Lezione biennio - Ottobre

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    Black Opal
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    Jesse A. Lighthouse | Prefetto Black Opal
    Jesse era molto affezionato al suo Socio e si poteva dire che spesso non avesse che occhi per lui. Per il Lighthouse, Blake aveva il potere di brillare di luce propria, e da quando aveva preso fuoco diciamo che era fin troppo convinto di questa cosa "Benzina?!" squittì quasi con un'ottava di troppo il castano, sgranando gli occhi ed avendo un principio di infarto "Mi sembrava di sentire un odore strano!"
    Blake si stava divertendo e non troppo a ricercare le attenzioni del Prefetto, ma era anche probabile che se avesse continuato a quel modo avrebbe iniziato a trovare quelle attenzioni eccessive "Blake, cosa diciamo alla piromania noi Black Opal?" tendenzialmente niente, visto che sicuramente non parlavano di piromania in Sala Comune, ma il dito indice di Jesse era alzato in senso ammonitore sicché nella sua fantascienza era probabile che a quel quesito vi fosse una risposta che solo lui conosceva "NOT-TODAY!" affermò lui fissando l'altro dritto negli occhi "La prossima lezione di Difesa entriamo insieme. O ti lego!"
    Stava scherzando? Ovviamente no e lo avrebbe davvero fatto se necessario, così come si sarebbe seduto accanto all'altro se solo vi fosse stato un posto libero, allo scopo di ammorbarlo e insultarlo. Il destino fu però clemente con lui e quindi il ragazzo dovette rassegnarsi (non troppo dispiaciuto a dirla tutta) a sedersi vicino ad Erik e Joshua. Quest'ultimo in effetti pareva gli fosse morto il gatto giusto qualche momento prima, ma la causa era il compito a sorpresa che lui si trovò ad accettare in maniera più stoica, probabilmente perché ormai rassegnato al sadismo del docente, specialmente da quando era anche il loro Capocasata, ovvero il suo diretto superiore.
    Molti in effetti erano poco entusiasti del compito, ma Blake aveva gli occhietti a cuore e quindi trovava tutto fantastico, destando per lo più il livore del docente, il quale per esempio rispose provocatoriamente quando l'altro chiese come mai non potessero aprir le buste: l'uomo disse che voleva che le aprissero tutte assieme 'SONO BOMBE!' fu il primo pensiero del ragazzo, forse in lieve shock post-traumatico dopo quanto accaduto con Cora (o forse solo scemo).
    Fissò il compito in panico distanziando le mani, troppo spaventato anche solo per verbalizzare quell'idea con l'amico di sempre. Uscì dallo stato di panico solo quando un terrore ancora maggiore lo divorò 'Oh cazzo ora lo sbrana!' le nuove parole del Socio giunsero alle sue orecchie come la sirena di un'ambulanza, tanto che per un breve istante egli si immaginò l'amico arso vivo dal docente.
    Ciò non avvenne, forse perché Brian aveva in mente di peggio per lui: farlo uccidere dai suoi concasati, visto che incasinò a tutti loro la prova pratica.
    "Capitan Hidenstone, assemble!" sussurrò ad Erik, dandogli anche una gomitata "Blake Widow sta correndo un pericolo mortale, dobbiamo salvarlo dagli Opali, soprattutto Elisabeth!"
    Jesse lo disse con voce tesa, quasi alzandosi in piedi, pronto a scattare davvero in difesa dell'amico, ma, fortunatamente, nessuno aggredì il ragazzo, sicché lui rimase in stato di allarme per un poco, ma poi, con un sospiro, dovette rassegnarsi.
    "Ok... emergenza rientrata... spero..." sussurrò ancora, volgendo poi l'attenzione a Brian, che spiegò loro quanto avrebbe inficiato quella prova sul punteggio finale e quanti minuti avessero per ricordar qualcosa e scrivere in maniera sensata e leggibile quanto ne sapevano su una data creatura oggetto di studio in quell'anno accademico 'Ok... speriamo in qualcosa di facile... speriamo...'
    Con del terrore in corpo il ragazzo girò il foglio appena possibile scoprendo la sua condanna 'Pogrebin!' lesse nella mente, sussurrandolo anche lievemente. Poi per un lungo istante non pensò o disse nulla 'Non so un cazzo!'
    Il panico lo pervase brevemente, ma rese anche attive le sue mani. Prese un foglio di brutta e scrisse il nome della creatura, dunque, in ordine, ciò che Ensor voleva sapere: fisionomia, ubicazione, motivo di pericolosità, come difendersi e infine altro.
    'Ok... ok non so un corno... ma non c'è un cazzo da dire no su 'sto coso... buttiamo giù roba' e fu così che man mano scrisse accanto alle varie voci ciò che ricordava tramite termini chiari.
    Fece così per quindici minuti, poi pian piano l'ansia fu troppa e si rassegnò ad imbastire il tema.
    Il Pogrebin è una creatura alta meno di mezzo metro di colore grigio. Ha il corpo magro e peloso, mentre la testa liscia e grossa. Possiede due occhi, due orecchie, un naso e una bocca dentata, alcuni sporgenti. Questa Creatura vive soprattutto nell'Est Europeo e predilige le steppe russe, ovvero zone poco civilizzate, dove può più facilmente mimetizzarsi come sasso accovacciandosi e nascondendo tutto il suo corpo sotto la testa, rispetto a come potrebbe fare su un marciapiede o sull'asfalto. Comunque sono stati avvistati Pogrebin anche nelle grosse città.
    Questa specie è stata reputata pericolosa per l'uomo perché ha l'abitudine di seguire le persone rimanendo in genere nella loro ombra e quando questo succede la vittima man mano viene invasa da sentimenti di tristezza, sentendosi soprattutto inutile. Il Pogrebin insegue la persona finché può e se questa, sopraffatta dalla depressione, si ferma e si mette per terra disperata le salta addosso e la divora.
    Esistono diversi modi per difendersi dal Pogrebin, ma il modo più semplice è calciarlo: se ci si sente inutili, quindi è sempre bene girarsi e prendere i sassi a calci, magari con poca forza per non farsi male. Un'altra buona strategia è anche usare uno Schiantesimo. Il libro di testo segnalava anche che i Pogrebin possono essere scacciati (e direi anche uccisi) con la Magia Nera, ma questo è ovviamente contrario alla legge e al senso di un corso come Difesa Contro le Arti Oscure.
    I Pogrebin sono classificati come Creature XXX (un mago capace dovrebbe cavarsela) e secondo alcuni studiosi è una specie che si interessa in generale agli esseri umani, forse perché, anche se loro sono molto più bassi, hanno un po' una forma simile, poi, quando se li trovano a terra disperati non sanno resistere alla fame e provano a mangiarli. Io non ci credo molto: secondo me, come tante altre creature, si cibano di esseri umani e basta.

    Il ragazzo scrisse con calma, stringendo in denti e costringendosi a non accelerare nonostante molti ragazzi, man mano, dicessero di aver finito 'Sì, ok, siete bravi, dieci punti a voi. Ora silenzio!' pensava lui intanto, deglutendo e scrivendo in stampatello chiaro. Concluse, sospirò e poi trascorse il poco tempo residuo a rileggere per sicurezza, magari per aggiungere qualche informazione extra.
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    Erik Foster | Ametrin | II anno
    Ogni studente reagì in modo diverso alla notizia di dover affrontare un compito in classe. C'era chi mostrava una faccia estremamente sorpresa e chi, come Erik e Josh, esternava con estrema facilità la loro rassegnazione. Quando arrivò Jesse non servirono parole per descrivere il motivo di tanto sconforto, bastarono i suoi occhi. Non appena l'opale guardò i fogli sul proprio banco capì e poi ci fu silenzio.
    Ad ogni modo il compagno di stanza aveva studiato e ciò in minima parte lo rassicurò. Almeno a lui andrà bene. Si disse, poggiando poi una mano sulla spalla dell'amico. Secondo me Ensor non è cattivo, mi piace pensare che si comporti così solo per istruirci meglio. Anche se a volte mi fa paura. Finire nel suo mirino voleva dire trovarsi nei guai ed Erik cercava sempre di comportarsi in maniera educata, sforzandosi di non offrire al docente ulteriori motivi per prendersela con i membri della sua casata. Per questo lo aveva reso prefetto? Possibile, tuttavia certo era che non glielo avrebbe mai chiesto.
    Gli studenti continuarono ad arrivare anche dopo l'orario di inizio. Salutò con un rapido gesto della mano Lucas e Lilith, concentrandosi poi sul siparietto riguardante il docente e Blake. Ma perché deve mettersi sempre in mostra? Inutile dire che ne uscì vincitore colui col coltello dalla parte del manico. Solitamente Ensor non organizzava prove a coppie e ciò lo preoccupava. Ma non toglie punti casata? Per carità, Erik da bravo amico non voleva che accadesse ciò, ma se il docente preferiva far svolgere ai Black Opal la prova da soli piuttosto che togliere punti allora la prova da affrontare doveva essere estremamente minacciosa.
    Era comunque ancora presto prima di fasciarsi la testa con la parte pratica. Devo prima sopravvivere allo scritto. Ascoltò in religioso silenzio le indicazioni per svolgere quel compito senza toccar minimamente i fogli e quando scattò il via ne prese due fogli puliti e li dispose uno a sinistra e l'altro a destra, uno per la brutta copia e uno per la bella.
    La mia creatura è... l'Erkling? Storse il naso e la destra impugnò la penna, cominciando a pensar su come cominciar la sua risposta. Finché si tratta dell'aspetto è facile, posso ricavare informazioni dalla foto. Sì, procedere per logica poteva essere un ottimo modo per portarsi avanti.

    Gli Erkling sono creature dall'aspetto terrificante e spigoloso, caratterizzati da una ruvida pelle olivastra ricca di increspature, grandi occhi giallognoli, lungo naso a punta e affilati artigli all'estremità dei suoi arti principali. Il suo rude aspetto anticipa in qualche modo la sua aggressività. Basta guardare i suoi affilati per capirlo e non è un caso se l'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche lo ha classificato con ben quattro X.

    Cancellò diverse volte, sostituì termini, ma il risultato finale parve convincerlo. Bene e ora arriva il bello. Storse il naso e con la destra si grattò il mento. Proviamo a procedere con cose che mi ricordo.

    Gli Erkling solitamente popolano grandi boschi come la Foresta Nera e alcuni territori della Bavaria, Germania. Il motivo per cui scelgono luoghi ricchi di alberi è dovuto probabilmente alla facilità con cui riescono a mimetizzarsi con l'ambiente circostante, non poche volte infatti vengono scambiati dalle loro prede per piccoli arbusti quando tali creature mantengono gli occhi chiusi. Ama cibarsi di bambini, ma non disdegna insetti di grandezza variabile, pesci e i cuccioli di altri mammiferi. Tende ad attirare le sue prede con una risata in grado di far breccia anche nelle menti più preparate, tuttavia se si ha già avuto a che fare con una creatura del genere è possibile riconoscere la sua voce.

    Ok, era riuscito a scrivere più di quanto pensasse, ma ciò bastava? Certo che no, ancora non aveva risposto a tutti ed Ensor rimaneva un tipo estremamente stretto di voti, ragion per cui avrebbe dovuto far il possibile per dimostrare ciò che valeva. Posso farcela. Doveva farcela. Per la sua casata, per la media, per se stesso.

    Proprio per queste sue capacità la creatura è considerata estremamente pericolosa, inoltre il suo esile corpo non va confuso con debolezza. I suoi arti finissimi lo rendono estremamente agile, nonché difficile da colpire. Gli artigli sono estremamente affilati e ciò li rende una minaccia anche per creature estremamente più grandi di lui.
    Se mi trovassi faccia a faccia con uno di loro potrei agire in diversi modi, ma è necessario far due ipotesi:
    1) conosco già la voce dell'Erkling;
    2) non ho mai sentito la sua voce.
    Nella prima ipotesi manterrei la distanza e farei affidamento su incantesimi offensivi. Schiantesimi e fatture potrebbero essere invitanti, ma la scelta migliore sarebbero le magie elementali, specialmente quelle di fuoco. Oltre che a ferirli o spaventarli, le fiamme potrebbero liminare notevolmente il loro spazio d'azione, ottenendo così un vantaggio non indifferente.
    Nel secondo caso farei affidamento all'istinto. Spesso non si ha il tempo di ragionare a strategie e proprio in quei momenti bisogna ricordare che la bacchetta non è la nostra unica arma. Farei affidamento sul mio corpo e sui miei riflessi per cercar di schivare i colpi della creatura, cercar di guadagnare la giusta distanza da poter permettermi di scagliare un solo incantesimo: petrificus totalus. Anche Impedimenta potrebbe essere una buona mossa, ma in tal caso approfitterei del vantaggio attenuto per continuar a colpirlo fino a renderlo inoffensivo o, risparmiando tempo, per fuggire. Solitamente affrontare creature di questo livello non è consigliabile, quindi ogni strategia finalizzata ad aver uno scontro diretto è altamente sconsigliabile.


    Ok, può aver un senso. Alzò la mano solo dopo qualche altro studente. Professore, avrei finito anche io.

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    Brian Ensor | Docente DCAO
    Molti ragazzi riuscirono a terminare la parte scritta prima della fine della mezz'ora concessa, altri invece non furono così rapidi. Fu proprio verso questi ultimi che si catalizzò l'attenzione di Brian. Un leggero movimento di bacchetta ed ecco che tutti i fogli levitarono dai banchi di chi stava ancora scrivendo e in fila indiana finirono col raggrupparsi in due file ordinate sopra la cattedra.
    Di norma vi chiederei com'è andata, ma le espressioni che avete in viso parlano chiaro. Col senno di poi il docente poteva essere ben più cattivo, insomma non era meglio trattar in maniera approfondita di una creatura rispetto ad un test globale con tutte quelle analizzate fino a quel giorno? Certo, tuttavia come ogni docente aveva dei limiti temporali da rispettare e non sarebbero bastate tre ore per ideare un test come avrebbe voluto. Poi siamo pratici: quanto tempo dovrei impiegare per correggere compiti così? No, non è fattibile. Se gli studenti si fossero scambiati qualche parola, avrebbero notato come alcune creature erano il soggetto di più compiti, quindi per comprendere se quegli argomenti fossero più o meno assimilati non doveva far altro che mettere questi a confronto.
    Ora mentre genero più spazio, invito calorosamente voi altri a rimaner in silenzio. Con un successivo movimento di bacchetta gli spalti cominciarono a tremare e l'estremità più vicina alla porta parve quasi rientrare nella dura pietra come se parte del castello fosse stata scavata per quel motivo. In questo modo l'arena dove si trovava la cattedra acquisì molti più metri e quel che prima era un cerchio divenne un ovale.
    Ci fu un secondo movimento di bacchetta. Si aprì il primo cassetto della scrivania e da lì fuoriuscì un barattolo aperto che sparse per l'arena degli oggetti in miniatura. Engorgio. Sulla sinistra apparirono numerosi armadi posti l'uno accanto all'altro, sulla destra degli scrigni. I vostri compiti scritti avevano come protagonista una creatura studiata nel corso dell'anno, tranne una, poiché oggetto della vostra prova pratica: il Molliccio.
    In quel momento immagina ci fosse un silenzio di tomba in aula. Si tratta di un non-essere in grado di assumere le sembianze di ciò che spaventa di più la persona o l'animale che gli si avvicina. Nessuno, neanche l'auror o il magizoologo più esperto, conosce l'aspetto di un molliccio quando è solo. Bene, indovinate cosa racchiudono tutti questi armadi e scrigni? Ovviamente non assegnerò punti casata a chi risponde alla domanda. Insomma, voleva essere a prova di Blake o di ametrin.
    L'unico modo rendere innocuo il molliccio è l'incantesimo Riddikulus, il quale ridicolizzerà la vostra paura fino al farvi piegare in due dalle risate. Ricordate che i Mollicci tendono a nutrirsi delle vostre paure, quindi più sarete spaventati e più questi vi sembreranno reali. Detto ciò i Mollicci non attaccano direttamente, tuttavia la vicinanza prolungata ad uno di essi potrebbe provocarvi danni psicologici irreversibili. Fu in quel momento che un fortissimo rumore di graffi e tonfi riecheggiò nella stanza. Quando i Mollicci udivano la presenza di qualcuno cominciavano sempre ad agitarsi.
    Ah, dimenticavo, i Mollicci per definizione non possono morire, tuttavia ciò non è del tutto esatto. Persone allegre e a mio avviso esaltate per natura - sì, Foster, sto guardando lei e i componenti della sua casata - con le loro esagerate risate potrebbero uccidere un Molliccio, ma per qualche ragione ancora non conosciuta in natura un altro Molliccio e un diverso Mutaforma prenderanno il posto di quello ucciso.
    In un momento come quello forse dentro ogni studente si sarebbe scatenato il panico anche se non ci fosse stato Brian Ensor come docente di Difesa. Tuttavia non vi nego che il fatto che non attacchino mi infastidisce non poco perché a mio avviso non vi mette realmente alla prova. Il tono divenne estremamente più duro con quest'ultima frase. Ragion per cui il Molliccio non è l'unico Mutaforma presente oggi. Gli altri Mutaforma, a differenza del Molliccio, hanno un approccio decisamente più offensivo e il Riddikulus non ha effetto su di loro, quindi per renderli innocui dovrete cercar metodi alternativi. State tranquilli, vi accorgerete subito di chi avete di fronte. Certo, peccato che non sapete chi si trova dentro cosa.
    Forse in un momento come questo il fatto che la prova venisse valutata passava davvero in secondo piano. Vi chiedo un secondo di tempo, poiché formerò io le coppie. Durante la prova potete parlare, darvi coraggio, ma non interagire e, soprattutto, non potrete affrontare il Molliccio o il Mutaforma di qualcun altro.
    A scanso di equivoci ricordo che ai Black Opal non sarà concesso neanche questo sostegno morale. Detto ciò, prego, la prova può finalmente cominciare.



    COPPIE:

    Black Opal da soli
    Adamas&Nikolai
    Lilith&Theresa
    Josh&Mia
    Lucas&Andros
    Ayla&Erik



    RevelioGDR


    Eccoci finalmente all'attesissima prova pratica di Difesa Contro le Arti Oscure!
    Nel vostro post potete dir liberamente che Brian fa il nome dei vostri pg quando arriva il vostro turno di eseguire la prova. Si tratta di un esercizio non semplice, ragion per cui siete liberi di far più post di quelli indicati contando che ve ne chiedo almeno 2.
    Nel primo vi avvicinerete all'armadio o allo scrigno, descriverete nel dettaglio qual è la vostra paura e in che modo il Molliccio la rappresenta e le reazioni psicologiche ed emotive del vostro pg. Si tratta di un post estremamente introspettivo, quindi pensate bene a quale sia la più grande paura del vostro personaggio.
    Fatto ciò io darò mini esiti su come reagisce la creatura e in base a quello deciderete come comportarvi. Poi vi esiterò ancora per dire come e se la vostra strategia ha funzionato.
    NB. Dal secondo post è possibile incoraggiare il vostro compagno/a affinché non vada nel panico. In questo modo il vostro partner riceve +2 al Coraggio per questa prova. Detto ciò siete comunque liberi di non incoraggiarvi ù.ù

    La scadenza per questa prima parte è fissata per il 18 Ottobre. Contate però che prima postate e prima vi esito, prima terminate la seconda parte, prima sarete liberi ù__ù
    Non è detto che tutti riescano a superare la prova, quindi fate del vostro meglio. Divertitevi e divertitemi <3
     
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    Samuel May
    Mezzo-Veela | I anno | Black Opal |
    In un sospiro di sollievo si alzò e andò a consegnare il compito sulla cattedra. Non poteva però aspettarsi ciò che venne dopo: una bella esercitazione sul Molliccio, una creatura che gli stava altamente sulle scatole. Ma perché non aveva saltato la lezione... avrebbe preso una nota di demerito magari, e una strillettera da sua madre, ma almeno non sarebbe stato costretto ad affrontare quello. No, no e poi no, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di uscirsene in quel preciso istante dall’aula. In un moto di frustrazione alzò gli occhi al cielo e si ciondolò su una gamba con visibile agitazione; sfilò la bacchetta dalla cintura e la impugnò nella destra, più forte del solito, e mentre il professore li divideva a coppie - anzi, i Black Opal no, lanciò un’occhiataccia a Blake (non guastava mai) - lui iniziò a selezionare tutte le possibili paure che gli sarebbero potute presentarsi sotto forma di molliccio. Le altezze? Non più: superata. Paura di morire? No, anche se sperava di non soffrire troppo. Paura di strozzarsi? L’aveva esorcizzata imparando a masticare piano (!). Paura di rimanere solo? No, non ne aveva paura. E allora, perché si sentiva così in ansia? Forse era l’incertezza, in realtà non si era mai interrogato sulla sua paura più grande. L’idea che tutti avrebbero visto ciò che di solito rimane nascosto nella parte più buia di noi, lo metteva enormemente a disagio, come non si era mai sentito prima. “Samuel May.” chiamò il professore a un certo punto, e controvoglia si diresse di fronte all’armadio; dentro qualcosa batteva insistentemente per uscire, e mentre il Molliccio lo faceva prepotentemente e si trasformava, lui non aveva più dubbi su cosa avrebbe visto: era quello il suo molliccio, la paura di avere paura davanti a tutti, la paura di venire giudicato un fallito. La creatura si trasformò in un grande specchio, che rifletteva una scena; c’erano delle persone che lo fissavano, alcune facevano parte della sua famiglia, altri erano suoi amici, altri ancora persone che magari aveva incontrato solo una volta. Tutti però iniziarono a ridere di lui e a guardarlo con disprezzo: “Sei solo un cagasotto!”, “Pure la tua paura è una merda!”, “Non hai nemmeno una pura degna di questo nome!”, “Ma non ti vergogni?”, “Fallito...”, “Sfigato!”. In tutto ciò, il nostro Samuel probabilmente per la prima volta nella sua vita si ammutolì. Avrebbe potuto, voluto lanciare l’incantesimo ma era come del tutto impietrito, lì sul posto, con la bacchetta impugnata a mezz’aria. Umiliato da ciò che aveva visto e udito e da come si sentiva, bianco come un cencio (più del solito), si sentì mancare l’aria e provò a fare un bel respiro profondo, anche se la cosa gli provocò quasi una sorta di dolore fisico mentre il cuore gli batteva all’impazzata, e sbatacchiò le palpebre per far andare via il velo che si stava formando.

    «Parlato» - Pensato - “Ascoltato” | Scheda PG Stat.
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  5. Joshua B. Evans
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    'accordo, poteva farcela.
    Questo fu il pensiero che invase la mente di Josh non appena scadettero i trenta minuti previsti per quella prova "a sorpresa" che Ensor si era divertito a propinare a tutti loro. Per quanto basso fosse stato quel colpo, per lo meno il giovane Ametrin era sicuro di aver fatto un lavoro relativamente buono. Di certo, però, non si aspettava che il docente di Difesa se ne uscisse con un'esercitazione.
    Poco male, in fondo gli piaceva la parte pratica della materia, motivo per cui ascoltò le direttive e si fece da parte quando fu il momento di ampliare lo spazio a disposizione.
    Comparsi i vari armadi, Josh si limitò a guardarli uno per uno, potendo solo immaginare cosa vi fosse al loro interno. La fantasia si riscontrò nella realtà quando il professor Ensor disse loro di prepararsi ad affrontare la propria paura più grande e Josh espresse il suo stato d'animo con un sospiro di resa.
    Sapeva che prima o poi sarebbe successo.
    Ad eccezione dei Black Opal, tutti gli altri studenti vennero accoppiati in modo da avere, laddove possibile, uno studente del primo anno e uno del secondo. La compagna di Josh era una primina che aveva incontrato un paio di volte nella Sala Comune, dunque un volto già piuttosto noto. Il ragazzo le sorrise gentile, nonostante la pessima mattinata a cui stava andando incontro da quando si era svegliato per merito del docente che meno amava in assoluto; in fondo non doveva pagare lei per colpe altrui.
    Mia, giusto? Io sono Josh, piacere di conoscerti.
    Non le porse la mano per non rendere la situazione più formale di quanto in realtà non fosse; in fondo, quella ragazza stava per scoprire quale fosse la paura più grande del mago, mica pizza e fichi.
    Ti direi di contare su di me se avessi bisogno di qualcosa, ma è la mia prima volta con un Molliccio, quindi... beh, stiamo a vedere.
    Le fece l'occhiolino e, estraendo la bacchetta dalla tasca interna della divisa, il giovane puntò lo sguardo sull'armadio da cui sarebbe scaturita la sua più grande paura. Più di una volta Josh aveva pensato a quale questa potesse essere, ma più si soffermava a riflettercisi su, meno gli venivano in mente valide alternative. Che potesse avere paura del buio? In realtà no, non più e da parecchi anni. Mostri? Amava i film dell'orrore, dunque no. Serial Killer, magari, ma neanche, soprattutto da quando lui stesso minacciava di morte Jesse, almeno quando non fingeva di provarci con lui.
    Mentre la sua mente galoppava nelle più svariate congetture e fantasie, il ragazzo iniziò a percepire un brivido percorrergli la spine dorsale; il Molliccio dentro l'armadio faceva fremere le ante, pareva graffiare al suo interno, come se si stesse preparando a uscire e, quando l'anta destra finalmente iniziò ad spalancarsi, producendo un fastidioso cigolio, tutto quel che era all'interno dell'aula svanì come per magia: il silenzio assoluto rotto unitamente dal respiro regolare di Josh e dal battito del suo cuore.
    Via via che quell'anta si spalancava, il respiro del ragazzo diveniva sempre più corto, il battito cardiaco più accelerato e iniziò a percepire un leggerissimo velo di sudore freddo imperlargli la fronte. La mente smise di ragionare e lui non si chiese più quale fosse la sua più grande paura, perché a breve lo avrebbe scoperto.
    Sentì i muscoli irrigidirsi e non riuscì a muoversi, gli occhi puntati voraci contro l'armadio mentre con la mano sinistra si allentava il nodo della cravatta, per poter respirare meglio.
    E finalmente la vide. Vide una mano fuoriuscire dall'armadio, una mano dalle dita lunghe e affusolate, apparentemente quelle di una donna. Josh avrebbe riconosciuto quella mano ovunque anche senza scorgere il volto della donna a cui essa apparteneva, poiché solo una persona al mondo poteva amare quell'inconfondibile e orribile tonalità di rosa che dava colore alle sue unghie.
    Annabelle si trascinò fuori dall'armadio con l'altra mano aperta sul volto, vittima di un pianto straziante e impossibilitata a reggersi in piedi.
    Ma che cosa...
    Josh dimenticò per un momento la paura che avrebbe dovuto provare e tentò di fare un passo verso di lei, ma a sorreggere la donna comparve Frederick, il marito, e subito dopo Dylan, il figlio maggiore della coppia. Entrambi gli uomini avevano un'espressione funerea in volto, mentre tentavano di essere di sostegno alla donna.
    Annabelle piangeva, urlava e si lasciava cadere a peso morto sul pavimento, invocando il cielo e maledicendo chi di dovere per averle sottratto ciò a cui teneva di più al mondo.
    Perché non hai preso me?! - urlava rivolta al cielo - Perché lui?! Era solo un ragazzo... era il mio bambino!
    Un groppo in gola impedì a Josh di deglutire e i suoi occhi si sgranarono alla vista di quella scena pietosa. Frederick si inginocchiò al suo fianco e la cinse con le braccia, lasciando cadere finalmente qualche lacrima che andò a bagnare il lembo dell'abito nero di Annabelle.
    Fu da quel contatto che scaturì una nuova figura, una lastra di pietra alta mezzo metro e contornata da ciuffi d'erba secchi e ingialliti da una stagione probabilmente tutt'altro che generosa. Gli abiti di quelle due persone si muovevano come mosse dal vento, ma la verità era che non vi era neppure una lieve brezza all'interno dell'aula ad animarle.
    Annabelle... tesoro, ti prego, smettila...
    Frederick la supplicava di calmarsi, nonostante non vi fosse alcune sicurezza in quella voce. Dylan, in tutto questo, assisteva alla scena in silenzio, con gli occhi concentrati su quanto stava via via apparendo sulla lastra di pietra da poco comparsa.
    Josh non aveva alcun bisogno di scoprire cosa attirasse la sua attenzione, poiché la reazione della donna fu sufficiente a comprendere cosa fosse accaduto.
    Avevano detto che non sarebbe successo! Che era una cosa troppo rara, Frederick! Non doveva succedere!
    Urlava ancora la donna tra le lacrime colpendo il marito sul petto, come a voler scaricare su di lui quella sofferenza indicibile. Josh iniziò a respirare a fatica, portandosi una mano alla gola per sbottonarsi il colletto e costringendosi a trarre respiri profondi. Avrebbe voluto recarsi dalla donna per aiutarla, ma le gambe erano come paralizzate e temeva che, se avesse tentato muoversi, sarebbe crollato. Il cuore gli batteva a un ritmo forsennato e a ogni più piccolo movimento sentiva il proprio corpo come trafitto da centinaia di lame.
    Sapeva il perché Annabelle piangeva, sapeva a cosa si riferisse, "cosa" doveva essere troppo raro per poter succedere a loro, a lui.
    Mamma...
    Un singhiozzo gli impedì di proferire altre parole, le prime lacrime gli offuscarono la vista ma non abbastanza da impedirgli di scorgere ciò che vi era scritto su quella che iniziò a prendere la forma di una lapide.

    Joshua Benjamin Evans
    2002 - 2020
    Amato figlio e fratello, non sarai mai solo


    Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto permettere a quella ridicola malattia di portarlo via? Aveva sempre saputo quanto sua madre si sentisse responsabile per lui, quanto soffrisse per quella sua condizione, e lui aveva sempre tentato di non farglielo pesare, di sottovalutare quanto gli accadesse... per cosa? Per finire sotto terra a soli diciotto anni? Che razza di figlio permette a sua madre di soffrire tanto? Che diritto aveva, lui, di farla crollare in lacrime come la vedeva lì davanti?
    Solo in quel momento, seppur in maniera del tutto inconscia, realizzò che a rendergli impossibile respirare o muoversi non era il terrore di morire, quanto quello di lasciare le persone che più amava struggersi nel dolore a causa della sua debolezza.
     
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    Come on skinny love what happened here

    Si ritrovò a sorridere alle parole di Aveva sentito di sfuggita la voce di <mark data-uid="13254224">Theresa van Aalter che le chiedeva una mano, e si era voltata verso di lei il minimo indispensabile per poi sentirle dire che aveva già risolto. Mia era quel tupo di persona studiosa che, nonostante avesse l’aria della secchiona perfettina che non avrebbe mai aiutato nessuno, in realtà sarebbe stata disposta a dare più che volentieri una mano, soprattutto a qualcuna che considerava ormai sua amica, come Theresa. Certo, era la prima ad ammettere che il loro era un rapporto appena nato, che si trattava di qualcosa di ancora sconosciuto e che poteva anche benissimo terminare da un momento all’altro, ma già solo il fatto che si sentisse bene con la sua compagna di stanza era un traguardo non da poco. Non era così scontato, lei non ci avrebbe scommesso nemmeno troppo, eppure era felice di essere capitata in camera con qualcuna che era praticamente il suo opposto.
    Non avrebbe scommesso nemmeno sulla propria fortuna con il test, per quanto amasse studiare e si reputasse piuttosto portata non sempre aveva una grande autostima e tendeva spesso a preoccuparsi molto per niente, quando si trattava di prove inaspettate soprattutto. Il fatto che avesse dovuto parlare di Troll l’aveva messa di buon umore, per una qualche ragione aveva letto parecchio sul loro conto e si riteneva abbastanza informata, dopotutto, per cui si poteva dire che fosse quasi tranquilla, sempre che di tranquillità si potesse parlare avendo come professore proprio Ensor.
    Si domandò istintivamente se fosse così poco accomodante e gentile anche nella sua vita privata o se riuscisse ad essere un po’ migliore quando era fuori dall’aula di Difesa. Non ne aveva idea, faticava ad immaginare i docenti come persone in carne ed ossa, con una vita al di fuori delle ore di lezione, e faticava ancora di più ad immaginare qualcuno che aveva volontariamente a che fare con Ensor senza essere spaventato da una sua possibile reazione a qualsiasi cosa. No, decisamente quell’uomo non la metteva a suo agio. E la mise ancora meno a suo agio quando svelò il resto del test.
    A quanto pare quel giorno aveva deciso di tediarli particolarmente e metterli alla prova, non aveva idea del perché ma per come la vedeva Mia forse l’uomo si era solo alzato con la luna storta e aveva deciso che era il caso di prendersela con loro, per compensare il suo malumore. Non aveva altra spiegazione per decidere di farli avere a che fare con un Molliccio.
    Quella era una cosa che la metteva davvero in difficoltà. Già parlare di sé stessa davanti a tutti, come aveva fatto con Lancelot, era stato complicato, ma l’idea di affrontare una sua grande paura –qualunque essa potesse essere- così, senza un minimo di preparazione psicologica, la spaventava parecchio, tanto che non faticò di certo a rimanere in silenzio, quasi paralizzata, mentre l’uomo parlava di quella creatura con estrema naturalezza. Era inquietante, senza ombra di dubbio, e Mia si ritrovò a cercare lo sguardo di Adamas Vesper senza nemmeno pensarci, nella speranza che le dicesse qualcosa di carino, per poi guardare verso Theresa, questa volta pregando che la ragazza potesse trasmetterle con lo sguardo di stare tranquilla e non preoccuparsi. Non stava mostrando troppo il suo panico, non quanto avrebbe potuto ma non era comunque sicura di voler scoprire che cosa si celasse dietro il suo scrigno o armadio che fosse.
    Era chiaro, però, che come era inevitabile prima o poi sarebbe toccato anche a lei. Sentì a stento il nome del ragazzo con la quale era stata accoppiata e, malgrado sperasse di essere in coppia con qualcuno che già conosceva –aveva solo sperato non Barnes, ma in quel momento era abbastanza preoccupata che non si era trattato che di un mero e rapido pensiero passeggero, nemmeno poi così importante-, il suo compagno si presentò in modo gentile e non potè che farle una buona impressione. “Piacere, io sono Mia” si sforzò addirittura di sorridere e, per quanto le parole dell’altro non riuscirono affatto a calmarla, si impose di comprendere che entrambi erano nella stessa situazione. Se non altro, quello rendeva le cose un po’ meno imbarazzanti.
    “Tranquillo, siamo in due… Cercherò anche io di fare del mio meglio. In bocca al lupo” gli disse nel modo più gentile e confortante che riuscì a trovare, ma Ensor chiamò il suo nome poco dopo e riuscì a dimenticarsi in tempo zero di tutto il resto.
    Le era toccato un armadio e, a dirla tutta, non avrebbe saputo prevederlo. Conosceva i Mollicci, aveva letto parecchie cose anche su di loro ovviamente, nella speranza che collezionare informazioni potesse rendere le cose meno spaventose –speranza vana, aveva appena scoperto. Si era ovviamente chiesta che forma avrebbe mai potuto prendere il suo Molliccio, e non era il tipo di persona che mentiva a sé stessa: aveva le sue debolezze e le sue paure, ovviamente, eppure non sapeva quale di queste avrebbe preso materialmente forma una volta incontrato il suo Molliccio.
    Per questo, quando aprì l’armadio e un’ondata di freddo umido la travolse, non potè evitare di sentire la sorpresa unirsi al panico che stringeva già il suo stomaco. Non le bastò che un secondo per riconoscere quella sensazione e quell’odore di stantio e di pietra umida, una di quelle cose che è difficile spiegare a parole ma che una volta sentite difficilmente ti abbandonano. Nella sua mente sapeva di essere ancora in aula, ma in quel momento le parve quasi di percepire la morsa delle pareti intorno a lei, a poca distanza, e del soffitto abbastanza basso da costringerla a rannicchiarsi, in certi punti, per evitare di farsi del male.
    Quello era uno dei ricordi d’infanzia che non l’avrebbe mai abbandonata, ed era tutto tranne che felice. Come confondere tutto quello? Come non ricordarsi all’istante dello sgabuzzino della Tenuta Nott?! Aveva passato lì ore, addirittura giorni quando Mrs Nott lo aveva ritenuto necessario, e aveva temuto quel posto con tutta sé stessa ogni volta che aveva commesso anche il più piccolo errore. Mia era cresciuta in una famiglia che non la voleva, consapevole che in quella casa gli unici a sopportare la sua presenza fossero Charles, suo fratello maggiore, e la propria madre biologica che, però, lavorando come domestica, veniva spesso spedita fuori casa per delle faccende. Quando nessuno dei suoi due “protettori” era nei paraggi, Mrs Nott adorava molestarla, prendersi gioco di lei, ricordarle quando fosse infima e inutile e quanto, se fosse stato per lei, l’avrebbe buttata fuori di casa a calci nel giro di qualche secondo. Mia era la sua valvola di sfogo, quella con cui prendersela anche per un granello di polvere fuori posto, o per una giornata iniziata male, e la donna sembrava sempre trarre piacere nel vessare la ragazzina, forse proprio perché quest’ultima non poteva davvero difendersi.
    Non ricordava nemmeno quando fosse stata la prima volta in cui era stata chiusa in quello stanzino, sapeva di non averlo mai notato fino a che Mrs Nott non ce l’aveva spinta dietro, chiudendo poi con forza la porta a più mandate. Quel posto infernale si trovava in cantina, in un angolo buio e isolato, ed era costruito in modo da rendere impossibile venire sentiti da chiunque al di fuori. Mia veniva mandata lì dentro quando qualcosa che aveva fatto non andava particolarmente bene, e poteva rimanerci anche per giorni, con lo stretto indispensabile per sopravvivere. Se si fosse trattata di una semplice reclusione, forse, non l’avrebbe spaventava nemmeno così tanto, ma sapeva per certo di essere finita lì la prima quando era solo una bambina e quel buio assoluto l’aveva terrorizzata abbastanza da rendere quel posto un vero inferno. Inutile dire che, visto dove si trovava, quel posto non solo era estremamente freddo, umido, scomodo, ma era anche popolato da creature poco gradite, topi per lo più, e soprattutto ragni. Questi ultimi, dalle sue esperienze in quel bugigattolo, avevano cominciato a terrorizzarla, anche solo per il rumore che facevano in un posto totalmente silenzioso come quello.
    Li sentì arrivare prima ancora di vederli, ragni pelosi, enormi, con le loro zampette ticchettanti e i loro molteplici occhi, cominciarono ad uscire dall’armadio e andare ovunque. Mia non faticò a sentirseli addosso, poco importava se ci fossero o meno, e si paralizzò all’istante. La sensazione di impotenza, di essere rinchiusa in un posto senza via di uscita, con nessuno disposto davvero a salvarla cominciò a pesarle sul petto e si rende conto che la cosa che la terrorizzava di più era finire per essere davvero sola al mondo, come Mrs Nott le aveva sempre ripetuto. ”Non vali niente, ragazzina, potresti morire qui dentro e nessuno lo saprebbe”.

    Mia Freeman-SHEET-
    "Parlato" - "Pensato"- "Ascoltato"

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    Se devo avere poco scelgo di avere niente
    Blake
    Barnes
    Il suo Socio era qualcosa di sconvolgente, veramente lo aveva appena minacciato? Incredibile ma vero, ma non fece in tempo a rispondere e ridere che dovevano cominciare il compito, esattamente come non fece in tempo – per fortuna di Adamas – a dirgli di non rispondergli a mezza bocca perché tanto Ensor non mordeva. Elisabeth era sempre una secchiona, quindi non fece assolutamente caso al fatto che non perse tempo per rimproverarlo, ma quando sentì Lilith entrare in classe si voltò completamente verso di lei e le rivolse uno sfacciato occhiolino. Si vergognava? Assolutamente no! Il compito sulla cattedra del professore, il tempo di tornare a posto per poi sentire le parole del suo idolo. Idolo che lo fece sbiancare. E no, il problema non era il fatto che le occhiatacce dei suoi compagni per svolgere quella prova da soli, anche se andiamo Blake rivolse a tutti loro, anche al nuovissimo arrivato, un’espressione che diceva “davvero vi serve qualcuno che vi faccia da Cheerleader? Riprendetevi!”
    Brian Ensor aveva chiesto silenzio per la spiegazione e Blake Barnes, sapeva che se non andava immediatamente a salutare la sua ragazza, sarebbe morto comunque. Quindi, ecco morire per mano di una dolce ragazzina dai capelli ricci ed il sedere più sodo del mondo, oppure morire per mano dell’uomo con un fascino assurdo e degli occhi vispi anche se molto inquietanti? Beh, era ovvio, Blake aveva 17 anni e gli ormoni a tremila, e poi morire per mano di Ensor esercitava un certo fascino. Si avvicinò alla ragazza.
    “Come mai in ritardo? Questa volta non è stata colpa mia!” Le diede una rapida occhiata. Lui e il fratello avevano lo stesso disturbo mentale, la divisa delle scuole li esaltavano. Tornò a guardare quei ricci e si avvicinò al suo orecchio “Ci vediamo dopo la lezione?” Le chiese prima di sentire gli occhi di fuoco di Ensor trafiggergli la carne. Si allontanò da Lilith e rimase in silenzio. In silenzio tombale fino a quando non capì cosa era di nuovo costretto a fare. Era contento che Lilith, comunque, fosse capitata con Theresa, almeno non solo sarebbe stata incoraggiata, ma sicuramente sarebbe stata distratta dal casino che l’Ametrina avrebbe fatto!
    La verità era che Blake non si aspettava minimamente di dover tornare a scavare di nuovo in sé stesso. Adorava Ensor anche perché non li costringeva a pensare, ma semplicemente ad agire. Nessuna creatura e neanche nessun “cattivo” di dava il tempo di guardare dentro te stesso prima di attaccarti. Dovevi essere intuitivo, coraggioso e carismatico. Non dovevi essere un gran pensatore. Ecco perché Blake eccelleva – almeno nella sua testa – in quella materia ed in tutte le altre materie pratiche e sbrigative, quelle dove dovevi contare su te stesso e non dovevi pensare troppo. Capiva qualcosa di Artimanzia? Assolutamente no! Pozioni era tra le sue materie preferite? Neanche per sogno. Incantesimi e difesa contro le arti oscure. Rune antiche cominciava a diventare comprensibile solamente per una questione di simpatia e stima smisurata per il professore, se no sarebbe stato assolutamente indecente anche in quella di materia. Il professor Ensor ribadì che loro avrebbero fatto le prove da soli e Blake non fece altro che ridacchiare. Il problema principale non era quello. Blake era molto più concentrato se stava da solo, era molto più capace se nessuno lo intralciava o lavorava con lui. Ma mettersi li davanti voleva dire mettersi completamente a nudo di fronte a sé stesso. Molto peggio che parlare di sé stesso, almeno in quel caso, avrebbe potuto semplicemente omettere alcune cose. Rimase dietro alla fila della classe rimandando ogni volta il suo turno. Sperava davvero che Ensor lo avrebbe fatto fare per ultimo, almeno erano tutti quanti depressi per la propria paura e nessuno avrebbe prestato attenzione a quello che lui stesso avrebbe visto.
    Blake non era un fifone per natura: non si metteva paura di affrontare animali, insetti, professori, Ensor, preside, non gli frega niente di nessuno a parte di suo fratello Aaron. Ma il punto era che non sapeva esattamente di cosa avesse paura. Che Aaron lo lasciasse da solo? Che non lo accettasse? Quella era una paura che aveva affrontato con il Maggiore stesso e ne avevano parlato così tante volte che la questione era bella che risolta. Non era tanto il molliccio, era quello che sicuramente si sarebbe trovato davanti che lo spaventava, l’ignoto poteva sicuramente essere una opzione, ma quando sentì la voce di Ensor scocciata ed anche un po' divertita fare il suo nome, fece semplicemente un passo avanti. Impugnò la bacchetta e rivolse al suo prof preferito uno sguardo quasi di sfida, come per dirgli “non sarò di certo io a deluderla!”
    Vide quell’armadio quasi capovolgersi per quanto il molliccio al suo interno era irrequieto. Il rumore del cigolio del legno era quasi assordante, oppure semplicemente, era Blake ad essere così tanto in tensione da essersi completamente dimenticato che fosse in una classe. Un click e poi una massa informe nera di fronte a lui. Era possibile che il molliccio non sapesse ancora che forma prendere? Poteva essere difficile anche per un molliccio individuare la paura di una persona? Eppure, Blake, lo riteneva possibile visto che lui non faceva altro che reprimere tutte le sue sensazioni, specialmente davanti agli altri. Ma poi eccolo là. Il molliccio non era più un molliccio ma era niente poco di meno che Jason Barnes. Suo padre. Si può avere così tanta paura del proprio padre? Era esattamente come se lo ricordava, aveva il viso bellissimo ma molto stanco, consumato da alcool e cattiveria, ma soprattutto da anni ed anni di situazioni rinnegate. Si era seduto di fronte a lui, Blake era immobile. Non si sarebbe subito sottratto a quello schifo. Di cosa aveva paura esattamente? Aveva il cuore che batteva così forte che quasi gli scoppiava. Doveva semplicemente… fermò i pensieri. Jason Barnes gli stava ridendo in faccia. “Sei proprio un piccolo bastardo!” Era quella la sua più grande paura, ancora non riusciva a definirla come si sarebbe dovuto, ma Blake Barnes era un ragazzo complicato e complesso di natura, comprendere la sua stessa paura, sarebbe stato difficile persino per se stesso. Sentì le mani prudergli, avvertì l’istinto di buttare la bacchetta per terra ed andargli a spaccare quella faccia del cazzo che si ritrovava. Ogni volta che sentiva gli occhi del padre addosso si sentiva uno schifo, un assassino, si sentiva una persona ignobile non degna di essere amata in nessun tipo di modo. Sapeva che non era così, ma aveva paura di essere esattamente in quel modo. Aveva sempre vissuto con la consapevolezza che quell’uomo tirasse fuori il peggio di sé, ed adesso vederlo li, vederlo li che rideva di lui, che si prendeva gioco di lui lo faceva innervosire, tantissimo. “Infondo risolvi tutto con la violenza, bevi… non sei capace di piangere né di provare sensazioni che siano diverse dalla rabbia; hai mai detto a qualcuno che lo vuoi bene? Ne saresti in grado Barnes? ” Ed in quel momento era estremamente vero quello che stava dicendo. Era incapace di piangere. Non si ricordava neanche se lo avesse mai fatto in realtà. “Che farai ammazzerai la tua fidanzatina come hai fatto con l’unica donna che ti abbia mai amato veramente? Non pensi che io, tuo fratello Aaron e tua madre Helena stessimo meglio senza di te?” Lo vide alzarsi. Non aveva scelto lui di far morire sua madre, giusto? Eppure in quel momento si stava sentendo così dannatamente in colpa! E se davvero avesse fatto del male a Lilith come aveva fatto a sua madre? E se anche lei stava meglio senza di lui? “Vedi? Anche adesso sei incapace di controbattere a quello che dico perché sai che è la verità. Jesse preferirà sempre Erik a te, è lui il suo migliore amico! Lilith troverà un ragazzo con meno problemi che la renderà felice! Per Elisabeth sei solamente una patata mollente che non vede l’ora di levare da mezzo. Per non parlare di Aaron. Gli hai rovinato l’esistenza, per colpa tua non solo lavora di più ma è sempre preoccupato per le tue risse stupide da ragazzino viziato… Allora… chiediti: non era meglio che fossi tu quello a morire il 2 gennaio 2002?” Chiuse istantaneamente gli occhi e poi li riaprì. Blake aveva sofferto per una vita di sensi di colpa, oramai era un dolore così costante che ci era abituato, ma non era abituato a sbandierarlo ai quattro venti. “Sta zitto, cazzo!” Aveva la voce che gli tremava, gli occhi iniettati di sangue. Ma rimase calmo, una calma quasi sconcertante per un ragazzino di 17 anni. Aveva un autocontrollo quando si parlava della sua vita privata che non riusciva neanche lui a comprendere completamente, ma sapeva che quella era semplicemente la quiete prima della tempesta. La sua runa lo aveva accettato di buon grado, ma la sua runa non parlava di niente di buono: Rottura, Tempesta, Distruzione.
    Tutto, sarebbe voluto diventare tutto quanto, tranne come quell’uomo che era stato appena descritto, ossia privo di provare sensazioni piacevoli, incapace di mostrare i propri sentimenti e una persona che risolve tutto con la violenza in quanto non sa gestire davvero la sua rabbia. Il problema era solamente uno: il molliccio in realtà era come se fosse la sua coscienza. Era sé stesso che parlava a sé stesso. Aveva paura di affrontare quello che aveva dentro più di ogni altra cosa e il molliccio aveva preso la forma di suo padre solamente perché, lui Blake Barnes, lo riteneva il responsabile di tutto quello che gli era sempre mancato. Era il senso di colpa che non faceva altro che consumarlo e fargli allontanare le persone che lo volevano bene solo per paura di rovinare le loro bellissime vite. Il molliccio aveva la sua stessa faccia strafottente ed adesso che lo rifletteva aveva cambiato un po' forma… Blake aveva paura di sé stesso più di quanto avesse paura di altri. Aveva paura di quello che aveva dentro, aveva paura di quello che potesse fare, della rabbia che provava. Aveva quasi ammazzato di botte un ragazzo solo perché aveva detto che si era masturbato su di una foto di Lilith – che poi chissà se era vero! -, cosa avrebbe mai potuto fare se avesse perso il controllo completamente? “Si Barnes, sei un fottutissimo caos.” Se avesse anche saputo che di li a poco 4 delle sue compagne sarebbero stare rapite per colpa sua, beh, allora quel molliccio avrebbe sicuramente ucciso Blake. Puntò la bacchetta contro quel coso. “Vaffanculo.” Lo disse tra i denti, sentiva che la calma apparente di qualche istante fa lo stavano per abbandonare, ed allora ad Ensor non gli sarebbe servito un armadio per il molliccio ma delle catene per il suo alunno preferito (?).
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    Adamas Vesper
    Studente | 17 anni

    Finalmente, finito il test, Adamas si permise un breve respiro di sollievo.
    Brevissimo, a dirla tutta.
    Non appena Ensor iniziò a parlare, infatti, sentì salire l’adrenalina in corpo: era quello il momento in cui il gioco si sarebbe fatto sicuramente più difficile. A seguito della minaccia poco velata che il docente fece nel richiedere silenzio, Adamas si trattenne dal muovere qualunque muscolo mimico o fonatorio: divenne insomma una specie di statua di marmo, il cui petto si abbassava impercettibilmente a causa della respirazione.
    ‘Come diceva quel video di yoga? Concentrarsi sul respiro, inspirazioni profonde?’
    Effettivamente, eseguendo tale esercizio poté calmarsi abbastanza da ascoltare con maggiore attenzione le parole di Brian. Il docente aveva appena ampliato lo spazio nei dintorni della cattedra, per cui ora la classe sembrava davvero un Colosseo in miniatura.
    ‘Ah, finalmente la carneficina non sarà più sugli spalti ma sull’arena. Scommetto che Ensor guarderà la prova dagli spalti, sentendosi un po’ imperatore romano. Beh, se Blake dà fuoco alla classe’ e qui scoccò un'occhiata fugace verso il Black Opal chiacchierone ‘sarà un po’ Nerone che guarda bruciare Roma.’
    In quel momento, Ensor svelò in cosa sarebbe consistita la prova pratica: Mollicci. Quando però il docente espresse il proprio disappunto per il fatto che questi non attaccassero fisicamente, Adamas sospettò potesse esserci qualcos’altro sotto. Poco dopo, il suo timore si dimostrò fondato: a quanto pare, Ensor aveva una vera e propria passione per i combattimenti. Ci sarebbe stato un altro Mutaforma: ma quale avrebbe potuto essere? Adamas cercò di richiamare alla memoria la moltitudine di creature mutaforma, ma in quel momento l’adrenalina gli impediva di raccapezzarsi.
    ‘Ci rinuncio: ci penserò quando la vedrò. Intanto, concentriamoci sul problema che conosciamo… il Molliccio!’
    Vide alcuni, come Mia, essere turbati dalla scelta della prova pratica: non sarebbe stata certo una lezione spensierata e festosa. Rispose allo sguardo della ragazza come a dire ‘Forza, passeremo anche questa’, nonostante non ne fosse sicuro al cento per cento. Si rallegrò un poco quando Ensor annunciò le coppie: era stato messo in coppia con Nikolai . Certo, una parte di lui aveva sperato di finire in coppia con Jesse, ma grazie alla lingua lunga di Blake ciò non era possibile, visto che i Black Opal se la sarebbero dovuta cavare da soli. Per quanto tutto ciò fosse colpa di Blake, non poté fare a meno che provare un moto di compassione verso di lui e soprattutto verso i suoi compagni: una prova del genere senza supporto morale era davvero ardua. Si avvicinò a Nikolai, senza parlare ma semplicemente porgendogli un sorriso sincero: il momento di esortarlo e parlargli sarebbe venuto di lì a poco.

    “Vesper.”
    Finalmente venne il suo turno: Adamas si portò di fronte ad un armadio. Aveva usato quel tempo di attesa per pensare a quale fosse la sua paura più grande, senza raggiungere una vera e propria risposta. Sapeva di aver sempre temuto di non poter affermare liberamente la sua individualità; quindi veniva la ben più chiara paura di finire per assomigliare a suo padre. Come avrebbe potuto un Molliccio o chissà cos’altro rappresentare due fobie così distanti tra loro?
    Senza alcun problema: questa fu la risposta al suo dubbio.
    Dall’armadio fuoriuscì suo padre, che teneva per mano un Adamas intorno ai cinque anni: quasi come se fosse una copia restaurata e amplificata di ciò che aveva visto nel sogno della lezione condivisa di Rune. Infatti, in questa versione, il piccolo Adamas aveva rinunciato a combattere; si lasciava trascinare da Emathion con sguardo spento, come se non provasse alcuna gioia. L’Ametrino guardò la sua versione più piccola mentre si prendeva uno schiaffo e veniva lanciata a terra; in quel momento, sentì le lacrime salirgli agli occhi.
    ‘No… no… reagisci… non farti piegare!’; la capacità di parlare pareva aver abbandonato il suo corpo. Poteva solo osservare la scena e sperare che le sue paure non si mostrassero ai suoi occhi.
    Ma niente: la sua copia più piccola, pur cercando di reagire, era troppo debole: fu così che soccombette a Emathion. A quel punto il padre si trasformò in sua madre, che però giaceva a terra mentre Adamas bambino la fissava con occhi vitrei e privi di speranza: aveva un’espressione sconvolta, che andava ben oltre le lacrime.
    ‘No… non è mai successo. Non può succedere…’
    Ma sapeva benissimo che, se avesse perso sua madre, la sua psiche (sia infantile che adulta) sarebbe stata annientata: glielo stava mostrando proprio la creatura. Osservando disgustato e sconvolto quella scena, Adamas sentiva quasi ogni velleità di combattere scemare. Le lacrime erano copiose e gli bagnavano la guancia, mentre il Mutaforma continuava ad alternare sempre più velocemente scene del piccolo Adamas bistrattato dal padre o con gli occhi vitrei a fissare il carattere della madre.
    Finché a un certo punto il bambino iniziò a crescere, assimilando le energie del padre a poco a poco; quest’ultimo intanto diveniva sempre più fragile e debole, fino a scomparire, mantenendo però un sorriso soddisfatto come a dire ‘Sì, figlio, divieni ciò che voglio’. Nel momento in cui quest’ultimo fu consumato del tutto, il Mutaforma prese le sue attuali sembianze. Ma era un Adamas ben diverso: più scavato nel volto e nell’anima, incattivito, indurito dall’ossessione del padre di essere sempre il migliore, di portare orgoglio alla sua stirpe, di essere un Vesper fino al midollo. Era l’archetipo del figlio di Emathion, sia negli atteggiamenti che nelle espressioni: gli rivolse un sorriso che non aveva nulla della dolcezza di quello del vero Adamas, ma era anzi freddo, calcolatore, crudele e arido. Gli trasmise un senso di terrore e impotenza: avrebbe voluto urlare tra le lacrime, ma era impietrito, incapace di qualsivoglia azione. Irrazionalmente sentiva che, se mai fosse stato toccato da quel suo doppelganger malvagio, non avrebbe mai più potuto essere se stesso.
    ‘Non voglio… non voglio essere così… non voglio diventare così...’
    Restò fermo a piangere e osservare inorridito, mentre la sua copia malvagia si avvicinava, sembrando più forte e sadica ad ogni passo compiuto. La sua unica speranza restava Nikolai: sarebbe riuscito il Dioptase a scuotere il suo animo, e provocare una scintilla di combattività tale da farlo reagire?
    ‘Chissà cosa mi attende ora… qualunque cosa sia, non sarà affatto una passeggiata.’
    "Parlato"- 'Pensato' - "Ascoltato" | Scheda PG Stat.
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    Ametrin
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    Lucas Jughed Jones
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    un ragazzo sogna sempre di essere in un gruppo, rock: tutto è più grande della realtà.
    Se c'era una cosa che odiava erano proprio i compiti in classe a sorpresa. Se già con quelli programmati arrivava impreparato, figurarsi con quelli a sorpresa. E pareva che Brian Ensor, sapesse esattamente come rovinare la media dei suoi studenti.
    Una grande canaglia, quel professore. Eppure, Jug lo ammirava, per quanto stesse attento a quel che diceva in classe, preso com'era da osservare i comportamenti di Blake e Elisabeth.
    «Ma quello non era il fidanzato di quell'acidella della Clarke?» sbuffò al pensiero, con il mento poggiato sulle mani, incrociate sul banco.
    Non era geloso, ma si infastidiva a vedere qualcuno ronzare intorno all'Opale, nonostante sapesse che lui non ci poteva fare poi molto.
    Quando la lezione proseguì, rimase in silenzio, ma non perché stava ascoltando proprio ogni singola parola di Ensor, ma perché era distratto dal pensare a come chiedere a Blake cosa ci fosse tra lui e la Lynch. L'unico modo che gli veniva in mente era di affiancarlo e prenderlo in giro, non trovava altri mezzi, ma questo avrebbe provocato una rissa e sapeva che di mezzo ci sarebbero finiti anche altri.
    Avrebbe dovuto fare tutto beccando il ragazzetto da solo, tanto a prenderle era abituato.
    Alle parole danni psicologici irreversibili, Ensor riebbe la sua attenzione, tanto che Lucas ruotò gli occhi al cielo, ormai rassegnato che prima o poi sarebbe finito da uno strizzacervelli.
    «Non bastavano i danni fisici, adesso anche quelli psicologici... non capisco come fanno a dire che in accademia si imparino tante cose, io sto solo imparando a farmi male...» ovviamente se avesse esposto i suoi pensieri ad alta voce, la sua pena sarebbe stata maggiore di un danno psicologico, conoscendo le punizioni di Brian, quindi se ne vide bene di proferir parola.

    Rise alla battuta del docente sulla sua casata: dai, erano quelli che ridevano di più, se non fosse stato che ... per farlo non studiavano. Scrollò il capo, rassegnato, ormai, quindi in base a come diceva il professore, si smistò nelle coppie.
    Se fosse passato vicino ad Erik, avrebbe cercato la sua attenzione per un attimo «Tranquillo Foster, se hai paura, stanotte dormiamo insieme.» gli fece un occhiolino sarcastico, quindi.
    Lucas, ad Erik, voleva davvero bene. Era il primo che aveva incontrato, il primo che gli aveva permesso di stare in silenzio anche mentre erano insieme. E poi... lui gli occupava le giornate, raccontandogli stronzate su stronzate, come se fosse il fratello che vedendoti triste, cerca di farti ridere a tutti i costi.
    Sapere che al ritorno da ogni rissa c'era Erik che russava come un cammello, a quattro di spade sul letto, era una certezza in più.
    Insomma, avrebbero avuto a che fare con un Molliccio. Che avrebbe personificato le sue paure e le risate lo avrebbero reso innocuo, una passeggiata... quasi era meglio il compito a sorpresa.
    «Dannazione, non posso nemmeno stare con Lizzy.» attese di essere diviso in coppia con qualcuno, quindi, per poi accorgersi che avrebbe preferito rimanere da solo.
    Andros.
    Dai, davvero?
    Era quello che Lucas non sapeva bene come valutare, se amico o pretendente della Lynch.
    Aveva sperato fino all'ultimo di finire con Erik, o con Jesse. Perché non con Joshua, poi? No. Andros.
    Lucas sbuffò svogliato, quindi, strisciando verso il suo compagno «Ciaoooooo» miagolò annoiato, quasi, scrollando le spalle e volgendo poi lo sguardo verso il pavimento.
    «Beh, che dire... io prenderei lo scrigno. Ma non fidarti delle mie scelte, non sono una cima nel prendere decisioni. Ah, sì... io sono Lucas, ma credo che tu lo sappia, visto che ci troviamo spesso da un lato opposto rispetto a Lizzy.» prima frecciatina che non fece in tempo a frenare.
    Sbuffò, quindi lasciando che il ragazzo prendesse la sua vita, tra scrigno e armadio «Andros, ricordati che quello che apparirà davanti a te, non è reale, ok? Ce la puoi fare amico! Io sarò qui ad incoraggiarti e a ridere del tuo Molliccio!» una pacca sulla spalla, davvero maschile, quindi, per poi attendere il suo turno.

    Era stato facile dire ad Andros cosa fare, ma quando fu lui davanti allo scrigno, le cose si misero diversamente.
    Lucas prese più di un respiro, non sapeva esattamente cosa avrebbe potuto trovare all'interno di quel cosetto, ma sicuramente doveva essere più forte del Molliccio per poterlo annientare e rimandare indietro.
    Tirò un respiro profondo, quindi...

    «Jones, allora? Ce li hai quei soldi?! Me li devi, amico!» era qualcuno, che era piegato verso il basso, ma non riusciva a vedere cosa ci fosse a terra. O chi.
    Lucas cercò di sporgersi, con la fronte aggrottata e quello che riconobbe fu il suo cappellino.
    Era... lui?
    Ma se lui era davanti allo scrigno, come poteva vedersi con occhi esterni? Era forse morto?
    «Sei come tuo nonno e tuo padre» uno sputo, su quel suo corpo che non faceva altro che sputare sangue, senza reagire «Morirai esattamente come lui... ahahah, non puoi scappare Jones.» quella voce era fastidiosa.
    Ma perché non reagiva.
    Ora lo stava prendendo per il braccio, lo stringeva e lo strattonava e lui era solo un bambolotto inerme in quelle dita ruvide.
    Lucas, quello reale, si toccò lo stesso braccio che aveva preso il Molliccio.
    «Lasciami stare...» un sussurro spezzato venne dallo studente sotto prova, gli occhi erano spalancati davanti a quella scena, mentre l'uomo lo prendeva a calci «Come ho ammazzato i tuoi genitori, così farò fuori la tua ragazza... rimarrai solo Jones.» il cuore si strinse a quelle parole. Quale ragazza? Lui non aveva una ragazza «Sai, era davvero bella... con quegli occhi da cerbiatto celesti... quei capelli lunghi e quel fisichetto... e bravo a Jones... sai, pensavo quasi di farmela, mentre la uccidevo... peccato che non ci abbia pensato prima di romperle il naso...» il Lucas Molliccio non reagiva, non lo guardava, aveva la testa china e subiva tutto quello che stava succedendo.
    Quello reale, invece, stringeva i pugni lungo i fianchi «Liz... non può essere lei... non può parlare di lei...» gli occhi erano sgranati, mentre si vedeva davanti ad una cassa di legno, con su scritto fragile «Cerca di vendere tutta questa roba, Jones... o finirai con la tua amichetta, sotto terra...»

    Era davvero diventato quello per cui lottava? Quello per cui non voleva dire il suo cognome? E ci aveva trascinato dentro anche Elisabeth? Non poteva essere... la sua paura più grande si era fatta realtà... com'era possibile?
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    Erik Foster | Ametrin | II anno
    Al termine della mezz'ora di tempo i compiti di ogni studente cominciarono a volar come farfalle, posizionandosi poi sulla cattedra del docente. Ti prego, fa che abbia almeno preso un Accettabile. Erik non chiedeva molto nonostante Difesa Contro le Arti Oscure fosse una delle sue materie preferite. Amava aiutare gli altri e con le conoscenze che poteva apprendere grazie a quella disciplina era convinto di poter aiutare il prossimo, tuttavia il destino era beffardo e di fronte gli pose uno scoglio enorme da superare: Brian Ensor,
    Trovandosi già in prima fila non dovette far nessun movimento quando gli spalti cominciarono a muoversi. Alcuni dei suoi compagni approfittarono di quel momento libero per scambiare qualche parola, ma non l'Ametrino. Aveva la testa ancora al compito appena ritirato, era riuscito a dar il suo meglio? Se gli fosse capitato il Troll di Montagna sicuramente avrebbe fatto molto meglio, ma se non altro si era salvato dai Doxy. Magari se gioco bene le mie carte con la parte pratica potrei riuscir a salvare la mia media. In fin dei conti da buon ametrino riusciva sempre a dar il meglio di sé con i fatti anziché con le parole, ma giammai si sarebbe immaginato una prova complessa e pericolosa come quella che il docente aveva organizzato. I MOLLICCI? MA E' PAZZO? Tamburellò nervosamente la mano contro il ripiano su cui aveva scritto, cercando di ricordare quante più informazioni possibili sui Mutaforma. Se non mi capita il Molliccio sono spacciato.
    L'unica nota positiva? La possibilità di poter far a coppia l'esercizio. Ad Erik tra le tante ragazze toccò Ayla. Non era ancora riuscito a stringere una particolare amicizia con lei, probabilmente perché i due non si erano scambiati spesso la parola. Era probabile che i due frequentassero ambienti diversi, ma ciò non voleva dire che fosse in qualche modo prevenuto su di lei. Quando il docente fece il loro nome, il Prefetto si avvicinò alla ragazza porgendole un rapido saluto con la mano.
    Ehi, come ti è andato lo scritto? In caso non preoccuparti, sono certo che faremo un ottimo lavoro! Fu allora che portò la mano verso di lei, alzando poi un pollice decisamente ottimista. Perfetto, ora siamo solo io e questi cosi. Da una parte si presentava una sfilza di armadi, dall'altra gli scrigni. Cosa scegliere? Provo a far la conta. Indicò con l'indice ogni contenitore mentre una filastrocca venne recitata nella propria mente. Alla fine di questa il dito era contro uno dei bauli. Speriamo bene.
    Man mano che si avvicinava in direzione dello scrigno la creatura al suo interno cominciò ad agitarsi violentemente. Emetteva rumori sordi, era evidente come avesse percepito l'avvicinarsi di Erik. Ancora qualche metro. Con un'ultima spinta il Non-Essere riuscì a liberarsi. Apparve il buio più totale, spezzato solo in parte da una splendida luna piena in cielo. No. No. NO. TUTTO MA NON QUESTO! Erik indietreggiò di un passo, ma un forte ululato investì in pieno le sue orecchie, paralizzando ogni suo movimento. Dalla coltre oscura apparve una copia di se stesso da mannaro. Era terrificante, grosso, imponente, abominevole. I suoi arti terminavano con artigli affilati come rasoi, le zanne del suo muso allungato sembravano così forti da squarciare gli alberi, ma ciò che più di ogni altra cosa gli fece paura furono gli occhi giallastri bramosi di sangue. Si vedeva come lo desiderava, dopotutto aveva la bava che colava dalla sua bocca. Il lupo però parve non notarlo, che non fosse lui la sua reale paura? Ecco che l'ultimo angolo di buio si dissipò, rivelando il cadavere della propria madre. Il Lupo si scagliò su di essa e nonostante Erik desiderasse far qualcosa per proteggerla si sentì completamente pietrificato. I-io. Non posso farcela. F-fermati! FERMATI, TI PREGO! Urlò l'Ametrino, incapace di distogliere gli occhi dalla scena. Il licantropo affondò i taglienti artigli nella pelle per squarciarla fino al midollo. Lembi di carne e di tessuti vennero spazzati in aria e i pochi che riuscì a prendere a volo vennero masticati. Si stava cibando della propria madre. Lui che dava corpo e anima alle persone a cui voleva bene in quel momento stava togliendo la vita alla persona che l'aveva fatto venire al mondo. Mi sento male. Scosse rapidamente la testa mentre continuò ad indietreggiare, purtroppo però i lacci delle sue scarpe non erano del tutto legati, così inciampò su di essi e cadde a terra. Tra lui e l'illusione c'erano solo due metri di distanza e in quel momento capì la sua vera paura: non riuscire a controllarsi.
    Non si era mai visto sotto forma di lupo mannaro ed era uno spettacolo raccapricciante. Cosa avrebbero potuto pensare i suoi compagni? E il docente? Acciderbolina, fo-forse è il caso di battere in ritirata. Un ottimo voto non valeva un trauma adolescenziale. Aveva il cuore a mille, tremava a più non posso e non parlava per evitare di far udire la propria voce rotta.


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    Brian Ensor | Docente DCAO
    Le derisioni a danno di Samuel si fecero sempre più pesanti, sfociando anche in un lessico assai più volgare, più offensivo, più crudele. Il suo ego ne risentì clamorosamente, ragion per cui avrebbe dovuto farsi coraggio per ritrovare l'autostima perduta prima di eseguire qualsivoglia incantesimo. [Puoi far il tutto in un unico post]

    Joshua, la scena ti toccò nel profondo. Preso dallo sconforto e dai pensieri negativi non ti accorgesti dello sguardo di Annabelle. Per un solo istante ti fissò con un ghigno innaturale e avanzò di pochi passi verso di te. Solo a pochi metri di distanza i lineamenti del suo corpo cominciarono a mutare in una chiava più demoniaca, finendo col balzarti addosso. Preso di sorpresa non riuscisti a schivare il suo attacco [1D20: 2+7(DES)= 9] Josh si ritrovò a terra con Annabelle sopra e con le sue mani raggrinzite sul collo.
    Forse con un po' più di fortuna le cose sarebbero andate diversamente.

    Nessuno poté invidiare ciò che accadde a Mia. Sfortunatamente il suo armadio non conteneva un Molliccio, ma un Mutaforma. Tutti i ragni e gli insetti che sentiva sul corpo erano reali e non il frutto di un'illusione. Ne ebbe la chiara prova quando un topo particolarmente grande riuscì ad infilarsi dentro la divisa e a morderle sul petto. La pelle era a contatto non solo con la peluria dei suoi simili, ma anche a quella dei ragni.

    La situazione di Blake prese una piega inaspettata solo quando puntò la bacchetta contro il Non-Essere. Altro buio si generò dall'armadio e brevi flash di una realtà distorta vennero mostrati. Si trattava di episodi passati in cui il genitore aveva adottato scelte moralmente atroci e in quello stesso momento Blake sentì il proprio battito cardiaco palpitare. Se fosse stato al suo posto, probabilmente non si sarebbe comportato in maniera diversa. Era le realtà? La paura era stimolata solo dalla Creatura o i due Barnes non erano poi così diversi?

    Adamas Vesper reincarnava il modo di dire siamo il peggior nemico di noi stessi. Il doppelganger approfittò di un momento di debolezza del suo alter ego per tirar fuori la propria bacchetta magica. Flipendo. Forse lo spavento riuscì a donar ad Adamas abbastanza adrenalina per schivar il colpo o, più probabilmente, si trattava di un grande colpo di fortuna. [1D20: 18+6(Des)= 24]

    Lucas era stato messo sotto scacco, poi ci fu un flash abbagliante e non appena la luce tornò alla normalità Lucas poté ammirare uno spettacolo raccapricciante. Il sacchetto di roba era stato venduto solo per metà e il suo corpo ammucchiato per strada sopra a quello dei suoi genitori e di Liz. Nonostante fossero tutti morti, l'uomo afferrò il cranio del Lucas non reale e lo sbatté a ripetizione e con violenza contro il duro asfalto. Ti. Avevo. Avvertito. Coglione. Il volto del ragazzo stava diventando irriconoscibile, ma allo stesso tempo il mostro non aveva intenzione di fermare quel violento spettacolo.

    Erik, il lupo non uccise unicamente tua madre, ma anche Blake e Jesse, il suo parabatai. Aveva realizzato una vera e propria carneficina, palesando ancora una volta come facesse del male a tutti coloro che gli si avvicinavano. Ora era solo, senza nessuno con cui stare e gli anni passarono e il corpo invecchiò, ma ciò che gli spettava era una vita in completa solitudine, poiché sarebbe stato un pericolo per chiunque.

    RevelioGDR


    Chiedo gentilmente a Josh, Samuel e chiunque non lo avesse ancora fatto di inserire il link della propria scheda statistiche nel proprio role scheme o in firma, grazie ù.ù
     
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    Nikolai van Aalter
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    Mentre l'aula si ingrandiva magicamente per permettere al professor Ensor di far sentire ancora più piccoli ed insignificanti gli studenti.. ah, si, e di avere più spazio per la prova pratica che si sarebbe tenuta di lì a breve, Nik non poté fare a meno di pensare che in realtà Brian avesse un lato di sé ben più pomposo ed altezzoso di quanto traspariva normalmente a lezione.
    Insomma, non che di base non guardasse gli studenti e più o meno chiunque come fosse un verme, però in qualche modo sembrava sempre trattenuto ed in qualche modo pacato nelle sue esternazioni di odio.
    Non sembra, ma gli incantesimi che usi, il modo in cui li usi, anche solo i movimenti della bacchetta e il tono usato durante la pronuncia dell'incantesimo dicono molto di chi sei. Proprio come quando si mangia, è difficile per un mago mentire quando compie azioni così meccaniche ed istintive come il muovere il proprio legno. E già da un po' Nik aveva osservato come il professor Ensor sembrasse.. castrato, a volte.
    "Sarà per questo che è così dannatamente scontroso. Stress accumulato... magari gli serve un corso di arti marziali.. almeno si sfoga.."
    Si ritrovò a pensare, in maniera estremamente ingenua ed anche un po' stupida, mentre dalla bocca dell'insegnante usciva finalmente fuori il nome del pericolo che ci sarebbe stato dentro la prova pratica.

    Mollicci! Viscidi, infidi e misteriosi.
    Perfetti per una prova di Brian sarebbe stato il pensiero logico successivo, se solo Nik avesse potuto sapere le cose che macchinavano negli oscuri meandri di quella scuola, cosa che però purtroppo non era. Buttò un occhio ad uno di quegli armadi che iniziò ad agitarsi come posseduto da chissà quale spirito maligno. A quel punto il ragazzo decise saggiamente di farsi gli affaracci suoi e lasciar finire la spiegazione ad Ensor.
    Sarebbe stata una prova a coppie.. meno che per i Black Opal, certo, ma comunque nel concetto iniziale una prova a coppie, quindi andiamo, quanto sarebbe mai potuto essere difficile, con un amico che ti copriva le spalle? Beh, mai pensiero fu più errato.
    Siamo finiti insieme, Adamas! Dai, vedrai che non sarà difficile. Basta un Riddikulus e passa la paura.
    Certo, Brian aveva appena finito di dire che con la metà dei mutaforma presenti quell'incantesimo non avrebbe avuto il minimo effetto, ma in fondo in fondo era più semplice liquidare il problema così, almeno da un punto di vista della morale.
    Pian piano la fila di fronte a lui iniziò a sfoltirsi ed infine, Brian pronunciò anche il suo nome e cognome. Rispose repentino con un Eccomi! e, dopo aver buttato un occhio alla sua sorellina ed averle fatto segno con il pugno di farsi coraggio (dato che lui non era bravissimo in Difesa, ma sapeva bene che lei con gli incantesimi era veramente negata), si posizionò di fronte all'armadio, pronto a scoprire la sua più grande paura.

    Nik era, giustamente, un po' teso. Come biasimarlo. Gli era appena stato detto che si sarebbe di lì a breve trovato faccia a faccia con la sua peggior paura, un vago senso d'angoscia era più che giustificato. Peccato, però, che quello sparì di lì a pochi istanti, venendo sostituito da un molto più inusuale sbigottimento.
    Cioè, scusa? E quello che sarebbe?
    Si chiese, un po' sinceramente deluso. Le ante si erano aperte e ne era fuoriuscito un braccio umanoide, ma che di umano poteva avere solo la forma e poco altro. La pelle, infatti, sembrava essere composta da chiazze più o meno quadrate o rettangolari dai contorni più o meno irregolari. Al loro interno colori accesissimi del calibro di un magenta, un ciano, un bianco ed un giallo si intersecavano e sovrapponevano, creando un effetto ottico tale da far male alla vista. Magari subito accanto ad un quadrato del genere, invece, se ne ritrovava un altro fatto di una miriade quasi infinita di puntini bianchi, neri e di gradazioni di grigio.
    Lo spazio, attorno al suo molliccio, sembrava vibrare e scattare in maniera convulsa.
    M-ma è.. il glitch di un videogioco..?
    La creatura si posizionò quindi di fronte a Nikolai, in tutta la sua irregolarità. Un vero e proprio essere umano, senza tratti somatici, composto solamente da queste schermate di errore che la metà sembravano prese da errori audio-video delle vecchie cassette VHS o da videogiochi di varia natura. Era un po' inquietante in effetti, fissare nel vuoto di quella.. faccia? Poteva anche definirsi faccia, quella?
    Gli occhi di Nikolai fecero per portarsi su Brian, come a volergli chiedere se il suo molliccio si fosse rotto, o qualcosa del genere, ma poi il suo sguardo venne rapito da un particolare solo che era cambiato. La creatura gli aveva porto il palmo della "mano" destra ed il quadrato che lo formava era cambiato. Adesso non ritraeva più una serie scomposta e sconnessa di colori vibranti, bensì una scena ben precisa, mostrata come se fosse vista attraverso il filtro di un televisore.
    Un ricordo molto sbiadito nella memoria di Nik, con un lui di pochi anni, forse sei, che guardava dall'asciutto sua madre, intenta a salire sulla sua barca a vela. La prima volta che l'aveva seguita per vedere cosa ci fosse di così speciale in quell'imbarcazione che tanto decantava come magica e fuori dal mondo.
    C-che cosa vuoi? Non provare a dirmi che ho paura di mia madre perché lo so benissimo che non è vero!
    Ora il Dioptase era un po' in ansia. La mano si spense, tornando alla sua colorazione originale e due nuovi quadranti mutarono; uno all'altezza del ventre della creatura e l'altro sul suo volto. Il primo mostrava un normalissimo ricordo d'infanzia di un Nikolai tranquillo e ben vestito, intento a studiare e a riscrivere formule da un libro bello grosso su un tavolo di legno, quello di casa sua. Il secondo, invece, era un ricordo ben più recente. Lui che chiacchierava con la polena della Dragone degli Abissi, il giorno dell'attacco di Cora Delaine. Anche questi si spensero e al loro posto se ne accesero degli altri, in giro sul corpo del molliccio.
    Uno di questi, che occupava quasi per intero la parte superiore destra della sua testa, ora raffigurava un quarto della testa di Nikolai. Anche altri pezzetti del suo corpo erano mutati per somigliare a della carne, mentre altri mostravano dei ricordi del giovane e la maggior parte rimaneva glitchata e fastidiosa.

    ¿Ch1 S3i tU d4Vv3R0



    Gli chiese, quindi, quel molliccio. Aveva una voce acutissima e stridula, quasi dolorosa alle orecchie. Insieme a quelle parole sembrò pronunciare una quantità indefinita di suoni d'errore. Il classico vecchio rumore della connessione ad internet, quello dello sfarfallio della televisione e chissà quanti altri ancora che non erano riconoscibili al primo ascolto.
    Non c'era un vero e proprio motivo, ma questo suo parlare mandò Nikolai nel panico. Qualcosa gli si conficcò nel cervello come un ago incandescente, stimolandogli in maniera dolorosa una parte dell'inconscio, tanto da costringerlo a mettersi una mano alla testa, che sentiva scoppiare.
    I-i-io.. non.. n-non.. so ch-che vuoi dire..
    Ed era vero. Nik era completamente ignaro del motivo per cui quella creatura e quelle parole lo destabilizzassero così. Ma tremava. Tremava davvero e forte. Quello era reale e non poteva ignorarlo. Si afferrò con la mano sinistra il polso destro per far star dritta almeno la mano che teneva la bacchetta. Inutile.
    La paura di perdersi. Di non essere più se stesso. Di non essere più nulla se non un guscio vuoto. Era questa paura astratta e primordiale che adesso si era incarnata nel molliccio di un ragazzo con una psiche frammentata tanto quanto la pelle della creatura oscura stessa. Nikolai era davvero sé stesso? Era solo una proiezione vivente creata da un'altra persona? Il Nik che era nato diciotto anni prima dal grembo di sua madre.. esisteva ancora? Sarebbe mai più esistito? Era ancora parte di sé oppure ora a star vivendo era un secondo Nikolai? E nel caso la risposta fosse stata la seconda.. lui poteva davvero considerarsi vivo? Oppure era alla stregua di.. un replicante di Blade Runner? Chi sei tu.. davvero?
    L'unica risposta vera al cento per cento in quel momento sarebbe stata:
    "Un ragazzo spaventato, tremante e con le lacrime agli occhi"
    RevelioGDR
     
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  13. Joshua B. Evans
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    A
    veva davvero bisogno di un "in bocca al lupo"? Sì, ne aveva decisamente bisogno.
    Crepi. E anche a te.
    Fece un cenno del capo alla ragazza e, seppur mantenendosi al suo fianco, si dedicò alla propria paura. Aveva intenzione di tenerla d'occhio, in fondo, per quanto quella prova fosse da lui ritenuta piuttosto individuale -gli sembrava quasi logico pensare che la lotta con un Molliccio fosse in realtà una lotta contro se stessi- Ensor li aveva divisi a coppie per un motivo. Avrebbe sostenuto Mia laddove lei ne avesse avuto bisogno, non tanto perché era lui l'uomo tra i due -in effetti, conosceva donne molto più cazzute di sé e la giovane Ametrin poteva rientrare tra queste, per quanto ne sapeva lui- ma anche perché era il più grande e dunque, almeno in teoria, quello con maggiore esperienza.
    Peccato che tutte quelle belle convinzioni non gli servirono a nulla: quando sollevò lo sguardo e incontrò ciò che il Molliccio riconobbe come la sua paura più grande, nonché la meno ovvia, tutto ciò che lo circondava finì nel dimenticatoio e dolore e sofferenza si impadronirono di lui.
    Poi d'improvviso tutto cambiò e Annabelle prese a camminare verso il figlio minore. Josh non aveva notato quel ghigno inquietante che non le apparteneva affatto, causa forse le lacrime o la convinzione che un'espressione simile non potesse appartenere alla donna più dolce e buona della sua vita, tuttavia per lui fu un colpo vedere quel viso di cui conosceva i lineamenti a memoria mutare, deformarsi fino ad assumere le sembianze similari a quelle di un mostro: le iridi normalmente grige si tinsero di un innaturale rosso sangue, così come le venature che riempirono il resto del volto; la lingua si biforcò e i denti si allungarono divenendo zanne affilate e intrise di sangue, le unghie si tramutarono in artigli e le ciocche di capelli ricci e normalmente di un biondo cenere presero a muoversi come ipnotici serpenti.
    Cazzo... CAZZO!
    Quella non era sua madre.
    Colto da un panico improvviso che non riuscì a spiegarsi, Josh fece qualche passo indietro pronto a fuggire, ma inciampò su se stesso e cadde a terra nel momento in cui quel mostro si avventò su di lui. Il ragazzo tentò di divincolarsi ma il demone era troppo forte e lo inchiodò spalle a terra, mentre il fetore del suo alito gli provocava un senso di nausea.
    Tu non sei lei! Lasciami... LASCIAMI!
    No, non lo era davvero. Sentiva ancora il volto umido delle lacrime di poco prima, percepiva il dolore che pensava di aver provocato a sua madre e in un attimo, come se la realtà gli si palesasse davanti più vivida che mai, si rese conto che quella creatura non aveva niente a che vedere con la donna che lo amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
    Lo sguardo artico di Joshua era in fiamme, rivolto con immenso odio verso la creatura ributtante che apriva le fauci per colpire. La bacchetta era ancora stretta nella mano destra del ragazzo, che tentava di agitare i piedi per calciare via il mostro e rimettersi in piedi. Quella stessa mano si mosse fulminea e puntò la bacchetta proprio in faccia al mostro.
    Poi cambiò idea: c'era un bisogno più impellente da soddisfare.
    Josh era troppo arrabbiato e frustrato per pensare a qualcosa di divertente, motivo per cui tentò di fare ciò che riteneva più adatto a quello che pareva essere l'umore del momento. Tirò indietro la mano sinistra chiusa a pugno e, con tutta la sua forza, caricò il braccio che sperò potesse andare a scontrarsi direttamente con la mandibola della sua "madre" demoniaca. E se fosse riuscito nell'intento, vi avrebbe colto un'enorme soddisfazione.
    Un bel pugno assestato, sì. A quel punto avrebbe esclamato: Beccati questo, stronzo!
    Per un momento si ricordò di Mia, chissà come e chissà perché e volse appena il capo per cercarla con lo sguardo. La vide vittima di insetti e topi e comprese di doverla aiutare... certo, ma chi avrebbe aiutato lui? Si ripromise di pensare a lei non appena avesse tolto di mezzo quello schifo che aveva addosso. Quel mostro non poteva essere un Molliccio, una creatura simile non l'avrebbe mai attaccato così apertamente.
    Con la bacchetta disegnò una linea dall'alto vero il basso, tentando di essere il più preciso possibile e tenendo lontana la creatura, per quanto ciò gli fosse concesso, con la mano sinistra. Poi, insieme al movimento, diede voce alla formula.
    FRASTRONUM!
    E a quel punto non gli restava che attenderne l'esito.


    Sorry. Link della scheda statistiche aggiunto in scheda.
     
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    Theresa van Aalter ( ▲ Scheda |▼Stat ) - 16 anni - Lycan - Ametrin - I Anno
    «Being brave means knowing that when you fail, you don't fail forever.» - Lana Del Rey
    Il segno del pugno stretto che cercava di infondere forza in sua sorella, sortì l’effetto sperato da Nikolai. Quando lei risistemò le sue cose sul banco frettolosamente, per avvicinarsi durante la prova pratica ad uno degli armadi visto che era in ritardo, si rese conto che l’avrebbe sostenuta assieme a Lilith Clarke e che consisteva nel lanciare “Ridikkulus” su un molliccio. Lei non aveva affatto confidenza con Lilith, l’aveva giusto intravista un paio di volte per il corridoio e ci aveva scambiato saluti durante la cerimonia d’inizio anno, ma nulla di più. Sapeva che era la ragazza di Blake, anche se a primo impatto al ragazzo gli aveva chiesto “ma cosa avete in comune voi due?” vedendoli così dissimili anche come caratteri se non per il fatto di essere due teste calde tutti e due. Ma la sua era una semplice domanda dettata dalla curiosità. Non sapeva neppure cosa volesse dire condividere qualcosa con qualcuno, figuriamoci un legame dettato dall’amore. Più guardava gli occhi color ghiaccio di Lilith più ci capiva poco di lei, doveva incoraggiarla? E come? A lei stessa avrebbe dato fastidio che le venissero dati consigli ed incoraggiamenti da chi non ci aveva scambiato neppure una parola. “Clarke, piacere van Aalter.” Allungò la mano per una breve stretta, fu concisa e più asciutta possibile nella sua presentazione, le sembrava la cosa migliore da fare. Poi agì d’impulso, parlandole “Nella prova col Molliccio se non desideri essere incoraggiata, basta dirlo, farò come preferisci. Ma in ogni caso credo che avere ottimi voti a difesa è la priorità di entrambe… Quindi, fronte comune?” Ecco, metodo più semplice ed efficace per chiedere una mano anche a chi non fosse esattamente interessato ad aiutarti, fargli render conto che anche lei era nella sua stessa situazione e se avrebbe necessitato di una mano, Tess non gliel’avrebbe negata. Avrebbe atteso una risposta della Dioptase prima di rivolgere un’occhiata ai mollicci altrui. Quello di Mia era terrificante, sembravano proprio veri quei ragni. Non vorrei proprio essere lei. Altri invece si manifestarono sotto forma di persone, ma quelli più strani furono quello di suo fratello e quello di Erik. Su quest’ultimo si soffermò rendendosi conto del fatto che fosse molto similare a qualcosa di già visto. Un gramo? No… Sembra diverso, è bipede e più grosso. Poi un barlume di consapevolezza si fece largo in lei. Dov’è che l’ho già visto? Si chiese prima di rendersi conto di quanto Nikolai fosse scosso di fronte al suo “missigno”. “Nik!” Non possiamo intervenire nella prova degli altri, probabilmente lo farò penalizzare se mi intrometto. Strinse i denti cercando di resistere all’impulso di richiamare l’attenzione di suo fratello, ma poi l’istinto ebbe il sopravvento mentre sentì un magone smuoversi nel suo petto. “Mio fratello! Sei mio fratello! Hai sentito bastardo?! LUI è un van Aalter ed è uno tosto! Quindi vedi di tornartene dentro a quell’angoletto buio prima che ti faccia il culo!” In quell’attimo, se suo fratello l’avesse degnata di uno sguardo, l’avrebbe trovata col pugno sinistro alzato, proprio quello stesso con cui lui le aveva cercato di infondere coraggio. Non voleva toglier spazio ad Adamas, sperava che il ragazzo ce l’avrebbe fatta a supportarlo al meglio ma starsene da parte, sentiva che avrebbe significato venir meno al suo ruolo. Ciò che aveva fatto valeva qualsiasi punizione da parte di Brian ed era pronta ad accoglierne le conseguenze. Fu quando riabbassò il pugno e chiuse gli occhi, portandosi con aria più serena e concentrata un passo in avanti verso il proprio armadio che lo vide aprirsi lentamente con un antina mentre che lei estrasse la propria bacchetta ritorta per puntarla in avanti, sollevandola come se stesse armeggiando un pugnale. In quell’istante qualcosa di legnoso cadde dal ripiano più alto dell’armadio e ticchettò fino in terra. Una bacchetta. Una bacchetta identica a quella di Tess. Le stesse venature, perfino gli stessi punti in cui era scheggiata. Lei si avvicinò per guardarla meglio, incredula. “Ma io non ho paura di niente…” Perché la sua bacchetta avrebbe dovuto spaventarla? Quasi quasi le venne da ridere e si chinò per raccoglierne la gemella ma non appena la sfiorò con una falange questi vomitò istantaneamente scintille magiche che si tramutarono in una scia fumosa di farfalle violastre che le frullarono addosso incontenibili, esplodendo al contatto. Theresa schizzò in piedi e si gettò all’indietro per lo spavento dello schianto, colta alla sprovvista andandosi a coprire istintivamente il viso, stringendo ancor più la propria bacchetta tra le dita. Si raggomitolò in terra, facendosi piccina, di modo che fosse più difficile esser nuovamente bersaglio di altri incantesimi, ma quando provò a risollevare la testa e ad aprire gli occhi, si rese conto che quella, sollevata dalla forza magica che stava utilizzando da sola, neppure fosse diventata un oggetto senziente, stava sputando altri pericolosi schiantesimi e non c’era alcun modo per cercare di fermarla. Che faccio?! Che faccio?! Dannate cose magiche! Perché devono essere così imprevedibili?! Così strane! In quel momento si rese conto di aver la propria bacchetta tra le mani e terrorizzata con un gemito di ribrezzo la lasciò andare in terra, tornando ad accucciarsi con le mani sulla testa, sperando che quella ridicola messa in scena del molliccio finisse al più presto, che quel sadico del Professor Brian fosse soddisfatto di quanto le stava facendo provare vergogna e senso di inadeguatezza. Scoppieranno a ridere tutti quanti, questa non è una paura che comprenderebbero, le altre a loro modo sono tutte spaventose e comprensibili-… Ma questa è-… Solo mia. E’ la paura dell’ignoto che solamente un Babbano potrebbe capire.
    Hear me scream, feel my rage, RevelioGDR.


    Edited by Theresa van Aalter - 19/10/2019, 20:34
     
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    lilith clarke
    Finalmente era arrivata la parte successiva della lezione, quella che non provedeva né compiti a sorpresa, né interrogazioni a tappeto, ma quella che amava di più Lilith: la prova pratica.
    Era ovvio che era in Accademia per imparare a castare incantesimi, non per saper scrivere bene il proprio tema su chissà quale essere particolare.
    Insomma, a scrivere ci pensava già prendendo appunti.

    Quando il professore chiese silenzio, Lilith lo fece, senza dare nemmeno un'occhiata a Blake, anzi, tenendo il nasino all'insù, per dimostrare quanto poco le interessasse di lui, pur fingendo della cosa.
    Una cosa era certa, sperava di non capitare in coppia con qualcuno che le avrebbe fatto prendere un brutto voto.
    Alla fin dei conti, c'era da dire che lei, nonostante ultimamente stesse allentando un po' la presa, distratta da Blake e dai suoi ormoni da tenere a freno, Lilith amava studiare e prendere buoni voti.
    La sua compagna, quella volta, doveva essere Theresa. Lilith non vedeva di buon occhio nessun tipo di ragazza che si fosse avvicinata troppo a Blake, ma doveva sforzarsi di non essere richiamata per averla ficcata dentro l'armadio del Molliccio, quindi prima di avvicinarsi, fece un grosso respiro e si stampò addosso un sorriso cordiale, classico di chi deve mantenere una facciata, ma che se non si conosceva bene Lilith, non si poteva capire che quel sorriso fosse forzato.
    Quando fu al suo fianco, i suoi occhi glaciali la squadrarono per un attimo, poi si fermarono sulla sua mano.
    «Lilith, non Clarke.» rispose, afferrando la sua destra. Non amava essere chiamata per cognome, seppur sembrava così altezzosa da pretenderlo a bocca chiusa, quindi fece quella presentazione breve, sollevando poi un sopracciglio alle sue parole.
    «Io voglio prendere un buon voto, quindi se questo significa incoraggiarti, lo farò.» beh, era sicuramente un ottimo inizio, no? Alla fin dei conti non l'era ancora saltata al collo in perfetto stile vampiro, questo poteva significare che forse il Molliccio sarebbe stata l'unica minaccia per Tess, in quell'aula, per oggi.

    Dopo lo scatto di Tess verso il molliccio di Nikolai, capì che era difficile tenerla a bada, quindi scosse la testa e la lasciò avvicinarsi per prima al suo molliccio.
    Dapprima non disse niente, Lilith, con le braccia incrociate al petto, quindi osservava. Quando poi quel molliccio prese il sopravvento su di lei, la Dioptase quasi sussultò. Corrugò lo sguardo, quidni, facendo di scatto un passo verso l'Ametrina. Cercò, se le fosse stato possibile, di avvicinarsi a lei. Se le fosse stato permesso, le avrebbe cinto le spalle «Tess, va tutto bene... ci sono io qui...» il suo tono cercò di essere il più fermo possibile, provò ad essere dolce e pacata. Strinse le dita intorno alla sua spalla, per farle capire che era reale la sua presenza «Questo molliccio non c'è, non esiste... si sta solo prendendo gioco di te. Hai detto che avresti fatto il culo a quello di tuo fratello, allora? Facciamo il culo al tuo, non credi?!» il tono di Lilith era sincero. Quella primina aveva qualcosa che non andava, se vedendo la sua bacchetta spruzzare magia, si spaventava così. «Che abbia paura della magia?» il pensiero di Lilith le fece storcere un po' il naso, ma non per disprezzo «Dai, Tess, immagina qualcosa di brutto per la tua bacchetta! Immagina qualcosa di... divertente, qualcosa che ti faccia ridere! Vai, che ce la faremo. Io sono qui e non me ne vado... quando vuoi, ti aiuto ad alzarti e rimandiamo indietro questo Molliccio!» Se Tess si fosse girata in quell'istante, avrebbe trovato sul volto di Lilith, gli occhi di ghiaccio puntati sulla Van Aalter, mentre le labbra sarebbero state piegate in una parentesi di dolcezza, reale. Un sorriso che voleva avvolgerla di calore.

    Poi venne il suo turno.
    Quello di cui aveva paura era dietro quell'armadio.
    Di cosa aveva paura lei?
    Lo avrebbe scoperto forse presto.
    Si morse il labbro inferiore, cercando di non lasciarsi intimorire da chi aveva accanto, cercando di non sbirciare quello che stava succedendo a Blake, per non lasciarsi trasportare dalla voglia di andare da lui a salvarlo dall'oblio...
    Apri le porte e fece un passo indietro.
    Il cuore le batteva all'impazzata.

    La cucina di casa sua, quella luce calda e i suoi genitori intonro alla tavola. C'erano anche i gemelli, che sembravano essere felici, ridevano e scherzavano...
    Poi... le foto sul camino, oddio che belle! Le ricordava tutte, c'era anche quella in cui eravano andati in campeggio lei e i suoi fratelli. La foto... sul... camino.
    La vide. La sua faccia era stata tagliata, coperta, distrutta.
    Le iridi cristalline cercarono di nuovo i volti dei fratelli, quella tavola imbandita. Erano cinque i posti a tavola, ma c'era qualcosa che non andava.
    Tra i due gemelli c'era anche lei.
    Il suo volto era cancellato, non aveva occhi, naso, bocca... niente... e i fratelli facevano come se lei non esistesse.

    Gli occhi della Prefetta iniziarono a riempirsi di lacrime.
    «Ehi, twins, vedetemi... sono lì... no, perché mi passate davanti... perché le nostre foto sono così rovinate? Ehi!» ogni parte di lei cercava aiuto, ma era un aiuto silenzioso, che non chiamava nessuno... Non la vedevano, ne potevano sentirla.
    Quella marionetta senza volto che il molliccio le stava mettendo davanti, ora vedeva le spalle dei fratelli, voltati, con aria di disprezzo, mentre bruciavano ogni singola foto di Lilith.
    «Non esiste più, ormai. Per noi... è morta.»
    Quelle parole risuonarono come una lama nel cervello di Lilith. Le ginocchia cedettero, le mani delal ragazza andarono sopra i suoi occhi. Non voleva più vedere. Non voleva più sentire. Faceva troppo male... cos'era quella sensazione?

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