Votes given by Zuleyka.

  1. .

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Che disastro era la vita? Un dolce e amorevole disastro, uno scontro continuo di anime ribelli, pronto a creare distruzione, un po' come un battito d'ali di una farfalla. E questa narratrice è certa che in un qualche spazio lontano da Hidenstone, una farfalla stava battendo le ali, ne bastavano solo due, di battiti, per generare quell'uragano che stava per accadere in quella tranquilla giornata di Novembre, presso quella Sala che tante cose aveva visto, ma mai l'inizio di un travaglio complesso di due anime agli antipodi.
    Per natura, il riccio dei Dioptase era egocentrico, spocchioso, secchione e molto poco attento a cosa accadeva alle sue spalle, credendo che se non fosse sotto il suo stesso naso, non era roba che poteva interessargli, qualora qualcuno cercasse il suo interesse, in fin dei conti, non si sarebbe certamente posto alle sue spalle. Tutto questo per dire che l'altro non si era accorto dello sgusciare di Zuleyka alle sue spalle, prima che la porta si chiudesse, complice il fatto che la sala era ancora completamente buia, tipo cinema da quattro soldi, per aver accolto i due precedenti studenti che bene avevano pensato di non riaccendere le luci.
    Lui faceva la sua entrata, mentre dietro di lui la ragazzina del primo anno che aveva tentato di approcciare, anche solo per divertimento, durante la lezione di Alchimia, metteva in atto il suo strano divertimento. Il ragno mise le sue otto zampette nei ricci dell'altro, muovendole un po', provando un leggero solletico sulla testa, che l'altro ignorò, confondendolo con una leggera folata di vento che forse proveniva da una qualche finestra nascosta dietro le pesanti tende nere che oscuravano ancora di più la sala.
    Non si accorse nemmeno che la porta non si fosse chiusa, o si fosse riaperta nel caso fosse successo, per far entrare l'altra a godersi la fine della sua scenetta.
    Solo il rumore dell'altra lo portò alla realtà, facendolo rizzare sul pouff, giusto per affacciarsi a guardare chi fosse entrato.
    Un angolo delle labbra si andò a flettere, piegandosi in un sorriso sghembo, prima di poggiarsi nuovamente sul pouff. Proprio in quell'istante iniziò a sentire un leggero fastidio al collo, quindi portò una mano a scivolare pigramente sulla pelle, cercando di eliminarlo.

    «Stavo decidendo. Vuoi vedere qualcosa in particolare?»

    Rispose, allungando verso di lei il telecomando, lasciando che i trailer continuassero a scorrere sullo schermo, creando un gioco di ombre e luci su di loro. Quel fastidio iniziò a protarsi, tuttavia, scivolando verso la schiena e facendo muovere un po' di più il ragazzo, che cercava di rimuovere quel solletichino che lo rendeva nervoso. Sbuffò provando ad ignorarlo, mentre si sfilava la giacca della divisa, già troppo agitato.

    «Quindi hai preferito intrufolarti in una stanza buia, piuttosto che chiamarmi, così da essere diversa dalle altre?»

    La punzecchiò appena, ancora muovendo le scapole per cercare di togliersi il frizzante passaggio delle zampette addosso, mentre rimbeccava l'argomento che avevano toccato in aula.
    Scattò in piedi, ad un tratto.

    «Ma che cazzo...»

    Iniziò a sbottonarsi la cravatta, velocemente, lanciandola a terra, quindi - quasi nevroticamente - sbottonò tutti i bottoni e lanciò via la camicia, afferrandola mancò stesse andando a fuoco. Il fastidio sembrò terminare, quindi Julian guardò il candido indumento, aspettando che apparisse da lì a poco il motivo del suo fastidio, che probabilmente si sarebbe affacciatto tra le pieghe malmesse del pezzo della divisa, rimanendo a dorso nudo, senza troppi problemi.
    Julian Miller

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    Light my fire.
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    Studente, II anno - Dioptase

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  2. .

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Lezioni finite, compiti fatti e Cameron fuori con Lilith.
    Una di quelle giornate dove non aveva proprio nulla da fare.
    Una di quelle giornate dove avrebbe preferito partire per tornare a New York e non rimanere in quella cazzo di scuola che odiava in ogni angolo che poteva formarla. Ma come cazzo aveva fatto a ritornarci?
    Doveva trovare un posto per stare solo, per poter pensare di non essere in Inghilterra e di non avere Regina intorno.
    Dove cazzo era finita, pure lei?
    Ma era possibile che nonostante fosse tornato solo per lei, la ragazza non aveva fatto altro che evitarlo?
    Per me non è cambiato niente.
    Questo gli aveva detto, peccato che a parole era stata bravissima, mentre a fatti... beh, la sola dimostrazione era che lui era da solo a girovagare per la scuola, mentre lei non faceva altro che andare chissà dove con chissà chi. Il riccio continuava a credere che gli stesse nascondendo qualcosa, voleva proprio sapere cosa fosse e prima o poi l'avrebbe sicuramente seguita per scoprirlo, tuttavia non era quello il giorno, più che altro perché nervoso com'era, non voleva il peso anche di una discussione con lei.
    Sbuffò, tirandosi indietro i ricci, mentre vagava per i corridoi del terzo piano.
    Cosa poteva fare per ammazzare il tempo?
    Sfogliò le pagine di instagram, cercando ispirazione, quando dovette fermarsi per far passare una coppia di studenti che uscirono dalla Sala Multimediale, commentando una delle ultime serie Netflix uscite.
    Julian guardò loro, poi guardò la stanza e prima che si chiudesse la porta, scivolò in mezzo per entrarvi.
    Sembrava non esserci nemmeno Isaac, ma la cosa non era definitiva, quello stronzo di fantasma appariva dal nulla quando meno ce lo si aspettava, facendo prendere una paura a tutti.
    Quindi non restava che approfittarne e cercare qualcosa da vedere, alla fin dei conti non era niente male quella sala e lui la utilizzava davvero troppo poco. Si gettò su uno dei puff sparsi per la sala della smart-tv e afferrò il telecomando.

    «Hey, riproduci i trailer delle ultime uscite.»

    La tv si accese e lui iniziò a farsi mostrare cosa c'era di interessante, ben consapevole che non sarebbe stato facile trovare qualcosa che potesse soddisfare la sua noia.
    Julian Miller

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    Light my fire.
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    Studente, I anno - Dioptase

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  3. .
    Non appena il gemello camminò in direzione dei banchi Fitz allungò una mano, saltando la piattola della Davidson, per pizzicare il fianco di Brooks. «Hai sentito il tuo migliore amico?» Se il Dioptase avesse davvero risposto ad un messaggio del fratello e non al suo quella sarebbe stata la volta di una ritorsione come non aveva neanche sperimentato dopo esser tornato a scuola. Con Mc Callister era fin troppo morbido, il rischio che potesse infettare altri ambiti alto ed insostenibile. La prevenzione sarebbe stata la chiave di tutto.
    Almeno la sua compagna di banco, per quella lezione, era una di quelle che non si perdevano in inutili chiacchiere di circostanza. Un punto a suo favore.
    Il secondo arrivò alla confessione sussurrata dopo la sua battuta. Non avrebbe di certo fatto lo schizzinoso nel caso sarebbero stati futuri compagni di attività. Almeno per il momento, almeno per lui.
    «Santa Claus è venuto prima quest'anno» fu la sua risposta piatta sia alla vista delle carcasse che svelò il mago, sia al commento della compagna di banco.
    Quello che non si aspettava era la presa di posizione di un suo compagno di casa. Occhi al cielo e verso silenzioso accompagnarono lo scambio che ebbe col docente, cui seguì una risata smorzata alle insinuazioni di Zuleyka. «Sarebbe curioso trovare il modo di riportarli in vita», osservò, con un tono di voce basso da poter essere udito solo dalla proprietaria dei capelli bicolor.
    Il corpo esanime di un animale non meglio identificato fu il suo banco di prova per l'apprendimento dell'incantesimo. Il cioccolato delle iridi seguì gli arti piccoli, il corpo allungato dal pelo grigio macchiato di nero, soffermandosi sulla voragine che un tempo aveva ospitato la testa. Sul posteriore una coda rosata nella fine poteva ricordare quella di un grosso topo ma era proprio il manto a fargli storcere il naso. «Un opossum, magari?» La bacchetta compì un paio di volte la spirale che andava stringendosi per poi eseguire una stoccata; la formula arricciò la sua lingua ma nessun suono fu lasciato libero di vibrare attraverso le corde vocali.
    Iniziò a creare un'immagine mentale di una testa: piccola ed un po' schiacciata, naso umido e rosa da cui partivano sei vibrisse -tre per lato- ad occultare una bocca piccola che celava a sua volta denti piccoli acuminati. Orecchie appuntite nere dai padiglioni rosati furono l'altro tassello che aggiunse, concludendo il suo disegno con due grandi occhi verdi, quasi gialli. Mantenendo stabile quell'immagine nella sua mente mosse la bacchetta nel movimento che aveva provato, terminando con una stoccata proprio lì dove sarebbe dovuta esserci la testa di un opossum per sostituirla con quella di un gatto. «Elego Recresci».
    Fitz O'Connor

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    I etched the face of a stopwatch on the back of a raindrop and I did a swap for the sand in an hourglass.
    "

    Black Opal
    Serpeverde
    Bisex

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    Interagisce con Brooks Ryan O'Connor e Zuleyka.
    Al posto della testa dell'opossum cerca di ricreare quella di un gatto.
  4. .

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Il sorriso sulle labbra di Julian non si spense alle parole di Zuleyka. Julian non era uno che perdeva le speranze nemmeno quando il suo tentativo di approccio finiva chissà dove nell'universo. L'occhiolino verso Zuleyka era una dimostrazione di come quella sua frase non l'avesse toccato più di troppo.

    «Sarebbe una lista troppo lunga.»

    Disse prima di avanzare nella sua postazione. Sembrava un osso duro quella primina, decisamente ciò che a Julian piaceva. Non si sarebbe sicuramente limitato a questo se non fosse stato che la lezione sarebbe iniziata immediatamente dopo.
    Doveva ammettere che i ragazzi di quel nuovo anno, sembravano avere tutti una certa propensione ad essere particolari, Julian aveva molto da lavorare da lì alla fine dell'anno, per questo doveva farsi un programma giornaliero, non poteva mica molestarli tutti insieme.
    Sorrise alle parole di Hulk (?) non ribattendo affatto e facendolo fare mente locale su come potesse agire.
    Nel mentre si sporse alle sue spalle, per non dargli fastidio e allungò un braccio verso Erin per tamburellarle sulla spalla dolcemente e attirare la sua attenzione.

    «Hai da fare domani pomeriggio? Ti passo a prendere dopo cena e ci facciamo un giro.»

    Avrebbe dovuto aspettare sicuramente un assenso o un diniego da lei, ma Julian aveva già organizzato tutto, non era uno che si perdeva d'animo nemmeno se quello fosse stato un rifiuto.
    Ovviamente quelle parole sarebbero state sussurrate affinché rimanessero sempre nel magico trio che si era venuto a formare quella mattina, lasciando gli altri ignari di tutto.
    Ora, tuttavia, doveva concentrarsi e andare avanti, soprattutto perchè John Hulk aveva fatto la sua mossa.

    «Tranquillo.»

    Rispose osservando l'uccellino che aveva creato. Chiaramente non poteva mantenersi basso, quindi cercò di le dita attorno alla bacchetta si arrotolarono delicatamente, il polso venne fatto roteare per scaldarlo, quindi il catalizzatore puntò verso l'uccellino.

    «Colorvària.»

    Il suo intento era quello di dipingere il volatile di un un piumaggio blu, molto acceso, quasi cangiante. Se ci fosse riuscito avrebbe provato ad avvicinare un dito all'animale, per farlo avvicinare a lui e farlo salire sul dito. Quindi avrebbe sollevato la mano, lentamente, senza fargli paura.

    «Ma ciao piccolino...»

    Mormorò con una dolcezza nel tono che non aveva rivolto a nessun essere vivente che non fosse animale, fino a quel momento. La bacchetta venne mossa ancora, questa volta disegnando un triangolo in senso orario, per poi eseguire una stoccata al suo interno, con movimenti fluidi e rapidi.

    «Elego muto.»

    Con l'intento di mutare una o due piume delle sue ali, in piccole lame d'acciaio, affilate.
    Guardo verso Hulk, sorridendogli appena.
    Quindi tornò con lo sguardo sul pennuto, sperando di essere riuscito in tutto quello che aveva fatto fino ad ora.

    «Ti chiamerò Blueberry.»

    Quindi fece ondulare la propria bacchetta e poi stoccò in direzione di Blueberry.

    «Evanesco.»

    Il pennuto, se tutto fosse andato per il verso giusto, si sarebbe dovuto volatilizzare dal campo visivo.

    «Tranquillo sta bene.»

    Rassicurò chi aveva accanto, per poi compiere un movimento della mano che lo teneva, verso la spalla dell'orientale.

    «Videtur Blueberry!»

    La bacchetta sarebbe stata mantenuta verticalmente davanti al volto, con la punta del catalizzatore verso l'alto. Se fosse tutto riuscito, il volatile dal piumaggio blu, sarebbe apparso nuovamente sulla spalla di Joo-Hyuk, sano e salvo.

    «Visto? Tutto bene, niente di macabro.»

    Quindi gli occhi di Julian sarebbero stati posati su Keegan.

    «Prof, qui abbiamo superato noi stessi.»

    Il solito egocentrico.
    Julian Miller

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    Light my fire.
    "
    Studente, I anno - Dioptase

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  5. .
    vAFIwHF
    Erin Brighid MurphyAmetrin

    Le strade erano due, entrambe proiettate al futuro.
    Un giorno abbastanza lontano da poter guardare indietro come si fa con la storia, Erin avrebbe ricordato quel giorno - e quell’incontro - come il più sbagliato o il più giusto di tutta la sua vita. Qualcosa in lei ne era fermamente convinta, la stessa qual cosa che le suggeriva che persone come Zuleyka non potevano cimentarsi in chiacchiere di circostanza destinate alla banalità; persone come lei lasciavano segni, colpivano per essere ricordate, e non permettevano a chi vi incappasse di dimenticarle con auspicata facilità.
    Persone come Zuleyka, tra le altre cose, non sembravano preoccuparsi granché neppure delle più convenzionali norme civili, ed Erin quello lo scoprì quando sentì lo sguardo dell’altra incollarlesi addosso come resina, insistente ed ostinato, attraente e fatale come la più elegante delle ragnatele.
    «Si dice che offra diversi tipi di visioni, non solo quella banalmente telescopica...»
    Lo disse in risposta alla prima considerazione in merito all’aliscopio, e lo fece con voce distratta che non riusciva a reggere la sfida con quegli occhi pieni di sfrontatezza. Lo disse per dire qualcosa, per ampliare del minimo indispensabile il valore di un oggetto che in quel momento sembrava non poter essere a sua volta abbastanza importante. D’altra parte, se a persone come Zuleyka non era mai importato, sembrava non dover importare a nessun altro.
    Con quell’ombra scrutatrice ancora addosso, Erin provò a guardarsi intorno in cerca di un appiglio sicuro, un angolo di sicurezza che prevenisse la demolizione persino della sua certezza di poter ancora camminare.
    Lo trovò su una panca in legno, situata in un punto diametralmente opposto rispetto alla ragazza ma non troppo lontano da rendere ardua una potenziale interazione. Era salita fin lì nell’illusoria ricerca di una solitudine, solo per scoprire che la solitudine era l’ultima cosa di cui avesse bisogno, se l’altra sembrava a proprio agio nel disagio altrui, persone come Erin se la cavavano molto meglio nella colloquialità più naturale.
    Ascoltò le ultime parole di lei mentre sedeva sul legno, le ginocchia raccolte al petto e le braccia a cingerle per non disperdere più calore del necessario. Ancora piccola, sempre un punto indistinto nel mondo troppo grande.
    «Non sembri una persona che teme l’ignoto.» Persone come Erin sapevano leggere. «Non sembri una persona che teme e basta, in realtà.»
    Tornò a guardarla mentre le ciocche infiammate le si agitavano sulla testa, danzando in un vento che minacciava di farsi sempre più aspro, ma che ancora non mitigava quel bisogno più terreno di concretezza ed interazione.
    Non credette ci fosse bisogno di specificare l’origine di quella sua insinuazione, Zuleyka era tra gli elementi più difficili da ignorare di tutto l’istituto, sembrava dal canto suo vivere su un piano spazio-temporale completamente diverso da quello di tutti gli altri, senza tuttavia voler badare agli effetti di questa consapevolezza su chi si trovasse a circondarla.
    Erin, dal basso della sua umile normalità, sapeva bene di temere parecchie cose, e non ebbe paura di includere in queste anche gli eventuali effetti di un telescopio magico. Sapeva tenerli egregiamente a bada, i propri timori, ci conviveva come fa un pazzo in un manicomio, rassegnata e comprensiva, ma non aveva mai provato l’ebbrezza di sfidare l’oblio senza temerne le ripercussioni.
    E Zuleyka, invece?
    Avrebbe atteso ancora qualche attimo, sicura di ricevere come sola cortesia unicamente un prolungamento di quel silenzio insistente che già poco prima aveva visto brandire dall’Opal, quindi avrebbe raccolto ogni frammento di innocenza che la caratterizzava, ostentando di fronte a lance di imperscrutabilità un più accurato spiraglio di intuizione.
    «È persiano o arabo?» Avrebbe inclinato la testa su un lato, tormentando con le dita l’orlo dei pantaloni sulle caviglie. «Il tuo nome, intendo, si addice al tuo aspetto ma non ai tuoi tratti.»
    Il suo nome gridava Irlanda quanto il cognome, l’accento, e le lentiggini, il patriottismo di chi l’aveva messa al mondo aveva toccato il picco massimo di arroganza in quell’anima abbandonata alla vita come un avanzo di cena, ma Zuleyka era diversa, meno leggibile, un contrasto vivente che vedeva un apice in ogni aspetto di lei. Che fossero i capelli, le sopracciglia, o l’appellativo, nessuno sarebbe stato in grado di interpretarla senza prima impazzire.

    RevelioGDR
  6. .
    vAFIwHF
    Erin Brighid MurphyAmetrin

    Le parve di non aver mai visto un osservatorio prima d’allora.
    Fu su quel pensiero che si interruppe ogni riflessione, una boccata di stupore che investì la coscienza di Erin non appena i suoi piedi interruppero il passo sull’uscio dell’ultimo piano. Stringeva ancora al petto i tomi usati all’ultima lezione della giornata, addosso una divisa che iniziava a sgualcirsi per la poca attenzione che riceveva da chi la possedeva, e quegli occhioni troppo grandi rispetto al viso che sembravano volersi riempire avidamente della vista offerta dalla cupola, golosi come sempre di fronte alla meraviglia, ingordi, bramosi.
    Non ebbe l’accortezza di guardarsi intorno prima di avanzare in quell’angolo di cielo ai confini del mondo, ipnotizzata quasi dalla miriade di stelle che le riservarono un tacito benvenuto attraverso miliardi di occhiolini luccicanti d’oro e argento. Neppure il vento, dispettoso nell’agitarle la chioma fulva, riuscì a guadagnarsi considerazioni necessarie a distogliere l’attenzione di Murphy da uno spettacolo mai visto prima d’allora.
    Aveva sempre avuto un rapporto controverso, con il cielo, quel manto esageratamente sconfinato da far girare la testa al solo guardarlo, a volte rasserenante d’azzurro ed altre temibile nel suo grigio plumbeo che prometteva tempeste. Era la notte, però, che il cielo le aveva sempre permesso di osare mettersi più a nudo, quando nella statica oscurità si lasciava pungere di stelle e dominare dalla luna, suggerendo speranza e occhielli di libertà là dove il nero avrebbe dovuto soppiantare qualsiasi altra luce.
    Era stato sotto a cieli puntellati di stelle che aveva assaporato le emozioni più forti, Erin.
    Non ne comprese il motivo, ma se fino a quel momento un manto stellato le era parso stimolante e adrenalinico, quel giorno finire vittima della sua contemplazione la destabilizzò nel profondo. Fu un languore basso e borbottante, quello che le si mosse nello stomaco non appena la mente finì in balia della vulnerabilità che impone la notte, un vago senso di solitudine e nostalgia a cui non seppe dare un nome. Forse erano solo pizzichi di ricordi, il fare dispersivo e confondente di Hidenstone, la consapevolezza di una solitudine che non le aveva mai fatto bene e che nel tempo si era sempre impegnata ad evitare.
    Fu quell’ultimo pensiero a permetterle di notare quanto, in realtà, in quell’osservatorio non fosse tecnicamente affatto sola. In netto ritardo rispetto a quanto suggerivano le più convenzionali norme di cortesia, forse, eppure perfettamente in linea con l’indole eternamente distratta di uno spirito troppo affaccendato a fantasticare per rispettare i tempi della vita reale.
    «...Oh, Dio, scusami!»
    Rabbrividì, un po’ per l’asprezza del vento e un po’ per quel rovinoso ritorno sulla terra ferma. Si umettò velocemente le labbra, Erin, mettendo a fuoco l’identità del primo ospite senza incontrare alcun tipo di difficoltà: come l’aveva riconosciuta a lezione, Zuleyka non si impegnò a passare inosservata neppure in quella bolla astrale. Più che i capelli - già di loro sufficientemente peculiari da non lasciarsi dimenticare - erano gli occhi, per la Murphy, ad aver guadagnato un posto di rilievo sul podio degli elementi più affascinanti dell’accademia. Unico punto considerabile convenzionale di tutta la sua estetica, sembravano riuscire a contenere senza vergogna tutta la sfrontatezza di cui la giovane si faceva baluardo, segno evidente di quanto la particolarità esibita nel vestiario reggesse perfettamente il passo con l’anima che per natura l’altra si portava dentro.
    «Me ne vado, se ti ho disturbata.»
    Alzò una mano, un segno di resa che colmò poco più tardi con un pugno chiuso di impaccio che l’irlandese tornò a portarsi al petto, strumento perfetto per tormentare l’angolo di uno dei libri imprigionati. Intendeva davvero fare quanto annunciato, quando lo disse, ma proprio quando ebbe smesso di dirlo una voce nella testa iniziò a gridare un bisogno totalmente opposto. Lo schiaffo invisibile che l’osservatorio aveva assestato al suo già precario equilibrio di nervi aveva operato manovre particolarmente delicate sulla sua coscienza, e l’ultima cosa a cui Erin in quel momento potesse dirsi pronta era restare sola.
    «Anzi, forse potremmo restare entrambe, sembra esserci abbastanza spazio.»
    Fin troppo, in effetti, c’era praticamente tutto il cielo.
    Si disse disposta a vedere l’altra opporsi all’offerta, negò a se stessa di non essere pronta ad affrontare tutti quei fantasmi che le si erano infilati nel baule al momento della partenza, tra un indumento e l’altro. Eppure, se Zuleyka fosse stata abbastanza attenta ai particolari, avrebbe potuto vedere le spalle della rossa tremare impercettibilmente: se ci entrasse ancora la colpa del vento, a quel punto, nessuno avrebbe più saputo davvero dirlo.
    Quel che intanto Erin si impegnò a fare fu accatastare a terra libri e tracolla, piccola in uno spazio di mondo che si impegnava sempre ad occupare solo quanto necessario e non di più, abituata fin da bambina a non disturbare, a giocare a non esistere, a non aver paura per non dover chiedere conforto. Avanzò poi più avanti, indicando quello che le parve si chiamasse aliscopio, senza ancora osare avvicinarvisi.
    «Sai come funziona?»
    Non si stava impegnando granché per rendersi invisibile, stavolta, ma dall’inizio di quell’anno scolastico troppe cose parevano aver raggiunto un punto di rottura, la soglia di un cambiamento, e tutto in lei iniziava a gridare all’evoluzione.
    Un peccato, per Zuleyka, essere capitata proprio nell’occhio di quell’invisibile tempesta.


    RevelioGDR
  7. .
    Il coraggio è resistenza alla paura e dominio della paura, ma non assenza di paura.
    Uno dei pochi posti che frequentava, ma che proprio quel giorno aveva deciso di vedere con i suoi occhi, era la terrazza, non tanto per spirito di avventura, quanto perché aveva decisamente bisogno di una fumata in santissima pace, senza rottura di coglioni. Il suo nuovo coinquilino, Joo-Hyuk qualcosa, non era poi così male, tranne nei momenti in cui decideva di scassargli i gioielli di famiglia perché doveva far il suo riposino di bellezza pomeridiano. E lì si che avrebbe voluto spaccargli la faccia a suon di cazzotti: altro che riposino di bellezza!
    Poi, c’erano i fighettini che – No, il fumo in camera no! – e, quindi, l’opale era costretto a uscire nella brezza del gelido autunno-quasi-inverno per prendere due tiri a una semplice sigaretta. Avrebbe potuto capire con una canna, ma per una sigaretta era davvero esagerato! Entro la fine dell’anno, però, era convinto che tutto si sarebbe risolto secondo i suoi piani, perché, volere o volare, lui avrebbe plasmato le loro menti (forse, anche a suon di mazzate).
    E, invece, no! Niente girava per il verso giusto quel cazzo di giorno! C’era mancata solo Cassedy a mettere in subbuglio la sua intera esistenza; proprio in quell’esatto istante della sua vita durante il quale era riuscito a scorgere una parvenza di equilibrio (un eufemismo, d’altronde, averlo con Adrien, visto che si comportava come uno con un disturbo di personalità).
    Quando il suono di un violoncello colpì il suo canale uditivo, Adrien non poté che rivolgere gli occhi al cielo, spazientito, e affermare – No. Non pure questa. Per favore, cazzo! -.
    Si passò una mano sulla fronte mentre prendeva un lunghissimo tiro, per cercare di calmare il nervoso che sembrava prender possesso del suo corpo – non che fosse una novità, specifichiamolo!
    La serenità tanto agognata non arrivò mai, quindi, si ritrovò ad avvicinarsi con passo celere al gruppetto di persone che avevano deciso di assistere alla performance del o della violoncellista.
    Finì in pochi istanti. E l’opale udì distintamente le parole di quella ragazzina, sua compagna di casa, mentre la folla si disperdeva.
    - Un’altra giornata del cazzo, vorrai dire! Senti, se vuoi suonare quello stupido violoncello, vai da un’altra parte! C’è gente che preferisce il silenzio qui. -
    E aggiunse: - O sparati un fottuto incantesimo insonorizzante. Funzionerebbe comunque. -


    ADRIEN BEAUVAIS
    n(ST):02.05.2004
    2043:18 ANNI
    once:BLACK OPAL
    year:II ANNO
  8. .
    Riciao, sono stefano e sarò il tuo personale snaso da compagnia nella correzione di questa scheda.
    Ora, temo che sarò accusato di piaggeria, visto la vostra qualità media (che è alta), ma devo dire di essermi davvero innamorato di questa PG e adorarne le sfumature, che ben emergono da questa scheda comunque sintetica.
    Se posso, ti chiederei solo, se hai voglia, di dirci come mai molla durmstrang, data la sua passione per il voodoo, e finisce ad Hidenstone (ma se non vuoi amen: consideralo un mero consiglio/curiosità/riflessione su un possibile spunto).



    Parliamo invece di statistiche e skill!
    Come PG Studente ti spettano 42 punti da distribuire, tenendo conto che il minimo di punti da assegnare per ogni PP è 4, mentre 7 è il massimo.

    Le caratteristiche (PP) sono le seguenti:
    Coraggio:
    Empatia:
    Intelligenza:
    Resistenza:
    Tecnica:
    Intuito:
    Destrezza:
    Carisma:

    Trovi QUI tutto quello che ti occorre sapere su di loro per distribuirli in maniera opportuna.

    Ci vediamo presto ;)
  9. .
    Cao! Benvenuta Lara io sono Irene e vedrai che ti troverai benissimo <3 Qui gestisco: Benjamin del terzo anno, Isond che è una medimaga, Bloom Auor, Dana di Denrise e arriverà anche una giovane Giornalista Elìròs

    Edited by Benjamin D' Angelo1 - 1/11/2022, 22:13
  10. .
    ciao e benvenuta, sono stefano, uno degli admin ;)
    temo che di me sappiate un po' di cose, così come del revelio, ma io di te so poco: chi sei, cosa fai, cosa ti appassiona?*_* me curioso di conoscere questa piccola grande famiglia di fra
  11. .
    Benvenuta!
  12. .
    Ma piacerissimooo!!!
    Benvenuta! Io mi chiamo Roberta e sono una degli admin! Per qualsiasi cosa chiedi pure *__**

    benvenutissima nella nostra grande famiglia!!!
  13. .
    Welcome!!!
    Più sono pazzi meglio è!
  14. .
    ❤️
14 replies since 29/8/2022
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