma. Era sempre costantemente presente e questo a lei non dava fastidio, anzi... però non riusciva ad essere, con lui, quella che era prima.
    Si sentiva vuota, stanca, rotta...
    Ogni cosa che il ragazzo faceva, lei non riusciva ad apprezzarla come voleva. E sentiva dentro di sé, che questo lo avrebbe solo ferito. Per non parlare di tutte le volte che aveva cercato di avvicinarla anche fisicamente. Era come se l'odore di quell'uomo le impregnasse ancora le narici.
    Lilith provava un senso di inadeguatezza addosso, che faceva da condimento a tutti i suoi problemi e ai suoi incubi. Ormai la notte, doveva avere una lucetta accesa vicino al letto per essere sicura di riuscire a vedere cosa ci fosse nella stanza, cosa che la portava a rimanere sveglia perché continuamente all'erta su ogni fiato che volasse in quel luogo.

    Ed oggi c'era lezione, come ogni mattina, come tutte le mattine da adesso in poi, avrebbe dovuto riprendere la sua posizione sia a livello di studio, sia come Prefetto, non c'era tempo da perdere. Eppure... si sentiva così fredda, così stanca.
    Ad aspettarla fuori c'era Blake, lui era diventato una costante che quasi ringraziava Merlino che fosse lì presente.
    Il braccio del ragazzo le cinse le spalle e lei abbozzò un sorriso. I suoi occhi non brillavano più come prima, erano di un azzurro spento, quasi sporco di cenere, i capelli erano diventati bianchi, come se ancora non avesse ripreso il giusto colore della sua nascita.
    Blake sembrava essere diventato più affettuoso, ma allora perché lei non riusciva a ricambiare quel suo affetto?
    Riusciva solo ad abbracciarlo e piangere tra quelle braccia.
    Stava facendo tanti sforzi per lei, come per esempio rinunciare a tanto tempo con i suoi amici, per poterle star dietro e lei ne era grata, ma ogni secondo che passava, la sua poca voglia di respirare, bussava alle porte.
    A proposito di porte. Lilith aveva con sé la sua bacchetta, così come i suoi appunti e i suoi libri, ben riposti nella borsa. Perché? Non riusciva a studiare, non riusciva a parlare e non voleva farlo.
    Con Eilidh non erano ancora arrivate al punto in cui sbloccava il dialogo con gli altri, quindi tentava di farsi capire con lo sguardo.
    Blake aprì la porta e la riccia lo guardò con un sorriso misto tra il malinconico e il grato, quindi lo seguì, calando la testa, cercando di non incontrare sguardi alcuni.
    Aveva paura.
    Si vergognava.
     
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