Posts written by Lilith Clarke

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    qEV4bCh
    Lilith Clarke
    Dioptase - Caposcuola | Metamorphomagus
    Da quando aveva trovato quella palestra abbandonata, Lilith aveva riscoperto - finalmente - un po' del proprio spazio personale. Era come se non avesse avuto mai una sua reale zona di comfort che nessuno conoscesse e appropriarsi di quella era stata la cosa più eccitante che aveva fatto in quel periodo.
    Lì aveva potuto piangere, urlare, ballare, creare, rinnovare i suoi stili e ora finalmente stava riuscendo a ballare sul palo, dopo tanta teoria.
    Non si sarebbe mai aspettata di avere uno spettatore, non con quel tipo di danza, che voleva rimanesse il suo piccolo segreto, concesso nell'eventualità a pochi eletti. La pole dance era ancora un campo troppo legato ai night club, superficialmente visto come il ballo delle spogliarelliste, senza sapere che l'arte che vi era dietro quella danza avvolgeva mente, corpo e spirito, mettendo a dura prova la concentrazione di chi la praticava. Forse era per quel pregiudizio che aleggiava su quel tipo di danza che aveva evitato di svelare la sua passione anche ai gemelli, tanto da non farne parola nemmeno con loro.
    Quando si riscoprì osservata da Spike, la riccia ebbe un sussulto, ma aveva imparato a mantenere il sangue freddo, concentrandosi prima di mollare la presa dall'attrezzo che la vedeva a reggersi testa in giù.
    «Sei stato fortunato. Sarai forse l'unico e il primo a poter affermare di aver visto questo
    Fece cenno con la testa al palo dietro di sé, mentre si avvicinava ad una bottiglietta d'acqua e si piegava per afferrarla e bere.
    Richiuse la plastica, mentre guardava verso il vampiro con aria curiosa, le celesti che ne scrutavano le distanze e i lineamenti.
    «Una ballerina randagia che ha trovato rifugio in questa vecchia palestra abbandonata.»
    Rispose senza pensarci, sollevando le spalle e lasciando nuovamente a terra la bottiglietta. Non le importava presentarsi con un nome, non aveva importanza chi fosse, probabilmente non si sarebbero visti più, loro due, quindi sarebbe stato solo un nome in più aggiunto ad una lista di conoscenze superflue, no?
    «E tu? Chi sei?»
    Ricambiò, tuttavia, la curiosità dell'altro, desiderosa di sapere se anch'egli era un randagio alla ricerca di rifugio o era arrivato lì proprio per lei. Sicuramente la risposta avrebbe cambiato decisamente l'andamento del loro incontro.
    «Sono nata sulle punte. Danzo da prima di muovere passi.»
    Ammise come se fosse la cosa più naturale a questo mondo.
    «Ti ringrazio, comunque. Mentre a questo, mi alleno da diversi mesi.»
    Ancora il cenno al palo.
    «Che ne pensi?»
    La curiosità si faceva strada, voleva conoscere cosa l'aveva fatto restare in silenzio davanti al suo spettacolo: era forse uno di quelli che legava la pole dance allo spogliarello?
    RevelioGDR
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    Lilith Clarke
    Dioptase - Caposcuola | Metamorphomagus
    Correre. Questo era quello che faceva quando sentiva che stava perdendo il controllo della propria vita. Era ciò che faceva quando sentiva di dover scaricare la tensione, era ciò che l'aiutava quando aveva bisogno di capire quale strada intraprendere, davanti ad un bivio. E quella volta, il motivo per cui correva era perché il tempo in quella scuola stava scorrendo talmente tanto velocemente che lei si ritrovava a fare i conti con l'idea di uscire da quella scuola e gettarsi nel mondo degli adulti, con il suo ingresso nel ministero, a fare l'auror. Lei che aveva scelto quella carriera, ora non faceva altro che chiedersi se ne fosse all'altezza. Il timore di non riuscire a reggere quei ritmi, di non avere tempo per la danza e per i suoi allenamenti, ma - soprattutto - iniziava a rendersi conto che adesso non avrebbe visto più tutti i giorni, i suoi amici, quei pochi che le rimanevano. E non avrebbe potuto più tenere sotto controllo la vita di Barnes, non avrebbe potuto più lanciare occhiatacce a Kwon. Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile, da lì a pochi mesi e aveva la necessità di razionalizzare quest'idea prima che diventasse reale.
    Aveva indossato una felpa nera, cappuccio a coprire i suoi ricci legati verso l'alto, auricolari nelle orecchie, pantalone nero ed era un ombra che si muoveva nel freddo mattino di quella domenica invernale.
    Era rimasta in Accademia per dare una mano dopo il terremoto, ma prima di iniziare con gli incarichi di ripristino, aveva deciso di dedicarsi degli attimi per sé. Si era diretta verso la zona Nord-Est dei giardini, continuando quel giro di corsa. Si arrestò solo quando lo zampillare della fontana della gioia ne catturò lo sguardo celeste. Si fermò e si specchiò nella vasca piena, mentre ancora la musica scandiva il ritmo del suo tempo. Riprendere fiato con una pausa non le avrebbe fatto male, quindi si affacciò affannata a specchiarsi, godendosi il volto riflesso che le mostrava quanto sarebbe stata bene con quel sorriso a coronarne il viso.
    RevelioGDR
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    Lilith Clarke
    Dioptase - Caposcuola | Metamorphomagus
    Rientrare non era stato facile. Dopo l'arrivo di quel terremoto che aveva davvero poco di naturale, Lilith non aveva fatto altro che fare le valige e partire per tornare a casa e ritrovare la stabilità che quel ballo le aveva tolto.
    Non voleva andarci e da un lato era ancora convinta di aver fatto la cosa più sbagliata che potesse fare, ritrovandosi ad affrontare quell'evento da sola; dall'altro, se non fosse stata lì, non avrebbe potuto aiutare i feriti e sarebbe venuta meno al suo ruolo di Caposcuola, cosa che non si sarebbe mai perdonata.
    Quando aveva messo piede in casa, aveva volutamente evitato di fare il conto delle cose che erano andate storte a quel ballo, preferendo fingere che non fosse mai esistito, fino al rientro a scuola.
    Rientro che lei sperava arrivasse davvero nel più tardo tempo possibile, ma che si ritrovò a dover affrontare non troppo in là, dopo che il Natale salutò anche quell'anno, insieme al Capodanno.
    Era poco meno di una settimana che era tornata a scuola e tra i mille oneri che quel terremoto aveva aggiunto alla lista delle cose da fare, non era riuscita a trovare un attimo di pace, peggio del solito. Tuttavia, dopo la lezione di Alchimia, aveva chiesto a Jesse ed Erik se poteva assentarsi per un paio d'ore, per preparare il test del suo tirocinio. Era una scusa, certo, ma nessuno dei due avrebbe potuto verificare la veridicità della cosa, quindi si cullò su quest'idea, scivolando nei corridoi e tentando di evitare qualsiasi sguardo così da non sentirsi costretta a doversi fermare per parlare.
    La direzione, quando aveva necessità di trovare uno spazio in cui riordinare le idee, non troppo distante dalla scuola, ma lontano da occhi indiscreti e possibili visite inaspettate, era proprio la Torre dell'Orologio. Lì si sarebbe potuta sentire lontano da tutti quanti, guardare dall'alto l'orizzonte e sentirsi, per qualche istante in più, libera da ogni costrizione. Aveva allentato - addirittura - il nodo alla cravatta, sbottonando qualche bottone della camicia così da aprire più aria alla gola, come se in quel momento la stesse soffocando.
    La salita alla Torre non fu facile, quella volta. C'era quella costante sensazione di fastidio che le stringeva la bocca dello stomaco. Era come se ci fosse qualcosa che stesse tentando di ricacciare indietro, qualcosa che stava volontariamente evitando di affrontare. Forse era più di una, e salendo stava prendendo consapevolezza di questo, come se ogni scalino le stesse facendo riconoscere gli ostacoli che il ballo le aveva messo davanti.
    Mesi addietro aveva percorso quelle stesse scalinate con uno stato d'animo diverso e - fino ad oggi - non era tornata lì a vedere che effetto facesse risalire. Ma anche il ricordo di quella ronda notturna dove aveva svegliato quell'opale che le stava martellando il cervello, era qualcosa che voleva scansare.
    Arrivata in cima, guardò verso l'esterno e non potè fare a meno di tirare un respiro profondo, riempirsi i polmoni e poi sputare via l'aria che aveva rapito dall'esterno, mescolata a quella tossica che aveva dentro.
    Doveva fare i conti con la realtà, doveva smetterla di evitare per i corridoi gli sguardi di tutti e soprattutto, doveva ammettere cosa l'aveva disturbata di quell'evento di cui era ben consapevole come sarebbe andato.
    Quello era il posto giusto e non c'era modo migliore di iniziare, se non analizzando la rabbia e lo schifo che aveva provato vedendo Blake giungere al ballo con Mia. Lì, probabilmente, aveva quasi ringraziato il terremoto, arrivato a pennello ad evitare un incontro spiacevole tra i tre, che si sarebbe ridotto solo ad un suo esporre quanto avesse ragione dell'interesse del Barnes per quella gatta morta di Freeman, che fingeva di essere cucciola e innocente, ma aveva ben chiaro in testa come comportarsi.
    Strinse i pugni lungo i fianchi, sentendo quel fastidio tornarle a scavare dentro e, rapido come un fulmine a ciel sereno, un altro volto si fece strada a calci nella sua mente, per riaffiorare nei ricordi di quel resoconto che si stava costringendo a fare, per poter ricominciare a combattere nei corridoi, giorno dopo giorno: Joo-Hyuk Kwon.
    L'orientale era stata la seccatura primaria di quell'evento, dall'inizio alla fine. Se Blake aveva tardato a giungere, diventando solo la ciliegina sulla torta, J.H. non aveva avuto questa delicatezza, mostrandosi quasi subito in quella sala con Miguel, prima di affiancare quella rossa del primo anno che pareva una Freeman che fingeva un po' meno. Ma la verità non era tanto che lui fosse lì con una primina, quanto il fatto che lei provasse un fastidio talmente forte da non riuscire nemmeno a sopportare di vedere quel loro essere vicini. Era una cosa talmente irrazionale che Lilith la odiava; così come non sopportava l'idea di non aver ricevuto nemmeno un suo invito, o un ballo? Non lo sapeva nemmeno lei, ma le aveva irritato talmente tanto la serata, che - da quando era tornata - non aveva fatto altro che evitarlo peggio di come aveva pensato di fare. Ogni volta che il suo sguardo incrociava quello dell'orientale, cambiava direzione quasi rapidamente, così come il suo corpo, volgendo spesso le spalle e variando la strada, proprio per non trovare possibilità di ritrovarsi faccia a faccia. Principalmente non sapeva come giustificare quell'irritazione che provava, poi non aveva ancora voglia di affrontare l'argomento e quindi tentava di scapparne quanto più potesse.
    Sì, quella Torre stava risultando un ottimo scioglinodi.
    RevelioGDR
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    qEV4bCh
    Lilith Clarke
    Dioptase - Caposcuola | Metamorphomagus
    Il dubbio che lui non avesse alcun bisogno di aiuto si faceva via via più palese ai suoi occhi, mentre lo vedeva destreggiarsi perfettamente nella festività che aveva scelto. E questo, a suo parere, voleva dire che aveva solo deciso di attirare la sua attenzione, forse per un motivo che a Lilith non voleva essere così tanto palese, ma la riccia si ritrovò più che soddisfatta del fatto che lui avesse trovato una scusa per poter passare del tempo con lei. Dopo quel pomeriggio in piscina non erano riusciti a vedersi e - forse - lei lo aveva anche evitato di proposito, delle volte, riscoprendosi incapace di non desiderare di punzecchiarlo ancora una volta fino a giungere al contatto fisico, proprio com'era stato quel passato weekend. Sentiva la necessità di conoscere, di scavare quel muro che Joo-Hyuk aveva davanti, ma allo stesso tempo aveva il timore di giungere troppo vicino e trovare un campo minato a proteggere la muraglia, campo che avrebbe potuto farla saltare in aria.
    Sapere che davanti non aveva una persona con poca cultura, la stimolava ancora di più a fare un passo verso quel campo minato. Era come se JH sapesse esattamente quali fossero i punti da colpire per poter avere la sua attenzione, doveva solo capire - la Caposcuola - se fosse una messa in scena o lui fosse davvero quello che i suoi occhi stavano guardando.
    Scrollò le spalle alle sue parole, quasi con leggerezza, come se non fosse importante cosa le fosse stato detto prima o cosa sarebbe stato detto dopo, il suo dargli dell'impertinente aveva sicuramente scoperto la carta dello stupore. Qualsiasi complimento le fosse stato fatto in quel momento, non sarebbe stato all'altezza di quello fatto dall'orientale. E non perché chissà quanto fosse elaborato, quanto per il semplice motivo di essere stato spontaneo e genuino, tanto da calzare a pennello con la normalità.
    Sentiva i suoi occhi tagliati penetrarle nella pelle ed era come se ad ogni secondo che rimanevano su di lei, lui stesse slacciando un bottone della propria camicia, fino a scoprirne la pelle. Dovette concentrarsi sul luogo, sul bisbigliare di molti e sulle lamentele dei tanti, sullo sfogliare delle pagine e su quello che lui doveva fare, per non cadere nella tentazione di lasciarsi andare a rivelazioni che non erano da lei.
    Di contro, lui sembrava essere preso dal suo studio e questo favorì Lilith, lasciando che anche lei potesse distogliere la testa dall'immaginare quanto sarebbe stato elettrizzante buttar giù i suoi libri da quel tavolo per potersi sedere davanti a lui, afferrarlo dai capelli per poter spingere la sua testa indietro e mordergli il collo, cibandosi di quella carne che bramava nuovamente sentire tra le sue dita.
    La sua voce fu come una frustata davanti agli occhi, mentre la costringeva a tornare alla realtà e riprendere possesso di se stessa, nascondendo in un cassetto della sua mente quel sogno ad occhi aperti.
    «La strada verso la libertà spirituale... giusto?»
    Chiese ben curiosa di conoscere quel suo lato religioso-spirituale, che faceva di lui un soggetto ancora più interessante.
    Tuttavia, quella necessità di trovare contatto, si fece tangibile quando la propria gamba sfiorò quella dell'altro. Lo osservò, per studiarne la reazione: rigidità, deglutizione, mano che si ferma. Poi nuovamente concentrazione.
    Celò un sorriso arricciando le labbra. Il fatto che lui reagisse al suo tocco rendeva l'altra consapevole di quanto avesse ancora un briciolo di controllo della situazione. Fece una leggera pressione, spingendo la gamba dell'altro, quasi in un dondolio breve, ancora a voler palesare la sua presenza lì vicino, prima di fermarsi per parlare e ascoltare ancora una volta.
    «Così come per i jainisti è il raggiungimento del Nirvana da parte di Mahavira.»
    Suggerì appena.
    Il suo celeste era puntato sulla pergamena, quando sentì le gambe dell'altro divaricarsi appena. Non ebbe alcuna reazione, rimanendo per qualche attimo di troppo ad osservare lo scritto, prima di volgere lentamente il ghiaccio sul suo volto con un sorriso appena accennato all'angolo sinistro delle labbra.
    Lentamente la mano della Caposcuola scivolò verso il basso, accarezzando la propria divisa, fino a riconoscere il termine della sua gonna, per poi spostarsi lentamente sulla gamba dell'altro a sfiorare appena la sua coscia vicina.
    «Dico che funziona. E... sono curiosa di sapere perché accendono le lampade nei bagni? Se all'Ivanova non può interessare, a me sì.»
    Confessò l'interesse verso quella cultura di cui lei sapeva solo a livello accademico, tramite letture fin troppo superficiali. Aveva ripreso a parlare come se la sua mano non avesse accentuato quel contatto, se lui lo avesse permesso.
    La sua domanda la colse impreparata. Lo guardò, aggrottando la fronte, mentre rifletteva.
    Lasciò scivolare, questa volta inconsapevolmente, il piede della gamba vicina a quella dell'altro, a cercare di incrociarsi con il piede dell'orientale, mentre provava a riordinare i suoi pensieri.
    «Sì.»
    Fu una prima risposta secca, per poi argomentare appena con quello che cercava di intendere.
    «Ci credo alla reincarnazione, ma credo anche che questa sia limitata nel suo significato. La reincarnazione non è solo nuova vita, dopo la morte. La reincarnazione è anche rinascita di una vita già attiva. Credo nella liberazione spirituale intesa come nuova consapevolezza di sé, come riscoperta del proprio io e... come superamento di limiti. Come una rottura di catene...»
    Non era consapevole se stava parlando ancora di religione o di quello che stava provando ogni volta che i loro corpi si sfioravano, fatto sta che quel contatto leggero stava agevolando il riordino di quei pensieri. La consapevolezza di poter sentire quella scarica elettrica che non aveva una razionalità, ogni volta che lui ricambiava quel contatto, stava diventando il suo tarlo nel cervello e questa era una delle mine sui cui aveva messo il piede, avvicinandosi al suo muro, e sapeva che se avesse sollevato anche solo per sbaglio la punta del piede, sarebbe saltata in aria.
    RevelioGDR
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Quell'anno era iniziato decisamente meglio di come si aspettava. Non solo il suo ruolo da Caposcuola, ma anche le sue attività stavano andando nei migliori dei modi. Doveva ammettere che - comunque - stavano succedendo tante di quelle cose strane che Lilith non si spiegava perché dovessero accadere proprio il suo ultimo anno di scuola. In primis, dopo la sua rottura disastrosa con Blake e il loro non tornare insieme, aveva pensato che tutto sarebbe andato sempre più in fondo, tuttavia dovette ricredersi, complice anche la presenza di interessanti argomenti di conversazione che aveva ritrovato in un primino dal fare strano.
    Questo l'aveva stimolata anche a mostrarsi un tantino più superba in giro per i corridoi, come se l'aver attirato una nuova leva - cosa non nuova, certo, ma di un livello decisamente migliore - avesse sollevato l'asticella della propria autostima.
    Aveva varcato la soglia dell'aula di Rune con il mento alto e un sorriso spensierato sul volto, mentre avanzava tra i banchi per raggiungere la prima fila, proprio di fronte a quella che sarebbe dovuta essere la postazione dell'Olwen.
    Postazione lasciata ad uno di quei denrisiani che Lilith stimava senza alcun limite: Kwaku. Aveva visto tutti i suoi duelli della Lega, sognava di riuscire a diventare almeno un minimo come lui, almeno avvicinarsi, o - magari nei suoi sogni - diventare sua allieva.
    Lilith era persa per quella figura, quindi quando lo vide, non fece altro che guardarlo con ammirazione, mentre ne ascoltava ogni singolo suono.
    «Buongiorno, professore.»
    Lo salutò con educazione, sistemando sul banco il proprio Manuale e le pergamene degli appunti, quindi si mise in diligente ascolto.
    Ascolto che la portò a volgere il ghiaccio verso ogni membro dell'aula che parlava, trovandosi in disaccordo e in accordo diverse volte con il loro dire.
    Si riallacciò alla divinità di Thor, già toccata da diversi di loro ma soprattutto da Elisabeth.
    «Credo che ognuno di quegli oggettini, possa essere in un certo qual modo riavvicinato alla cultura Baltica. Nei paesi scandinavi vi era il culto di Taara, come appunto diceva Lynch. Ogni cultura, alla fin dei conti, ha rivisto in diverse forme e salse, le proprie divinità, Thor era Taara per gli scandinavi, ma Giove per i Romani.»
    Soffiò quelle parole, ritornando poi in silenzio a vedere il proseguo di quella lezione.
    Lilith Clarke

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    La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati.
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    Dioptase, Caposcuola

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Stavano succedendo fin troppe cose e Lilith cercava di rimanerne fuori, sperando di avere ancora un po' di tregua in quello che per lei era il ballo più tranquillo - almeno all'apparenza - che stava vivendo.
    Nonostante quella strana sensazione le attanagliasse lo stomaco, la riccia stava tentando con tutta se stessa di non interessarsi a niente di quello che le accadeva intorno, seppur le iridi color del ghiaccio fossero alle prese col captare ogni più piccolo movimento degli attori di quella scena così complessa. Alex si era stancato, quindi lei aveva rallentato la loro giostra sul ghiaccio, passeggiando tranquillamente mano nella mano con il piccolo, tenendosi al bordo dell'arena. Le iridi cercarono ancora una volta l'orientale, notando come per qualche istante i suoi compagni di giochi (?) si fossero allontanati, per poi vederlo avanzare verso la ragazza che accompagnava. Cercò Jessica con lo sguardo, per vedere da quelle parti che cosa stesse succedendo, ritrovandosi a fare i conti con un Joshua spalleggiato malamente da un Miller.

    «Hey piccolo, aspetta un attimo.»

    La Caposcuola si fermò alla staccionata, mettendo il bambino davanti, così che non fosse bersaglio di pattinatori serial killer in preda a sciovolate croniche, quindi seguì il riccio con gli occhi fino a vederlo giungere lì dove anche la rossa di JH era giunta poco prima. Fu l'istante sbagliato per voltarsi in quella direzione; per un'istante che sembrava essere infinito, la dioptase si ritrovò a fare i conti con il fastidio crescente di vedere l'orientale che afferrava il braccio di quella ragazzina. Strinse le dita attorno alla staccionata, mentre cercava di ricacciare l'idea che fosse solo un emerito idiota se aveva preferito accompagnarsi con Erin al ballo, piuttosto che con lei. Le dita attorno al polso di Erin, fecero riaffiorare nella mente dell'ex Prefetta, quella sensazione di ancoraggio che aveva provato quella notte alla Torre, sentendo mescolarsi quella sensazione spiacevole, alla scossa elettrica e al desiderio di sentirsi ancora una volta in quel modo.
    Tuttavia, la scelta che aveva fatto l'altro, quella sera, pareva ben chiara alla riccia, seppur forse era solo frutto di mille fraintendimenti che aveva colto nei momenti sbagliati. Come si dice? Il Karma è una brutta bestia. Ma senza addossare troppo le colpe al karma, Lilith decise che ognuno era fautore del proprio destino e Kwon aveva deciso di morire di una morte lenta e feroce, sottovalutando chi avesse davanti.
    Ora, invece, la riccia doveva prendere una decisione. Fermare Joshua o far fuori quel teatrino che si era messo a recitare attorno alla Lynch.
    Ricordò - per qualche breve istante - lo sguardo di Elisabeth quando aveva deciso di ritornare a scuola e tutte le vicessitudini di quel suo arrivo, non molto simpatiche ai tempi. Si piegò sulle ginocchia, raggiungendo l'orecchio del piccolo.

    «Alex, ti va se andiamo a dare qualche caramella a zia Elisabeth?»

    Gli sussurrò, con un sorriso riservato e dolce, mentre incrociava lo sguardo di Jessica, facendole un occhiolino, cercando di rasserenarla che a loro andasse bene. Forse avrebbe dovuto seguire Joshua, ma la solidarietà femminile era molto più forte di quello che si potesse pensare. Scivolò, prendendo Alex in braccio, sul ghiaccio, leggera ed elegante, con il classico portamento di chi danzava da quando ancora non muoveva passi dritti sul terreno fermo, quindi arrivò lì dove tutto si stava svolgendo. Il primo sguardo venne posato su Kwon. Freddo e distaccato, mentre ne trafiggeva il volto - qualora lui avesse incrociato anche solo per un istante il suo tragitto - fino a penetrargli dentro, condannandolo silente all'inizio del suo inferno, mentre faceva scivolare per un breve istante le iridi su quella presa. Mise sulla terra ferma il bambino, al quale gli elfi avrebbero tolto i pattini, facendolo sedere sulla panchina più vicina, quindi avrebbe fatto lo stesso anche lei, per poi affiancare il teatrino. Gli occhi di Lilith squadrarono anche il volto di Erin, prima di ignorare completamente il tutto.

    «'ia Lily. Camarelle?»

    Sentì la vocina di Alex, seduto sulla panchina che muoveva i piedi, quindi gli sorrise, mormorando un semplice «Un attimino e gliele diamo.» prima di posare un dito, l'indice, sulla spalla di Julian.

    «Miller? Da quando abbiamo tutto questo coraggio di fronteggiare qualcuno?»

    Veleno che scivolava tra le labbra, complice anche la scena della presa di Joo-Hyuk sul braccio di Erin, vista poco prima. Il cristallo si spostò su Elisabeth, non le disse nulla, rimanendo ferma immobile a scrutarne le emozioni che le percorrevano il volto. Mosse passi ad affiancare Elisabeth, mentre il piccolo strisciava lungo la panca ad affiancarla dal lato opposto e guardò verso i presenti.
    Ad uno. Ad uno.
    Miller.
    Kwon.
    Murphy.
    Alternando su loro tre il suo sguardo freddo, algido come se l'inverno la stesse avvolgendo.

    «Stop. Lo spettacolo è finito. Avete già le vostre dame da tenere a bada.»

    Il suo era un sibilo simile a quello di un serpente a sonagli, stava rigettando in quel tono tutto il fastidio e il nervoso che aveva portato dentro. Si soffermò con gli occhi su JH, quindi di nuovo schiuse le labbra.

    «Sparite. Tutti.»

    Scandì perfettamente quell'ultima parola, mentre il gelido si soffermava sul volto orientale, quasi a lanciare un messaggio che si discostava da quello che stava succedendo ad Elisabeth fino ad ora. A lui intedere, se avesse voluto.

    «Quanto a te, Miller...»

    Mosse il capo ad intercettare il riccio americano. Non era per niente come Astrid, lui era ciò che Lilith aveva sempre odiato, trovandolo uno spocchioso ragazzino viziato.

    «Visto che hai trovato il coraggio di arrivare fin qui senza annusare sotto le gonne di tutte, se non ti spiace sono curiosa di sapere anche io cosa hai da dire ad Elisabeth, se lei vorrà parlarti.»

    Veleno.
    Puro veleno che scivolava tra le sue labbra, mentre la lingua arrotolava quel suo dire. Poi guardò con la coda dell'occhio Elisabeth. Non si sarebbe spostata da lì, se avesse avuto bisogno di una spalla per lanciare un pugno in faccia a qualcuno, lei le avrebbe donato esattamente quella.
    Beh, che dire follettini e follettine. Si è arrabbiata Lilith, ma è comunque un sacco tenerella, VERO?! Joo-hyuk Kwon trigger for you, con mucho affettato Giadì Erin Murphy, Lilith ti vuole bene. Elisabeth Lynch tanta solidarietà femminile ed un Alex che ti offre caMArelle.
    Lilith Clarke

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Per lei non era nuovo aiutare qualcuno dei primi anni, lo aveva fatto da sempre, anche quando aveva poca voglia di farlo; tuttavia, sembrava quasi come se fosse diverso dalle altre volte, aiutare Kwon con il suo compito.
    Non sapeva se questo era determinato da quello che era successo tra loro durante quel sabato strano o se forse era solo condizionata dall'idea di freschezza che le donava il ragazzino, fatto sta che quando quel draghetto era arrivato da lei, aveva fatto scattare dentro di lei il desiderio di riavvicinarsi a lui, di osservarlo mentre studiava e di capire quanto riuscisse ad essere interessante in quella veste che ancora non conosceva.
    Che avrebbe accettato l'invito era certo, ciò nonostante voleva creare in JH un momento di attesa più lungo di quello che forse meritava e quindi aveva aggirato lo scaffale - con l'intenzione di prendere un volume che forse nemmeno le sarebbe servito - e allungare un po' il percorso per giungere a lui. Sentiva l'impazienza di raggiungerlo, di respirare ancora quel profumo troppo maturo ma perfetto per lui; riuscì comunque a mantenere un'andatura pacata, mascherando bene quella voglia di distruggere le distanze calpestando i corridoi di quella biblioteca. Ne osservò il taglio orientale di quegli occhi che erano oblio posizionato sul volto del ragazzo, aveva paura di perdersi tanto che si constrinse, per pochi secondi, a spostare lo sguardo sul ripiano di studio.
    Tre parole.
    Furono solo tre le parole che arrivarono a lei in risposta di quella domanda lasciata a metà, per essere completata da lui. Inaspettata e impulsiva, quella frase scosse ogni centimetro della pelle chiara della riccia, che dovette quasi trattenere il respiro per non mostrare quel sussulto che la portò a socchiudere gli occhi per un istante tanto breve, quanto intenso, nel ricordo di quel morso che le aveva ferito l'inferiore. Ancora una volta si affacciava la traccia dei suoi denti nella carne, un segno celato che avrebbe voluto nuovamente riaprire per sentirne il gusto che le aveva lasciato sulle labbra. Si morse la carne del labbro inferiore, recuperandolo tra i denti, non riuscendo a ricacciare indietro la memoria dell'irruenza che aveva utilizzato l'altro nel farlo. Il ghiaccio delle iridi si spostò a guardarlo di sottecchi, quasi a non voler dare dimostranza di quanto quelle parole l'avessero spiazzata, un punto trigger in cui lui aveva ficcato il dito e aveva spinto, rendendola - quasi - incapace di rispondere.

    «Impertinente.»

    Ne sillabò le lettere, con un tono che palesava ironia, quasi come se stesse ammettendo, ad armi basse, quanto avesse segnato il suo primo punto della giornata. Non era sconosciuta ai complimenti che le venivano fatti, ma quello aveva un sapore di realtà, un profumo di qualcosa di autentico e sentito, come se la spontaneità di quelle parole avesse strappato via l'importanza di ogni qualsiasi confessione le fosse stata fatta in precedenza da altri.
    Doveva concentrarsi su altro, perché quello sguardo che sentiva addosso, sembrava quasi la stesse spogliando di ogni velo di stupide apparenze che vestiva in quei corridoi, mettendone a nudo la sua carne ed esponendola a troppi pericolo; per non parlare di quel volto che si ritrovò a guardare nuovamente troppo da vicino, trovandolo perfetto nei lineamenti che ne dipingevano ogni spigolo. Sicuramente lo studio era una distrazione migliore, quindi si strinse nelle spalle e roteò il busto affinché si trovasse nella sua stessa posizione, quasi come se volesse fuggire all'idea di avere una via di fuga facile. Il palmo della sua mano sinistra si piegò a reggerne il volto dalla guancia, mentre ascoltava interessata l'altro.

    «Sei buddhista?»

    Un sussurro di curiosità, dimentica che fosse lì per aiutarlo, non per conoscere ancora briciole della sua vita. Eppure era così complicato rimanere sul tema che doveva trattare, quando aveva l'opportunità di fare un passo avanti verso di lui. Era come se ogni volta che le loro strade si incrociasse, lei avesse la necessità di strappargli qualcosa, per poterne fare furto e tesoro, allo stesso tempo.
    Lo lasciò parlare, chiedendosi se realmente si fosse trovato in difficoltà col compito o la sua fosse solo una semplice scusa per averla lì vicino. Non volle illudersi della cosa, quindi rimase dell'idea che probabilmente aveva davvero necessità di confrontarsi con lei riguardo qualcosa che non era certo andasse bene, per questo rimase in attesa, annuendo - infine - alla sua osservazione riguardo la sua conoscenza del secondo giorno di festeggiamento del Diwali.

    «Chooti Diwali. Il giorno in cui la dea Kalì e il dio Krishna hanno distrutto l'asura Narakasura.»

    Mormorò quasi a conferma delle sue parole, ritrovandosi a piegare il capo ancora una volta in senso di accettazione delle sue parole.
    Socchiuse gli occhi e istintivamente avvicinò la sedia - non provocando alcun rumore - alla sua, quasi a voler condividere meno distanza possibile, ma ovviamente (?) era per non trovarsi a disturbare gli altri con il loro chiacchiericcio accademico.

    «Durante questa giornata, vengono bruciate effigi di demoni, ad esorcizzarne le forze. Direi che è carico di componente magica. L'esorcismo qui viene ad assumere una principale componente del festeggiamento, viene iliminato per ridonare luce alla vita.»

    Soffiò via quelle parole, accostando il corpo a quello dell'altro, al fine di sfiorarne con la spalla, quella dell'altro e da avere centimetri ancora minori di distanza, mentre la gamba destra ne sfiorava la sinistra.

    «E nel Buddhismo? Potresti creare un ponte tra le due festività se vi sono convergenze a riguardo. Che ne pensi?»

    Il cristallo si spostò ad osservare meglio il suo volto, accennando un sorriso che ancora avev remore ad uscire realmente allo scoperto, quasi come fosse segnale di cedimento.
    Lilith Clarke

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    La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati.
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    Dioptase, Caposcuola

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  8. .

    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Dopo tanto tergiversare, questa player ha finalmente trovato la forza di rispondere al ballo più complicato di tutta Hidenstone. Fessa lei a pensare di portare tutte le sue marionette, con l'idea di avere le interazioni ridotte al minimo, trovandosi in una baraonda di roba a cui reagire. Ma basta perder tempo, torniamo alla cosa fondamentale.
    Quel ballo stava andando in una direzione che ancora Lilith non aveva compreso. Aveva affrontato l'entrata solitaria, era riuscita a giungere in una zona di comfort che subito era stata invasa dalla dolcezza del ritorno di Joshua, mentre pian piano quello spazio si affollava, togliendo aria necessaria ad una via di fuga sicura.
    La presenza di Joshua le stava dando l'illusione di avere ancora scampo per sottrarsi a quella convenzione che la vedeva presente in quella sala, dandole almeno l'utopia di potersi dedicare ad una conversazione che forse necessitava anche di spazi totalmente diversi. Scrollò le spalle alle parole dell'altro, sussurrate ad una distanza pericolosa, che l'altra cercava di sotterrare per non mostrare un fianco debole alla vicinanza dell'altro, tanto da azzardare anche lei ad avvicinarsi provando a mantenere un self-controll degno di una reginetta del ballo. Come dargli torto, in fin dei conti erano chiacchiere di corridoio e per quanto fossero vere o false, a lei interessava poco. Socchiuse gli occhi, ispirando a lungo, rispondendo a quella frase solo con uno sguardo tagliato che scivolava dalle labbra agli occhi dell'altro, mentre il sinistro angolo della sua bocca si fletteva in un mezzo sorriso.
    Rapido il sopracciglio si sollevava verso l'alto, dandole disegno di un'espressione ben più sagace riguardo gli impegni che l'altro aveva dovuto affrontare prima di giungere da lei.

    «Ed io che speravo di essere l'impegno più importante. Dovrai farti perdonare, Joshua Evans

    Sibilò come serpente a sonagli, lasciando all'altro libera interpretazione in quel sottile gioco che non aveva altro scopo che ritrovare il calore di un rapporto che era sfumato per l'assenza dell'Evans. Lo sentì ridere e si lasciò andare ad un rimando fatto di cristallino suono che potesse parlare meglio di qualunque altra frase, mentre lasciava andare un po' di pesantezza che le premeva sulle spalle. Si lasciò accompagnare in pista, sentendosi per quel frangente brillante importante, tanto da meritare quel primo ballo, quasi fossero loro ad aprire le danze, nonostante qualche altro coraggioso fosse scivolato su quella pista ben prima di loro. Era come se Joshua avesse spostato ogni singolo studente, per far entrare lei su quel percorso, accendendo i riflettori dei più che probabilmente avrebbero vociferato di quello strano ondeggiare dei due.
    Sono importanti solo se tu vuoi che lo siano.
    Quella frase tornò come eco nella sua testa, mentre annullava qualsiasi preoccupazione di quanto potessero essere protagonisti di altre indiscrezioni che sarebbero state costruite dopo quella serata. Non le importava, non perché non fosse importante, ma perché voleva imprimere in quel ballo un prestigio diverso, che andava oltre ogni chiacchiera che avrebbe fatto rimbombo tra le mura del castello. Il tocco di Joshua, gentile e leggero, fece sì che l'altra si avvicinasse quel che bastasse per annullare le distanze dal giallo-viola, mentre le braccia si sollevavano a posarsi attorno alla sua nuca, allacciando tra loro le dita delle mani a saldarne la presa, mentre discreto il pollice sfiorava un ciuffo di capelli che ne solleticava il tatto.
    Qualsiasi suono stava riproducendo la console stregata, non serviva altro che a far dondolare le due figure, che sembravano approfittare di quel momento di ritrovata riservatezza per ricercare una vicinanza perduta, vittima del tempo e delle assenze.

    «Dipende. Sta a te decidere cosa è bene e cosa è male. Non lasciare mai che siano gli altri a farlo, Josh.»

    Ammise piano, accostando le labbra al suo orecchio al fine di non lasciare che la musica ne coprise le parole. Quel dondolare la stava rilassando, stava permettendo alla Caposcuola di riprendere pieno possesso della sua consapevolezza, come se quelle parole a lui riferite, stessero servendo anche a lei, per ritrovarsi e superare ostacoli che aveva lasciato le bloccassero la via. Guardò le labbra dell'altro socchiudersi, come se cercasse lui stesso parole che non trovò, Lilith arricciò le proprie, mordendosi l'interno; non riuscì a capire se il loro dondolare si interruppe a causa della musica o per quella voce che riportò alla realtà l'altra.
    Voce che per Lilith era così familiare, che l'avrebbe riconosciuta ad occhi chiusi.
    Sentì scivolare le mani di Joshua dalle propria vita e si ritrovò costretta a sciogliere la presa dal suo collo, per dedicare sguardo alla ritrovata amica che aveva perso per fin troppo tempo, complice l'orgoglio e le ferite.

    «Jessica! Alex!»

    Lo sguardo passò dalla corvina verso l'alto, al bambino, per poi cadere con più freddezza sul concasato dell'Evans. Jones non era tra le sue simpatie, la Whitemore lo sapeva, ma le aveva promesso che avrebbe dato una possibilità allo scarto sociale, solo perché era colui che aveva riacceso in Jessica quella voglia di sorridere. A lui concesse un segno del capo, già un passo avanti rispetto al suo solito ignorarlo.
    Si avvicinò alla nera, a sfiorare la sua guancia con un delicato bacio.

    «Smettila, piccola serpe

    Le rimandò con dolcezza, nonostante quell'epiteto che pareva essere un insulto, ma che in realtà era il suo modo di complimentarsi con lei, in maniera affettuosa. La guardò da capo a piedi, mentre gli occhi celesti ne rubavano ogni centimetro di pelle - coperta e non - per poi sorriderle e annuirle, quasi a volerle confermare quanto fosse splendida. Jessica sapeva che Lilith non si lasciava andare a troppe effusioni, soprattutto dopo la rottura con Blake che l'aveva portata a raffreddare ogni singolo gesto di smanceria con chiunque. L'altra era consapevole di come lei parlasse con gli occhi, e in quel momento le stava dicendo che aveva davanti la donna migliore di tutta la scuola.
    Era contenta, contenta di vederla lì con Alex e contenta di notare come quelle dita erano incastrate nella mano di qualcuno che la faceva sentire viva e che aveva attenzioni per lei.
    Notò l'arrivo di Cameron ed Elisabeth e se l'altro avesse incrociato il suo sguardo, avrebbe trovato Lilith sorridergli, felice di vederlo giungere con lei, non consapevole che poi non lo avrebbe trovato al suo fianco, di lì a breve.
    Lasciò che lei ed Evans si scambiassero notizie, saluti e quanto necessitavano, mentre il cristallo di ghiaccio scivolava, con malcelata indifferenza, a cercare qualcun altro ritrovandosi a dover fare i conti con quel balletto sulla pista di ghiaccio, che lo vedeva accostare il suo corpo a quello di quella stessa rossa che lo aveva avvicinato poco prima. Sbuffò un respiro fin troppo pesante, ritornando lentamente a guardare i presenti davanti a lei, ricacciando indietro quel moto di fastidio che provò alla bocca dello stomaco.
    E così come Joshua ricacciava l'idea di piazzare una scenata alla rossa di cui lei non era minimamente al corrente del legame con l'altro, così la riccia fece lo stesso, rimurginando sul fatto che quell'anno non sarebbero volati bicchieri d'acqua, né parole troppo taglienti.
    O almeno ci sperava.

    «Hm?»

    Mugugnò quando l'altra si avvicinò per sussurrarle quelle parole. La coda dell'occhio, inevitabilmente si spostò alle sue spalle, quasi ad indicare all'altra dove porgere il proprio sguardo per rispondersi a quella domanda, prima di tornare a quello strano accostamento di personalità cozzanti tra loro.
    Ciò che la fece sussultare, invece, fu il tocco leggero di Joshua sulla propria schiena, inaspettato, le fece tingere appena le guance di rosso, mentre donava un dolce sorriso all'altro. Annuì lentamente, piegando appena il capo in sua direzione.

    «Certo. Per qualsiasi cosa, io sono qui in giro.»

    Era quasi un modo per dirgli che, nonostante tutto, qualsiasi cosa sarebbe successa a quel ballo, se lui avesse avuto bisogno, lei sarebbe giunta in suo aiuto. Non appena l'altro si allontanò, lo sguardo di Lilith cadde sull'altro ametrin e sulla sua amica.
    Sospirò, quasi a voler riprendere compostezza, poi schioccò la lingua sul palato e fece un passo verso Lucas, al fine di arrivargli ad un passo dal naso.
    Lo guardò intensamente, seppur le sue iridi sembravano quasi lame che lo stavano trafiggendo ripetutamente.

    «Alex... vieni da zia Lilith... andiamo a prendere qualche caramella e facciamo un giro a vedere la pista di pattinaggio, che ne pensi?»

    Allungò le braccia verso il piccolo, guardandolo con un dolce sorriso. Lo avrebbe preso in braccio e messo giù, afferrandolo per la manina piccina, ma prima di andarsene avrebbe sibilato veleno verso il Jones, accostandosi al suo orecchio - affinché lo sentisse solo lui - mentre guardava oltre la sua stessa spalla, con un sorriso che sembrava angelico, tanto da far credere a tutti che si stesse solo complimentando con lui o semplicemente salutarlo.

    «Feriscila e io farò di te il tappeto del mio bagno. Falla piangere e verserai tanto sangue quante le sue stesse lacrime. Sono chiara, Jones? E adesso non dire nulla, sorridi e fa finta che questa conversazione non sia mai avvenuta o ti legherò la lingua per il resto dei tuoi giorni.»

    La disarmante tranquillità e freddezza con cui minacciò l'altro, fu degna del peggiore dei serial killer, mentre faceva un passo indietro e inclinava il capo sulla propria spalla sinistra, concedendogli un altro angelico sorriso, fingendo che tutto andasse perfettamente. Poi guardò Jessica.

    «E' il tuo ballo, ti concedo un po' di libertà mentre io e Alex andiamo a riempirci la pancia. Ci trovi da quella parte.»

    E indicò col capo la zona cibo.
    Si avviò con il piccoletto mano nella mano, mentre lo guardava camminare goffamente verso le caramelle.

    «Hai nascosto nella tutina il sacchetto che ti ho regalato? Dobbiamo rubare tutte le caramelle, ricordi?»

    Tono complice col bambino, mentre ne prendeva una manciata e la metteva in un sacchetto espanso che aveva regalato qualche giorno prima alla creatura. Lo sguardo dell'altra si dedicava al bambino e anche a guardarsi attorno, provando ad evitare la zona del pattinaggio ancora un altro po'.

    «Ti va se ci facciamo qualche foto?»

    Prese il piccolo in braccio, mettendolo dal lato opposto a dove aveva celato la bacchetta in una piccolissima fessura nascosta del vestito (ad Hidenstone era sempre importante portarla, ormai lo sapeva benissimo) e passo si ritrovò a muovere verso l'albero, afferrando un paio di palline e facendo facce buffe col bambino, per immortalare i loro volti, prima di fargliele nascondere nella sacchetta.

    «Andiamo a vedere la gente cadere sui pattini? Magari potremmo fare anche un giretto, che ne pensi?»

    Vide l'entusiasmo dell'altro, quindi arrivò anche lei alla tanto agoniata pista di pattinaggio. Gli elfi provvedettero a dar loro dei pattini, mentre il piccoletto metteva i piedini a terra e lei si piegava in avanti per tenergli tutt'e due le manine.

    «Bravo, così. Pian pianino.»

    Lei aveva imparato a pattinare sul ghiaccio circa alla sua età, grazie ai suoi fratelli che la usavano come fionda, ma quelli erano altri dettagli. Fece scivolare lentamente il piccolo sul ghiaccio, mantenendo un equilibrio quasi perfetto, complice anche il suo portamento da ballerina classica; stava ben attenta a mantenersi ai bordi che erano molto più sicuri per il piccoletto, ridendo quando di tanto in tanto rischiava di cadere e reggendolo con più attenzione.

    «Sei meglio di mamma, eh!»

    Rise, mentre cercava di allontanare la strana sensazione di essere nello stesso spazio di chi aveva cercato di evitare fino a quel momento, costringendosi a tenere il cristallo sul piccoletto, così da non incrociare nemmeno una volta lo sguardo del primino.
    Caspita che travaglio!
    Allora, nella prima parte del post è dedicato completamente alle interazioni con Joshua B. Evans e al loro ballo. Poi interagisce con Giadì e ruba Alex, così che loro possano ballare. Con il piccolo va a rubare caramelle, fare foto e lo porta a pattinare, mentre cerca di ignorare Joo-hyuk Kwon.

    Se ho saltato qualche interazione, perdonatemi, sappiate che vi amo lo stesso, ma sono peccata.
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    Vergognoso.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Le ronde in biblioteca non erano proprio la sua gita preferita, anzi cercava di evitarle quanto più poteva, perchè sapeva il fastidio di sentire il borbottare qualcuno mentre gli altri studiavano. Lei lo odiava.
    Per lei la biblioteca era sacra e doveva rimanere come tale; tuttavia, era arrivata una segnalazione da parte delle Chandler, che richiedevano immediatamente un Caposcuola: qualcuno si era divertito ad entrare durante la notte e disordinare tutti i volumi del reparto "Fatture e pruriti". Le sorelle Chandler erano disperate, pareva che mancasse anche un preziosissimo pezzo da collezione "Come scaccolare il naso di un troll" e loro piangevano diamanti letterali dagli occhi alla perdita di quel volume.
    Lilith, che d'altro canto amava passare il tempo tra l'odore delle pagine dei libri, decise di prendersi quest'onere ed era andata lì subito dopo la lezione di Difesa delle Arti Oscure, aveva due ore libere e poteva cercare di risolvere il mistero di quel volume mancante, dopo aver aiutato le due a sistemare gli scaffali.
    Quando era arrivata gli studenti là dentro erano pochi, a mano a mano che le lezioni finivano, ognuno veniva a prendere la propria postazione preferita. Lilith ne conosceva diversi di loro, quindi si distraeva giusto quadno qualcuno di questi le rivolgeva saluto o qualche domanda per cercare di avere l'opporturnità per parlarle.
    Nessuna distrazione, tuttavia, l'aveva distolta dall'aiutare le due gemelle, visto che dopo la sistemazione sarebbe dovuta andare a fondo sulla questione del volume scomparso. Tra i tanti studenti che entravano ed uscivano, Lilith aveva notato anche Kwon: il primino non si era accorto di lei, nascosta tra le scale e le pile di libri che erano sparse per terra, e lei aveva fatto in modo di non farsi notare, anche solo per strappare per se stessa qualche immagine di troppo, rubata nell'osservare l'altro approcciarsi con un ambiente che apparteneva totalmente a lei. Di nuovo. Cercò di fare il giro degli scaffali non passando innanzi ai tavoli, così da non sentire l'esigenza di fermarsi, seppur di tanto in tanto ne cercava i lineamenti, memore di quel pomeriggio strano passato da lei, di cui l'era rimasto il suo profumo addosso per i giorni a seguire e, forse, se lo avesse cercato tra i suoi vestiti, era ancora appiccicato come colla ai tessuti.

    Stava mettendo su una mensola in alto l'ultimo dei volumi che era stato spostato, quando davanti al suo naso un draghetto di carta arrivò svolazzando. La bacchetta dell'altra rimase a mezz'aria, trattenendo quel wingardium che reggeva un tomo piuttosto pesante, posando una mano sotto il draghetto, quasi a volerlo far poggiare. Su di esso vi lesse quelle parole e arricciò le labbra a nascondere un sorriso. Lo sguardo di ghiaccio si volse in direzione dell'altro, non troppo distante dal pluteo dov'era arrivata.
    Osservò l'agitazione di quella penna, sposarsi perfettamente con quella del piede sotto il banco.
    Per un breve frangente, quando vide quel labbro rapito dai suoi denti, senti un brivido lungo la schiena che dovette cercare di ricacciare indietro, insieme al sapore che le aveva lasciato quel pomeriggio. Passò la lingua là dove aveva ferito il proprio di labbro, non c'era più niente...
    Lasciò levitare il tomo al suo posto, quindi abbassò la bacchetta e la ricacciò nella tasca della giacca della divisa, indossata perfettamente come se l'avesse stirata addosso al suo stesso corpo. Non si diresse da lui, sparì dal lato opposto, tra gli scaffali, quasi a lasciar intendere all'altro che non sarebbe andata minimamente ad aiutarlo con i suoi compiti. Tuttavia, non si sarebbe fatta sfuggire un'occasione del genere: la verità era che aveva raggiunto uno scaffale poco distante da quello, per recuperare un libro che probabilmente lo avrebbe aiutato; quindi si avvicinò con passo tranquillo ed elegante, degno portamento di una danzatrice di danza classica, con la schiena dritta e lo sguardo fiero, al banco del ragazzo. Gli occhi erano fissi su di lui, mentre ne aggirava la figura e si siedeva lì dove la postazione era libera. Avrebbe potuto accorciare ed evitare di girargli intorno, ma era stato irrefrenabile il desiderio di avvolgerlo con il suo stesso profumo, quella vaniglia mista all'albicocca del suo balsamo. Chissà se lo ricordava...
    Si sedette, accavallò la gamba, senza infilarle sotto il banco e ne guardò la pergamena. Bianca. Non aveva scritto niente.

    «È Diwali che ti distrae o...?»

    Lasciò in sospeso quel sussurro, proferito a voce bassa così da non infastidire i presenti. Sul tavolo fu fatto scivolare un libro - Del bene e del male. Feste e tradizioni. - lo conosceva a memoria, visto quanto nel biennio lo avesse utilizzato. La sua mano, però, rimase sulla copertina, quasi come sigillo, mentre tamburellò un paio di volte soltanto le dita su essa, quasi in attesa di una risposta.

    «La festa delle luci... la vittoria del bene sul male... audace scelta.»

    I suoi occhi non lo avrebbe liberato nemmeno una volta dal travaglio del suo ghiaccio che lo incatenava. Lei non aveva bisogno di leggere libri per sapere qualcosa, soprattutto del suo programma.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Se solo lei avesse saputo, Blake aveva ragione, non solo si sarebbe arrabbiata e lo avrebbe picchiato tantissimo, ma avrebbe anche evitato di sottrarsi troppo a quell'incontro che in un modo o nell'altro doveva avvenire, così come aveva dribblato diversi altri loro incontri in mezzo ai corridoi. Insomma, sarebbe stato tutto diverso se solo Blake non avesse avuto - oltre che un deficit emotivo - anche un deficit comunicativo. Se solo avesse saputo tante cose, Lilith avrebbe reagito diversamente a tante altre. Eppure lui aveva deciso di tenerla allo scuro di tutto e questo significava che qualsiasi cosa stesse passando, Lilith non avrebbe potuto nemmeno immaginarlo, e riusciva a vedere nel suo comportamento, solo del menefreghismo nei suoi confronti, un modo per allontanarla definitivamente dalla sua vita.
    Se questo era quello che anche lei voleva? Non lo sapeva, tuttavia si era adeguata, perché sapeva che quando Blake si metteva in testa una cosa, nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea e quindi lei aspettava, come se credesse davvero che prima o poi avrebbe fatto il giro per tornare da lei. La sola domanda era: quanto ci avrebbe messo? E lei, sarebbe stata ancora pronta?
    Quella divisa perfettamente indossata era sintomo che in un certo modo, lui le stava comunicando che era nei suoi pensieri e che non era completamente uscita dalla sua testa. Questo fece smuovere qualcosa alle pendici dello stomaco di Lilith, tanto da far colorare quei ricci di quel colore che apparteneva solo a lui, fin da quando si erano incontrati la prima volta. Il nero tetro della sua anima, misto ai suoi capelli che sapevano di albicocca. Una mescolanza unica che non avrebbe potuto comprendere nessuno.
    Quando si infilò il cappuccio, certa di riuscire a rimediare a quelle sensazioni che le stavano affliggendo i capelli e non solo, ma la sua frase.
    Sussultò, guardando davanti a sé con gli occhi sgranati. Lo aveva notato. Lo aveva notato come l'ultima volta, lo aveva sempre notato. Perché riusciva a cogliere ogni singolo cambiamento in lei e questo era ciò che più a lei faceva timore di Blake, la osservava, in silenzio, anche quando lei non se ne accorgeva. Era sempre alle sue spalle e forse si crogiolava su questo, tanto che si sarebbe provata a buttare ad occhi chiusi, di spalle, dalla Torre più alta di Hidenstone, per vedere se lui sarebbe stato giù ad attenderla, per afferrarla.
    Ingoiò a vuoto, mantenendo quella maschera di perfezione e cinismo, cercando di non far trasparire più di quello che la natura metamorpha stesse già svelando.
    Lo guardò di sottecchi, senza lasciare che scorgesse troppo il proprio sguardo, nascosto dal lembo del cappuccio.

    «Certo, non possiamo controllare tutto noi.»

    Ammise con leggerezza, ben consapevole di come la cosa avesse sconvolto Blake. Rimase sbigottita quando sentì il cappuccio venir tolto e i ricci tornare scoperti, svelando come il nero era aumentato per quel gesto dell'altro.

    «B!»

    Ne gridò quel soprannome che gli aveva scaldato più di una volta il cuore, quella singola lettera che per lei significava famiglia, affetto, calore, sicurezza.

    «Blake!»

    Si corresse poco dopo, trovandosi ad arrossire e a cercare i lembi del mantello con le mani che quasi tremavano. Non aveva dimenticato l'irruenza e l'imprevedibilità dell'altro, ma non credeva che sarebbe stato così difficile tenergli testa, quella notte.
    Sospirò all'idea di Blake, come se davvero potesse trovare così tanti dioptase a fare baldoria. Scrollò le spalle, quindi avanzò al suo fianco, sollevando gli occhi al soffitto e mal celando un sorriso dolciastro sul volto ancora imbarazzato.

    «Mi sembra che queste manette ti stiano decisamente bene, comunque.»

    Lo canzonò, trovando quasi rassicurante il fatto che ora dovesse stare un po' più attento a causa della sua carica, magari Victoria aveva trovato un modo per tenerlo a bada, seppur Lilith dubitava di questo.
    Quando la sua domanda toccò il tasto che Lilith immaginava schiacciasse, le cose divennero decisamente diverse.
    La maschera della perfezione non le cadde dal volto, come se non avesse nulla da nascondere al mondo, seppur la sua mente volò momentaneamente al primino che aveva incontrato per sbaglio nel bagno sbagliato. Non le sembrava il caso di dire parola su di lui, alla fine non era successo, nulla giusto? E poi, qualsiasi cosa avesse provato in quel bagno si era volatilizzato nel giro di pochi frangenti, o non era così? Scrollò le spalle, quasi a togliersi di dosso quel pensiero.

    «Sembrano tutti piuttosto monotoni. Più che altro, Beauvais? L'ho beccato fuori ubriaco diverse volte. Sembra che voi abbiate un cane sciolto nei Black Opal. O sbaglio?»

    Non che le interessasse più di tanto, ma voleva tastare il terreno di quello che Blake stava facendo: si stava concentrando sulla sua carica o stava pensando alle primine appena giunte?
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    Quando guardava Joshua, rivedeva loro due al primo anno in quella stanza delle necessità. Quante cose erano cambiate nel frattempo, a partire da quello che da lì a poco sarebbe successo tra lei e Blake, poi l'Halloween e via dicendo un mucchio di altre cose che avevano portato i due a ritrovarsi a quel ballo, soli come quando si erano incontrati in quella stanza, l'unica differenza e che ora entrambi avevano un po' più di consapevolezza di loro stessi, o almeno, così credeva Lilith facendo un autoanalisi.
    L'arrivo di Joshua al ballo, non accompagnato, non era rientrato sicuramente nei suoi programmi, infatti l'ametrino l'aveva decisamente presa in contropiede con quella sua apparizione e quel sorriso che un pochino l'era mancato, doveva ammetterlo. Sul volto di Joshua aveva sempre letto tranquillità, come se non ci fosse nulla a preoccuparlo, nonostante avesse già ben altri problemi. Non si accorse che seguì il suo sguardo, verso il primino, non badando che anche lui avesse qualcuno da osservare in quella scenetta che aveva mille domande a riguardo. Quel trio non sembrava per niente omogeneo e dovette ammettere che preferiva di gran lunga pensare che Kwon fosse in dolce compagnia di Andor, piuttosto che di quella ragazzina rossa. Ma dovette darsi una scrollata ai pensieri, quando le parole di Joshua la riportarono alla realtà.
    Scrollò le spalle, con un sorriso emblematico sul volto, nascondendovi dietro la sua poca voglia di rimanere realmente a quel ballo con una maestria degna della sua natura metamorpha. Sussultò quella domanda, come se Joshua avesse trovato il punto in cui far entrare il proprio stiletto e le avesse concesso un taglio dolce, di quelli che non vedi quando fai, ma senti successivamente.
    Ingoiò a vuoto, quindi afferrò l'interno della guancia tra i denti, stringendo appena, mentre la coda dell'occhio sfuggiva nuovamente sull'opale, giusto quel poco che bastava per vederlo continuare in quella conversazione. Fu un attimo fulmineo, prima di concentrarsi di nuovo sull'ametrino.

    «Nessuno degno del mio saluto, al momento.»

    Se Joshua voleva capire quanto ancora fosse tagliente la lingua della Caposcuola, quella fu una delle piccole dimostrazioni che era in parte rimasta la solita piccola vipera di cui si parlava nei corridoi scolastici. E il suo sorriso si trasformò in un ghigno, mentre sollevava il nasino snob verso l'alto, guardando l'amico di sottecchi.
    Abbassò il mento saccente solo quando quel cambio di argomento riprese una piega meno invasiva. O si fa per dire.
    Allargò appena le labbra, con esse anche le iridi celesti quando lui le si avvicinò per confessarle che sapeva. Sussultò e per quanto avesse ben chiara quale fosse la posizione sua e del prefetto degli Opal, sentirlo dire ancora una volta da qualcuno, faceva un certo effetto.
    Arricciò le labbra, ricacciando indietro un senso di nausea.

    «Vedo che le notizie importanti giungono sempre per prime.»

    Quindi avrebbe fatto un passo avanti per giungere all'orecchio sinistro dell'altro, se glielo avesse concesso.

    «E' per questo che non hai avuto timore ad avvicinarmi?»

    Lo punzecchiò appena, nascondendo in quella frase una domanda ben più implicita: dov'era realmente la dama di Joshua, ora che era tornato? Si guardò attorno anche lei, scivolando di nuovo su quella scena che le disturbava lo stomaco, quindi si trovò stranita e sorpresa per quell'ammissione. Trattenne una risata, stringendo le proprie labbra colorate di rosso.

    «Il fatto che tu sia qui a parlarne, vuol dire che non ti ha rotto nessun naso. Giusto?»

    Il dorso della mano andò a coprire le labbra, cercando di non mostrare quel sorriso compiaciuto dall'idea che Joshua pensasse che Blake fosse uno stronzo per non aver proseguito la loro storia. Loro erano stati la perfezione insieme, ed ora, che fine avevano fatto?
    Sollevò un sopracciglio, con un angolo delle labbra che si fletteva in un sorriso sostenuto. Si umettò le labbra, trovandosi a sorridere più del dovuto, calando lo sguardo prima su di lui, poi sui suoi stessi piedi.

    «Direi che da donna emancipata quale sono, posso sicuramente permettermi di decidere quale sia il mio cavaliere per il primo ballo.»

    Disse, afferrando il bracco dell'altro, cingendolo con delicatezza. Si sarebbe fatta portare in pista, senza lasciarsi coinvolgere da niente se non dalla presenza dell'Evans, che riusciva ad avere sempre una calamitante presa.

    «Si torna sempre dove si è stati bene, vero Evans?»

    Gli suggerì in riferimento alla scuola o forse a quel loro riavvicinamento momentaneo che aveva un qualcosa di tranquillizzante.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Cercare volti conosciuti a quel ballo stava diventando davvero una noia. Alla fin dei conti di conoscenze ne aveva fin troppe e ogni volto pareva ormai troppo familiare. Quello che realmente cercava era qualcuno che potesse almeno un attimo affievolire quel senso di inadeguatezza che aveva addosso, trovandosi da sola a sorseggiare quella cioccolata calda che pareva addirittura troppo dolce per essere assaggiata dalle sue labbra, colorate di un rosso molto acceso, quasi a voler cozzare con il restante del suo abito dalle tonalità elgantemente scure.
    Già ne aveva abbastanza e non aveva ancora superato la prima decina di minuti, aveva promesso a Seth che sarebbe tornata il prima possibile e per lei quello poteva già essere il prima possibile. Giusto il tempo di salutare Jessica e augurarle una buona serata, poi tra un ballo e l'altro, non appena l'amica sarebbe stata distratta, sarebbe sgusciata fuori da quel ballo fino a prendere una boccata d'aria sana.
    Almeno, questi erano i suoi programmi.
    Era poggiata al parapetto, con in mano la sua tazza fumante, con cui ogni tanto si inebriava il respiro, cercando di comprendere quando fosse il momento giusto di berla senza che si bruciasse. Distratta dalla pista di pattinaggio, Lilith non si accorse minimamente dell'arrivo dell'Ametrino che era ormai un fantasma nei suoi ricordi da circa tre anni.
    Raddrizzò la schiena a quel sussurro, quindi le rosse si mossero ad addolcirsi in un sorriso, mentre lo sguardo piano si muoveva a cercarlo con la coda dell'occhio, per scorgerne appena il profilo.

    «Se ti avessi aspettato lì, sarei invecchiata nella speranza, Evans

    Scivolò appena la lingua su quel cognome, con un tono che era un connubio perfetto tra il divertito e l'offeso. Si girò lentamente, facendo cadere le iridi celesti sull'intera figura dell'ametrino, trovandolo piuttosto elegante. Si soffermò solo quando l'analisi arrivò all'altezza dei suoi occhi, che si sarebbero flessi in conseguenza di quelle labbra che sorridevano enigmatiche.

    «Hai mai sentito parlare di emancipazione, Evans? La liberazione dalle restrizioni tradizionali? Bene, hai davanti a te una delle migliori streghe emancipate di tutta Hidenstone.»

    Lo disse con un pizzico di saccenza, quel poco che bastava per rendere credibile l'idea che avesse scelto di andare al ballo da sola.

    «Ciao, Evans.»

    Il calore che impresse in quel saluto convenevole fu quasi stupefacente, era come se avesse appena ritrovato almeno una delle facce che potevano strapparle una minima percentuale di quel senso di inadeguatezza che provava a star lì da sola.
    Non rispose alla domanda se potessero parlare o meno, forse perché ritrovò più importante salutarlo, quando il cristallo dell'altra sciovolò oltre la sua spalla, solo per un frangente di troppo, riconscendo due volti ben noti alla Dioptase: Andor e Kwon.
    Si distrasse momentaneamente da Joshua, per cercare di capire cosa stavano facendo.
    Davvero Kwon aveva preferito accompagnare Andor al ballo, piuttosto che lei? «Allora avevo ragione che aveva fin troppe attenzioni per il messicano, quella notte...» pensò l'altra, riscoprendosi quasi infastidita dalla cosa. Il ghiaccio si attanagliò per qualche attimo di troppo sul primino, lasciando che lui notasse il freddo del suo sguardo, prima che lei stessa ci tenesse a mostrargli come - lentamente - avrebbe discostato la vista da lui, per concederla nuovamente all'Ametrin che aveva davanti.

    «Possiamo parlare quanto vuoi, non c'è nessun cavaliere da attendere. Mi fa piacere che tu sia tornato, Josh e, devo ammettere, in forma smagliante per questo ballo.»

    Fece indietro il capo, facendogli notare con un sorriso che lo stava osservando da capo a piedi; aveva scelto un ottimo accostamento di colori, non c'era che dire, e soprattutto apprezzava la mancanza del cappellino sulla sua testa, lo rendeva meno pazzo psicopatico maniaco stalker (?).

    «Ma, piuttosto, come mai senza dama?»

    Adesso la curiosità non poteva essere spenta, visto che non sembrava l'unica ad essere emancipata, in quel momento. Tuttavia, mentre le parole e la conversazione erano rivolte a Joshua, completamente, di tanto in tanto, lo sguardo dell'altra si spostava a notare i movimenti del coreano, trovandosi a fare i conti con una scena che non aveva minimamente calcolato. Chi era quella ragazzina che si era avvicinata al Black Opal? Che fosse lei l'accompagnatrice e non Andor? Per quanto il messicano fosse entrato fianco a fianco del coreano ed era sicuramente più plausibile che fosse il suo accompagnatore, o almeno era lei a sperarlo.

    «Com'è stato il rientro in questa scuola? E soprattutto... come stai

    Ancora una volta si constrinse a posare lo sguardo di Joshua, domandandogli quello che realmente preoccupava la sua presenza lì: le condizioni dell'altro.
    Intrattiene conversazione con Joshua B. Evans concedendosi qualche lancinante sguardo a Joo-hyuk Kwon e non facendo caso a Deva, troppo presa a dover capire mille situazioni.
    Lilith Clarke

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    La cosa bella dei rapporto è che dimentichi come sono iniziati.
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    Dioptase, Caposcuola

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Un ennesimo ballo.
    Un ennesimo ballo a cui lei non avrebbe potuto non presenziare. La sua carica e la sua reputazione andava oltre quello che aveva dentro, quel fastidio di dover giungere a quell'evento da sola, lei che aveva sempre preferito non mostrare agli altri le sue debolezze, ora si mostrava sola e non accompagnata.
    Aveva scelto il vestito con Jessica e l'amica le aveva proposto di stare con la sua famiglia allargata, ma Lilith preferiva affrontare quell'evento così come doveva affrontarlo: da sola.
    Era davanti allo specchio della sua stanza, a cercare di guardarsi mentre quel vestito scelto per l'evento. Era bellissimo e lo aveva scelto per la bellezza, ma soprattutto come riscatto del fatto che nessun accompagnatore si fosse fatto avanti. Era più una vendetta per tutti quelli che le avrebbero puntato gli occhi addosso, quasi a voler gridar loro quanto avevano sbagliato, quell'anno.
    Aveva indossato il vestito, rigorosamente senza reggiseno sotto, così come aveva deciso con Jessica. Lo spacco sul petto sembrava quasi proseguire fino alla coscia sinistra e quel vestito lasciava scoperta più pelle di quanta avrebbe dovuto. Brillava come avrebbe brillato un cielo nero pieno di stelle, lo aveva scelto perché nella sua eleganza, dava un tocco di unicità e - nonostante come stesse andando a quell'evento - lei doveva apparire sempre perfetta.
    Anche con gli strappi dentro.
    Perfetta agli occhi di tutti.
    Aveva lisciato i suoi capelli, rendendoli seta che scivolava sulle sue spalle nude, quindi aveva indossato un paio di orecchini semplici, due punti luce che si coordinavano al brillante del vestito, così come il decolleté che aveva indossato, con tacco tredici, a slanciare di più la sua figura allenata e il suo trucco semplice che ne risaltava la grandezza degli occhi e ne colorava le labbra di un rosso abbinato al Natale.
    Si guardò attorno, cercando in Seth un po' di appiglio per tentare di mandare giù al meglio quella serata. Si sedette sul letto, accanto al suo bengalese, che di tutta risposta si poggiò alla sua coscia nuda.

    «Non farò tardi, Seth. Il tempo di farmi vedere, qualche giro di saluti e tornerò qui.»

    Lo rassicurò, ma quelle parole, lei sapeva, erano dirette più a se stessa. Si sollevò con un pesante sospiro, dopo un altro gattino al micione, la Caposcuola si diede un altro sguardo allo specchio.

    «Puoi farcela, Lily. E' solo un'ennesima facciata.»

    Uscì dalla sua stanza, ora toccava alla cosa più difficile: il tragitto fino alla Sala Grande. Qualche ragazzina del primo anno le sfrecciò davanti urlando, mentre ancora si stava aggiustando i bigodini in testa, qualche ragazzo stava usando il suo inalatore forse preda ad un attacco d'ansia. Erano tutti in visibilio e lei, invece, non vedeva l'ora che quell'evento già finisse.
    Si mosse fuori dalla Sala Comune, senza inciampare in una ragazzina che sveniva a causa di un invito andato a farsi friggere, quindi uscì nei corridoi e la cosa non migliorò: ovunque vi erano cavalieri e dame, gente che veniva accompagnata al ballo, ragazze che sembravano incontrare l'amore della propria vita.

    «Posso farcela.»

    Continuava a ripeterselo in mente, quasi fosse un mantra da seguire.
    Scese la grande scalinata e arrivò alle porte della sala grande. Socchiuse gli occhi celesti e tirò un grande respiro, prima di far ticchettare i suoi piedi sul pavimento della grande sala.
    Ammirò le decorazioni, guardandosi attorno, quindi si ritrovò a ridere per il vischio che gli altri anni aveva combinato fin troppi disastri al ballo.
    Si mosse lentamente, cercando di memorizzare tutte le immagini di quegli addobbi, essendo l'ultima volta che li avrebbe visti, quindi la prima tappa che avrebbe fatto sarebbe stata quella al baracchino della cioccolata calda, per prenderne una tazza.
    Si guardò attorno.
    Non c'era nessuno ancora di quelli che conosceva.
    Jessica, Lucas, Elisabeth, Cameron, Joshua, Blake, chissà se sarebbe venuto e con chi...
    Mentre cercava loro con li sguardi, si rese conto di come cercasse anche un altro volto che sembrava non essere ancora arrivato.
    Aggrottò la fronte e assottigliò lo sguardo, ma niente.
    Beh, c'era ancora tempo...
    Niente: entra in sala e prende una cioccolata calda che fa freddo, oh!
    Lilith Clarke

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Doveva ammettere che quegli attimi di normalità le servivano più di ogni altra cosa al mondo. Quello che lei e Jessica stavano faccendo era ciò che più si avvicinava ad una tipica serata da pigiama party, con la sola differenza che stavano indossando i futuri abiti del ballo, piuttosto che quei pigiami per mangiare pop-corn mentre vedevano film romantici dove sognavano di essere loro stesse le protagoniste.
    Certo, l'altra sembrava quasi in uno di quei film, per quell'espressione rilassata che indossava perfettamente sul volto; quasi la invidiava, aveva voglia anche lei di sentirsi leggera e di camminare sulle nuvole come stava facendo l'altra, peccato che per la riccia il fato aveva destinato una cinica congelatura dei sentimenti, ritrovandosi ad elargire il minimo sorriso sincero solo alla ragazza, in quel momento.
    All'idea di vedere Jones con un cappello di Natale, Lil si ritrovò a ridere, decisamente divertita e anche quasi indispettita, sperando che l'altra riuscisse a compiere quell'atto, il giorno del ballo (Lucas, nel frattempo sta scuotendo il capo in dinniego, eh!).

    «Credo che tu abbia delle ottime armi per convincerlo. E' un debole, potrebbe dirti sì a tutto se te lo porti a letto.»

    Proprio non riusciva a farselo scendere, l'outsider, come se avesse un repulso ogni volta che veniva nominato. Scrollò le spalle, riguardo al vestito, come se fosse una scelta sua quella di regalarlo ai meno abbienti. Certo, a Lilith piace la beneficienza, ma in quel momento non aveva proprio idea se fosse un indumento che avrebbero potuto riutilizzare i meno fortunati.

    «Potresti prestarlo alla piccola combinaguai. Magari evita di mettere uno dei suoi vestitini da bambina, dovresti farle da consulente di moda per questo tipo di eventi. A proposito, come se la passa?»

    Il riferimento a Gyll non fu fatto con un tono acido, rispetto a quello che dedicava al Jones. In fin dei conti, a Lilith faceva quasi tenerezza la McKenzy, inesperta con la vita.
    Il sorriso della corvina venne ricambiato con gentilezza, apprezzando che avesse recapitato il messaggio all'outsider con cui stava uscendo. Il consiglio che aveva elargito all'altra, forse doveva essere anche utilizzato per se stessa, anche se era difficile in quel periodo, dove le uniche relazioni umane che non fossero accademiche, erano diradate al minimo.
    Sentì appena incresparsi le proprie labbra, quasi come se avesse assaggiato qualcosa di aspro e stesse cercando di ricacciare indietro il sapore acidulo.

    «E quando mai. Quella scuola pulula di gente che si innamorano di Blake.»

    Era la sincera verità, lei non era stata da meno e per quanto quella ferita bruciasse ancora, stava cercando di pensarci davvero poco, nonostante quell'argomento fosse spuntato fuori come un fungo avvelenato in quel pomeriggio tranquillo. Si ritrovò, tuttavia, a gonfiare il petto in un respiro profondo, mentre tentava di sorridere al complimento dell'altra.

    «Credimi, non potrà mai reggere il confronto con me, né fuori nè dentro il letto, Jey. Ma quando Blake se ne accorgerà, potrebbe essere troppo tardi.»

    Classica frase detta tra amiche, mentre una di loro cercava ancora di leccarsi le ferite di una relazione lunga andata in mille pezzi. Si sollevò col busto, mettendosi a sedere e guardando l'altra.

    «Sai cosa? Io e Blake avevamo qualcosa che non potrà avere mai con nessuno. Io fermavo la sua rabbia, assorbivo ogni suo difetto e lo rendevo più accettabile, e lui faceva di me una persona più normale. Blake ha bisogno di una donna, accanto, non di una bambina. E quella sembra una che frigna se le togli la sua penna preferita. Sta solo giocando con la penna di qualcun altro, fin quando non si spegnerà l'interesse per lei e quella penna andrà a cercare un altro foglio da scrivere.»

    Se odiava Louise? No, perché odiarla sarebbe significato provare un sentimento per quella ragazza. Per lei era la più totale indifferenza. Se avesse goduto a vederla piangere col cuore spezzato a causa di Barnes? Oh, sì. Quello l'avrebbe sicuramente riempita di un'emozione, ma sicuramente non sarebbe stata lei a raccogliere quelle lacrime. Louise stava solo prendendo ciò che Lilith aveva lasciato indietro.
    Per quanto sarebbe durata?
    Si diede una spinta e scivolò ad indossare il vestito. Fece un giro su se stessa per far osservare al meglio l'abito all'amica, quindi al suo dire si sarebbe fermata, ma prima che l'altra potesse aggiustarla, avrebbe piegato le braccia dietro la schiena, per togliere il reggiseno, così da vedere che effetto potesse fare l'abito così come lo avrebbe indossato al ballo.
    Sentì i nomi elargiti dall'amica e quasi si ritrovò ad avere un rigetto immediato. Lei era troppo selettiva anche per questo.

    «Ti prego, Jey. Mi ci vedi a fare l'ingresso al ballo con... loro? Se anche venissero a chiedermelo nel migliore dei modi, chiuderei una porta in faccia all'istante. Sai chi si è buttato subito a chiedermelo? Miguel. Il black opal messicano, quello ciaciottello con i capelli ricci. Puoi immaginare la mia risposta...»

    E Jessica sapeva quanto era difficile in fatto di gusti, l'altra, ma anche di scelta di compagnie. Forse era per questo che aveva poche reali amicizie lì dentro.

    «Ma allora è vero? Se Astrid lo sa, gli fa una faccia quanto un pallone a Julian.»

    Julian Miller era un altro di quelli che Lilith amava poco, in quella scuola. Lo conosceva solo per il forte legame che legava lei alla sorella dell'americano. Scosse il capo al sentire il nome di Howard, ma con un sorriso più dolce del solito. Quindi tornò a sedersi sul letto, accavallando la gamba, dondolandola appena, mentre osservava Alex giocare con un peluche.
    Al nome di Kwon, la riccia sgranò gli occhi, ritornando sulla corvina.

    «Tu sei una vipera

    Le disse ridendo, lanciandole dietro forse uno dei vestiti scartati. Scosse il capo, ancora ridendo della malizia che aveva messo nel nominare il ragazzo. Jey era la sola che sapeva realmente di quel primino. Tornò a stendersi sul letto, era così morbido e rilassante che ci sarebbe volentieri rimasta. Sospirò, continuando ancora per qualche istante quel silenzio.

    «Devo aver spaventato anche lui, a quanto pare. Ti dirò... quel tipetto è davvero interessante, mi ha concesso un paio di pause da tutta la pesantezza che mi gira attorno. Se si fosse fatto avanti, con molta probabilità, non avrei rifiutato il suo invito. Povero, ha perso la sua occasione anche lui.»

    Lo disse con un po' di saccenza, seppur dentro provava un fastidio strano a non aver avuto nessun invito da parte dell'orientale. Era piuttosto certa che gli avrebbe fatto mangiare le mani, una volta lì, se fosse andato.

    «No, Jey. E' il tuo ballo e voglio che sia speciale per te. Io ho già fatto un ballo accompagnata e sai quanto poco mi interessi il ballo, se non per la facciata della carica che ricopro. Vai e goditi il tuo cavaliere. Voglio vedervi ballare in pista. Questa volta non piangerai per nessuno che si è dimenticato di venire al ballo da te.»

    Il riferimento a Daniele fu un po' cattivo, ma era vero. Quel ballo lo ricordava come fosse ieri (n.d.a. questa player l'ha letto proprio ieri, in verità) e sapeva quanto Jessica avesse sofferto, ora doveva riscattarsi. La guardò con il vestito indosso e fischiò l'apprezzamento, quindi si alzò e prese un polso dell'amica, per avvicinarla allo specchio.

    «Vedi, Jey. Questo è il nostro ballo. E non ci sarà nessuno a rovinarcelo. Con o senza cavalieri, saremo quelle più belle della festa, avremo gli occhi addosso di tutti. Farai girare la testa a Jones come mai nessuna prima di te lo abbia incantato. E, in quanto a me, farò un po' soffrire il piccoletto che non si è fatto avanti.»

    Sorrise a quello specchio, quindi guardò attraverso il riflesso, l'amica e facendole un occhiolino.
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