Votes taken by Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    15 Dicembre. Mancavano pochi giorni alla fine della scuola prima delle vacanze natalizie e Gyll non faceva altro che vedere lo scorrere del tempo sul calendario, nella magra speranza che avrebbe potuto lasciare quelle mura per circa due settimane. Era qualcosa di meraviglioso visto quanto quella gabbia dorata le stava stretta e attendeva ogni volta la pausa dalle lezioni per poter fuggire in chissà quale posto magnifico o, semplicemente, tornare a casa sua, dove poteva stare in grazia di Odino, senza nessuno che le rompeva le scatole.
    Quel giorno, la ragazzina stava cercando di seguire al meglio ogni lezione, senza alcuna distrazione, tuttavia, l'idea che le attendeva la lezione di rune, fece tornare alla mente della ragazzina il fatto che era da un sacco di tempo che non vedeva Gerald.
    Sospirò, giungendo in quella stanza che ormai era diventata delizia e tortura per la sua mente, quindi a capo chino cercò il primo posto in ultima fila che fosse libero, prima di sussultare ad una voce ben diversa da quella del professor Olwen (n.d.a.: impegnato col suo doppelganger chissà dove!!!), tanto che lo stupore le si disegnò in volto a trovare Kwaku a presenziare alla lezione e non il dolce e gentile Lancelot.
    Kwaku incuteva decisamente più terrore di quanto lo facesse Olwen, ma doveva ammettere che era decisamente affascinante. Forse il debole che Gyll aveva per gli uomini di Denrise sarebbe stato un grosso problema per la sua concentrazione a lezione. Poggiò il mento sul dorso della mano e lo osservò da capo a piedi, quasi affascinata, con i suoi occhi da cerbiatto a concentrarsi su ogni particolare. Era uno dei Superquattro della Lega dei Duelli e le storie che Gerald aveva raccontato su di lui erano svariate, ma tutte piene di eroismo, tanto che la mezza-veela si chiedeva se fossero realtà o solo un'esaltazione della figura dell'altro.
    Sgranò gli occhi alla rivelazione su Lancelot, credendo fermamente che quella frase avesse tutto di sessuale e niente di duellante. Non poteva crederci che Olwen... cioé Labaan... ma a scuola?! Voleva chiederlo, ma sapeva che non erano fatti suoi, quindi si limitò a guardarlo come se avesse appena scoperto la cosa più strana del mondo, con gli occhietti sgranati e le guance arrossate.
    Ascoltò le risposte dei suoi compagni e quasi timidamente sollevò la mano, non aveva voglia di farsi notare, sapeva che se lo avesse fatto il mondo sarebbe crollato su se stesso e tutto sarebbe andato in frantumi, come capitava da troppo tempo, ormai, ogni volta che si metteva al centro dell'attenzione.
    «Seppur tradizionalmente ci riferiamo ad Estonia, Lettonia e Lituania, come Paesi Baltici, dimentichiamo che bagnata da questo mare c'è anche la Danimarca. Lei, professor Labaan, ci ha chiesto quale di questi appartiene ai popoli del MAR Baltico, non a quelli che noi reputiamo i Paesi Baltici (quindi i primi tre); quindi sì, per esclusione direi che la croce cristiana esposta al Ministero della Magia Danese, appartiene ai popoli del mar Baltico. Inoltre, essendo il cristianesimo la religione più diffusa in quello Stato, seppur il luteranesimo abbia un'alta percentuale di fedeli.»
    Tornò in silenzio, sperando di non aver fatto troppi danni con la sua apparizione e la sua domanda, ma rimase a guardare il docente per caso (?) in attesa di quello che andava fatto.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Quando Gyll aveva deciso di andare al ballo, lo aveva fatto con l'intenzione di rimanere più anonima possibile. Certo, portarsi Pixie non si stava rivelando un ottima scelta, visto quello che la piccola stava combinando, tuttavia ormai il dado era tratto e questo non poteva far altro che creare disagi su disagi, come se a questo ballo già non ci fossero mille e più intrecci che stavano prendendo una piega del tutto inaspettata.
    Pixie le arrivò dritta in petto, complice la dolcezza della Lynch, che non si dimostrò diversa da come sempre l'aveva trattata. Si sbilanciò, finendo per cadere di sedere a terra, ma con Pixie tra le braccia, sana e salva. Uno sguardo di ghiaccio, freddo e distaccato, con un piccolo broncio verso la Prefetta degli Opal, prima di alzarsi e sbuffare.
    Era sempre così, tutti che ridevano di lei o che la trattavano male, poi pretendevano che lei, di bell'e buono crescesse. Era certa che se fosse riuscita a superare quegli anni, si sarebbe sentita sicuramente meglio fuori da quella gabbia di isteriche e vipere e di ragazzini presi dagli ormoni che sembravano essere gli zerbini delle serpi che si portavano dietro.
    Guardò verso Deva, quindi verso tutti gli altri.

    «Andiamo, Pixie. Come al solito non siamo graditi.»

    Sbuffò ancora una volta, sentendo gli occhietti cristallo bruciare. Non doveva piangere, non doveva farlo come quando lo aveva fatto durante la lezione di magitech, perché da lì era venuto fuori il peggio di quegli anni e lei non aveva la minima intenzione di vivere di nuovo il suo travaglio. Si incamminò con l'intento di tornarsene in stanza, ben conscia che era stato un grande, grandissimo errore presenziare a quel ballo, ma Pixie decise di scapparle di nuovo.

    «Accidenti!»

    Stridette tra i dentini, mentre sbatteva le mani lungo i fianchi. C'era solo un problema, adesso, ossia che la panda era sgattaiolata in mezzo alla pista e per trovarla... si doveva mettere alla sua altezza. Quindi si piegò, poggiò le ginocchia a terra e iniziò a gattonare per la sala.

    «Scusate. Permesso. Ahio. Ok, ci sono.»

    Più proseguiva, più cercava di capire dove stava andando, vedendo scarpe per lo più tutte simili tra loro e non riconoscendo nessuno. Vide la coda della creatura finire sotto un tavolo, quindi affrettò il suo gattonare e ... un colpo. Duro. Forte. E la testa che faceva male. Un urto che la portò a sedersi a terra e toccarsi il testino.

    «Oh Merlino.»

    Sollevò lo sguardo, ancora con la mano sulla fronte e gli occhioni celesti della mezza-veela si ritrovarono ad osservare la figura del docente di alchimia. Arrossì di colpo, rimanendo pietrificata a terra, mentre notava che non fosse solo ma che ci fossero anche altri due docenti.

    «Scusascusascusascusa.»

    Fu l'unica parola che riuscì a ripetere all'infinito.
    Keegan Mac Aodhagain Elisabeth Lynch Deva L. Lestrange Morrigan Maverick Andrè De Long-Prée prof, vi ho mandato il disagio.
    Gyll McKenzy

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    Black Opal, IV anno

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Emancipazione.
    Giochi di sguardi.
    Conversazioni e ascolti.
    Tutto questo che stava avvenendo in quella sala, non era decisamente all'altezza di Gyll. No, la ragazzina aveva cercato di rendersi il più normale possibile, indossando uno degli abiti che Jessica le aveva regalato, bocciandole quello che aveva comprato lei, dove sembrava un albero di natale con anche le lucine ad intermittenza e aveva addirittura tirato su i suoi biondi capelli in due trecce che partivano dal basso e finivano in due chiocciole sul capo, così da avere il volto libero da ogni filamento color paglia. Anche il make up non era esagerato, aveva voluto risaltare i suoi occhi, lasciando comunque tonalità neutre a fare da protagoniste, eccezione fatta per il tocco di luce che aveva posto sugli occhi, brillantini che ne illuminavano lo sguardo, mentre sulle labbra aveva scelto delle gradazioni tenue, così da non attirare troppo l'attenzione su di lei. Non aveva la minima intenzione di essere osservata da nessuno, per questo motivo aveva cercato di rimanere anonima e di andare al ballo con... Pixie.
    Sì, il panda rosso che le faceva ormai da migliore amica, confidente e cuscino su cui piangere, quel giorno sarebbe stato anche la sua accompagnatrice per il ballo, in barba a tutte le leggi tradizionali dove il cavaliere dev'essere un ragazzo e che abbia due piedi. Lei aveva scelto una femminuccia e con due zampe e molto pelosa.
    L'unico problema fu che quando Pixie arrivo nella Sala Grande, qualcosa andò storto...

    Rewind

    Erano giorni che stava in ansia per quel ballo e più pensava a cosa indossare, più la mezza-veela sentiva che non andava bene niente di quello che aveva, soprattutto dopo che Jessica le aveva detto di dover indossare qualcosa che non la rendesse una bambina, perché ormai lei non lo era più. E questo era anche vero, però...
    Qualche giorno dopo, trovò sul suo letto un pacco morbido, con un bigliettino sopra. Pixie lo stava annusando, lei invece pensò a leggere il biglietto.

    «Ecco, dovrebbe starti. E' tuo.»

    Gyll prese il vestito e lo guardò. Forse era un po' troppo per lei ma poteva darsi una possibilità e rendersi un po' più donna a quell'evento.

    «Pixie, quest'anno verrai con me al ballo, in barba a tutti i cavalieri che potrebbero esserci! Io e te saremo splendide.»

    Si gettò sul letto afferrando la panda, quindi la sollevò e la guardò.

    «Però devi fare la brava, cerchiamo di non farci riconoscere. Niente assalti al cibo e niente cose... strane. Ok?»

    L'animaletto la guardò un po' stranita, ma sembrò accettare quelle coccole che la ragazza le fece poco dopo, quindi se ne stette.
    Era arrivato il giorno del ballo e lei si era intrufolata in quel vestito come mai aveva fatto prima d'ora. Quasi ci stava rimanendo impiccata, uscendo prima dal buco delle ascelle, poi infilandoselo al contrario, insomma, dopo mille peripezie, era giunta nel buco giusto (?) ed era uscita da lì, facendo cadere i veli di quell'abito celeste addosso al suo corpo, come se fossero stati cuciti per lei.
    Si guardò allo specchio e sotto la gonna, Pixie sollevò il lembo, guardandola anche lei allo specchio squittendo.

    «Tu dici? Io mi sento strana.»

    Quindi il panda sgusciò fuori e spinse anche le scarpe che aveva trovato con il pacco dell'amica, osservandole. Quanto ci avrebbe messo a cadere da quelle? Non tanto dai, sui tacchi non era poi così male. Forse.
    Beh, era pronta, no?
    Giusto una sistematina ai capelli...

    Presente.

    Dicevamo, qualcosa andò storto e Pixie sembrò non mantenere proprio la sua promessa da panda rosso riguardante il non attirare l'attenzione su di loro, infatti con il suo cappellino a molla con sopra una stella cometa, Pixie pensò bene di sgambettare verso il tavolo del cibo e rubare qualche pizzetta, prima di scendere e correre verso...

    «No, Pixie, lì no.»

    La mezza-veela arricciò il tessuto del suo vestito, fino a scoprire le gambe fino ai polpacci e iniziò a correre verso la pista di pattinaggio, fermandosi proprio al baracchino del cioccolato, dove si fermò a guardare a destra e sinistra che fine avesse fatto il suo animaletto.

    «Un disastro, lo sapevo.»

    Non notò Lilith e Joshua, ben intenta a cercare dove fosse invece Pixie. Finì per arrivare accanto ad una ragazzina del primo anno, che aveva visto girovagare poco per la Sala Comune, non che fosse molto attenta a chi entrasse ed uscisse di là.

    «Hai visto un---»

    Proprio mentre stava rivolgendo parola a Deva, alle sue spalle vide scivolare a pancia in giù il panda rosso. Sgranò le iridi e le puntò sulla ragazzina.

    «Dimmi che sai pattinare, ti prego

    I suoi occhi si fecero languidi e il volto erano contrito da una strana espressione imbarazzata, mista al disagio totale.
    Chiede aiuto a Deva L. Lestrange per recuperare Pixie che ha deciso di pattinare a pancia in giù sul ghiaccio.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Non erano serviti quegli scossoni a farla riprendere da quella specie di trance nella quale era entrata la mezza-veela. Era come se fosse rimasta incantata dal trovarsi realmente tra le braccia di Adrien, seppur consapevole data la sua reazione, che il ragazzo fosse molto arrabbiato con lei piuttosto che felice di vederla.
    Alla fin dei conti non aveva fatto niente, questa volta, per ferirlo, quindi perché continuava ad urlare contro ed essere arrabbiato come se avesse programmato quell'incontro?
    Gyll non capiva.
    L'unica cosa che comprendeva era quanto quel volto era bello, quanto le piacesse anche quell'espressione arrabbiata che aveva, quella fronte aggrottata mentre la scuoteva.
    Non riusciva a pensare ad altro e quando gli fece quel complimento fu talmente spontaneo da non rendersi conto che lui avesse arrestato gli scossoni.
    Amava i ricci del ragazzo, ma in quel momento stava apprezzando anche la loro assenza. Forse il fatto di non averlo incontrato per così tanto tempo le aveva fatto vedere un'immagine diversa da quella a cui era stata abituata.

    Ovviamente, la ragazzina, non si aspettava certamente che lui smettesse di essere arrabbiato con lei solo per quel complimento.
    Non avrebbe sicuramente atteso un "ohw grazie, dai come stai? Beviamo qualcosa?" a mettere fine a tutto quello strazio della loro distanza.
    Per questo quando lui le afferrò il polso, lo stupore fu minimo, seppur il tonfo al cuore ci fu comunque.
    Calò lo sguardo di cristallo sulle dita che strinsero il polso e cercò per qualche secondo di tirarlo via dalla presa, ma rapidamente si sentì trascinata. Sì, quello la stupì, tanto da farle schiudere la bocca dallo stupore e cercare di tenere il passo dietro l'opale.
    «Adrien. Aspetta... io non» - ma quale indirizzo doveva dargli. Lei viveva in Scozia e non aveva preso nessun appartamento lì a Londra, se non la sua stanza ad Hidenstone. Cercò di tenere il passo, inciampando di tanto in tanto «Adri! Cosi cado...aspetta...» - cercava di fare opposizione, provando anche a tirare il braccio del ragazzo, ma senza ottimi risultati «Ma quale indirizzo... ADRIEN!» - alzò di proposito la voce, inciampando dietro di lui «Io non ho nessuna casa qui... io vivo in Scozia...» - bofonchió una volta attirata la sua attenzione «... l'unica stanza che ho qui è a scuola... e non voglio tornare li adesso...» - era vero, forse lei non si era fermata a conoscere lui, ma nemmeno lui aveva perso il suo tempo a sapere qualcosa di lei «...e a meno che tu non voglia portarmi fino in Scozia, devi fermarti.»
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Dondolare in bilico su quel ponte era la sensazione più bella che potesse provare in quel periodo.
    Era come essere ad un passo da un burrone, con la voglia di cadere giù, ma con la consapevolezza che non possa servire a niente nella vita, se non a scappare dai problemi. E lei aveva deciso di non scappare più. Non poteva continuare a farlo in eterno, l'ultima volta che lo aveva fatto era stato ancora più catastrofico di quanto potesse immaginare e aveva perso una persona importante per lei, una delle poche.
    Era lì a fare su e giù, godendosi quel leggero venticello che si ficcava nello spazio lasciato dal cappuccio ficcato in testa, stava bene, ora che aveva tutto il controllo della situazione su quel bordo: era lei a decidere cosa fare, quando scendere, quando cambiare rotta.
    Faceva tutto lei.
    Poi aveva la sua nuova best friend delle sue ultime uscite, la vodka.
    E grazie a quella che Gyll stava riuscendo anche ad annebbiare la sua sensazione di pericolo che potesse cadere.
    Il solo pensiero che aveva in mente era uno: Adrien.
    Aveva gli occhi socchiusi, giusto quel poco per vedere dove mettere i piedi, la sua mente viaggiava a cercare quel sorriso, quegli occhi e quelle labbra...
    Pensava a cosa stesse facendo in quel momento, se avesse finito di lavorare... aveva provato a scrivergli in quel periodo, ma continuava ad essere scontroso, non voleva vederla o sentirla nominare.
    Ma lei aveva deciso di non mollare, voleva riprendersi quella parte che le mancava e avrebbe continuato così fin quando non le avrebbe concesso un incontro chiarificatore, avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo. Ora. In quel preciso istante.

    Qualcuno lassù doveva aver ascoltato questo desiderio e, invece di aspettare che quel disastro di ragazza trovasse la lampada magica e la strofinasse, aveva deciso di esaudire quella necessità e di farla ritrovare proprio nelle braccia del suo desiderio recondito.

    Fu un attimo e dal camminare in bilico a mettere i piedi a terra passò qualche millesimo di secondo.
    Non aveva sentito nessuno che la chiamasse o l'avvertisse, forse troppo presa a capire come fare per recuperare il rapporto con Adrien. E quello stesso Adrien apparve. Apparve come mai si sarebbe immaginata potesse apparire.
    Gyll si sentì sollevare dalla vita, strinse forte la bottiglia e chiuse gli occhi, per poi sentirsi, come un sacco di patate, poggiata con i piedi a terra. Si sentì voltare verso il tizio che aveva appena deciso di rimetterla giù dal suo bilico.
    Ma quando i suoi occhi di cristallo incrociarono lo sguardo spaventato di Adrien, il cuore perse tutti i battiti. Si arrestò, spinse il petto e iniziò a fare male.
    Adrien.
    Gli occhi erano sgranati.
    Ancora una volta le urlava contro e quando iniziò a scuoterla, lei lo lasciò fare, con quell'espressione ancora disegnata in volto, la bocca appena socchiusa e gli occhi lucidi.
    Fu fulmineo, il concasato, a strapparle di via la vodka, che fece un tonfo nel fiume. Gyll però non seguì il volo della bottiglia, continuava a guardare Adrien, come se avesse avuto una visione.
    «Ricordati di respirare...» - la vocina nella sua testa le diede un piccolo consiglio e... Gyll spalancò la bocca e riprese fiato, come se fosse stata sott'acqua fino a quel momento, con un grosso respiro rumoroso.
    «Sei tu.» - un sospiro, un soffio d'aria quasi faticoso, mentre continuava a guardarlo incantata «I... i tuoi capelli.» - disse, quasi riuscendo ora a capirci un po' di più «... s-stai bene ...» - e tutto quello che aveva detto? O meglio, che le aveva urlato contro?
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Mercoledì 10 Agosto 2022, ore 23.55 - Londra Babbana, Hyde Park

    Il bello di quel mese era che non c'era scuola, non c'era coprifuoco, non c'erano voci di corridoio, non c'era niente di niente. Solo ed esclusivamente la noia, la depressione, al volontà di voler fare qualcosa ma la poca forza per farla.
    Non era da Gyll, effettivamente. Non era una cosa che le poteva calzare a pennello. Era agosto e lei era ancora a Londra, come poteva essere possibile?
    Era andata qualche giorno in Scozia, ma i suoi genitori erano stati fin troppo assillanti e quindi era scappata di nuovo; aveva raggiungo James in Grecia, con l'idea di poter incontrare il Beauvais che le interessava, ma nulla. E poi era tornata lì, a Londra, in quella città con il verde recintato, con poca natura reale.
    La sua voglia di viaggiare non si era spenta, ma in quel momento pensava solo ed esclusivamente a quel tarlo che le fotteva il cervello: Adrien Beauvais.
    Quella sera l'aveva passata da sola, al fresco del parco più importante della cittadina umida. Faceva freschetto e questo era un toccasana per lei, in quel periodo odiava il caldo, odiava il doversi vestire con roba corta e ne aveva approfittato per indossare una delle sue tute preferite.
    Nera, con dei riporti dorati, abbinata a delle scarpe da tennis, anch'esse con il baffo dorato. La felpa, rigorosamente nera, aveva un cappuccio che Gyll aveva indossato sul capo, per nascondersi da occhi indesiderati che potessero riconoscerla.
    In mano aveva una bottiglia di vodka, che aveva iniziato a bere camminando tranquillamente nel buio soffuso di quella distesa verde.
    Era giunta fino al ponte che permetteva di attraversare il fiume che tagliava il parco, si era fermata e affacciata, guardando la luna specchiarsi nell'acqua e sbuffò.
    Fu un attimo e balzò seduta sul bordo di quel ponticello di legno, piuttosto stabile, quindi fece leva sulle braccia, stando attenta a non far cadere la bottiglia e si sollevò in piedi sul bordo. Eccola, la scimmietta solita che si arrampicava dappertutto.
    Iniziò a passeggiare barcollando su quel bordo, un piede avanti all'altro. Di tanto in tanto si fermava solo per due motivi: invertire la rotta, sorseggiare la vodka. Non aveva niente da fare, voleva godersi un attimo di pace e quell'adrenalina del restare sempre in bilico, proprio come si sentiva in quel periodo nella sua vita.
    C'era la pace attorno, niente se non lei e quel ponte.
    Così andava perfettamente.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Lei non aveva ben chiaro quale fosse il programma della serata, tuttavia sperava davvero di trovarsi in una situazione più tranquilla, non voleva trovarsi con spintoni a destra e sinistra di gente che balla, o bicchieri rovesciati addosso da poveri ragazzi che non facevano altro che godersi la loro serata.
    Era solo che lei non era per niente in vena di tutta quella confusione e sperava vivamente che James avesse dei programmi più tranquilli per loro.
    E soprattutto che ci fosse Adrien nei paraggi.
    Il suo unico pensiero fisso era quello, voleva vederlo, voleva incontrarlo, voleva parlargli.
    Quando arrivò la risposta al suo messaggio, Gyll tirò un sospiro di sollievo, anche se farsi proteggere non era propriamente quello che desiderava realmente. Ma alla fin dei conti non sapeva nemmeno lei cosa realmente volesse.
    Sorrise appena, ricacciando il telefono in tasca, mentre con lo sguardo cercava James tra la gente che passava.

    Quando finalmente arrivò, sussultò appena non aspettandosi arrivasse così velocemente e soprattutto a salutarla in quel modo. Arrossì rapidamente, calando lo sguardo imbarazzata. Si sentiva strana, come se quel contatto l'avesse messa a disagio, non aspettandoselo.
    «James! Sì, certo. Era da tanto che non venivo qui...» - ammise, con un filo di voce, per poi ritornare a guardare con i suoi occhioni celesti il volto di James.
    «Ho dormito lungo il tragitto, quindi direi che è stato piuttosto rilassante. E tu? Sei qui da tanto? Da solo?» - si portò i capelli dietro l'orecchio, quindi tornò a guardare la gente che era attorno a loro, prima di tornare a morire dall'imbarazzo per quello che il Beauvais disse poc'anzi.
    Si guardò, non capendo come potesse trovarla "divina" con qualcosa del genere «Uh... ehm... grazie...» - non si era nemmeno impegnata per scegliere cosa indossare, decisamente fuori dal comune per una serata al Paradise. Infilò il braccialetto e lo seguì, cercando tra i presenti che le passavano accanto, il volto di Adrien.
    «Penso che una birra per ora vada bene...» - qundi afferrò una ghiacciata e iniziò a sorseggiarla. Era meglio iniziare con una birra, non voleva di certo ubriacarsi e fare danni. Non quella sera, si sperava.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Il mondo era stato davvero tanto crudele con lei.
    Non solo le aveva reso la vita difficile, ma le aveva fatto conoscere cosa significasse avere una delusione da una persona di cui si è innamorati.
    Gyll non riusciva a far altro che pensare alle ultime parole di Adrien, forse non era riuscita a farsi capire, lei non era brava con le parole, non sapeva esprimere bene quello che aveva in testa, forse perchè la sua mente era un groviglio di fili incasinati di cui non vedeva il capo da tirare per poterli sbrogliare.
    Aveva fatto un casino, un grandissimo casino.
    E non aveva idea di come potesse rimediare.
    In un'altra situazione sarebbe rimasta ferma e avrebbe fatto scorrere del tempo, così che potesse fare il suo corso e magari risolversi da solo. Ma quella volta sentiva un vuoto, un vuoto più grande di quando era partita.
    Sapeva che sarebbe stato duro affrontare il distanziamento di Adrien. E lui aveva fatto solo ciò che lei gli aveva chiesto; eppure ora si era pentita.
    Il solo pensare che potesse essere con qualcun altro, il credere che quegli occhi potessero guardare un'altra come guardava lei, la mandava in panne.
    Non sapeva nemmeno dove fosse.

    E mentre si faceva tutte quelle paranoie serali, la mezza-veela guardava il soffitto della sua stanza in Scozia, dov'era tornata nella speranza di riposare un po'. La mamma aveva notato che qualcosa non andasse come doveva andare, il papà si era preoccupato perchè il suo entusiasmo era spento e non aveva esultato a vedere le nuove caramelle che aveva prodotto. E lei non raccontava nulla.
    Non poteva dire ai propri genitori quale fosse il reale problema, magari avrebbero giudicato loro figlia così come facevano quelle voci di corridoio.

    Quando quel lunedì l'era arrivato il messaggio di James, Gyll non pensò a quanto fosse favoloso poter andare in Grecia o a quanto non vedesse l'ora di provare a fare surf, ma il suo pensiero insistente fu: potrebbe esserci Adrien.
    Fu questo, probabilmente, a spingerla a partire.
    L'appuntamento era per quel venerdì, al Paradise Club.
    Non capiva perchè dovessero incontrarsi la sera per fare surf, ma la cosa poco le interessava.
    Indossò un costume intero nero, con lo scollo lineare e su di esso un pantaloncino dell'adidas nero anch'esso con i richiami del marchio color bianco.
    Non aveva più voglia di indossare colori sgargianti, si era spenta da quell'incontro con Adrien e nemmeno se n'era accorta.

    Raggiunse il luogo dell'incontro, trovandolo davvero molto affollato, quindi cercò di deviare verso i bagni, consapevole di potervi trovare gente, ma sempre meno di quella che era nella parte principale del Club, quindi inviò un messaggio al Beauvais, magari era con Adrien e sarebbero arrivati da lei «Hey James, sono arrivata. Sono verso i bagni, c'è un sacco di confusione, ti aspetto qui o non ci troveremo mai.»- inviò e cercò di prendere aria nei polmoni.
    Gyll McKenzy

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    La rottura tra di loro aveva portato a delle conseguenze che forse Aidan non aveva calcolato e seppur lui non avesse usato appellativi particolari, la gente dopo quella scenata che le aveva fatto, non faceva che ridere di lei, farle proposte indecenti, dirle parole davvero poco carine.
    Lei cercava di reggere i colpi, di attutire il tutto, ma spesso capitava di voler scappare, di piangere nascosta in un angolino della sua stanza o in qualche aula vuota.
    Non voleva confessarlo ad Aidan, alla fine lui aveva fatto solo quello che riteneva giusto, ma l'alcol ci stava mettendo del suo e il ragazzino era caduto nel momento sbagliato a quel tavolo. Povero Dioptase, doveva anche consolare la ragazza che gli aveva messo le corna. Era davvero un paradosso.
    Nel mentre quei due non si erano visti, molte cose erano successe. Lei, Gerald, Adrien.
    La sua vita si era complicata ogni giorno di più e questo aveva fatto sì che ogni singolo giorno fosse una battaglia da vincere per arrivare sana e salva alla fine della giornata, per chiudere il sipario e prepararsi alla prossima sfida.
    Sorrideva, mentre diceva quelle parole al dioptase, come se in quel momento non l'avessero ferita nemmeno una volta.
    Buttare giù alcol era la via d'uscita migliore che ci potesse essere in quel momento e lei non faceva altro che tamponare quelle ferite, disinfettarle con quella vodka che ormai non sapeva più di niente.

    Spiazzata.
    Ecco come rimase quando sentì quelle scuse.
    Allargò le iridi di cristallo, ascoltando ogni singola parola.
    Rise appena, scuotendo il capo «Non è colpa tua. La gente ne approfitta e una volta sentita quella scenata, è stato facile tutto il resto.» - ammise, chiedendo altri due shot «Ormai ho fatto l'abitudine a chi mi chiede di andare a letto con lui, o mi ride in faccia nei corridoi. E' solo che ogni tanto ho bisogno di ricaricare le pile per affrontare il tutto.» - ammise spinta dall'alcol, più che dalla voglia di raccontarglielo.
    «Quel qualcosa in cui credevi... c'era. Eccome se c'era Aidan. Tu rimarrai sempre il mio primo ragazzo, la mia prima volta... difficilmente mi dimenticherò di quella sera a casa mia... ricordi?» - chinò lo sguardo sui bicchierini vuoti, sperando ne arrivassero altri pieni «Ho sbagliato e mi dispiace averti ferito...» - ammise con una flebile voce, mentre di sottecchi guardava il suo ex, con gli occhi di cristallo un po' languidi dall'alcol.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Non poteva crederci che stava succedendo davvero. Possibile che quell'incubo di giornata non poteva finire già, concludersi nel migliore dei modi, quello in cui lei riusciva a rientrare nella sua stanza e a stare da sola, lontano da tutto e da tutti?
    Rivedere Adrien era stato un colpo al cuore, aveva smosso in lei emozioni e ricordi, scene rivissute nella mente che potevano solo procurarle uragani di sensazioni. Quelle sensazioni che lei stessa voleva evitare, quelle emozioni che l'avevano mandata in tilt, facendola fuggire in un altro posto, lontano da quelle che erano le emozioni più belle e confuse che avesse mai provato.
    E allora cosa c'era che non andava? Cos'era sbagliato in quei sorrisi così spontanei e nel modo in cui la faceva sentire? L'unica cosa sbagliata di tutto quello erano i sentimenti che provava per l'opale.
    Perché?
    Perché in quella situazione non erano in due, erano in tre.
    Ed era per questo che era scappata, per mettere a tacere quei sentimenti, per riorganizzare le idee, ma non aveva fatto altro che mescolare ancora di più le cose, sentendo l'enorme mancanza di entrambi, due pezzi di lei lasciati indietro, una sofferenza mai provata prima.
    Cosa c'era di sbagliato in lei?
    Perchè ora l'unica cosa che voleva fare era scappare e lottare contro la voglia di abbracciare quel ragazzo che meritava delle spiegazioni, sentire il battito del suo cuore all'unisono con il proprio. E stava per impazzire a vedere quanto quel ragazzo che aveva davanti stava soffrendo. Certo, lo si leggeva in quell'espressione dura e cupa.
    Lei non riusciva a reggere tutta quella pressione.
    Eppure quando sentì quella voce, quella domanda...
    Perchè...
    Come poteva spiegarglielo?
    Sgranò gli occhi, abbassando lo sguardo sui propri piedi, ritrovandoli con le punte rivolte verso quelli del ragazzo.
    Ascoltava ogni parola, ogni domanda.
    Salì con lo sguardo sgranato. Davvero pensava che gli avesse fatto qualcosa?
    Non riusciva a rispondere, aveva il cuore in gola, voleva sparire seduta stante... per sempre. Sentiva il suo tono crescere sempre di più e lei farsi sempre più arrabbiata con se stessa, confusa, distrutta.
    Lo vedeva toccarsi quei ricci, lo notava quanto stava male. E lei era la causa di tutto quello.
    Lo seguì con gli occhi mentre si voltava di spalle e sussultò a quel pugno, trovandosi a fare - istintivamente - un passo verso di lui, allungando un braccio come a volerlo sfiorare.
    Eppure quel braccio cadde nel vuoto, quasi come se non fosse riuscita ad arrivarci, come se fossero così distanti, seppur vicini.
    Quella rabbia cacciata fuori, quell'urlare.
    Era finito al San Mungo?
    Blake lo aveva picchiato?
    E lui chi aveva picchiato?
    E perchè per lei?
    Come stava?
    Cosa si era fatto?
    Troppe erano le domande, poche le risposte, ma non riusciva a cacciare nemmeno un filo di voce.
    Lo guardava con gli occhi sgranati, quasi come se fosse scandalizzata, oltre che ferita, distrutta. Si potevano quasi scorgere crepe, come in un vetro frantumato, attraverso lo specchio di quello sguardo.
    Non c'era mai stata.
    Lui aveva bisogno di lei.
    Lei non c'era mai stata.
    Il silenzio che Adrien lasciò cadere fu immenso per lei.
    E quelle parole, quelle accuse risuonavano come urla strazianti nella sua testa.
    E poi, il colpo finale.
    Cos'erano.
    Gyll mandò giù a vuoto. Ancora una volta.
    «Un casino.» - mormorò piano la mezza-veela, dopo un lunghissimo silenzio successivo a quella domanda.
    Ecco cos'erano. Un casino «Un favoloso casino.» - aggiunse, senza alcuna emozione in quel tono.
    Era quello che pensava.
    Ora doveva parlare lei?
    Davvero doveva farlo?
    Era così complicato...
    «Ti sei chiesto il perchè. Il perchè io ti avessi lasciato solo, il perchè io fossi scappata da te, il perchè non ero vicino a te quando ne avevi bisogno, se tu fossi sbagliato.
    Non ho sentito una sola volta sentirti domanda perchè io non stessi bene, perchè IO stessi soffrendo, perché IO fossi scappata da tutti, non da te! Hai pensato a porti domande solo su te stesso, ti sei chiesto se fossi ancora viva? Se non mi fosse successo qualcosa, a prescindere da te!»
    - la sua era un'escaletion di emozioni, ora per la prima volta dopo mesi le stava buttando fuori e forse era quello di cui aveva bisogno.
    Lo guardava, mentre il vetro celeste vibrava e si faceva più liquido «Pensi di aver sofferto solo tu, Adrien? Pensi che io me la sia spassata lontano da te? Lontano dalle tue braccia? Se pensi questo, credimi sei solo un coglione e capisco che a questo punto hai ragione, non hai fatto alcun errore TU. Ma io sì, ho sbagliato ad innamorarmi di te. Ho sbagliato ad incasinarmi la vita con te. A ficcarmi in questa giostra di emozioni che mi fa venire solo il mal di stomaco!» - il suo tono adesso era diventato più alto, c'erano note di tristezza, di rabbia, ma tanta necessità di scappare che ancora vibrava forte in quelle corde vocali «Ti sei mai trovato a pensare che forse, sei arrivato nella vita di una persona, l'hai scombussolata e l'hai distrutta e quella persona deve capirci qualcosa? Ecco! Forse a volte devi pensare più a chi hai di fronte che a te stesso, Adrien! Sai cosa significa per me essere consapevole di amare due persone?! DUE. E di non voler rinunciare a nessuna di loro due.
    Significa capire di essere sbagliata. E l'unica via d'uscita è la fuga, perchè non ci sono tempi, non ci sono attese. C'è solo sofferenza. Ed è quella che provo io ogni volta che penso ai miei sentimenti! Ogni singolo giorno. Ogni singolo attimo. Ogni frazione di secondo. Ecco quanto è stato il tempo in cui ti ho pensato, in cui ho sperato con tutta me stessa che la mia assenza ti spingesse tra le braccia di un'altra, così che almeno uno tra noi due si potesse salvare da questo inferno.»
    - più parlava, più sentiva la rabbia salirle, insieme alle lacrime che scendevano.
    Lei voleva salvarlo da se stessa, ma non era servito a niente.
    «E sai perchè desideravo tutto questo? Perchè preferirei morire io nel fuoco, piuttosto che sapere che tu possa soffrire per me! Ho sperato di poter essere, per la prima volta, una delle tante, una di quelle che si può sostituire. Ed invece... eccoci qua!» - più urlava, più si faceva verso di lui, fino ad arrivare ad un passo, un passo e un braccio che andò a scontrarsi contro il suo petto, cercando di dargli un pugno, due, tre... mentre parlava... mentre piangeva... mentre urlava «Siamo qui a fare cosa?! A capire quanto casino c'è in questa situazione?! E quale sarebbe la soluzione?! Continuare a ferirti sapendo che vivere senza di te per me è impossibile, ma non riuscendo ancora a riordinare la mia testa?! Credi che questo a me faccia stare bene?! Pensi che io sia felice?! Ti rispondo io, Adrien! NO!» - sferò un altro pugno, con quelle poche forse che aveva, perchè alla fin dei conti lei non era mai stata una che sapeva tirar mani «IO ODIO SAPERE DI ESSERMI INNAMORATA DI TE! ODIO CHE IO POSSA FARTI SOFFRIRE! PERCHE' CI VORREI MORIRE TRA QUELLE BRACCIA, VORREI TORNARE A RESPIRARE TRA QUELLE LABBRA ED INVECE... INVECE SO CHE DEVO SPARIRE. DEVO STARE LONTANA DA TUTTI, PER IL TUO BENE. Perchè io... io sono solo un casino. Io... ti sto rovinando la vita...» -nelle ultime parole il tono era calato di molto, in un sussurro, così come l'ultimo pugno sferrato su quel petto si era arrestato lì, scivolando piano e accarezzandone il busto, fino a ricadere inerme sui propri fianchi. Le gocce salate scendevano a terra, creando cerchi che subito venivano assorbiti da quel pavimento. E quella scarica di rabbia non fece che far cedere le sue gambe, facendola ritrovare con le ginocchia a terra. Le mani adesso erano poggiate sulle cosce «Odiami, Adrien. Per favore... sarebbe tutto più facile per te. La tua vita tornerebbe ad essere fantastica senza me. Per favore... odiami...» - lo stava supplicando, stava chiedendo di scegliere la soluzione migliore per lui, perchè lei poteva soffrire, ma lui si sarebbe rialzato.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Era troppo complicato stare lì.
    Non riusciva a mantenere una conversazione, non poteva.
    Non era ancora nello stato mentale giusto per affrontare la realtà dei fatti.
    Stava provando a scappare e voleva fare solo quello, voleva tornare nella sua zona sicura, lontano da tutto e da tutti. Non poteva star lì, non ne aveva le forze.
    Eppure, Adrien non era dello stesso avviso.
    Lui aveva deciso che era arrivato il momento di prendere a schiaffi la realtà e di parlare.
    Sentì quella stretta sul suo polso.
    Ebbe un sussulto, si fermò.
    E quelle dita che stringevano bruciavano dentro di lei come se fossero fuoco vivo.
    Sapeva che non voleva farle male, si fidava, ma quella stretta la stava ferendo dentro.
    «T-ti prego, Adrien...» - cercò di mormorare, mentre le parole le si spezzavano in gola non riuscendo ad essere lineari, erano distorte, difficili da mandare giù.
    Fece qualche passo indietro, tornando davanti a lui. Lo sguardo scese sul polso, lo guardò e lo tirò indietro.
    Quel contatto la stava facendo impazzire, le stava facendo male e bene allo stesso tempo. E non poteva permetterselo.
    Era ancora troppo instabile per poter reggere una cosa del genere «Adri io... davvero... ho bisogno di tornare...» - sì, aveva bisogno di scappare, di andare via, di rinchiudersi nella sua stanza lontano da tutto e da tutti.
    Ma Adrien era determinato ad ottenere quello che desiderava, voleva parlare ora. E Gyll capì che non c'era via di scampo.
    Non quella volta.
    Ingoiò a vuoto, risollevando lo sguardo su quei lineamenti stupendi.
    «Ti ascolto...» - aveva il cuore a mille, le gambe che tremavano, per quanto avrebbe retto senza sbattere a terra?
    Eppure sapeva che gli doveva delle spiegazioni.
    Il vetro dei suoi occhi puntava quelli del ragazzo.
    Forse avrebbe solo ascoltato.
    Forse non avrebbe parlato.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Perchè tra tante persone di Hidenstone, aveva dovuto scontrarsi con Aidan, quella sera? Perchè, dannazione?
    Non era possibile che il destino fosse così balordo da rendere la sua vita sempre più incasinata. Non era possibile che ogni volta che provava a fuggire dai suoi problemi, questi bussassero alla porta.
    Era decisamente in pesisme condizioni, ma questo fu solo l'inizio di quella che probabilmente la serata più disastrosa della sua vita. No, forse la più disastrosa no, ma ecco, poteva essere nella top ten.
    Aidan.
    Perchè lui?
    Uno dei motivi per cui era lì.
    Uno dei motivi per cui la sua vita stava andando a rotoli, eppure l'alcol aveva fatto sì che non solo gli rivolgesse parola, svelandogli quanto era felice di vederlo, ma la facesse anche scontrare con lui, fisicamente.

    Gli occhi di cristallo della mezza-veela erano lucidi, un po' per l'acol, un po' per l'imbarazzo della situazione. Quella vicinanza con il dioptase le fece sentire un moto di agitazione all'altezza dell'ombellico, quasi un dolore, soprattutto sentendolo parlare, così vicino. Socchiuse gli occhi e ritrovò nella sua mente il profumo di un sapore familiare.
    Perchè aveva mandato tutto a rotoli?
    Rise appena alle sue parole «Ma no, ti prego. Beviamo insieme. Tanto ora ... ora ci sei tu, no?» - in che senso, scusa? Gyll scosse il capo, stringendosi le mani tra loro «Nel senso, ora dobbiamo almeno bere uno shottino insieme, non si può non bere in compagnia, dai...» - miagolò appena quel dai, come se fosse una micetta alla ricerca delle attenzioni, mentre lo sguardo, lentamente, si sollevò dolce sul volto del ragazzo, mentre si mordeva il labbro inferiore per l'imbarazzo.
    Tornò seduta, lo vide accomodarsi di fronte a lei e quasi fu sollevata dal fatto che non la lasciò sola.
    Perchè lo aveva ferito?
    Annuì a quella domanda. Era chiaro che riuscisse a parlare, seppur le sue azioni erano confuse e talvolta sconnesse.
    Guardò il suo sorriso e sgranò per un attimo gli occhi di vetro, trovandosi a divampare ancora una volta.
    Cercò di mantenere l'attenzione sulle sue parole, quindi, causa forse l'alcol, non pensò troppo a quello che disse «Sono sola perchè è quello che mi merito. E sono in queste condizioni per cercare di placare tutte le voci che ci sono quando passo nei corridoi e mi ricordano quanto io sia... stronza? No, aspetta, zoccola...» - disse, mentre allungò una mano guardando il cameriere e segnò un due con le dita. Subito arrivarono due shots, uno di questi lei lo buttò giù quasi a voler dimenticare quelle parole appena dette.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    «Davvero, Gyll. La tua bestiaccia mi ha finito tutti i biscotti. Non possiamo andare avanti così. Tu sparisci nella tua stanza, non la segui, Pixie è un terremoto, peggio di te.» - la mezza-veela ascoltava quella concasata, che non aveva poi così torto a lamentarsi con lei di quello che il suo panda rosso stava facendo. Eppure, Gyll sembrava nervosa, come se parlare con quella ragazza la mettesse in agitazione. Si muoveva con piccoli passetti, come se volesse farle capire quanto volesse scappare da quel posto, si toccava nevroticamente la punta dei capelli che ormai le si erano allungati più di qualche mese prima «Sì, ok.» - disse frettolosamente, cercando poi di fare un passo per andare oltre la concasata. Questa, però, non fece altro che bloccarle nuovamente la strada, beccandosi un roteare degli occhi di cristallo della mezza-veela, visibilmente infastidita dalla cosa «Nono, signorina! Ora la risolviamo questa situazione con il tuo panda. Devi tenerlo in gabbia, devi legarlo da qualche parte o finirà per diventare il mio nuovo paio di guantini invernali.» - Gyll sgranò gli occhi a quella minaccia, mentre i pugni che cadevano lungo i fianchi si chiudevano stretti «Se ti permetti a toccare Pixie, io giuro che---» - quella frase, così come il passo che la mezza-veela stava facendo verso la sua concasata fastidiosa, si arrestarono quasi come se qualcuno avesse messo pausa sulla figura di Gyll.
    La mezza si gelò, il sangue nelle vene lo sentì scorrere più lentamente e gli occhi si allargarono ancora di più, quasi terrorizzati, no... non aveva paura di quella voce che aveva riconosciuto, aveva l'ansia.

    Adrien Beauvais.
    Un capitolo nuovo nella vita della mezza-veela, un capitolo che aveva rivoluzionato le sue giornate, che aveva confuso la sua testa, che aveva fatto sì che lei stessa si mettesse in dubbio fino a credere di essere quella sbagliata, di non avere via di fuga dal suo destino e dal fatto che forse le parole di Aidan fossero vere e che quegli insulti se li meritasse tutti.
    Adrien Beauvais.
    Aveva il terrore di scontrarsi con quel volto. Non perchè avesse paura; temeva di ritrovare in quegli occhi, quelle emozioni dalla quale era scappata. Quel mese in Indonesia non era bastato, non era servito a dimenticare lui e Gerald. Non aveva funzionato scappare, per ritrovare se stessa, perchè l'unica cosa che aveva trovato era la consapevolezza di non voler rinunciare a nessuno dei due.
    Ed era per questo che era fuggita, che continuava a scappare e a fare i conti con le sue crisi di panico quando era necessario girare per i corridoi o stare tra la gente.

    Mandò giù a vuoto la saliva, guardando la sua concasata e aprendo il pugno che si era stretto poco prima. Fece un passo indietro e la ragazza che aveva davanti divenne invisibile mentre cercava di richiamare la sua attenzione, muovendole una mano davanti al viso «Sparisci.» - fu il solo sibilo che riuscì ad emettere, guardandola dritta negli occhi e tra un bofonchiare e l'altro, quella se ne andò sdegnata.

    Doveva voltarsi verso di lui.
    Doveva guardarlo.
    Doveva farlo.
    Lentamente cercò il coraggio di girarsi, sentiva le gambe tremarle.
    Gli occhi di cristallo puntarono quel volto.
    Lo ritrovò dopo tutto quel tempo.
    Fu come un tuffo giù da un dirupo, fu come se lo stomaco avesse ingoiato qualcosa di indigesto.
    Era ferma, lo guardava.
    «Adrien.» - chiamò il suo nome, un sibilo leggero, quasi un soffio caldo, un respiro.
    I denti presero a martoriare l'interno della guancia, mordicchiandola di nascosto.
    «Stavo per tornare... io... ho lasciato una cosa in stanza.» - si, voleva scappare di nuovo «... potremmo vederci dopo... ok?» - il tono era basso e fece qualche passo verso di lui, era quella la direzione che doveva prendere, e lui le stava davanti.
    Si avviò in sua direzione, pronta a superarlo «Mi faccio sentire io quando finisco... ok?» - stava per scappare, lo stava per fare. Lo affiancò e il suo braccio sfiorò per caso quello del Beauvais. Non doveva fermarsi, e se lui non l'avesse bloccata, avrebbe proseguito il suo cammino.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Domenica, quella sì che era una delle giornate migliori, soprattutto quando la si era passata a non far nulla. Esattamente com'era successo a Gyll quel giorno: la mattina si era svegliata piuttosto tardi, quindi aveva fatto una doccia e aveva deciso di andare a prendere un gelato al cioccolato con gli smarties sopra, tutti colorati, mangiarlo in riva al lago e poi uscire di nuovo per le viuzze di Diagon Alley.
    Non aveva voglia di comprare niente, eppure sentiva che quella giornata era tutta per lei, doveva dedicarsi a se stessa e pensare solo a quanto fosse perfetto quel giorno, non vi erano stati inconvenienti o incontri sfortunati, quindi poteva dichiararsi più che soddisfatta da quella giornata.
    E quale modo migliore per concludere la serata se non con una bellissima bevuta al paiolo magico? Solitamente non beveva da sola, insomma non lo trovava un divertimento pazzesco, ma quella sera voleva mostrare a se stessa che riusciva benissimo a stare da sola.
    Purtroppo, però, per quanto fosse capacissima di star da sola, la mezza-veela aveva un grande difetto: non aveva alcun limite; quello che doveva essere solo un bicchiere di vodka alla pesca, si era dimostrato diventare il più grande giro di bevute che lei si fosse mai fatta da sola. Oddio, non che ne avesse fatte di ubriacate solitarie, forse quella era la prima e se fosse andata male, anche l'ultima.
    Era seduta a quel tavolino e ad intervalli regolari di 30 minuti circa, il cameriere prendeva un bicchiere e glielo portava sul tavolo, anche se lei non lo chiedeva. Bastava che la ragazzina sollevava il suo sguardo celeste ed eccolo a donare l'alcol alla mezza-veela. Questo stesso sguardo che le faceva ordinare shottini, aveva attirato anche l'attenzione di altri diversi uomini che erano lì presenti, alcuni dalle fattezze piuttosto burbere, tuttavia qualcosa li fece desistere dall'avvicinarsi.
    Qualcosa? No, siamo più precisi: qualcuno. Quando Aidan si avvicinò al tavolo di Gyll, questa aveva appena posato sul legno l'ultimo shottino arrivatole e stava guardando il bicchiere mentre se lo rigirava tra le dita, sorridendo dolcemente a quel vetro, senza che ce ne fosse una vera motivazione.
    Non si accorse di lui fin quando il dioptase non si palesò con un saluto decisamente fuori dagli schemi e forse poco consono alla situazione. Gyll sgranò le iridi, forse pensando che a parlare fosse stato il bicchiere che aveva in mano, poi si voltò alla sua sinistra e con lo stupore ancora a farle da maschera, si morse il labbro inferiore dall'imbarazzo, mentre le gote le divennero di un porpora decisamente più scuro di quello che già l'alcol aveva reso «A-A-Aidan…» - sibilò piano come se avesse paura a nominare il moretto «C-che bello vederti…» - l'alcol aveva reso la spontaneità di Gyll ancora più evidente, fece per alzarsi ma - probabilmente a causa del fatto che non avesse ancora provato a farlo prima - barcollò appena in avanti, ritrovandosi ad inciampare tra i piedi della sedia, in direzione di Aidan; se non si fosse spostato, avrebbe poggiato le mani sulle sue spalle e avrebbe iniziato a ridere per la buffa scena che aveva appena messo in atto «Santo cielo, non so più camminare… ahaha-» - quel ridere si interruppe quando si rese conto - se lui l'avesse aiutata a non cadere - cosa fosse realmente successo, quindi… cercò di fare un passo indietro, trovandosi a sedersi bruscamente di nuovo sulla sedia «Scusascusascusa…» - chinò lo sguardo sul tavolo. Dannazione, che pessimo inizio…
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Il tocco delle dita di Adrien sembrava quasi volerla calmare. Era così difficile, però, calmare quell'esserino che stava per distruggere tutto, a detta sua, di quello che sembrava un casino pazzesco. Sentiva quei disegni astratti sul proprio palmo e guardava le sue dita accarezzarle la pelle.
    Non meritava niente di quel contatto, non ora che stava per far crollare su di lui una parete rocciosa che lo avrebbe seppellito con lei. Apprezzava quanto cercasse di farle capire che non era un casino, ma tutto quello era solo la punta dell'iceberg e Adrien si era schiantato su di lei proprio come Jack sul Titanic (casualmente Leo è il nuovo pg della narratrice di Adrien, ma questi sono solo dettagli insulsi). Sbuffò un sorriso a quelle sue tre parole, come se volesse crederci davvero, ma il sarcasmo era ben udibile anche in quel soffio di fiato che aveva tirato fuori.
    Lasciò le sue dita, quasi infliggendosi una punizione, sentendo quel freddo che la accarezzava, mentre Adrien portava via con sè il calore che l'aveva abbracciata fino a quel momento.
    Sgranò gli occhi quando si ritrovò di nuovo la mano stretta nella sua e questa volta le sue guance si arrossarono appena, come se quel gesto impulsivo e inaspettato l'avesse destabilizzata. Mandò giù a vuoto, quindi annuì piano. Questa volta non si sottrasse a quella mano, voleva sentire il calore del ragazzo percorrerle il braccio, infonderle quella sicurezza che non stava cascando nel vuoto, che non stava camminando sugli spilli ad occhi chiusi.
    Era una promessa, giusto? Quindi non sarebbe scappato, vero? Lei si fidava di lui, non l'avrebbe ferita. E allora perchè sentiva quella stretta allo stomaco farle così male? Era come se le parole che stava vomitando fuori stessero bruciando le pareti della sua gola, guardava verso il basso perchè si vergognava di tutto quello che stava dicendo, che stava confessando ad Adrien, che forse meritava qualcuno che non fosse così tanto incasinata al suo fianco.
    Quando la presa si strinse di più, Gyll sollevò di poco lo sguardo, notando come in Adrien era cambiato qualcosa. Cercò con gli occhi celesti la mano libera, trovandola stretta in pugno «A-Adrien...» - non era convinta che fosse uscita della voce dalla sua bocca, ma provò a chiamarlo. Tentò di finire quel discorso e quando anche l'ultima parola venne proferita, socchiuse gli occhi.
    Adrien scattò in piedi e Gyll si ritrovò a guardare di scatto verso di lui. Se ne stava andando, lo sapeva. Non c'era promessa che manteneva davanti a ciò che gli aveva detto; lo capiva, non poteva arrabbiarsi con lui. Lo guardò fare su e giù, quindi cercò di sollevarsi sulle proprie gambe, che sembravano quasi volerla costringere a terra, per quanto le tremavano per la paura «Mi dispiace, Adrien... davvero...» - credeva davvero che lui stesse pensando a come andarsene, forse voleva che glielo chiedesse lei? Ma non poteva, non desiderava vedere le sue spalle voltate. Si costrinse a sedersi di nuovo, questa volta stringendo le ginocchia al petto. Non sapeva che fare, non sapeva che dire.
    Le sole cose che riuscì a tirar fuori furono le parole che composero quella domanda. Chino il capo, credeva di non volerlo più rialzare, certa che se lo avesse fatto avrebbe scoperto che Adrien sarebbe andato via.
    Fu un istante, forse interminabile quello che venne successivamente a quella domanda. Il suo volto venne sollevato in maniera irruenta e lei si trovò faccia a faccia con il concasato. Le sue labbra su quelle proprie, quel sapore già assaggiato che non sembrava aver dimenticato. Sentiva la forza nell'imprimere la carne sulla pelle, era come se volesse entrarle dentro, strapparle il cuore dal petto con quel bacio e tenerselo per sé. I suoi occhi erano stupiti, sgranati, ma la bocca si mosse a ricambiare quel bacio. Quando lui si staccò, la mezza-veela tornò a respirare. Per pochi attimi.
    Perchè, se Gyll aveva avuto la brillante idea di far franare una parete rocciosa con le sue magiche avventure con Aidan e Gerald, seppellendoci sotto Adrien; lui aveva passato su quella frana un compattatore, così che rimanessero entrambi seppelliti dalle macerie, senza possibilità di uscirne.
    Quelle parole furono uno spillo nel petto, mentre il suo volto divampava.
    Aveva sentito bene? Quella specie di ringhio aveva davvero detto ti amo? Sentiva il cuore batterle all'impazzata.
    Non riusciva nemmeno a connettere il cervello, lo guardava con gli occhi sciolti, pronti a straboccare di lacrime e poi divenne tutto un crescendo di situazioni che continuavano ad accavallarsi, così come il suo gridare e quella richiesta e...
    Scattò in avanti, verso di lui e cercò di gettargli le braccia attorno al collo, lanciandosi tra le sue braccia e scoppiando in lacrime. Lo strinse forte, prima di staccarsi e prendergli il volto tra le mani, se glielo avesse concesso «Adrien. Adrien. Adrien ascoltami, ti prego. Io non voglio. Non voglio chiamare nessuno, non voglio che succeda niente. Ti prego...» - lo guardò, mentre istintivamente i pollici sfiorarono le sue labbra «Io... ho paura a dire quelle parole, Adrien... » - era la verità, aveva paura, paura di tutto quello che stava succedendo «... quello che provo per te è qualcosa di strano, qualcosa di nuovo. Qualcosa di completamente fuori da ogni schema e voglio capire... aiutami a farlo, Adrien.» - bisbigliò cercando di sfiorare le sue labbra con le proprie.
    Gyll McKenzy

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