Posts written by Julian Miller

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Povero Julian, a quanto pare la sua capigliatura alle ragazzine del primo anno non piaceva, ma questo non era un problema per lui, pieno di sé, che non avrebbe pensato minimamente ai suoi favolosi capelli, se solo qualcuno gli avesse detto che non erano carini.
    Comunque, tolto questa breve digressione sui suoi capelli, torniamo al teatrino di quella giornata.
    Fare i compiti era una noia mortale per il dioptase, quindi cercava modo e maniera per renderli un po' più appetibili e quale migliore modalità se non farli in compagnia, per di più di due interessanti bellezze di Hidenstone?
    Le aveva scelte dopo aver analizzato approfonditamente tutti i ragazzini e le ragazzine dell'area bibliotecaria, quindi quelle due dovevano essere anche abbastanza lusingate dal fatto che il Miller avesse avanzato quella richiesta. Non si aspettava alcun no, come era solito nella sua vita, per questo non ci fu stupore quando entrambe accettarono quel gruppo di studi improvvisato.
    Si sistemò sulla sedia, seppur pessima scelta di verbo aveva fatto questa narratrice, visto come si sedette il riccio: scivolò con le gambe sotto il tavolo, aperte a muoversi appena tra loro, mentre la schiena era scivolava dallo schienale, le braccia allungate sulla sua pergamena a guardare entrambe e cercare di studiarne i volti, così da riuscire a captarne le microespressioni qualora ce ne fossero state.
    Erano diverse tra loro, ma era ancora troppo presto per comprendere quali fossero le differenze tra le due studentesse.
    Lo sguardo nero scivolò sui movimenti di Cassy e il suo nervoso aggiustare i guanti, quindi - con un colpo di reni - si spinse in avanti, cercando di avvicinare il busto al tavolo e vi poggiò le braccia, mentre le mani roteavano una penna tra le dita. Salì ad osservare il suo volto, quindi tornò a Deva.

    «Ho iniziato dalle origini di Halloween, ho preferito scegliere questa festa e non per la banalità a cui è legata, quanto per il suo legame con l'antico capodanno celtico. Lo Samhain.»

    Quindi guardò prima una e poi l'altra, attendendo di vedere le loro facce.

    «Prima durava un'intera settimana, sapete? Voi che festività avete scelto?»

    Passò a loro la palla, quasi come se volesse capire quanto avessero in comune loro tre o se fossero l'emblema dell'eterogenità seduto ad un tavolo di studio.
    Julian Miller

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Quel ballo doveva essere speciale, ma Julian ancora non sapeva cosa sarebbe successo da lì a breve, una volta varcata quella soglia che rendeva tutte le sensazioni più amplificate. Al momento era concentrato solo su chi lo affiancava, la ragazza che aveva desiderato più di ogni altra al mondo, la ragazza con cui era cresciuto, il classico cliché del ragazzo innamorato della propria migliore amica. Ecco, lui che non ricadeva mai nei cliché, era lì a viverlo a pieno e ci si trovava perfettamente. Quando la portò oltre quella porta, sentì la presa sul proprio braccio farsi più salda e Julian portò la mano libera a sfiorare le sue dita, dove l'anello che le aveva regalato stava brillando come lei, mentre gli occhi neri si calarono sulla sua figura, quasi a volerle infondere il coraggio che non le mancava di certo.
    Sapeva come rompere il ghiaccio con Regina e per quanto fosse nervoso, la conosceva talmente bene che aiutarla ad ambientarsi lì, in mezzo a tutte quelle occhiate che puntavano su di lei, non sarebbe stato troppo difficile. Anche se, doveva ammetterlo, sentiva un peso dentro a sapere che c'era chi la guardava, non solo per curiosità, ma era certo che quella ragazza smuovesse gli ormoni anche dei più stupidi di Hidenstone.

    «Faremo tutte le foto che vuoi, anche tutta la notte, Rey. Promesso!»

    Le sussurrò piano, donandole un bacio sul capo, leggero al fine di non scompigliarle i capelli, mentre la foto scattava ancora. Non importava quante foto avrebbero fatto, ma sarebbero state sempre le migliori di tutta la sua vita, soprattutto perché poteva conservarle come aveva fatto fin da quando si erano conosciuti. Non appena sentì le labbra sulla propria guancia, Julian finse una smorfia, un ringhio misto ad un sorriso, che immortalò la sua espressione divertita. Aveva quello stampo sul volto, adesso, quindi la guardò alzando un sopracciglio.

    «E quindi, ora dovrò girare con questo stampo sul viso, eh?»

    La stuzzicò appena, non finendo quel parlare, mentre si avvicinava a lei, prendendola per la vita e avvicinandola piano. Si sarebbe piegato sul suo volto, continuando a parlare sempre con un tono più basso di quello precedente.

    «Ora tutti sapranno che appartengo a te, Beauvais.»

    Fu un ringhio di ironia, misto ad una provocazione che si palesò sul suo volto con un sopracciglio sollevato e un leggero ghigno, mentre continuava ad avvicinarsi a quelle labbra perfette, prima di concludere il tutto con un morso del labbro inferiore di lei, a provocarne reazioni eventuali.
    Ma le loro parole furono interrotte dall'arrivo del suo compagno di stanza, nonchè migliore amico. Lo sguardo nero del riccio, si spostò da Rey a Cameron in una frazione di secondo talmente rapida che quasi potè sentire lo spostamento d'aria ghiacciata che ne creò il movimento.

    «Che caz---»

    Guardò Cameron, i suoi capelli e il suo volto, poi spostò le iridi alle sue spalle, sollevandosi appena per cercare di guardare in direzione di Elisabeth e di cosa stesse succedendo alle loro spalle. Indurì la mascella, facendo scivolare di nuovo gli occhi sull'amico, su quel bracciale e su tutto quello che stava cercando di capire. Dannazione, doveva essere la sua giornata, sapeva quanto cavolo si fosse impegnato e vederlo così non era per niente ciò che desiderava.
    Schiuse le labbra per dire qualcosa, tuttavia, Regina lo precedette. Julian la guardò stupito dalla sua richiesta e non attese nemmeno la rispost ache la vide subito scattare verso l'altro.

    «Oh merda.»

    L'americano si preoccupava che quella coppia potesse esplodere in mille frammenti se solo si fossero scontrati, soprattutto con Cameron in quelle condizioni. Affrettò il passo e si avvicinò ai due, guardando l'amico negli occhi, arrivando forse troppo tardi per sentire tutto quello che si erano detti. Guardò Regina e poi lui. Alla ragazza donò un dolce sorriso, mentre la fronte aggrottata stava a palesare la sua preoccupazione per tutta quella situazione, sentì la mano di lei afferrarlo e la strinse. Tuttavia c'era qualcosa che lo preoccupava un attimino di più, ed era davanti agli occhi di entrambi Cameron Cohen.
    Guardò l'amico, con palese sguardo di attesa, mentre si voltava ad afferrare anche la seconda mano della ragazza che lo accompagnava. Calò la testa ad arrivare con la fronte a sfiorare quella della concasata e le sorrise dolcemente.

    «Hey Rey... ora tocca a me, ok? Dammi un attimo solo, Cameron è l'unico vero amico che ho qui... non posso sopportare di vederlo così, va bene?»

    Le sussurrò piano, sorridendole con una dolcezza che riusciva a riservare solo a lei. Lei lo conosceva, sapeva quanto l'amicizia fosse importante e non la stava assolutamente mettendo da parte per lui, stava semplicemente chiedendo quello che anche lei aveva chiesto prima: parlare con Cameron.
    Le baciò la fronte e lasciò il calore delle sue mani per concedersi all'amico. Si avvicinò e gli strappò dalle mani quel bracciale che la ragazza gli aveva regalato. Lo guardò, poi se lo mise in tasca, mentre gli occhi tornavano lentamente su di lui. E poi alle sue spalle. Non aveva visto cosa stava succedendo esattamente ma solo che ad un certo punto, Joshua stava riattraversando la sala per dirigersi verso l'uscita. Strinse i denti, come se si stesse trattenendo fin troppo, poi guardò di nuovo verso Cameron, a cui ancora non rivolgeva una parola.
    Si voltò verso Regina, l'avvicinò di nuovo e questa volta perse la dolcezza nel tono.

    «Non far spegnere la luce.»

    Le sibilò tra i denti, quella frase che le aveva detto già una volta, quando erano in America, a scuola, quando aveva fatto la stronzata di finire in un casino con i bulli della classe. Ma quella volta era diverso, ma solo lei poteva capire quella frase, solo lei poteva comprendere quanto la sofferenza di Cameron sarebbe stata sempre divisa con lui, ora che lo aveva trovato. Si voltò di scatto, verso Cohen, ma non lo guardò, vide solo Joshua guardare in loro direzione.

    «Adesso basta.»

    Su un ringhio, mentre le gambe si mossero da sole, andando incontro a grandi falcate verso l'Evans. Non aveva mai scambiato nemmeno una parola con lui, non ci aveva perso tempo e nemmeno voleva farlo. Era fedele nel suo rapporto con Cameron, cosa che Lynch non era riuscita a fare. Lo intercettò, ma il suo sguardo cercava l'Opale. La mascella era indurita, ancora, spigolosa come prima non era stata. Cercò lo scontro, tentò di schiantare con forza la spalla di Joshua con la sua. Se lo aveva fatto a posta? Certo, lo aveva fatto con l'intenzione di dirgli che lui era lì. Lo guardò, freddo e distaccato.

    «Guarda dove cazzo metti i piedi, coglione.»

    E se Joshua non avesse fermato Julian, se non ci fosse stato altro (?), il riccio avrebbe proseguito la sua corsa, furioso come un toro, per giungere dalla Lynch. Sperava di intercettarla il prima possibile, ignorando che ci fosse una Deva già da tempo ad ascoltare la precedente conversazione tra Julian, Regina e Cameron.
    Avrebbe trovato Elisabeth e una volta a pochi metri, avrebbe preso un grande respiro, prima di piazzarsi davanti a lei.

    «Lynch. Possiamo parlare?»

    Non si presentò. Era sicura che lei sapesse chi fosse. Cercò di abbozzare un sorriso tirato, nervoso, lasciò tra loro due passi di distanza, ma i suoi occhi neri come la pece si posizionarono in quelli cerulei dell'altra, mentre il chiaro avviso era che non avrebbe mollato la presa fin quando lui non le avrebbe detto quello che aveva da dire.
    Regina Beauvais Cameron Cohen Joshua B. Evans Elisabeth Lynch
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Ogni singola parola, ogni singolo respiro, ogni passo che muovevano insieme non era la prima volta che lo facevano, eppure, questa serata sembrava come se si stessero conoscendo per la prima volta. Vedere Regina perfetta in quell'abito che sembrava essere la sua stessa pelle, i suoi occhi, le sue labbra; Julian la stava guardando come se non l'avesse mai vista davvero e ogni passo che muoveva verso di lui, il riccio prendeva consapevolezza di quanto fosse la sola persona che voleva al suo fianco.
    Avrebbe potuto incontrare uomini e donne di qualsiasi etnia, specie e colore, ma era lei la persona che desiderava per tutta la vita. Non c'era giorno che non avevano passato insieme fin da quando si erano conosciuti, ogni loro tappa la condividevano, eppure quella scuola li aveva allontanati, facendo sì che l'americano prendesse coscienza di cosa realmente provasse per Regina. Forse era stato la sola illusione di vederla più lontana da lui, o l'idea che potesse trovare qualcuno che prendesse il suo posto, che aveva fatto scattare in lui ciò con cui non aveva mai fatto i conti. L'America era solo la scusa per cercare di coprire quello che provava, ma ora doveva fare i conti con la realtà e cercare di prendersi ciò che realmente voleva: lei.
    Ghignò a quelle parole, seppur lei sapeva che quello era la massima esponenza del suo sorriso, nontanto un ghigno perverso e maligno. Sentirsi dire quelle parole, per la prima volta, stava facendo battere il cuore di Julian in maniera completamente differente.
    Ma ciò che glielo strappò dal petto, fu guardare quegli occhi emozionati scontrasi con il proprio sguardo. Si avvicinò, cingendole la vita da dietro, mentre socchiudeva gli occhi ispirando a pieni polmoni il suo profumo. Era sempre stato così dolce?
    Rise alla sua reazione, sentendo quella voce così emozionata e melodiosa.

    «Come se i costi fossero un problema...»

    Le fece un occhiolino, lasciandola libera di spostarsi come voleva, ma rimanendole sempre accanto, facendosi inebriare da quel profumo che la vestiva alla perfezione.
    Quando si inginocchiò, le guance gli si colorarono di rosso, come se per la prima volta fosse imbarazzato al suo cospetto. Si stava donando a lei, stava abbassando tutte le sue difese e si stava mostrando in un modo che non gli aveva mai mostrato. Quando vide quella lacrima, il respiro gli si fermò. Era un no, ne era certo, era pronto anche a quello, per quanto stava sentendo pian piano il cuore andare in frantumi, era come se - per quanto avesse fatto i conti mentalmente anche con un suo rifiuto - sperava troppo che le cose andassero per il verso giusto. Stava per calare la testa, per chiederle scusa di aver osato troppo e... un sì.
    Julian allargò gli occhi, la guardò e lentamente un sorriso piegò le sue labbra, quasi come se non avesse più spazio sul volto per potersi allargare. Guardò quella mano verso di lui, tremava? Lui sì, mentre piano le avvicinava l'anello all'anulare, lì dove passava il tragitto diretto al cuore. Lo infilò, lentamente, guardandola e sentendo fremiti per tutto il corpo. Si alzò e non fece in tempo a riprendere fiato che se la ritrovò addosso. Dapprima rimase immobile, quasi pietrificato, incantato da tutto quello che aveva tra le mani, poi si piegò su di lei, le braccia l'avvolsero, stringendola come fosse la cosa più preziosa da difendere.
    Lasciò che le sue mani gli sfiorassero il viso e lui continuava a guardarla, lasciando che le sue parole venissero memorizzate perfettamente nella propria testa. Non la interruppe, mentre rotolavano tra le sue labbra quelle parole. Labbra che lo stavano ammaliando come se fosse il canto di una sirena, ogni loro movimento era un incanto per lui. Si morse il labbro, cercando di rimanere concentrato su quello che diceva.
    Si stavano rimarginando tutte le ferite accumulate l'anno prima e tutti i tagli che si erano riprodotti al suo interno per quel periodo che li aveva tenuti lontani.
    La mano destra si sollevò a scostarle dietro l'orecchio una ciocca di capelli, sfiorandone piano la guancia.

    «Rey... anch'io ho paura di amarti. Ma non sarà quello a fermarmi. Lo farò con tutto me stesso, ogni giorno di più e salterò ogni ostacolo, ogni dirupo, ma io ti raggiungerò ovunque le nostre strade possano incrociarsi, solo per amarti. Amare ogni tuo respiro, ogni tua lacrima, ogni tuo sorriso... tutto.»

    Erano parole sussurrate, flebili ma cariche della verità che lei poteva leggere nei suoi occhi scuri che continuavano a guardarla come mai l'aveva guardata.
    Le sue successive parole lasciarono che ogni singola immagine che lei disegnava con la voce, lui la immaginasse, il suo corpo tra le mani, le sue labbra sulla pelle. Una scarica elettrica lenta e carica di stimoli che lo stavano facendo fremere come foglia al vento. Voleva appartenergli, voleva che lei lo spogliasse di ogni barriera, materiale e non, voleva conoscere il suo corpo come prima d'ora non aveva mai fatto.
    Rise quando notò che non trovava parole, quindi scosse il capo piano.

    «Sei il tormento migliore della mia vita, Regina Beauvais. Una vera rompiscatole fastdiosa. E non c'è castigo migliore che io possa desiderare se non tu. Voglio conoscerti di nuovo, Regina. Voglio scoprirti, sfiorarti, baciare la tua pelle e averti intorno ogni giorno della mia vita. Io sono pronto per essere tuo, niente stupide distrazioni, niente inutili passatempi. Tuo, nient'altro. E, tu, Rey? Sei pronta per provarci

    Mentre parlava ogni singola parola faceva sì che lui tagliasse quelle distanze tra le loro labbra, fino a scontrarsi con quelle dell'altra. Rispose al suo bacio, dapprima con una delicatezza ritrovata chissà dove, poi la strinse a sé, imprimendo su quei boccioli lucidi un sigillo, come se le loro labbra fossero pezzi complementari dei loro stessi corpi.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Tic. Tac. Tic. Tac.
    Sentiva le lancette del suo rolex al polso sinistro che risuonavano fin dentro il vuoto del suo petto. Meno male, doveva ammettere che almeno riusciva a regolarizzare il battito del proprio in quella attesa estenuante che era diventato il tempo in cui Regina non si degnava a scendere dalla scalinata del suo dormitorio.
    Socchiuse gli occhi, cercando di respirare a ritmo di quel ticchettare che altrimenti gli avrebbe dato fastidio in situazioni diverse, oggi, invece, si stava ritrovando a ringraziare che esistesse, come se fosse la cosa più rilassante che potesse tenerlo con i piedi a terra, senza che morisse dalla paura di non essere all'altezza, o che Regina lo bucasse per... Blake?
    Non aveva portato con sé nemmeno il telefono, non aveva la minima intenzione di pensare a squilli, messaggi, tag e quant'altro: oggi si sarebbe dedicato solo ed esclusivamente a lei. Era la loro serata speciale e avrebbe fatto di tutto per fargliela ricordare per sempre, sperando che sarebbe stato anche il loro debutto come coppia in quella mandria di assatanati che erano i suoi compagni di scuola, ma questo era un altro conto.
    Vide una ragazzina del primo anno affacciarsi alle scale, con il suo vestitino rosa confetto e a vederlo arrossì, portandosi le mani in volto. Era abituato a quel tipo di reazione, ma quel giorno - stranamente - reagì con un sorriso abbozzato, stretto tra le labbra, quasi come se non riuscisse nemmeno a pensare di poter essere il solito farfallone, nemmeno per l'anticamera del cervello. La ragazzina iniziò a scendere il primo scalino, reggendo con una mano lo scorrimano e con l'altra il proprio vestito. Sembravano tremarle le gambe, mentre lo guardava come se fosse diretta verso lui. Il riccio si guardò attorno, non c'era nessun altro effettivamente alle scale se non lui, che avesse frainteso? Era intento a sollevare lo sguardo e chiarire la situazione, quando alle spalle della ragazzina-caramella, lo spettacolo si mostrò ai suoi occhi.
    Julian sgranò gli occhi, schiudendo la bocca per un breve istante, mentre sulle sue labbra si apriva lentamente un sorriso completamente perso. La ragazza-caramella non aveva capito assolutamente niente, quindi sembrò quasi gonfiarsi come un pavone, pensando che fosse per lei quel sorriso e quello stupore.

    «Meravigliosa...»

    Soffiò lentamente dalle proprie labbra, creando ancora più confusione nella ragazzina, che ancora credeva fosse per lei. Julian, invece, non aveva occhi che per Regina. Puntò il suo cupo sguardo su di lei e con una falcata cercò di arrivare a metà della scalinata, affiancando la ragazza-caramella, che - come risvegliata dal suo sonno profondo - si girò dietro a vedere verso chi era teso il braccio di Julian, che nel mentre si era preoccupato di afferrare la mano della sua dama. In quel frangente brevissimo, l'altra inciampò tra i suoi piedi e nonostante fosse accanto al riccio, questo non la vide minimamente, preso com'era da quella che era la musa della sua vita.
    Si preoccupò di infilarle la coroncina in capo, con una dolcezza disarmante, rendendola ancora più preziosa, mentre il suo ghigno caratteristico non abbandonava le sue labbra mentre la sentiva farsi domande che per lui erano inutili. Quindi, dalla sua altezza, si abbassò al suo orecchio.

    «Io saprò sempre tutto di te, Beauvais

    Le sussurrò con un leggero tocco di lussuria, come se volesse provocarle dei brividi. Quindi la mise sotto il proprio braccio e la fece passare, ignorando ancora una volta la bimba-caramella e scivolando fuori dalla sala comune.
    Una volta davanti la Sala Grande, Julian guardò Regina con la coda dell'occhio.

    «Quando vuoi andare, andiamo. Io sono qui per te, per nessun altro... »

    Quindi avrebbe atteso lei e avrebbe mosso un passo nella sala, aprendo la vista sugli addobbi.

    «Apperò! Fanno le cose in grande stile anche qui... cosa vuoi fare per prima cosa, Rey? Ti strabatto ad una sfida di pattinaggio o preferisci concedermi il primo ballo?»

    Guardò poi l'albero di Natale, notando come in molti usavano quelle sfere per fare una loro foto.
    Julian sussultò, quindi tentò di far scivolare la mano verso le dita dell'altra, afferrandola e trascinandola all'albero.

    «Foto del ballo?»

    Prese una pallina e la mostrò a lei. La loro prima foto del loro ballo ad Hidenstone.

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    I compiti.
    Se c'era una cosa che a lui non piaceva per niente fare erano i compiti. Era una stupida competizione dove non vedeva niente di salutare se non l'impazzire sugli stessi libri di tutti e con la stessa capacità di tutti di avere delle risposte, più o meno simili, se non fosse che qualcuno stava più simpatico di altri al professore in questione e così prendeva un voto decisamente migliore.
    Questa era la visione distorta che Julian aveva dei compiti a casa (o in stanza? Insomma, mica tornavano a casa, loro, no?); lui era uno che amava più il confronto in classe, lo scambio di opinioni, dove poteva valutare ogni singola risposta di tutti, cogliere le micro-espressioni dei volti di chi parlava e stabiliva una classifica di persone intelligentemente interessanti e persone dall'acuta stupidità mentale.
    Erano ore che osservava passare davanti a sé file e file di studenti non riuscendo a ricordare nemmeno uno dei loro nomi, se non le loro risposte alle ultime quattro lezioni.
    «Noiosa.»
    «Spocchioso, con scarsa qualità nella scelta dei testi da studiare.»
    «Se fosse un animale, probabilmente sarebbe un lombrico.»
    Insomma, ne aveva una per ognuno di loro. E la sua pergamena era ancora vuota. Doveva assolutamente completare quel complito prima di sera o sarebbe finito con il non dormirci quella notte, ma come poteva fare?
    Si guardò attorno, scivolato sulla sedia di uno dei tavoli lunghi, un braccio pendeva dall'altro lato della spalliera, mentre la sua biro passava da un ricciolo all'altro, come se la usasse per dar miglior forma a quelle rotondezze naturali.
    Guardò poco distante, alla sua destra e notò una chioma rossa che aveva visto a lezione. Si spinse con il bacino in su, mettendosi dritto, quindi cercò un pezzetto di carta e vi scrisse sopra qualche parola, per poi appallottolarlo e lanciarlo in direzione della fiammetta degli Ametrin.

    «Ti va di studiare insieme?»

    Semplice e diretto, come lo era sempre stato. Però non sembrava ancora soddisfatto, quindi dopo aver centrato la testa della povera Ametrina, adocchiò un'altra rossa da mozzare il fiato (Regina perdoname por mi vida loca!), era la streghetta dei Black Opal, dove per streghetta non era sicuramente solo la denominazione con la quale sarebbe uscita da lì. Era non poco distante da lui, la vide a dividerli solo un posto libero. Poteva farcela. Si allungò sul tavolo, spostando lentamente la sedia così da non fare rumore, allargandola per poi scivolare sopra di essa, quindi avrebbe avvicinato anche Deva e con il suo sorriso smagliante avrebbe tentato di attirare la sua attenzione.

    «Psss. Hey. Vengo in pace. Io, tu e lei, che ne pensi di studiare insieme? Diventerebbe meno noioso per tutti.»

    Indicò con i ricci che ballonzolavano sul capo, l'altra vittima prescelta, quindi attese la risposta con il suo sorriso a trentadue denti sul volto.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Che disastro era la vita? Un dolce e amorevole disastro, uno scontro continuo di anime ribelli, pronto a creare distruzione, un po' come un battito d'ali di una farfalla. E questa narratrice è certa che in un qualche spazio lontano da Hidenstone, una farfalla stava battendo le ali, ne bastavano solo due, di battiti, per generare quell'uragano che stava per accadere in quella tranquilla giornata di Novembre, presso quella Sala che tante cose aveva visto, ma mai l'inizio di un travaglio complesso di due anime agli antipodi.
    Per natura, il riccio dei Dioptase era egocentrico, spocchioso, secchione e molto poco attento a cosa accadeva alle sue spalle, credendo che se non fosse sotto il suo stesso naso, non era roba che poteva interessargli, qualora qualcuno cercasse il suo interesse, in fin dei conti, non si sarebbe certamente posto alle sue spalle. Tutto questo per dire che l'altro non si era accorto dello sgusciare di Zuleyka alle sue spalle, prima che la porta si chiudesse, complice il fatto che la sala era ancora completamente buia, tipo cinema da quattro soldi, per aver accolto i due precedenti studenti che bene avevano pensato di non riaccendere le luci.
    Lui faceva la sua entrata, mentre dietro di lui la ragazzina del primo anno che aveva tentato di approcciare, anche solo per divertimento, durante la lezione di Alchimia, metteva in atto il suo strano divertimento. Il ragno mise le sue otto zampette nei ricci dell'altro, muovendole un po', provando un leggero solletico sulla testa, che l'altro ignorò, confondendolo con una leggera folata di vento che forse proveniva da una qualche finestra nascosta dietro le pesanti tende nere che oscuravano ancora di più la sala.
    Non si accorse nemmeno che la porta non si fosse chiusa, o si fosse riaperta nel caso fosse successo, per far entrare l'altra a godersi la fine della sua scenetta.
    Solo il rumore dell'altra lo portò alla realtà, facendolo rizzare sul pouff, giusto per affacciarsi a guardare chi fosse entrato.
    Un angolo delle labbra si andò a flettere, piegandosi in un sorriso sghembo, prima di poggiarsi nuovamente sul pouff. Proprio in quell'istante iniziò a sentire un leggero fastidio al collo, quindi portò una mano a scivolare pigramente sulla pelle, cercando di eliminarlo.

    «Stavo decidendo. Vuoi vedere qualcosa in particolare?»

    Rispose, allungando verso di lei il telecomando, lasciando che i trailer continuassero a scorrere sullo schermo, creando un gioco di ombre e luci su di loro. Quel fastidio iniziò a protarsi, tuttavia, scivolando verso la schiena e facendo muovere un po' di più il ragazzo, che cercava di rimuovere quel solletichino che lo rendeva nervoso. Sbuffò provando ad ignorarlo, mentre si sfilava la giacca della divisa, già troppo agitato.

    «Quindi hai preferito intrufolarti in una stanza buia, piuttosto che chiamarmi, così da essere diversa dalle altre?»

    La punzecchiò appena, ancora muovendo le scapole per cercare di togliersi il frizzante passaggio delle zampette addosso, mentre rimbeccava l'argomento che avevano toccato in aula.
    Scattò in piedi, ad un tratto.

    «Ma che cazzo...»

    Iniziò a sbottonarsi la cravatta, velocemente, lanciandola a terra, quindi - quasi nevroticamente - sbottonò tutti i bottoni e lanciò via la camicia, afferrandola mancò stesse andando a fuoco. Il fastidio sembrò terminare, quindi Julian guardò il candido indumento, aspettando che apparisse da lì a poco il motivo del suo fastidio, che probabilmente si sarebbe affacciatto tra le pieghe malmesse del pezzo della divisa, rimanendo a dorso nudo, senza troppi problemi.
    Julian Miller

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Quella poteva essere l'ennesimo capitolo del romanzo: La dura vita dell'essere amico di Cohen. Quella tra i due si stava rivelando non solo la più bella bromance del mondo, ma anche la più deleteria per il fegato di entrambi.
    La sera prima avevano deciso che avevano poca voglia di dormire ed erano rimasti fuori a bere, con tanto di permessi scritti che riportavano delle giustifiche diverse e anche firmate. Alla fin dei conti, fuori da quelle mura, nessuno avrebbe cercato di capire se le giustificazioni per restar fuori erano reali o fasulle, quindi questo non faceva che giovare alla loro salute (?).
    Per l'ennesima volta avevano esagerato con l'alcol, ma cazzo che serata. Il problema era stato che l'indomani avrebbero dovuto fare i conti con le lezioni e quanto comportava essere ancora degli studenti e per questo, una volta tornati, si erano buttati sul letto, ancora vestiti dalla sera precedente. Nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che la sveglia ossessiva di Howard aveva bussato alla loro testa, ricordandogli come non c'era alcuno spazio per il sonno.

    «Giuro che prima o poi gliela spacco quella sveglia.»

    Mugugnò il riccio, ficcando la testa sotto il cuscino cercando un po' di pace. Pace che ovviamente non venne trovata, visto che tutti intorno a loro avrebbero iniziato a muoversi e sistemarsi da bravi studenti per fare lezione.
    Bestemmiando un po' a destra e manca, maledicendo l'Inghilterra e gli stupidi Inglesi, manco fosse un Denrisiano Doc., Miller si sarebbe messo a strisciare fuori dal letto, nuovamente, scivolando verso il bagno, ancora con la testa che gli doleva per la sbronza della notte.
    Avrebbe fatto una doccia calda, lavato i denti e poi, prima di infilarsi la divisa, avrebbe mandato un buongiorno a Regina.
    CITAZIONE
    Hey, Rey. Ti aspetto di sotto, hai qualcosa per il mal di testa? Sei un angelo, lo so. ♥

    Non c'era bisogno di specificare, l'altra avrebbe sicuramente riconosciuto la sua faccia da sbronza, soprattutto perchè avrebbe indossato degli occhiali squadrati neri, a coprire gli occhi che temevano la luce forte del mattino.
    Non appena Regina sarebbe arrivata, avrebbe cercato conforto nel mollarsi ad un abbraccio strisciante, lasciandole una buona parte del suo peso addosso.

    «Oh, Rey... la mia unica salvezza in questo mondo di perdizione.»

    Regina era abituata alla platealità del riccio, mentre questo le donava un dolce bacio sulla guancia, con ancora le braccia attorno al suo collo.

    «Che lezione abbiamo?»

    Quindi avrebbe seguito l'altra verso l'aula di Difesa, dove avrebbe dato fuoco alla porta (?) - si fa per dire amichi - e pronunciato il suo nome. Quindi, con un braccio appeso attorno alle spalle di Regina, sia per appoggio, sia come se stesse marcando il proprio territorio, con la mano che pendeva oltre la sua spalla e gli occhiali spostati sulla testa, si avviò al primo banco, passando accanto a John Hulk e a quella strana ragazzina che sembrava uscita da iZombie versione Scozia. Avrebbe sicuramente rivolto loro la parola, se l'idea di parlare non avesse cozzato con quella di silenzio che ricercasse la sua testa.
    Eppure, il docente non la pensava così. Spostò lo sguardo su Giada e su James, poi su Brian, sperando che abbassasse ancora un po' la voce, nonostante cercasse di mantenere il suo sguardo fermo su di lui, poi ancora su Deva e ... forse toccava a lui?
    Flebilmente alzò la mano, quasi sventolandola, prima di sbiascicare qualche parola.

    «Si pensa che il termine goblin abbia origine in diverse culture da quella inglese. Si pensi per esempio al termine kobalos di origine greca, con cui si faceva riferimento - come la signorina... vabbè come lei diceva - alla religione politeista, nello specifico allo spiritello associato ai riti di Dionisio.»

    Non ricordava il nome di Deva, non in quel momento e probabilmente nemmeno si erano mai ufficialmente presentati, ma questo non lo turbò più di tanto, prima o poi avrebbero rimediato, no?

    «Nell'antichità erano accusati di rapire durante la notte bambini e donne. Essendo molto brutti, quasi come» - «Tortura» pensò, ma non lo disse, proseguendo come se niente fosse «quasi come degli incubi ad occhi aperti, lasciavano i loro bambini mostruosi al posto di quelli che prendevano e si racconta che stupravano le donne che rapivano, forse per migliorare l'aspetto della loro specie e della loro prole.»

    Basta, non riusciva più a parlare. Dannazione, la testa gli esplodeva.
    Regina Beauvais deve sopportare il peso.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    «Carini e coccolosi, ricorda. Come i tre pinguini di quel film demenziale, ok bro? Niente casini, almeno per un paio d'ore. Ma se dovesse succedere qualcosa, io sono nella tua stessa sala e corro.»

    Si stava vestendo mentre continuava a parlare con Cameron, facendosi le ultime raccomandazioni per quella serata che sembrava essere speciale più per loro che per le dame che avrebbero portato. Erano usciti dalla doccia, inondando la stanza di vapore e anche di acqua, lanciando abiti sui letti non solo i loro, ma anche quelli del povero Howard, che aveva in stanza i più pessimi dei Dioptase. Era davvero contento che Regina avesse accettato il suo invito al ballo e allo stesso modo era nervoso perché non sapeva quanto sarebbe stato all'altezza. Ricordava bene tutti i passi dei balli lenti, anche se non era favoloso a ballare, ma per lei avrebbe fatto un'eccezione e avrebbe tentato di comportarsi come un vero cavaliere.
    Si stava sistemando la camicia nei pantaloni, quando qualcosa sembrava non andare. Guardò il colletto, allungò le braccia e...

    «Cazzo, bro. Questa è tua!»

    Quindi si ritrovò a dover sbottonare di nuovo tutti i bottoni della camicia, sfilarla e lanciarla all'altro che invece si era preso la sua. Rise, finalmente un po' di tensione allentata per quella ridicola scena che avevano appena vissuto, scosse il capo e riprese a vestirsi.
    Si sistemò la cravatta, tirandola al meglio, quindi mise la giacca nera e si sistemò il bottone sul petto. Si mosse appena, dentro quel vestito, non era la prima volta che si vestiva così elegante, visto le cene e le feste a cui era abituato con la sua famiglia, ma quella volta sembrava che stesse soffocando.
    Corse verso Cameron, lo afferrò per il braccio di colpo e gli alitò in faccia un misto di menta ed eucalipto fortissimo, manco una vigorsol.

    «Mica mi puzza l'alito, oh?!»

    Era nervosissimo.
    Solo dopo il via libera dell'amico e un'altra ondata di profumo gettata addosso al riccio, si avviò a scendere le scale per giungere alla sala comune dei Dioptase. Il riccio avrebbe atteso la sua dama alla fine di quelle scale, con l'intento di andarle incontro per afferrarle la mano per aiutarla a scendere, solo a quel punto le avrebbe messo in capo l'ultimo dei suoi regali materiali per quella serata.
    Parla con Cameron Cohen in stanza, e attende Regina Beauvais alle scale della Sala Comune.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Era emozionato. Lo sentiva quello strano dolore alla bocca dello stomaco che sembrava gli volesse attanagliare il corpo. Era emozionato per quello che stava succedendo, per il fatto che avrebbe visto Regina da lì a poco e perché aveva deciso che quel invito al ballo che da lì a poco si sarebbe palesato alla ragazza, sarebbe stata la svolta di tutto il loro rapporto. Sì, aveva deciso così e non c'era nessuno che lo smuoveva da tutto quel pensiero.
    L'attesa sembrò avvilente, come se non passasse mai il tempo. Già la vedeva a minacciare Jackson per portarla in giro per musei e mostre d'arte, cambiando totalmente il suo percorso. Eppure ne rideva di quel carattere così deciso e combattivo, era di quello che si era innamorato e se n'era accorto giusto in tempo per cercare di fare il possibile per racchiudere tra le sue braccia quel fiore prezioso che era Regina.
    Quando la vide arrivare, gli si mozzò il fiato in gola. Era dannatamente splendida, perfetta e sublime, quasi come se la ricordasse diversamente. Ed invece, quel sorriso che le si aprì su quel volto disegnato dalla mano dei migliori pittori, le ricordò che era proprio lei, la sua Regina. Quei capelli sembravano scenderle sul volto come seta che si arroccava sulle spalle a formare quelle onde morbide, Dio solo sapeva quanto Julian avrebbe voluto afferrare i suoi capelli tra le dita, portarli al suo naso e sentirne l'odore che amava follemente.
    L'avrebbe fatto impazzire, ne era certo.
    Sorrise dolcemente alle sue parole e calò il capo su di lei quando prese a sistemargli il papillon. Certo, non riusciva a non trovare qualcosa da sistemargli, ma lei era bella anche per questo. Gli occhi scuri di lei si incastrarono in quelli del ragazzo, che sembrava non avere nemmeno le parole per dire quanto fosse contento di averla lì. Si limitò a quel bacia-mano, trovandolo fin troppo poco e fin troppo aggressivo, quasi come se potesse rovinare la sua pelle.
    Prese un respiro profondo, cercando di recuperare la sanità mentale affinché riuscisse a dare voce ai suoi pensieri.

    «Ho cercato di essere almeno un minimo alla tua altezza.»

    Le sussurrò per quel piccolo complimento che l'altro credeva di non meritarsi. Il suo sorriso era familiare all'altra, quel ghigno di chi aveva tutto sotto controllo, di chi ne sapeva sempre una più del diavolo; era ancora sul suo volto, mentre lei si sedeva, a mascherare l'esatto contrario: lui non sapeva nemmeno da dove iniziare. Era tutto così diverso, così reale. Avevano passato momenti insieme, da soli, cene, balli, feste, fughe notturne, dormite insieme... eppure, era tutto come se fosse nuovo.
    Schioccò le dita, alla sua domanda e la vetrata della terrazza, finora oscurata, si libero da quel vetro nero per lasciare alla vista di Regina una Parigi illuminata, con una Torre Eiffel bellissima che brillava nel suo gioco di luci ad intermittenza.

    «Parigi è sempre stato il tuo sogno, no? E chi sono io per non esaudirlo?»

    Certo, probabilmente vi era già stata, ma con lui - sperava - sarebbe stato diverso. Proprio in quel momento alle spalle della ragazza arrivò un cameriere, uno di quelli che indossava il frack e il fazzoletto bianco sul braccio, con un vassoio d'acciaio. Julian annuì, mentre un sommelier, dall'altro lato, versava due calici di champagne dorato, offrendone uno alla ragazza e uno al riccio.
    Julian cercò le dita della mano di lei, sperando di afferrarle, rimanendo in piedi davanti alla sua perfetta bellezza. Sollevò il calice e poi la guardò.

    «Chiedere di brindare a noi, sarebbe troppo poco... vorrei brindare a te e alla tua bellezza. E al mio essere meno imperfetto quando sono con te.»

    Le sussurrò, accostando il bicchiere a quello dell'altra. Avrebbe sorseggiato qualche goccia, prima di tirare un altro grande respiro e poggiare il bicchiere. Era agitato, come mai lo era stato.
    Aveva sempre fatto le cose in grande, le cose col botto eppure quella volta sembrava che stesse per implodere dentro dalla paura.
    Ancora un respiro, come se gli mancasse l'aria, tanto che dovette toccarsi il colletto della camicia quasi a volerlo allargare, ma senza sbottonarlo; pochi attimi dopo avrebbe tentato di far girare la ragazza verso di lui, sempre facendola rimanere seduta, quindi si sarebbe inginocchiato, il destro poggiato a terra, il sinistro piegato. Il lungo braccio destro andò ad afferrare il vassoio, per farlo scivolare vicino a loro e prenderlo con entrambe le mani. Quindi lo avrebbe portato davanti a lei e lo avrebbe scoperchiato, per afferrare un cofanetto di velluto blu.

    «Regina Beauvais, vuoi venire al ballo con me? Non c'è nulla che io desidererei più di ogni altra cosa al mondo, se non essere il tuo cavaliere a quel ballo.»

    E così dicendo avrebbe aperto il cofanetto, mentre una lucina a led illuminava uno zaffiro blu intrecciato ad un diamante. Erano loro, la luce e il cielo. Non potevano essere diversamente.
    Sentiva il cuore rompergli lo sterno, pronto ad un suo rifiuto e quasi voleva nascondere la faccia da qualche parte per tutto quello, ma cercò di mantenere il volto fisso a guardare quello di lei, per regalarsi l'emozione di vedere ogni sua singola espressione illuminarle il viso.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    «Sì, vedrai! Ci divertiremo!»

    Rispose all'altro con convinzione, sistemandosi i riccioli indomabili che aveva in testa.

    «Tutto sto vapore mi ammoscerà i ricci.»

    Commentò, guardandosi allo specchio. Era davvero sicuro? No, non lo era, ma ormai il dado era tratto e per quanto lui fosse aperto a tutto, quella era una delle cose più strane che stavano per fare. Aver invitato una ragazza a cena, con la sola idea di portarla in camera, era qualcosa che andava oltre ogni sua fantasia recondita. Eppure, non aveva saputo farne a meno, soprattutto quando aveva visto Cameron riverso in stato pietoso per le due dame che li avevano pugnalato il cuore (?) o era lui ad averne pugnalato qualcuno?
    Vabbé, comunque, fatto sta che Julian aveva solo uno scopo in quella giornata: eliminare dalla testa di Cameron tutti i problemi e se per farlo doveva pagare la cena a Giada, allora lo avrebbe fatto.
    Evadere dai pensieri era necessario per entrambi e Julian avrebbe fatto di tutto per quella testa di cazzo di Cameron Cohen.

    «Muoviti, cinque minuti sono troppi.»

    Lo prese in giro, finendo di girare la canna, quindi gliel porse e lo guardò da capo a piedi. Si posizionò davanti allo specchio accanto a lui e annuì al suo mantra dettato dall'idea che quella sera non sarebbero esistite altre donne.

    «Bella, bro. Stiamo egregiamente.»

    Quindi avrebbe tirato dalla canna anche lui e al suo cenno avrebbe annuito.
    Il viaggio lunghissimo verso Londra, fu un susseguirsi di risate e stronzate sulle ragazze dell'accademia, come se dovessero allegerire la mente a tal punto da risultare più orribili del solito, ma allo stesso tempo un sacco adorabili.
    Poi quell'anno c'era un sacco di merce da valutare, in quell'Accademia, quindi avevano molto di cui parlare, i due.

    «Tutto questo, secondo me è per fregarsi i soldi del Galeone.»

    Disse, lasciandosi smaterializzare con l'altro fino all'ingresso dell'hotel, dov'era già presente la ragazza che avevano invitato.
    Appena la vide da lontano, non mancò di dare qualche gomitata leggera all'amico, ritrovandosi ad ascoltare le sue parole e a ridere.

    «Te l'ho detto, bro. E' quello che ci meritiamo oggi!»

    Lo disse a bassa voce, mentre si avviava verso la ragazza. Notò l'atteggiamento di Cameron e quasi voleva ridere per come si stava adeguando bene alla situazione. Si affiancò dall'altro lato della ragazza e le sorrise splendidamente.

    «Allora? Pronta per questa serata?»

    Le fece un occhiolino, aprendo la porta del ristorante e facendo passare entrambi, quindi lanciò un'occhiata a Cameron dopo che passò davanti Giada e guardò il sedere della ragazza. Sì aveva ragione, era decisamente perfetto. Vennero quindi accompagnati al tavolo prenotato per loro e Julian allargò la sedia alla ragazza, lasciando che Cameron la facesse sedere, così da mettersi ad un lato di lei, lasciando l'altro posizionarsi dal lato opposto.

    «Mi fa piacere che tu sia venuta, Giada. Avevamo prenotato questo tavolo e volevamo condividerlo con qualcuno di speciale.»
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Si sapeva, ormai, che Julian non era uno che faceva le cose in piccolo.
    Aveva le possibilità economiche per comprare il mondo intero e se ne avesse avuto bisogno, lo avrebbe fatto.
    Per questo, quel sabato di Novembre, l'ultimo del mese, aveva deciso di dare una piccola svolta alla sua strana relazione senza definizione con Regina.
    La Beauvais aveva detto che per lei non era cambiato niente, che lui era parte importante della sua vita, ma la verità era che per Julian era cambiato tutto. Lui vedeva Rey con altri occhi, con gli occhi di chi amava, con gli occhi di chi avrebbe dato la vita per lei.
    La promessa che aveva fatto a se stesso, principalmente, e a lei - seppur non glielo avesse detto in maniera esplicita - era di non perdere più tempo, di cogliere ogni occasione per dimostrare alla ragazzina che conosceva da troppo tempo, quanto fosse importante per lui e quanto ci tenesse che per lei tutto fosse perfetto.
    Il ballo sarebbe stata l'occasione madre per questo.
    Tutto doveva partire dall'inizio, doveva partire dall'invito e per questo, quella mattina, le mandò un messaggio semplicissimo, sul magifonino.

    «Jackson ti aspetterà all'eliporto alle 18:00 e ti porterà da me. Voglio mostrarti qualcosa che ti mozzerà il fiato, quasi alla pari di come tu lo togli a me ogni volta che ti vedo.»

    Regina sapeva che Julian poteva arrivare anche sulla Luna per lei, quindi poteva solo immaginare quanto avesse preparato quell'incontro. Quello che non poteva nemmeno lontanamente ipotizzare, era il fatto che la ragazza sarebbe uscita dall'Inghilterra e questa volta, senza arrivare a New York.
    La prima tappa sarebbe stato un ateliere dove le migliori sarte dell'alta moda di Parigi, avrebbero donato la loro unica attenzione a Regina, dicendole che avrebbe potuto scegliere qualsiasi tessuto pregiato per ben due vestiti.
    Poi sarebbe stata accompagnata da Robert, il damerino di Julian, a mangiare i migliori macarones di tutta Parigi, fino all'imbrunire sarebbe stata portata nei negozi migliori dove poteva comprare quello che voleva, dalle scarpe ai gioielli e nessuno le avrebbe detto perché tutto questo.
    Poi, alla fine della sua giornata a Parigi, sarebbe stata accompagnata su di una terrazza, la più lussuosa di tutta la città dell'amore, dove si vedeva Parigi illuminata da mille luci calde e lì, ad attenderla con un mazzo di rose rosse e un tavolo imbandito, c'era Julian.
    Perfetto come solo lui poteva essere, i capelli ben curati, la giacca nera sopra la camicia bianca e il papillon di pura seta al collo.
    Attendeva la ragazza all'ingresso, le avrebbe donato il suo mazzo di rose e poi una le avrebbe concesso il braccio.

    «Rey, finalmente sei arrivata... che attesa lunghissima...»

    Le mormorò sulla pelle del dorso della mano, mentre si avvicinava per fare un baciamano perfetto. Era solo loro, aveva fittato la terrazza affinché fossero soli.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Aveva deciso di prendere le cose diversamente, quella volta, di dimostrare a Regina quanto ci tenesse a lei e quanto era disposto a sacrificare se stesso pur di averla. Gli era mancata come l'aria e ora, averla lì, tra le proprie braccia, era come ritornare a vivere.
    Non era facile convincerla di quello che lui diceva, non a parole, quindi aveva deciso di dimostrarglielo e di essere sincero con lei, su tutto, anche sulle sue paure e sulle sue difficoltà ad accettare il fatto che si fosse sentito rifiutato da lei. Se solo avesse saputo come aveva occupato il suo tempo la Beauvais, probabilmente Julian non sarebbe stato più così propenso a parlare, quella sera, ma per fortuna questa era una cosa fuori dai loro programmi, no?
    Stava assimilando con tutte le fibre del suo corpo, il profumo di quella pelle, la morbidezza dei suoi capelli e si stava godendo l'utopia che quel momento non sarebbe finito mai. Voleva accarezzare quelle labbra da mesi ed ora, solo ora, si rendeva conto come avrebbe riconosciuto i suoi lineamenti anche al buio, o se fosse diventato cieco. Chiuse gli occhi, infatti, continuando a seguire perfettamente la sua pelle, ben conscio di dove fossero le sue dita, di che pieghe prendessero quelle labbra, tanto che sorrise, quasi soddisfatto di riuscire a riconoscere Regina anche senza guardarla.

    «Ti riconoscerei anche se diventassi cieco...»

    Un sussurro morbido, quasi a voler rendere partecipe anche l'altra del perché avesse chiuso gli occhi. La guardò arrossire al suo complimento e si riscoprì innamorato anche di quel rossore improvviso, lo fotografò con la mente, ascoltando le sue parole. Immaginava che non avesse capito la sua scelta, non poteva che biasimarla, ma lui era contento di ciò che aveva deciso e forse solo questo aveva fatto sì che potesse tornare indietro da lei. Mosse piano i ricci, mentre sorrideva.

    «Non potevi darmele tu... dovevo essere consapevole di cosa stesse succedendo tra noi... di cosa stesse succedendo in me. Dovevo poter essere pronto a rispondere alle tue domande...»

    Sottolineò piano, in quelle parole sempre sussurrate, quanto fosse stata necessaria quella lontananza per potersi preparare alle sue domanda, ai suoi dubbi.
    Cosa che dimostrò subito dopo, mentre lei gli rovesciava addosso quella pentola d'acqua bollente.
    Al nome di Giada sussultò appena, sgranando gli occhi, per poi ammorbidirli ancora in un sorriso rassegnato: lei avrebbe saputo sempre dov'era.

    «Io ti appartengo ancora, Rey

    Il suo tono scivolò su quel nomignolo che le aveva donato fin da quando si erano conosciuti, quindi la mano scivolò di nuovo verso la sua guancia, ripercorrendo quella pelle. La desiderava, voleva baciarla e stava lottando con tutto se stesso per non farlo.

    «E continuerò a farlo fino a quando questo cuore continuerà a battermi nel petto. In tutto questo tempo che sono stato solo, in tutti questi giorni in cui tu non ci sei stata se non nei miei ricordi, io ho capito che non esiste vita che io voglio vivere che sia senza di te. Sei il solo sorriso che riempie i miei vuoti. E ti desidero, cazzo se ti desidero, ogni giorno di più.»

    Se quella era una dichiarazione non lo sapeva, ma l'unica cosa che lui stava facendo era tentare di spiegare la propria reazione alla dioptase.

    «La verità è che sono tornato perché non c'è alcun posto che io possa abitare se non lo stesso spazio che condivido con te, Regina. Non sono tornato per lei, sono tornato per te, sono tornato perché amo il tuo sorriso, amo il tuo profumo e amo guardarti mentre studi. Amo ogni singola cellula che compone il tuo mondo. Ma...»

    La mano che fino a quel momento vagava su di lei, scivolò al proprio fianco, togliendo alla ragazza il contatto tra i loro corpi, distanziandosi appena.

    «...dentro sono rotto. Si è crepato qualcosa e so che tornare potrà continuare ad aumentare la lesione o rimarginarne i lembi. Ma devo provarci, Rey. Devo riuscire a farti capire cosa sei per me, quanto quel bacio per me è valso più di ogni altro che io abbia mai dato. Tuttavia... se vuoi che io vada, dimmelo, Rey. Non mi arrabbierò, non ti urlerò contro... farò dei passi indietro e tornerò da dove sono venuto.
    Però... ho una sola cosa da chiederti, prima che tu risponda: fammi restare. Fammi restare e ti mostrerò ciò che non sono riuscito a mostrarti finora. Fammi restare e ti farò vedere che le storie di quei romanzi rosa che ti piacciono tanto, ci sono, esistono e che il lieto fine c'è.
    Fammi restare, Rey...»


    Effettivamente aveva il suo elicottero pronto, nell'eventualità che potesse cacciarlo. Le stava chiedendo una possibilità. Prese un profondo respiro, quindi cercò di allungarsi a prendere la sua mano. Sbuffò una risata.

    «Non immagini nemmeno quanto cazzo vorrei baciarti ora...»

    Le mormorò piano, fissando gli occhi sulle labbra di lei, ad un passo dal suo volto.

    «Certo... facciamo quello che vuoi... sono qui solo per te...»

    Non voleva staccare gli occhi da lei, desiderava rubarne immagini per poterle portare con sé nella memoria. Era bellissima e Julian non reggeva il confronto...
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    Il tutto era stato una escalation di cose strane. Insomma, non capiva nemmeno come ci fossero arrivati a quella folle idea, lui e Cameron, ma doveva ammettere che la cosa non gli dispiaceva per niente. Insomma, Cam aveva bisogno di liberarsi e di pensare ad altro, lui d'altro canto, doveva occupare la mente in qualcosa che non lo facesse innervosire.
    Questo era il motivo per cui quel sabato sera aveva deciso di inviare un semplice messaggio a Giada, mentre il compagno di stanza si stava preparando.
    CITAZIONE
    Hey principessa, io e un mio caro amico andiamo al Luxury Hotel. C'è un ottimo ristorante, che ne dici di unirti a noi?

    Sapeva che la dioptase non si sarebbe tirata indietro, quindi avrebbe mandato la posizione alla ragazza, proprio mentre Cameron usciva dalla sua sauna in bagno.

    «Cazzo, bro. Sta il Sahara lì dentro.»

    Commentò quel vapore che aveva creato con la doccia calda che il ragazzo si era fatto, mentre agitava la mano a cacciare via un po' di fumo.
    Quindi si sistemò la camicia bianca, senza infilarla nei pantaloni e ficcandosi su una giacca di pelle nera.

    «Sei pronto? Vedrai, questa serata la ricorderemo per sempre.»

    Ghignò appena, ben consapevole che Cameron sapesse quale fosse l'intento di Julian, ma che non avesse avvisato la ragazza che aveva invitato. Il riccio sapeva essere davvero pessimo, delle volte, ma sapeva sempre come farsi perdonare.

    «Oggi non esistono Regina, Mia o Elisabeth. Oggi ce ne fottiamo del mondo e facciamo quello che cazzo ci pare, Cohen. Chiaro? Canna prima di arrivare?»

    Propose sventolando il calumè della pace davanti agli occhi del compagno di stanza, si era preoccupato di prepararlo prima, così che potessero fumare nel tragitto che li avrebbe portati a Londra.
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    Dopo la lezione di Alchimia, Julian non vedeva l'ora di dimostrare ad un'altra novizia (?) che lui era un ragazzo di parola. Si era molto divertito a lezione da Keegan e non solo per la presenza del giovane docente a cui Julian aveva mentalmente promesso di fargli provare quanto fosse molesto se si fosse impegnato sul serio, ma anche perché per la prima volta, durante una lezione, si era venuto a creare un trio magicamente interessante. Aveva scelto casualmente la sua vittima tra i primini di quel giorno, individuandola in John Hulk, poi era apparsa Erin Murphy, che si era sacrificata per tutti e aveva condiviso, con il coreano, la presenza di Julian. Presenza che sicuramente non aveva minimamente intenzione di scomparire, quella sera.
    Infatti, aveva fatto una promessa alla Murphy e lui era un uomo di parola, soprattutto se si trattava di ragazze o ragazzi interessanti, cosa che non era propriamente facile essere nei parametri di Julian che, per quanto fosse amante edonista del sesso casuale (?), non si interessava a nessuno, se non a chi realmente sembrava avere un briciolo di personalità.
    E i due ragazzini di quella mattina sembravano averne da vendere.
    Aveva lasciato respirare l'orientale, per dedicarsi, dopo la cena, alla ragazzina. Aveva atteso fuori dalla Sala Grande, poggiato al muro con la schiena e la suola della scarpa destra, con le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa. Osservava passare tutti gli studenti, sorridendo a chi conosceva anche solo di vista (leggasi: aveva molestato duramente durante qualche lezione così come aveva fatto con Erin e Hulk).
    C'era qualche ragazzina che quando lo vedeva arrossiva e si stringeva al braccio della compagna accanto, bisbigliando qualcosa e poi ridacchiando imbarazzate. Quello era ciò che Julian odiava, sapeva di essere favoloso, ma quei risolini acuti lo mandavano in crash il cervello, odiava quelle voci stridule e credeva che dovessero essere strozzate tutte coloro che osavano fare quel verso strano.
    Tuttavia, nonostante i suoi pensieri omicidi, il riccio concedeva un sorriso smagliante anche a loro, nascondendo quel fastidio dietro una facciata di perfetta bellezza.

    «Si fa desiderare la ragazzina...»

    Pensò, mentre un ghigno divertito si affacciava sulle sue labbra. Mancavano ancora pochi studenti, notò affacciandosi un po' alla porta, quindi doveva apparire Erin anche da un momento all'altro.
    Non appena l'avrebbe vista uscire, Julian si sarebbe staccato con un colpo di reni dal muro, avvicinandola.

    «Allora, sei pronta a goderti un po' di relax con me?»

    Sì, era molto allusivo, ma non aveva in mente niente di preoccupante, almeno non per ora.

    «Su, andiamo.»

    Le avrebbe quindi offerto il braccio, come solo un vero cavaliere poteva fare (?) e avrebbe avanzato nel passo con tranquillità, impostandosi accanto a lei, se lo avesse concesso.

    «Facciamo le cose per bene: sono Julian Miller ed oggi sarò colui che ti accompagnerà a vedere una delle mie stanze preferite del castello. Lei, signorina?»

    Aveva iniziato a fare il paraculo, povera Erin.
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    Lezioni finite, compiti fatti e Cameron fuori con Lilith.
    Una di quelle giornate dove non aveva proprio nulla da fare.
    Una di quelle giornate dove avrebbe preferito partire per tornare a New York e non rimanere in quella cazzo di scuola che odiava in ogni angolo che poteva formarla. Ma come cazzo aveva fatto a ritornarci?
    Doveva trovare un posto per stare solo, per poter pensare di non essere in Inghilterra e di non avere Regina intorno.
    Dove cazzo era finita, pure lei?
    Ma era possibile che nonostante fosse tornato solo per lei, la ragazza non aveva fatto altro che evitarlo?
    Per me non è cambiato niente.
    Questo gli aveva detto, peccato che a parole era stata bravissima, mentre a fatti... beh, la sola dimostrazione era che lui era da solo a girovagare per la scuola, mentre lei non faceva altro che andare chissà dove con chissà chi. Il riccio continuava a credere che gli stesse nascondendo qualcosa, voleva proprio sapere cosa fosse e prima o poi l'avrebbe sicuramente seguita per scoprirlo, tuttavia non era quello il giorno, più che altro perché nervoso com'era, non voleva il peso anche di una discussione con lei.
    Sbuffò, tirandosi indietro i ricci, mentre vagava per i corridoi del terzo piano.
    Cosa poteva fare per ammazzare il tempo?
    Sfogliò le pagine di instagram, cercando ispirazione, quando dovette fermarsi per far passare una coppia di studenti che uscirono dalla Sala Multimediale, commentando una delle ultime serie Netflix uscite.
    Julian guardò loro, poi guardò la stanza e prima che si chiudesse la porta, scivolò in mezzo per entrarvi.
    Sembrava non esserci nemmeno Isaac, ma la cosa non era definitiva, quello stronzo di fantasma appariva dal nulla quando meno ce lo si aspettava, facendo prendere una paura a tutti.
    Quindi non restava che approfittarne e cercare qualcosa da vedere, alla fin dei conti non era niente male quella sala e lui la utilizzava davvero troppo poco. Si gettò su uno dei puff sparsi per la sala della smart-tv e afferrò il telecomando.

    «Hey, riproduci i trailer delle ultime uscite.»

    La tv si accese e lui iniziò a farsi mostrare cosa c'era di interessante, ben consapevole che non sarebbe stato facile trovare qualcosa che potesse soddisfare la sua noia.
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