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Eccoci finalmente all'attesissima prova pratica di Difesa Contro le Arti Oscure!
Nel vostro post potete dir liberamente che Brian fa il nome dei vostri pg quando arriva il vostro turno di eseguire la prova. Si tratta di un esercizio non semplice, ragion per cui siete liberi di far più post di quelli indicati contando che ve ne chiedo almeno 2.
Nel primo vi avvicinerete all'armadio o allo scrigno, descriverete nel dettaglio qual è la vostra paura e in che modo il Molliccio la rappresenta e le reazioni psicologiche ed emotive del vostro pg. Si tratta di un post estremamente introspettivo, quindi pensate bene a quale sia la più grande paura del vostro personaggio.
Fatto ciò io darò mini esiti su come reagisce la creatura e in base a quello deciderete come comportarvi. Poi vi esiterò ancora per dire come e se la vostra strategia ha funzionato.
NB. Dal secondo post è possibile incoraggiare il vostro compagno/a affinché non vada nel panico. In questo modo il vostro partner riceve +2 al Coraggio per questa prova. Detto ciò siete comunque liberi di non incoraggiarvi ù.ù
La scadenza per questa prima parte è fissata per il 18 Ottobre. Contate però che prima postate e prima vi esito, prima terminate la seconda parte, prima sarete liberi ù__ù
Non è detto che tutti riescano a superare la prova, quindi fate del vostro meglio. Divertitevi e divertitemi <3. -
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Joshua B. Evans.
User deleted
D'accordo, poteva farcela.
Questo fu il pensiero che invase la mente di Josh non appena scadettero i trenta minuti previsti per quella prova "a sorpresa" che Ensor si era divertito a propinare a tutti loro. Per quanto basso fosse stato quel colpo, per lo meno il giovane Ametrin era sicuro di aver fatto un lavoro relativamente buono. Di certo, però, non si aspettava che il docente di Difesa se ne uscisse con un'esercitazione.
Poco male, in fondo gli piaceva la parte pratica della materia, motivo per cui ascoltò le direttive e si fece da parte quando fu il momento di ampliare lo spazio a disposizione.
Comparsi i vari armadi, Josh si limitò a guardarli uno per uno, potendo solo immaginare cosa vi fosse al loro interno. La fantasia si riscontrò nella realtà quando il professor Ensor disse loro di prepararsi ad affrontare la propria paura più grande e Josh espresse il suo stato d'animo con un sospiro di resa.
Sapeva che prima o poi sarebbe successo.
Ad eccezione dei Black Opal, tutti gli altri studenti vennero accoppiati in modo da avere, laddove possibile, uno studente del primo anno e uno del secondo. La compagna di Josh era una primina che aveva incontrato un paio di volte nella Sala Comune, dunque un volto già piuttosto noto. Il ragazzo le sorrise gentile, nonostante la pessima mattinata a cui stava andando incontro da quando si era svegliato per merito del docente che meno amava in assoluto; in fondo non doveva pagare lei per colpe altrui.
Mia, giusto? Io sono Josh, piacere di conoscerti.
Non le porse la mano per non rendere la situazione più formale di quanto in realtà non fosse; in fondo, quella ragazza stava per scoprire quale fosse la paura più grande del mago, mica pizza e fichi.
Ti direi di contare su di me se avessi bisogno di qualcosa, ma è la mia prima volta con un Molliccio, quindi... beh, stiamo a vedere.
Le fece l'occhiolino e, estraendo la bacchetta dalla tasca interna della divisa, il giovane puntò lo sguardo sull'armadio da cui sarebbe scaturita la sua più grande paura. Più di una volta Josh aveva pensato a quale questa potesse essere, ma più si soffermava a riflettercisi su, meno gli venivano in mente valide alternative. Che potesse avere paura del buio? In realtà no, non più e da parecchi anni. Mostri? Amava i film dell'orrore, dunque no. Serial Killer, magari, ma neanche, soprattutto da quando lui stesso minacciava di morte Jesse, almeno quando non fingeva di provarci con lui.
Mentre la sua mente galoppava nelle più svariate congetture e fantasie, il ragazzo iniziò a percepire un brivido percorrergli la spine dorsale; il Molliccio dentro l'armadio faceva fremere le ante, pareva graffiare al suo interno, come se si stesse preparando a uscire e, quando l'anta destra finalmente iniziò ad spalancarsi, producendo un fastidioso cigolio, tutto quel che era all'interno dell'aula svanì come per magia: il silenzio assoluto rotto unitamente dal respiro regolare di Josh e dal battito del suo cuore.
Via via che quell'anta si spalancava, il respiro del ragazzo diveniva sempre più corto, il battito cardiaco più accelerato e iniziò a percepire un leggerissimo velo di sudore freddo imperlargli la fronte. La mente smise di ragionare e lui non si chiese più quale fosse la sua più grande paura, perché a breve lo avrebbe scoperto.
Sentì i muscoli irrigidirsi e non riuscì a muoversi, gli occhi puntati voraci contro l'armadio mentre con la mano sinistra si allentava il nodo della cravatta, per poter respirare meglio.
E finalmente la vide. Vide una mano fuoriuscire dall'armadio, una mano dalle dita lunghe e affusolate, apparentemente quelle di una donna. Josh avrebbe riconosciuto quella mano ovunque anche senza scorgere il volto della donna a cui essa apparteneva, poiché solo una persona al mondo poteva amare quell'inconfondibile e orribile tonalità di rosa che dava colore alle sue unghie.
Annabelle si trascinò fuori dall'armadio con l'altra mano aperta sul volto, vittima di un pianto straziante e impossibilitata a reggersi in piedi.
Ma che cosa...
Josh dimenticò per un momento la paura che avrebbe dovuto provare e tentò di fare un passo verso di lei, ma a sorreggere la donna comparve Frederick, il marito, e subito dopo Dylan, il figlio maggiore della coppia. Entrambi gli uomini avevano un'espressione funerea in volto, mentre tentavano di essere di sostegno alla donna.
Annabelle piangeva, urlava e si lasciava cadere a peso morto sul pavimento, invocando il cielo e maledicendo chi di dovere per averle sottratto ciò a cui teneva di più al mondo.
Perché non hai preso me?! - urlava rivolta al cielo - Perché lui?! Era solo un ragazzo... era il mio bambino!
Un groppo in gola impedì a Josh di deglutire e i suoi occhi si sgranarono alla vista di quella scena pietosa. Frederick si inginocchiò al suo fianco e la cinse con le braccia, lasciando cadere finalmente qualche lacrima che andò a bagnare il lembo dell'abito nero di Annabelle.
Fu da quel contatto che scaturì una nuova figura, una lastra di pietra alta mezzo metro e contornata da ciuffi d'erba secchi e ingialliti da una stagione probabilmente tutt'altro che generosa. Gli abiti di quelle due persone si muovevano come mosse dal vento, ma la verità era che non vi era neppure una lieve brezza all'interno dell'aula ad animarle.
Annabelle... tesoro, ti prego, smettila...
Frederick la supplicava di calmarsi, nonostante non vi fosse alcune sicurezza in quella voce. Dylan, in tutto questo, assisteva alla scena in silenzio, con gli occhi concentrati su quanto stava via via apparendo sulla lastra di pietra da poco comparsa.
Josh non aveva alcun bisogno di scoprire cosa attirasse la sua attenzione, poiché la reazione della donna fu sufficiente a comprendere cosa fosse accaduto.
Avevano detto che non sarebbe successo! Che era una cosa troppo rara, Frederick! Non doveva succedere!
Urlava ancora la donna tra le lacrime colpendo il marito sul petto, come a voler scaricare su di lui quella sofferenza indicibile. Josh iniziò a respirare a fatica, portandosi una mano alla gola per sbottonarsi il colletto e costringendosi a trarre respiri profondi. Avrebbe voluto recarsi dalla donna per aiutarla, ma le gambe erano come paralizzate e temeva che, se avesse tentato muoversi, sarebbe crollato. Il cuore gli batteva a un ritmo forsennato e a ogni più piccolo movimento sentiva il proprio corpo come trafitto da centinaia di lame.
Sapeva il perché Annabelle piangeva, sapeva a cosa si riferisse, "cosa" doveva essere troppo raro per poter succedere a loro, a lui.
Mamma...
Un singhiozzo gli impedì di proferire altre parole, le prime lacrime gli offuscarono la vista ma non abbastanza da impedirgli di scorgere ciò che vi era scritto su quella che iniziò a prendere la forma di una lapide.Joshua Benjamin Evans
2002 - 2020
Amato figlio e fratello, non sarai mai solo
Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto permettere a quella ridicola malattia di portarlo via? Aveva sempre saputo quanto sua madre si sentisse responsabile per lui, quanto soffrisse per quella sua condizione, e lui aveva sempre tentato di non farglielo pesare, di sottovalutare quanto gli accadesse... per cosa? Per finire sotto terra a soli diciotto anni? Che razza di figlio permette a sua madre di soffrire tanto? Che diritto aveva, lui, di farla crollare in lacrime come la vedeva lì davanti?
Solo in quel momento, seppur in maniera del tutto inconscia, realizzò che a rendergli impossibile respirare o muoversi non era il terrore di morire, quanto quello di lasciare le persone che più amava struggersi nel dolore a causa della sua debolezza.. -
.“Come on skinny love what happened hereSi ritrovò a sorridere alle parole di Aveva sentito di sfuggita la voce di <mark data-uid="13254224">Theresa van Aalter che le chiedeva una mano, e si era voltata verso di lei il minimo indispensabile per poi sentirle dire che aveva già risolto. Mia era quel tupo di persona studiosa che, nonostante avesse l’aria della secchiona perfettina che non avrebbe mai aiutato nessuno, in realtà sarebbe stata disposta a dare più che volentieri una mano, soprattutto a qualcuna che considerava ormai sua amica, come Theresa. Certo, era la prima ad ammettere che il loro era un rapporto appena nato, che si trattava di qualcosa di ancora sconosciuto e che poteva anche benissimo terminare da un momento all’altro, ma già solo il fatto che si sentisse bene con la sua compagna di stanza era un traguardo non da poco. Non era così scontato, lei non ci avrebbe scommesso nemmeno troppo, eppure era felice di essere capitata in camera con qualcuna che era praticamente il suo opposto.
Non avrebbe scommesso nemmeno sulla propria fortuna con il test, per quanto amasse studiare e si reputasse piuttosto portata non sempre aveva una grande autostima e tendeva spesso a preoccuparsi molto per niente, quando si trattava di prove inaspettate soprattutto. Il fatto che avesse dovuto parlare di Troll l’aveva messa di buon umore, per una qualche ragione aveva letto parecchio sul loro conto e si riteneva abbastanza informata, dopotutto, per cui si poteva dire che fosse quasi tranquilla, sempre che di tranquillità si potesse parlare avendo come professore proprio Ensor.
Si domandò istintivamente se fosse così poco accomodante e gentile anche nella sua vita privata o se riuscisse ad essere un po’ migliore quando era fuori dall’aula di Difesa. Non ne aveva idea, faticava ad immaginare i docenti come persone in carne ed ossa, con una vita al di fuori delle ore di lezione, e faticava ancora di più ad immaginare qualcuno che aveva volontariamente a che fare con Ensor senza essere spaventato da una sua possibile reazione a qualsiasi cosa. No, decisamente quell’uomo non la metteva a suo agio. E la mise ancora meno a suo agio quando svelò il resto del test.
A quanto pare quel giorno aveva deciso di tediarli particolarmente e metterli alla prova, non aveva idea del perché ma per come la vedeva Mia forse l’uomo si era solo alzato con la luna storta e aveva deciso che era il caso di prendersela con loro, per compensare il suo malumore. Non aveva altra spiegazione per decidere di farli avere a che fare con un Molliccio.
Quella era una cosa che la metteva davvero in difficoltà. Già parlare di sé stessa davanti a tutti, come aveva fatto con Lancelot, era stato complicato, ma l’idea di affrontare una sua grande paura –qualunque essa potesse essere- così, senza un minimo di preparazione psicologica, la spaventava parecchio, tanto che non faticò di certo a rimanere in silenzio, quasi paralizzata, mentre l’uomo parlava di quella creatura con estrema naturalezza. Era inquietante, senza ombra di dubbio, e Mia si ritrovò a cercare lo sguardo di Adamas Vesper senza nemmeno pensarci, nella speranza che le dicesse qualcosa di carino, per poi guardare verso Theresa, questa volta pregando che la ragazza potesse trasmetterle con lo sguardo di stare tranquilla e non preoccuparsi. Non stava mostrando troppo il suo panico, non quanto avrebbe potuto ma non era comunque sicura di voler scoprire che cosa si celasse dietro il suo scrigno o armadio che fosse.
Era chiaro, però, che come era inevitabile prima o poi sarebbe toccato anche a lei. Sentì a stento il nome del ragazzo con la quale era stata accoppiata e, malgrado sperasse di essere in coppia con qualcuno che già conosceva –aveva solo sperato non Barnes, ma in quel momento era abbastanza preoccupata che non si era trattato che di un mero e rapido pensiero passeggero, nemmeno poi così importante-, il suo compagno si presentò in modo gentile e non potè che farle una buona impressione. “Piacere, io sono Mia” si sforzò addirittura di sorridere e, per quanto le parole dell’altro non riuscirono affatto a calmarla, si impose di comprendere che entrambi erano nella stessa situazione. Se non altro, quello rendeva le cose un po’ meno imbarazzanti.
“Tranquillo, siamo in due… Cercherò anche io di fare del mio meglio. In bocca al lupo” gli disse nel modo più gentile e confortante che riuscì a trovare, ma Ensor chiamò il suo nome poco dopo e riuscì a dimenticarsi in tempo zero di tutto il resto.
Le era toccato un armadio e, a dirla tutta, non avrebbe saputo prevederlo. Conosceva i Mollicci, aveva letto parecchie cose anche su di loro ovviamente, nella speranza che collezionare informazioni potesse rendere le cose meno spaventose –speranza vana, aveva appena scoperto. Si era ovviamente chiesta che forma avrebbe mai potuto prendere il suo Molliccio, e non era il tipo di persona che mentiva a sé stessa: aveva le sue debolezze e le sue paure, ovviamente, eppure non sapeva quale di queste avrebbe preso materialmente forma una volta incontrato il suo Molliccio.
Per questo, quando aprì l’armadio e un’ondata di freddo umido la travolse, non potè evitare di sentire la sorpresa unirsi al panico che stringeva già il suo stomaco. Non le bastò che un secondo per riconoscere quella sensazione e quell’odore di stantio e di pietra umida, una di quelle cose che è difficile spiegare a parole ma che una volta sentite difficilmente ti abbandonano. Nella sua mente sapeva di essere ancora in aula, ma in quel momento le parve quasi di percepire la morsa delle pareti intorno a lei, a poca distanza, e del soffitto abbastanza basso da costringerla a rannicchiarsi, in certi punti, per evitare di farsi del male.
Quello era uno dei ricordi d’infanzia che non l’avrebbe mai abbandonata, ed era tutto tranne che felice. Come confondere tutto quello? Come non ricordarsi all’istante dello sgabuzzino della Tenuta Nott?! Aveva passato lì ore, addirittura giorni quando Mrs Nott lo aveva ritenuto necessario, e aveva temuto quel posto con tutta sé stessa ogni volta che aveva commesso anche il più piccolo errore. Mia era cresciuta in una famiglia che non la voleva, consapevole che in quella casa gli unici a sopportare la sua presenza fossero Charles, suo fratello maggiore, e la propria madre biologica che, però, lavorando come domestica, veniva spesso spedita fuori casa per delle faccende. Quando nessuno dei suoi due “protettori” era nei paraggi, Mrs Nott adorava molestarla, prendersi gioco di lei, ricordarle quando fosse infima e inutile e quanto, se fosse stato per lei, l’avrebbe buttata fuori di casa a calci nel giro di qualche secondo. Mia era la sua valvola di sfogo, quella con cui prendersela anche per un granello di polvere fuori posto, o per una giornata iniziata male, e la donna sembrava sempre trarre piacere nel vessare la ragazzina, forse proprio perché quest’ultima non poteva davvero difendersi.
Non ricordava nemmeno quando fosse stata la prima volta in cui era stata chiusa in quello stanzino, sapeva di non averlo mai notato fino a che Mrs Nott non ce l’aveva spinta dietro, chiudendo poi con forza la porta a più mandate. Quel posto infernale si trovava in cantina, in un angolo buio e isolato, ed era costruito in modo da rendere impossibile venire sentiti da chiunque al di fuori. Mia veniva mandata lì dentro quando qualcosa che aveva fatto non andava particolarmente bene, e poteva rimanerci anche per giorni, con lo stretto indispensabile per sopravvivere. Se si fosse trattata di una semplice reclusione, forse, non l’avrebbe spaventava nemmeno così tanto, ma sapeva per certo di essere finita lì la prima quando era solo una bambina e quel buio assoluto l’aveva terrorizzata abbastanza da rendere quel posto un vero inferno. Inutile dire che, visto dove si trovava, quel posto non solo era estremamente freddo, umido, scomodo, ma era anche popolato da creature poco gradite, topi per lo più, e soprattutto ragni. Questi ultimi, dalle sue esperienze in quel bugigattolo, avevano cominciato a terrorizzarla, anche solo per il rumore che facevano in un posto totalmente silenzioso come quello.
Li sentì arrivare prima ancora di vederli, ragni pelosi, enormi, con le loro zampette ticchettanti e i loro molteplici occhi, cominciarono ad uscire dall’armadio e andare ovunque. Mia non faticò a sentirseli addosso, poco importava se ci fossero o meno, e si paralizzò all’istante. La sensazione di impotenza, di essere rinchiusa in un posto senza via di uscita, con nessuno disposto davvero a salvarla cominciò a pesarle sul petto e si rende conto che la cosa che la terrorizzava di più era finire per essere davvero sola al mondo, come Mrs Nott le aveva sempre ripetuto. ”Non vali niente, ragazzina, potresti morire qui dentro e nessuno lo saprebbe”.Mia Freeman-SHEET-
"Parlato" - "Pensato"- "Ascoltato"[code by psiche]
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.“Se devo avere poco scelgo di avere nienteBlake
BarnesIl suo Socio era qualcosa di sconvolgente, veramente lo aveva appena minacciato? Incredibile ma vero, ma non fece in tempo a rispondere e ridere che dovevano cominciare il compito, esattamente come non fece in tempo – per fortuna di Adamas – a dirgli di non rispondergli a mezza bocca perché tanto Ensor non mordeva. Elisabeth era sempre una secchiona, quindi non fece assolutamente caso al fatto che non perse tempo per rimproverarlo, ma quando sentì Lilith entrare in classe si voltò completamente verso di lei e le rivolse uno sfacciato occhiolino. Si vergognava? Assolutamente no! Il compito sulla cattedra del professore, il tempo di tornare a posto per poi sentire le parole del suo idolo. Idolo che lo fece sbiancare. E no, il problema non era il fatto che le occhiatacce dei suoi compagni per svolgere quella prova da soli, anche se andiamo Blake rivolse a tutti loro, anche al nuovissimo arrivato, un’espressione che diceva “davvero vi serve qualcuno che vi faccia da Cheerleader? Riprendetevi!”
Brian Ensor aveva chiesto silenzio per la spiegazione e Blake Barnes, sapeva che se non andava immediatamente a salutare la sua ragazza, sarebbe morto comunque. Quindi, ecco morire per mano di una dolce ragazzina dai capelli ricci ed il sedere più sodo del mondo, oppure morire per mano dell’uomo con un fascino assurdo e degli occhi vispi anche se molto inquietanti? Beh, era ovvio, Blake aveva 17 anni e gli ormoni a tremila, e poi morire per mano di Ensor esercitava un certo fascino. Si avvicinò alla ragazza.
“Come mai in ritardo? Questa volta non è stata colpa mia!” Le diede una rapida occhiata. Lui e il fratello avevano lo stesso disturbo mentale, la divisa delle scuole li esaltavano. Tornò a guardare quei ricci e si avvicinò al suo orecchio “Ci vediamo dopo la lezione?” Le chiese prima di sentire gli occhi di fuoco di Ensor trafiggergli la carne. Si allontanò da Lilith e rimase in silenzio. In silenzio tombale fino a quando non capì cosa era di nuovo costretto a fare. Era contento che Lilith, comunque, fosse capitata con Theresa, almeno non solo sarebbe stata incoraggiata, ma sicuramente sarebbe stata distratta dal casino che l’Ametrina avrebbe fatto!
La verità era che Blake non si aspettava minimamente di dover tornare a scavare di nuovo in sé stesso. Adorava Ensor anche perché non li costringeva a pensare, ma semplicemente ad agire. Nessuna creatura e neanche nessun “cattivo” di dava il tempo di guardare dentro te stesso prima di attaccarti. Dovevi essere intuitivo, coraggioso e carismatico. Non dovevi essere un gran pensatore. Ecco perché Blake eccelleva – almeno nella sua testa – in quella materia ed in tutte le altre materie pratiche e sbrigative, quelle dove dovevi contare su te stesso e non dovevi pensare troppo. Capiva qualcosa di Artimanzia? Assolutamente no! Pozioni era tra le sue materie preferite? Neanche per sogno. Incantesimi e difesa contro le arti oscure. Rune antiche cominciava a diventare comprensibile solamente per una questione di simpatia e stima smisurata per il professore, se no sarebbe stato assolutamente indecente anche in quella di materia. Il professor Ensor ribadì che loro avrebbero fatto le prove da soli e Blake non fece altro che ridacchiare. Il problema principale non era quello. Blake era molto più concentrato se stava da solo, era molto più capace se nessuno lo intralciava o lavorava con lui. Ma mettersi li davanti voleva dire mettersi completamente a nudo di fronte a sé stesso. Molto peggio che parlare di sé stesso, almeno in quel caso, avrebbe potuto semplicemente omettere alcune cose. Rimase dietro alla fila della classe rimandando ogni volta il suo turno. Sperava davvero che Ensor lo avrebbe fatto fare per ultimo, almeno erano tutti quanti depressi per la propria paura e nessuno avrebbe prestato attenzione a quello che lui stesso avrebbe visto.
Blake non era un fifone per natura: non si metteva paura di affrontare animali, insetti, professori, Ensor, preside, non gli frega niente di nessuno a parte di suo fratello Aaron. Ma il punto era che non sapeva esattamente di cosa avesse paura. Che Aaron lo lasciasse da solo? Che non lo accettasse? Quella era una paura che aveva affrontato con il Maggiore stesso e ne avevano parlato così tante volte che la questione era bella che risolta. Non era tanto il molliccio, era quello che sicuramente si sarebbe trovato davanti che lo spaventava, l’ignoto poteva sicuramente essere una opzione, ma quando sentì la voce di Ensor scocciata ed anche un po' divertita fare il suo nome, fece semplicemente un passo avanti. Impugnò la bacchetta e rivolse al suo prof preferito uno sguardo quasi di sfida, come per dirgli “non sarò di certo io a deluderla!”
Vide quell’armadio quasi capovolgersi per quanto il molliccio al suo interno era irrequieto. Il rumore del cigolio del legno era quasi assordante, oppure semplicemente, era Blake ad essere così tanto in tensione da essersi completamente dimenticato che fosse in una classe. Un click e poi una massa informe nera di fronte a lui. Era possibile che il molliccio non sapesse ancora che forma prendere? Poteva essere difficile anche per un molliccio individuare la paura di una persona? Eppure, Blake, lo riteneva possibile visto che lui non faceva altro che reprimere tutte le sue sensazioni, specialmente davanti agli altri. Ma poi eccolo là. Il molliccio non era più un molliccio ma era niente poco di meno che Jason Barnes. Suo padre. Si può avere così tanta paura del proprio padre? Era esattamente come se lo ricordava, aveva il viso bellissimo ma molto stanco, consumato da alcool e cattiveria, ma soprattutto da anni ed anni di situazioni rinnegate. Si era seduto di fronte a lui, Blake era immobile. Non si sarebbe subito sottratto a quello schifo. Di cosa aveva paura esattamente? Aveva il cuore che batteva così forte che quasi gli scoppiava. Doveva semplicemente… fermò i pensieri. Jason Barnes gli stava ridendo in faccia. “Sei proprio un piccolo bastardo!” Era quella la sua più grande paura, ancora non riusciva a definirla come si sarebbe dovuto, ma Blake Barnes era un ragazzo complicato e complesso di natura, comprendere la sua stessa paura, sarebbe stato difficile persino per se stesso. Sentì le mani prudergli, avvertì l’istinto di buttare la bacchetta per terra ed andargli a spaccare quella faccia del cazzo che si ritrovava. Ogni volta che sentiva gli occhi del padre addosso si sentiva uno schifo, un assassino, si sentiva una persona ignobile non degna di essere amata in nessun tipo di modo. Sapeva che non era così, ma aveva paura di essere esattamente in quel modo. Aveva sempre vissuto con la consapevolezza che quell’uomo tirasse fuori il peggio di sé, ed adesso vederlo li, vederlo li che rideva di lui, che si prendeva gioco di lui lo faceva innervosire, tantissimo. “Infondo risolvi tutto con la violenza, bevi… non sei capace di piangere né di provare sensazioni che siano diverse dalla rabbia; hai mai detto a qualcuno che lo vuoi bene? Ne saresti in grado Barnes? ” Ed in quel momento era estremamente vero quello che stava dicendo. Era incapace di piangere. Non si ricordava neanche se lo avesse mai fatto in realtà. “Che farai ammazzerai la tua fidanzatina come hai fatto con l’unica donna che ti abbia mai amato veramente? Non pensi che io, tuo fratello Aaron e tua madre Helena stessimo meglio senza di te?” Lo vide alzarsi. Non aveva scelto lui di far morire sua madre, giusto? Eppure in quel momento si stava sentendo così dannatamente in colpa! E se davvero avesse fatto del male a Lilith come aveva fatto a sua madre? E se anche lei stava meglio senza di lui? “Vedi? Anche adesso sei incapace di controbattere a quello che dico perché sai che è la verità. Jesse preferirà sempre Erik a te, è lui il suo migliore amico! Lilith troverà un ragazzo con meno problemi che la renderà felice! Per Elisabeth sei solamente una patata mollente che non vede l’ora di levare da mezzo. Per non parlare di Aaron. Gli hai rovinato l’esistenza, per colpa tua non solo lavora di più ma è sempre preoccupato per le tue risse stupide da ragazzino viziato… Allora… chiediti: non era meglio che fossi tu quello a morire il 2 gennaio 2002?” Chiuse istantaneamente gli occhi e poi li riaprì. Blake aveva sofferto per una vita di sensi di colpa, oramai era un dolore così costante che ci era abituato, ma non era abituato a sbandierarlo ai quattro venti. “Sta zitto, cazzo!” Aveva la voce che gli tremava, gli occhi iniettati di sangue. Ma rimase calmo, una calma quasi sconcertante per un ragazzino di 17 anni. Aveva un autocontrollo quando si parlava della sua vita privata che non riusciva neanche lui a comprendere completamente, ma sapeva che quella era semplicemente la quiete prima della tempesta. La sua runa lo aveva accettato di buon grado, ma la sua runa non parlava di niente di buono: Rottura, Tempesta, Distruzione.
Tutto, sarebbe voluto diventare tutto quanto, tranne come quell’uomo che era stato appena descritto, ossia privo di provare sensazioni piacevoli, incapace di mostrare i propri sentimenti e una persona che risolve tutto con la violenza in quanto non sa gestire davvero la sua rabbia. Il problema era solamente uno: il molliccio in realtà era come se fosse la sua coscienza. Era sé stesso che parlava a sé stesso. Aveva paura di affrontare quello che aveva dentro più di ogni altra cosa e il molliccio aveva preso la forma di suo padre solamente perché, lui Blake Barnes, lo riteneva il responsabile di tutto quello che gli era sempre mancato. Era il senso di colpa che non faceva altro che consumarlo e fargli allontanare le persone che lo volevano bene solo per paura di rovinare le loro bellissime vite. Il molliccio aveva la sua stessa faccia strafottente ed adesso che lo rifletteva aveva cambiato un po' forma… Blake aveva paura di sé stesso più di quanto avesse paura di altri. Aveva paura di quello che aveva dentro, aveva paura di quello che potesse fare, della rabbia che provava. Aveva quasi ammazzato di botte un ragazzo solo perché aveva detto che si era masturbato su di una foto di Lilith – che poi chissà se era vero! -, cosa avrebbe mai potuto fare se avesse perso il controllo completamente? “Si Barnes, sei un fottutissimo caos.” Se avesse anche saputo che di li a poco 4 delle sue compagne sarebbero stare rapite per colpa sua, beh, allora quel molliccio avrebbe sicuramente ucciso Blake. Puntò la bacchetta contro quel coso. “Vaffanculo.” Lo disse tra i denti, sentiva che la calma apparente di qualche istante fa lo stavano per abbandonare, ed allora ad Ensor non gli sarebbe servito un armadio per il molliccio ma delle catene per il suo alunno preferito (?).✕ schema role by psiche. -
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.Lucas Jughed Jones
stat - sche - cron - amet ★ ★ ★un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà. Se c'era una cosa che odiava erano proprio i compiti in classe a sorpresa. Se già con quelli programmati arrivava impreparato, figurarsi con quelli a sorpresa. E pareva che Brian Ensor, sapesse esattamente come rovinare la media dei suoi studenti.
Una grande canaglia, quel professore. Eppure, Jug lo ammirava, per quanto stesse attento a quel che diceva in classe, preso com'era da osservare i comportamenti di Blake e Elisabeth.
«Ma quello non era il fidanzato di quell'acidella della Clarke?» sbuffò al pensiero, con il mento poggiato sulle mani, incrociate sul banco.
Non era geloso, ma si infastidiva a vedere qualcuno ronzare intorno all'Opale, nonostante sapesse che lui non ci poteva fare poi molto.
Quando la lezione proseguì, rimase in silenzio, ma non perché stava ascoltando proprio ogni singola parola di Ensor, ma perché era distratto dal pensare a come chiedere a Blake cosa ci fosse tra lui e la Lynch. L'unico modo che gli veniva in mente era di affiancarlo e prenderlo in giro, non trovava altri mezzi, ma questo avrebbe provocato una rissa e sapeva che di mezzo ci sarebbero finiti anche altri.
Avrebbe dovuto fare tutto beccando il ragazzetto da solo, tanto a prenderle era abituato.
Alle parole danni psicologici irreversibili, Ensor riebbe la sua attenzione, tanto che Lucas ruotò gli occhi al cielo, ormai rassegnato che prima o poi sarebbe finito da uno strizzacervelli.
«Non bastavano i danni fisici, adesso anche quelli psicologici... non capisco come fanno a dire che in accademia si imparino tante cose, io sto solo imparando a farmi male...» ovviamente se avesse esposto i suoi pensieri ad alta voce, la sua pena sarebbe stata maggiore di un danno psicologico, conoscendo le punizioni di Brian, quindi se ne vide bene di proferir parola.
Rise alla battuta del docente sulla sua casata: dai, erano quelli che ridevano di più, se non fosse stato che ... per farlo non studiavano. Scrollò il capo, rassegnato, ormai, quindi in base a come diceva il professore, si smistò nelle coppie.
Se fosse passato vicino ad Erik, avrebbe cercato la sua attenzione per un attimo «Tranquillo Foster, se hai paura, stanotte dormiamo insieme.» gli fece un occhiolino sarcastico, quindi.
Lucas, ad Erik, voleva davvero bene. Era il primo che aveva incontrato, il primo che gli aveva permesso di stare in silenzio anche mentre erano insieme. E poi... lui gli occupava le giornate, raccontandogli stronzate su stronzate, come se fosse il fratello che vedendoti triste, cerca di farti ridere a tutti i costi.
Sapere che al ritorno da ogni rissa c'era Erik che russava come un cammello, a quattro di spade sul letto, era una certezza in più.
Insomma, avrebbero avuto a che fare con un Molliccio. Che avrebbe personificato le sue paure e le risate lo avrebbero reso innocuo, una passeggiata... quasi era meglio il compito a sorpresa.
«Dannazione, non posso nemmeno stare con Lizzy.» attese di essere diviso in coppia con qualcuno, quindi, per poi accorgersi che avrebbe preferito rimanere da solo.
Andros.
Dai, davvero?
Era quello che Lucas non sapeva bene come valutare, se amico o pretendente della Lynch.
Aveva sperato fino all'ultimo di finire con Erik, o con Jesse. Perché non con Joshua, poi? No. Andros.
Lucas sbuffò svogliato, quindi, strisciando verso il suo compagno «Ciaoooooo» miagolò annoiato, quasi, scrollando le spalle e volgendo poi lo sguardo verso il pavimento.
«Beh, che dire... io prenderei lo scrigno. Ma non fidarti delle mie scelte, non sono una cima nel prendere decisioni. Ah, sì... io sono Lucas, ma credo che tu lo sappia, visto che ci troviamo spesso da un lato opposto rispetto a Lizzy.» prima frecciatina che non fece in tempo a frenare.
Sbuffò, quindi lasciando che il ragazzo prendesse la sua vita, tra scrigno e armadio «Andros, ricordati che quello che apparirà davanti a te, non è reale, ok? Ce la puoi fare amico! Io sarò qui ad incoraggiarti e a ridere del tuo Molliccio!» una pacca sulla spalla, davvero maschile, quindi, per poi attendere il suo turno.
Era stato facile dire ad Andros cosa fare, ma quando fu lui davanti allo scrigno, le cose si misero diversamente.
Lucas prese più di un respiro, non sapeva esattamente cosa avrebbe potuto trovare all'interno di quel cosetto, ma sicuramente doveva essere più forte del Molliccio per poterlo annientare e rimandare indietro.
Tirò un respiro profondo, quindi...
«Jones, allora? Ce li hai quei soldi?! Me li devi, amico!» era qualcuno, che era piegato verso il basso, ma non riusciva a vedere cosa ci fosse a terra. O chi.
Lucas cercò di sporgersi, con la fronte aggrottata e quello che riconobbe fu il suo cappellino.
Era... lui?
Ma se lui era davanti allo scrigno, come poteva vedersi con occhi esterni? Era forse morto?
«Sei come tuo nonno e tuo padre» uno sputo, su quel suo corpo che non faceva altro che sputare sangue, senza reagire «Morirai esattamente come lui... ahahah, non puoi scappare Jones.» quella voce era fastidiosa.
Ma perché non reagiva.
Ora lo stava prendendo per il braccio, lo stringeva e lo strattonava e lui era solo un bambolotto inerme in quelle dita ruvide.
Lucas, quello reale, si toccò lo stesso braccio che aveva preso il Molliccio.
«Lasciami stare...» un sussurro spezzato venne dallo studente sotto prova, gli occhi erano spalancati davanti a quella scena, mentre l'uomo lo prendeva a calci «Come ho ammazzato i tuoi genitori, così farò fuori la tua ragazza... rimarrai solo Jones.» il cuore si strinse a quelle parole. Quale ragazza? Lui non aveva una ragazza «Sai, era davvero bella... con quegli occhi da cerbiatto celesti... quei capelli lunghi e quel fisichetto... e bravo a Jones... sai, pensavo quasi di farmela, mentre la uccidevo... peccato che non ci abbia pensato prima di romperle il naso...» il Lucas Molliccio non reagiva, non lo guardava, aveva la testa china e subiva tutto quello che stava succedendo.
Quello reale, invece, stringeva i pugni lungo i fianchi «Liz... non può essere lei... non può parlare di lei...» gli occhi erano sgranati, mentre si vedeva davanti ad una cassa di legno, con su scritto fragile «Cerca di vendere tutta questa roba, Jones... o finirai con la tua amichetta, sotto terra...»
Era davvero diventato quello per cui lottava? Quello per cui non voleva dire il suo cognome? E ci aveva trascinato dentro anche Elisabeth? Non poteva essere... la sua paura più grande si era fatta realtà... com'era possibile?code © psiche. -
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Chiedo gentilmente a Josh, Samuel e chiunque non lo avesse ancora fatto di inserire il link della propria scheda statistiche nel proprio role scheme o in firma, grazie ù.ù. -
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Joshua B. Evans.
User deleted
Aveva davvero bisogno di un "in bocca al lupo"? Sì, ne aveva decisamente bisogno.
Crepi. E anche a te.
Fece un cenno del capo alla ragazza e, seppur mantenendosi al suo fianco, si dedicò alla propria paura. Aveva intenzione di tenerla d'occhio, in fondo, per quanto quella prova fosse da lui ritenuta piuttosto individuale -gli sembrava quasi logico pensare che la lotta con un Molliccio fosse in realtà una lotta contro se stessi- Ensor li aveva divisi a coppie per un motivo. Avrebbe sostenuto Mia laddove lei ne avesse avuto bisogno, non tanto perché era lui l'uomo tra i due -in effetti, conosceva donne molto più cazzute di sé e la giovane Ametrin poteva rientrare tra queste, per quanto ne sapeva lui- ma anche perché era il più grande e dunque, almeno in teoria, quello con maggiore esperienza.
Peccato che tutte quelle belle convinzioni non gli servirono a nulla: quando sollevò lo sguardo e incontrò ciò che il Molliccio riconobbe come la sua paura più grande, nonché la meno ovvia, tutto ciò che lo circondava finì nel dimenticatoio e dolore e sofferenza si impadronirono di lui.
Poi d'improvviso tutto cambiò e Annabelle prese a camminare verso il figlio minore. Josh non aveva notato quel ghigno inquietante che non le apparteneva affatto, causa forse le lacrime o la convinzione che un'espressione simile non potesse appartenere alla donna più dolce e buona della sua vita, tuttavia per lui fu un colpo vedere quel viso di cui conosceva i lineamenti a memoria mutare, deformarsi fino ad assumere le sembianze similari a quelle di un mostro: le iridi normalmente grige si tinsero di un innaturale rosso sangue, così come le venature che riempirono il resto del volto; la lingua si biforcò e i denti si allungarono divenendo zanne affilate e intrise di sangue, le unghie si tramutarono in artigli e le ciocche di capelli ricci e normalmente di un biondo cenere presero a muoversi come ipnotici serpenti.
Cazzo... CAZZO!
Quella non era sua madre.
Colto da un panico improvviso che non riuscì a spiegarsi, Josh fece qualche passo indietro pronto a fuggire, ma inciampò su se stesso e cadde a terra nel momento in cui quel mostro si avventò su di lui. Il ragazzo tentò di divincolarsi ma il demone era troppo forte e lo inchiodò spalle a terra, mentre il fetore del suo alito gli provocava un senso di nausea.
Tu non sei lei! Lasciami... LASCIAMI!
No, non lo era davvero. Sentiva ancora il volto umido delle lacrime di poco prima, percepiva il dolore che pensava di aver provocato a sua madre e in un attimo, come se la realtà gli si palesasse davanti più vivida che mai, si rese conto che quella creatura non aveva niente a che vedere con la donna che lo amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Lo sguardo artico di Joshua era in fiamme, rivolto con immenso odio verso la creatura ributtante che apriva le fauci per colpire. La bacchetta era ancora stretta nella mano destra del ragazzo, che tentava di agitare i piedi per calciare via il mostro e rimettersi in piedi. Quella stessa mano si mosse fulminea e puntò la bacchetta proprio in faccia al mostro.
Poi cambiò idea: c'era un bisogno più impellente da soddisfare.
Josh era troppo arrabbiato e frustrato per pensare a qualcosa di divertente, motivo per cui tentò di fare ciò che riteneva più adatto a quello che pareva essere l'umore del momento. Tirò indietro la mano sinistra chiusa a pugno e, con tutta la sua forza, caricò il braccio che sperò potesse andare a scontrarsi direttamente con la mandibola della sua "madre" demoniaca. E se fosse riuscito nell'intento, vi avrebbe colto un'enorme soddisfazione.
Un bel pugno assestato, sì. A quel punto avrebbe esclamato: Beccati questo, stronzo!
Per un momento si ricordò di Mia, chissà come e chissà perché e volse appena il capo per cercarla con lo sguardo. La vide vittima di insetti e topi e comprese di doverla aiutare... certo, ma chi avrebbe aiutato lui? Si ripromise di pensare a lei non appena avesse tolto di mezzo quello schifo che aveva addosso. Quel mostro non poteva essere un Molliccio, una creatura simile non l'avrebbe mai attaccato così apertamente.
Con la bacchetta disegnò una linea dall'alto vero il basso, tentando di essere il più preciso possibile e tenendo lontana la creatura, per quanto ciò gli fosse concesso, con la mano sinistra. Poi, insieme al movimento, diede voce alla formula.
FRASTRONUM!
E a quel punto non gli restava che attenderne l'esito.SPOILER (clicca per visualizzare)Sorry. Link della scheda statistiche aggiunto in scheda.. -
.«Being brave means knowing that when you fail, you don't fail forever.» - Lana Del ReyIl segno del pugno stretto che cercava di infondere forza in sua sorella, sortì l’effetto sperato da Nikolai. Quando lei risistemò le sue cose sul banco frettolosamente, per avvicinarsi durante la prova pratica ad uno degli armadi visto che era in ritardo, si rese conto che l’avrebbe sostenuta assieme a Lilith Clarke e che consisteva nel lanciare “Ridikkulus” su un molliccio. Lei non aveva affatto confidenza con Lilith, l’aveva giusto intravista un paio di volte per il corridoio e ci aveva scambiato saluti durante la cerimonia d’inizio anno, ma nulla di più. Sapeva che era la ragazza di Blake, anche se a primo impatto al ragazzo gli aveva chiesto “ma cosa avete in comune voi due?” vedendoli così dissimili anche come caratteri se non per il fatto di essere due teste calde tutti e due. Ma la sua era una semplice domanda dettata dalla curiosità. Non sapeva neppure cosa volesse dire condividere qualcosa con qualcuno, figuriamoci un legame dettato dall’amore. Più guardava gli occhi color ghiaccio di Lilith più ci capiva poco di lei, doveva incoraggiarla? E come? A lei stessa avrebbe dato fastidio che le venissero dati consigli ed incoraggiamenti da chi non ci aveva scambiato neppure una parola. “Clarke, piacere van Aalter.” Allungò la mano per una breve stretta, fu concisa e più asciutta possibile nella sua presentazione, le sembrava la cosa migliore da fare. Poi agì d’impulso, parlandole “Nella prova col Molliccio se non desideri essere incoraggiata, basta dirlo, farò come preferisci. Ma in ogni caso credo che avere ottimi voti a difesa è la priorità di entrambe… Quindi, fronte comune?” Ecco, metodo più semplice ed efficace per chiedere una mano anche a chi non fosse esattamente interessato ad aiutarti, fargli render conto che anche lei era nella sua stessa situazione e se avrebbe necessitato di una mano, Tess non gliel’avrebbe negata. Avrebbe atteso una risposta della Dioptase prima di rivolgere un’occhiata ai mollicci altrui. Quello di Mia era terrificante, sembravano proprio veri quei ragni. Non vorrei proprio essere lei. Altri invece si manifestarono sotto forma di persone, ma quelli più strani furono quello di suo fratello e quello di Erik. Su quest’ultimo si soffermò rendendosi conto del fatto che fosse molto similare a qualcosa di già visto. Un gramo? No… Sembra diverso, è bipede e più grosso. Poi un barlume di consapevolezza si fece largo in lei. Dov’è che l’ho già visto? Si chiese prima di rendersi conto di quanto Nikolai fosse scosso di fronte al suo “missigno”. “Nik!” Non possiamo intervenire nella prova degli altri, probabilmente lo farò penalizzare se mi intrometto. Strinse i denti cercando di resistere all’impulso di richiamare l’attenzione di suo fratello, ma poi l’istinto ebbe il sopravvento mentre sentì un magone smuoversi nel suo petto. “Mio fratello! Sei mio fratello! Hai sentito bastardo?! LUI è un van Aalter ed è uno tosto! Quindi vedi di tornartene dentro a quell’angoletto buio prima che ti faccia il culo!” In quell’attimo, se suo fratello l’avesse degnata di uno sguardo, l’avrebbe trovata col pugno sinistro alzato, proprio quello stesso con cui lui le aveva cercato di infondere coraggio. Non voleva toglier spazio ad Adamas, sperava che il ragazzo ce l’avrebbe fatta a supportarlo al meglio ma starsene da parte, sentiva che avrebbe significato venir meno al suo ruolo. Ciò che aveva fatto valeva qualsiasi punizione da parte di Brian ed era pronta ad accoglierne le conseguenze. Fu quando riabbassò il pugno e chiuse gli occhi, portandosi con aria più serena e concentrata un passo in avanti verso il proprio armadio che lo vide aprirsi lentamente con un antina mentre che lei estrasse la propria bacchetta ritorta per puntarla in avanti, sollevandola come se stesse armeggiando un pugnale. In quell’istante qualcosa di legnoso cadde dal ripiano più alto dell’armadio e ticchettò fino in terra. Una bacchetta. Una bacchetta identica a quella di Tess. Le stesse venature, perfino gli stessi punti in cui era scheggiata. Lei si avvicinò per guardarla meglio, incredula. “Ma io non ho paura di niente…” Perché la sua bacchetta avrebbe dovuto spaventarla? Quasi quasi le venne da ridere e si chinò per raccoglierne la gemella ma non appena la sfiorò con una falange questi vomitò istantaneamente scintille magiche che si tramutarono in una scia fumosa di farfalle violastre che le frullarono addosso incontenibili, esplodendo al contatto. Theresa schizzò in piedi e si gettò all’indietro per lo spavento dello schianto, colta alla sprovvista andandosi a coprire istintivamente il viso, stringendo ancor più la propria bacchetta tra le dita. Si raggomitolò in terra, facendosi piccina, di modo che fosse più difficile esser nuovamente bersaglio di altri incantesimi, ma quando provò a risollevare la testa e ad aprire gli occhi, si rese conto che quella, sollevata dalla forza magica che stava utilizzando da sola, neppure fosse diventata un oggetto senziente, stava sputando altri pericolosi schiantesimi e non c’era alcun modo per cercare di fermarla. Che faccio?! Che faccio?! Dannate cose magiche! Perché devono essere così imprevedibili?! Così strane! In quel momento si rese conto di aver la propria bacchetta tra le mani e terrorizzata con un gemito di ribrezzo la lasciò andare in terra, tornando ad accucciarsi con le mani sulla testa, sperando che quella ridicola messa in scena del molliccio finisse al più presto, che quel sadico del Professor Brian fosse soddisfatto di quanto le stava facendo provare vergogna e senso di inadeguatezza. Scoppieranno a ridere tutti quanti, questa non è una paura che comprenderebbero, le altre a loro modo sono tutte spaventose e comprensibili-… Ma questa è-… Solo mia. E’ la paura dell’ignoto che solamente un Babbano potrebbe capire.Hear me scream, feel my rage, RevelioGDR.
Edited by Theresa van Aalter - 19/10/2019, 20:34. -
.lilith clarkeFinalmente era arrivata la parte successiva della lezione, quella che non provedeva né compiti a sorpresa, né interrogazioni a tappeto, ma quella che amava di più Lilith: la prova pratica.
Era ovvio che era in Accademia per imparare a castare incantesimi, non per saper scrivere bene il proprio tema su chissà quale essere particolare.
Insomma, a scrivere ci pensava già prendendo appunti.
Quando il professore chiese silenzio, Lilith lo fece, senza dare nemmeno un'occhiata a Blake, anzi, tenendo il nasino all'insù, per dimostrare quanto poco le interessasse di lui, pur fingendo della cosa.
Una cosa era certa, sperava di non capitare in coppia con qualcuno che le avrebbe fatto prendere un brutto voto.
Alla fin dei conti, c'era da dire che lei, nonostante ultimamente stesse allentando un po' la presa, distratta da Blake e dai suoi ormoni da tenere a freno, Lilith amava studiare e prendere buoni voti.
La sua compagna, quella volta, doveva essere Theresa. Lilith non vedeva di buon occhio nessun tipo di ragazza che si fosse avvicinata troppo a Blake, ma doveva sforzarsi di non essere richiamata per averla ficcata dentro l'armadio del Molliccio, quindi prima di avvicinarsi, fece un grosso respiro e si stampò addosso un sorriso cordiale, classico di chi deve mantenere una facciata, ma che se non si conosceva bene Lilith, non si poteva capire che quel sorriso fosse forzato.
Quando fu al suo fianco, i suoi occhi glaciali la squadrarono per un attimo, poi si fermarono sulla sua mano.
«Lilith, non Clarke.» rispose, afferrando la sua destra. Non amava essere chiamata per cognome, seppur sembrava così altezzosa da pretenderlo a bocca chiusa, quindi fece quella presentazione breve, sollevando poi un sopracciglio alle sue parole.
«Io voglio prendere un buon voto, quindi se questo significa incoraggiarti, lo farò.» beh, era sicuramente un ottimo inizio, no? Alla fin dei conti non l'era ancora saltata al collo in perfetto stile vampiro, questo poteva significare che forse il Molliccio sarebbe stata l'unica minaccia per Tess, in quell'aula, per oggi.
Dopo lo scatto di Tess verso il molliccio di Nikolai, capì che era difficile tenerla a bada, quindi scosse la testa e la lasciò avvicinarsi per prima al suo molliccio.
Dapprima non disse niente, Lilith, con le braccia incrociate al petto, quindi osservava. Quando poi quel molliccio prese il sopravvento su di lei, la Dioptase quasi sussultò. Corrugò lo sguardo, quidni, facendo di scatto un passo verso l'Ametrina. Cercò, se le fosse stato possibile, di avvicinarsi a lei. Se le fosse stato permesso, le avrebbe cinto le spalle «Tess, va tutto bene... ci sono io qui...» il suo tono cercò di essere il più fermo possibile, provò ad essere dolce e pacata. Strinse le dita intorno alla sua spalla, per farle capire che era reale la sua presenza «Questo molliccio non c'è, non esiste... si sta solo prendendo gioco di te. Hai detto che avresti fatto il culo a quello di tuo fratello, allora? Facciamo il culo al tuo, non credi?!» il tono di Lilith era sincero. Quella primina aveva qualcosa che non andava, se vedendo la sua bacchetta spruzzare magia, si spaventava così. «Che abbia paura della magia?» il pensiero di Lilith le fece storcere un po' il naso, ma non per disprezzo «Dai, Tess, immagina qualcosa di brutto per la tua bacchetta! Immagina qualcosa di... divertente, qualcosa che ti faccia ridere! Vai, che ce la faremo. Io sono qui e non me ne vado... quando vuoi, ti aiuto ad alzarti e rimandiamo indietro questo Molliccio!» Se Tess si fosse girata in quell'istante, avrebbe trovato sul volto di Lilith, gli occhi di ghiaccio puntati sulla Van Aalter, mentre le labbra sarebbero state piegate in una parentesi di dolcezza, reale. Un sorriso che voleva avvolgerla di calore.
Poi venne il suo turno.
Quello di cui aveva paura era dietro quell'armadio.
Di cosa aveva paura lei?
Lo avrebbe scoperto forse presto.
Si morse il labbro inferiore, cercando di non lasciarsi intimorire da chi aveva accanto, cercando di non sbirciare quello che stava succedendo a Blake, per non lasciarsi trasportare dalla voglia di andare da lui a salvarlo dall'oblio...
Apri le porte e fece un passo indietro.
Il cuore le batteva all'impazzata.
La cucina di casa sua, quella luce calda e i suoi genitori intonro alla tavola. C'erano anche i gemelli, che sembravano essere felici, ridevano e scherzavano...
Poi... le foto sul camino, oddio che belle! Le ricordava tutte, c'era anche quella in cui eravano andati in campeggio lei e i suoi fratelli. La foto... sul... camino.
La vide. La sua faccia era stata tagliata, coperta, distrutta.
Le iridi cristalline cercarono di nuovo i volti dei fratelli, quella tavola imbandita. Erano cinque i posti a tavola, ma c'era qualcosa che non andava.
Tra i due gemelli c'era anche lei.
Il suo volto era cancellato, non aveva occhi, naso, bocca... niente... e i fratelli facevano come se lei non esistesse.
Gli occhi della Prefetta iniziarono a riempirsi di lacrime.
«Ehi, twins, vedetemi... sono lì... no, perché mi passate davanti... perché le nostre foto sono così rovinate? Ehi!» ogni parte di lei cercava aiuto, ma era un aiuto silenzioso, che non chiamava nessuno... Non la vedevano, ne potevano sentirla.
Quella marionetta senza volto che il molliccio le stava mettendo davanti, ora vedeva le spalle dei fratelli, voltati, con aria di disprezzo, mentre bruciavano ogni singola foto di Lilith.
«Non esiste più, ormai. Per noi... è morta.»
Quelle parole risuonarono come una lama nel cervello di Lilith. Le ginocchia cedettero, le mani delal ragazza andarono sopra i suoi occhi. Non voleva più vedere. Non voleva più sentire. Faceva troppo male... cos'era quella sensazione?code made by @zacharys.