Non puoi più sfuggirmi

Adrien&Gyll

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  1. Adrien Beauvais
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    CRETINO
    Stupido, imbecille.
    No. Non andava affatto bene. Adrien era abbastanza incazzato: strinse le mani a pugno e le loro nocche si fecero bianche. Aveva bisogno di prendere a pugni qualcosa ma, a discapito della sua vera stoffa, si trattenne dal compire un suicidio. Non voleva farsi male. Bastava già tutto quello che aveva attraversato. Aveva combattuto per lei, cazzo! L'aveva vendicata, aveva sfidato Blake fottuto Barnes, il quale l'aveva ridotto a poltiglia... era finito al San Mungo. E tutto questo, per lei. E lei (!), invece di stare al suo fianco, l'aveva evitato, quasi fosse un appestato! L'assenza dell'opalina si era fatta più presente che mai e ciò gli dava alla testa. Una fitta di mal di testa fece capolino e Adrien si ritrovò a massaggiarsi ruvidamente le tempie con i polpastrelli delle sue mani. L'avrebbe cercata a fondo, avrebbe raggiunto persino l'inferno se ciò significava averla davanti a sè. L'avrebbe scovata, dovunque fosse: era una promessa a sè stesso.
    Cosa c'era tra di loro? Erano ancora qualcosa? "...lo siamo mai stati?" si domandò. Perchè non l'aveva cercato? Lui che, in qualche modo contorto, le aveva donato il suo mondo, fatto l'amore per la prima volta con lei, si era ritrovato con il sedere sul pavimento. Ma non sarebbe mai rimasto a guardare Gyll sfuggirle dalle proprie mani. L'avrebbe trattenuta tra le sue dita, anche se sarebbe stata per un'ultima volta.
    Girò il castello in lungo e in largo. Chiese a molti se sapessero dove lei si trovasse, fino a quando un suo coetaneo non gli indicò la tana del coniglio.
    La riconobbe dai capelli sciolti, che ricadevano sulle sue spalle, liberi dalla costrizione di qualunque elastico lei avesse utilizzato per raccoglierli. Era di spalle, intenta a parlare con qualcun'altra, forse una sua amica. Non gli importava di poter sembrare maleducato, ma aveva necessità di parlarsi.
    Si avvicinò con passo celere. Prese un respiro profondo. Si fermò a qualche metro da lei.
    - Gyll - la chiamò per nome, per attirare la sua attenzione. Se lei si fosse girata, avrebbe notato il suo sguardo serio, anzi, serissimo, testimoniato dalle rughe tra le sopracciglia e dalla bocca serrata.
    - Dobbiamo parlare. -
    Era la seconda volta che le rivolgeva quella frase, ma ora faceva sul serio.




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    ADRIEN BEAUVAIS
    I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere.


    Gyll McKenzy
     
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    «Davvero, Gyll. La tua bestiaccia mi ha finito tutti i biscotti. Non possiamo andare avanti così. Tu sparisci nella tua stanza, non la segui, Pixie è un terremoto, peggio di te.» - la mezza-veela ascoltava quella concasata, che non aveva poi così torto a lamentarsi con lei di quello che il suo panda rosso stava facendo. Eppure, Gyll sembrava nervosa, come se parlare con quella ragazza la mettesse in agitazione. Si muoveva con piccoli passetti, come se volesse farle capire quanto volesse scappare da quel posto, si toccava nevroticamente la punta dei capelli che ormai le si erano allungati più di qualche mese prima «Sì, ok.» - disse frettolosamente, cercando poi di fare un passo per andare oltre la concasata. Questa, però, non fece altro che bloccarle nuovamente la strada, beccandosi un roteare degli occhi di cristallo della mezza-veela, visibilmente infastidita dalla cosa «Nono, signorina! Ora la risolviamo questa situazione con il tuo panda. Devi tenerlo in gabbia, devi legarlo da qualche parte o finirà per diventare il mio nuovo paio di guantini invernali.» - Gyll sgranò gli occhi a quella minaccia, mentre i pugni che cadevano lungo i fianchi si chiudevano stretti «Se ti permetti a toccare Pixie, io giuro che---» - quella frase, così come il passo che la mezza-veela stava facendo verso la sua concasata fastidiosa, si arrestarono quasi come se qualcuno avesse messo pausa sulla figura di Gyll.
    La mezza si gelò, il sangue nelle vene lo sentì scorrere più lentamente e gli occhi si allargarono ancora di più, quasi terrorizzati, no... non aveva paura di quella voce che aveva riconosciuto, aveva l'ansia.

    Adrien Beauvais.
    Un capitolo nuovo nella vita della mezza-veela, un capitolo che aveva rivoluzionato le sue giornate, che aveva confuso la sua testa, che aveva fatto sì che lei stessa si mettesse in dubbio fino a credere di essere quella sbagliata, di non avere via di fuga dal suo destino e dal fatto che forse le parole di Aidan fossero vere e che quegli insulti se li meritasse tutti.
    Adrien Beauvais.
    Aveva il terrore di scontrarsi con quel volto. Non perchè avesse paura; temeva di ritrovare in quegli occhi, quelle emozioni dalla quale era scappata. Quel mese in Indonesia non era bastato, non era servito a dimenticare lui e Gerald. Non aveva funzionato scappare, per ritrovare se stessa, perchè l'unica cosa che aveva trovato era la consapevolezza di non voler rinunciare a nessuno dei due.
    Ed era per questo che era fuggita, che continuava a scappare e a fare i conti con le sue crisi di panico quando era necessario girare per i corridoi o stare tra la gente.

    Mandò giù a vuoto la saliva, guardando la sua concasata e aprendo il pugno che si era stretto poco prima. Fece un passo indietro e la ragazza che aveva davanti divenne invisibile mentre cercava di richiamare la sua attenzione, muovendole una mano davanti al viso «Sparisci.» - fu il solo sibilo che riuscì ad emettere, guardandola dritta negli occhi e tra un bofonchiare e l'altro, quella se ne andò sdegnata.

    Doveva voltarsi verso di lui.
    Doveva guardarlo.
    Doveva farlo.
    Lentamente cercò il coraggio di girarsi, sentiva le gambe tremarle.
    Gli occhi di cristallo puntarono quel volto.
    Lo ritrovò dopo tutto quel tempo.
    Fu come un tuffo giù da un dirupo, fu come se lo stomaco avesse ingoiato qualcosa di indigesto.
    Era ferma, lo guardava.
    «Adrien.» - chiamò il suo nome, un sibilo leggero, quasi un soffio caldo, un respiro.
    I denti presero a martoriare l'interno della guancia, mordicchiandola di nascosto.
    «Stavo per tornare... io... ho lasciato una cosa in stanza.» - si, voleva scappare di nuovo «... potremmo vederci dopo... ok?» - il tono era basso e fece qualche passo verso di lui, era quella la direzione che doveva prendere, e lui le stava davanti.
    Si avviò in sua direzione, pronta a superarlo «Mi faccio sentire io quando finisco... ok?» - stava per scappare, lo stava per fare. Lo affiancò e il suo braccio sfiorò per caso quello del Beauvais. Non doveva fermarsi, e se lui non l'avesse bloccata, avrebbe proseguito il suo cammino.
    Gyll McKenzy

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  3. Adrien Beauvais
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    CRETINO
    Stupido, imbecille.
    Adrien non aveva avuto il tempo mentale per ascoltare la conversazione tra le due opaline, seppure la ragazza, che Gyll aveva di fronte, gli sembrasse di averla già intravista in sala comune. Nonostante le parole mancate, il Black Opal era più che in grado di leggere i segnali che il corpo altrui lanciava nelle situazioni di pericolo. E la sua ragazza, se così avesse potuto ancora chiamarsi, sembrava stesse sentendo fermamente e contemporaneamente la necessità di scappare via, come testimoniavano i passettini all’indietro, e quella di reagire. Non aveva mai pensato che Gillian mancasse di carattere, anzi… per quanto lei dimostrasse perennemente al mondo quel lato ingenuo, timido e di scarsa iniziativa, Adrien sapeva bene che, se mai qualcuno a lei caro fosse stato toccato, avrebbe combattuto con le unghie e con i denti, anche se fosse stato per quel batuffolo di panda rosso che portava sempre al suo fianco. Anzi, soprattutto per lui.
    Ma per me…?” pensò tra sé e sé, rammaricandosi per tutti quei ricordi che gli passavano per la mente quasi fossero le immagini di un film, nei quali lei non c’era mai.
    Gyll si voltò e i suoi occhi furono ancorati nei propri. Per la prima volta. Dopo molto, troppo tempo. Il suo cuore si sentì trafitto da quelle iridi cristalline che, ora, più che acqua, gli parevano tante stele di ghiaccio affilate e appuntite. Sussurrò il suo nome e il petto del ragazzo perse un battito. La sua voce… quanto gli era mancata. Non rispose e non si mosse da lì. Avvertiva come un peso inserito nei suoi stessi arti che gli impedivano di compiere qualunque passo lui avesse desiderato compiere.
    Lei si avvicinò a lui, non tanto perché voleva starci vicino, quanto per continuare per la sua strada. Voleva scappare via da lui… una realizzazione dura e amara. Ma non le avrebbe permesso di farla franca per questa volta. Senza voltare il suo capo verso il suo volto, non appena lei gli sfiorò il braccio, l’opale le prese improvvisamente il polso, che strinse in una presa ferma. Non voleva farle male e non l’avrebbe fatto. Ma avrebbe dovuto fermarsi.
    - No. – esclamò, secco e serio, mentre i suoi occhi continuavano a scrutare l’orizzonte.
    La trascinò indietro, fino a quando non fosse stata davanti a lui.
    - Ti ho detto che dobbiamo parlare. Ora. -




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    Gyll McKenzy
     
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    Era troppo complicato stare lì.
    Non riusciva a mantenere una conversazione, non poteva.
    Non era ancora nello stato mentale giusto per affrontare la realtà dei fatti.
    Stava provando a scappare e voleva fare solo quello, voleva tornare nella sua zona sicura, lontano da tutto e da tutti. Non poteva star lì, non ne aveva le forze.
    Eppure, Adrien non era dello stesso avviso.
    Lui aveva deciso che era arrivato il momento di prendere a schiaffi la realtà e di parlare.
    Sentì quella stretta sul suo polso.
    Ebbe un sussulto, si fermò.
    E quelle dita che stringevano bruciavano dentro di lei come se fossero fuoco vivo.
    Sapeva che non voleva farle male, si fidava, ma quella stretta la stava ferendo dentro.
    «T-ti prego, Adrien...» - cercò di mormorare, mentre le parole le si spezzavano in gola non riuscendo ad essere lineari, erano distorte, difficili da mandare giù.
    Fece qualche passo indietro, tornando davanti a lui. Lo sguardo scese sul polso, lo guardò e lo tirò indietro.
    Quel contatto la stava facendo impazzire, le stava facendo male e bene allo stesso tempo. E non poteva permetterselo.
    Era ancora troppo instabile per poter reggere una cosa del genere «Adri io... davvero... ho bisogno di tornare...» - sì, aveva bisogno di scappare, di andare via, di rinchiudersi nella sua stanza lontano da tutto e da tutti.
    Ma Adrien era determinato ad ottenere quello che desiderava, voleva parlare ora. E Gyll capì che non c'era via di scampo.
    Non quella volta.
    Ingoiò a vuoto, risollevando lo sguardo su quei lineamenti stupendi.
    «Ti ascolto...» - aveva il cuore a mille, le gambe che tremavano, per quanto avrebbe retto senza sbattere a terra?
    Eppure sapeva che gli doveva delle spiegazioni.
    Il vetro dei suoi occhi puntava quelli del ragazzo.
    Forse avrebbe solo ascoltato.
    Forse non avrebbe parlato.
    Gyll McKenzy

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  5. Adrien Beauvais
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    CRETINO
    Stupido, imbecille.
    Credeva che per lui fosse semplice?! Credeva che per lui fosse facile trattenerla in quel modo e sentire la sua voce pregarlo di lasciarla andare via?! No, era difficile, cazzo. Fottutamente difficile. Ma lei non se ne rendeva conto, come non si era resa conto di tanto, molto altro.
    Adrien chiuse gli occhi, per cercare di sotterrare nell’oscurità delle sue palpebre chiuse il dolore che provava nell’anima ogni volta che lei lo pregava. La stava ferendo? Ma le ferite che lei gli stava provocando anche in quell’istante?! A quelle lei non ci pensava?
    Lasciò che sottraesse il polso dalla sua presa ferma. Non voleva toccarla più del necessario, perché pelle su pelle riportava alla mente ricordi che non poteva dimenticare affatto, nonostante avesse cercato di nasconderli in un angolino della sua mente. Gyll era stata il suo pensiero fisso, ogni volta che si svegliava la mattina e ogni volta che andava a dormire la sera, durante i pasti, le lezioni, durante la rissa con Aidan. La sua assenza si era fatta perenne presenza, come fosse un coltello spinto in una ferita già aperta.
    Quando, finalmente, quel – Ti ascolto – uscì dalle sue labbra, Adrien non perse tempo a dirle quello che pensava e a domandarle quello che desiderava chiederle.
    Ingoiò saliva amara, mentre gli si formava un groppo in gola. Si passò una mano tra i ricci.
    - Perché, Gyll? -
    Cominciò così, non sapendo esattamente con quali parole iniziare.
    - Perché scappi via da me? Perché hai cercato di nasconderti da me? Cosa ti ho fatto?! -
    La sua voce si era fatta via via più alta, ma non gli importava. Doveva capire quanto l’avesse ferito.
    - Ho voluto che ti prendessi i tuoi tempi, perché ho capito che ne avevi bisogno, ma ora… -
    Ancora una volta, i suoi ricci furono preda della sua frustrazione.
    - …io ti ho aspettata… ti ho aspettata a lungo… sono passati mesi, Gyll. Mesi! Capisci?! Ho passato notti insonni cercando di capire cosa avessi sbagliato, se avessi sbagliato… perché lo so come sono fatto e sono consapevole che potrei commettere errori molto facilmente, ma questa volta non ne ho trovati… -
    Improvvisamente, si girò di spalle alla ragazza e batté un pugno al muro. Poco gli importava del dolore.
    - CAZZO, GYLL, HO FATTO A PUGNI PER TE, CAPISCI?! E QUEL BARNES MI HA CREPATO DI BOTTE… E SONO FINITO AL SAN MUNGO! E TU DOVE CAZZO ERI?! -
    Strinse il ponte del suo naso nel tentativo di calmarsi, mentre chiudeva gli occhi e tentava di prendere un respiro profondo, seppure tremante.
    - …ci sono state tante volte in cui ho avuto bisogno di te… e tu non ci sei mai stata. Tu non c’eri mai. E non ci sei ancora. Anche adesso… - rivolse il suo sguardo ai piedi dell’opalina, rivolti verso una direzione che non era lui. - …anche adesso te ne vuoi andare… lo dimostra il tuo corpo… non so nemmeno se siamo stati qualcosa… -
    Un minuto di silenzio si frappose tra lui e Gyll.
    - Cosa siamo, Gyll?
    Fu pronunciata piano quella domanda: era carica di una sofferenza tale che non poté non porre nel tono di voce un pizzico di ironia.





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    Gyll McKenzy
     
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    Non poteva crederci che stava succedendo davvero. Possibile che quell'incubo di giornata non poteva finire già, concludersi nel migliore dei modi, quello in cui lei riusciva a rientrare nella sua stanza e a stare da sola, lontano da tutto e da tutti?
    Rivedere Adrien era stato un colpo al cuore, aveva smosso in lei emozioni e ricordi, scene rivissute nella mente che potevano solo procurarle uragani di sensazioni. Quelle sensazioni che lei stessa voleva evitare, quelle emozioni che l'avevano mandata in tilt, facendola fuggire in un altro posto, lontano da quelle che erano le emozioni più belle e confuse che avesse mai provato.
    E allora cosa c'era che non andava? Cos'era sbagliato in quei sorrisi così spontanei e nel modo in cui la faceva sentire? L'unica cosa sbagliata di tutto quello erano i sentimenti che provava per l'opale.
    Perché?
    Perché in quella situazione non erano in due, erano in tre.
    Ed era per questo che era scappata, per mettere a tacere quei sentimenti, per riorganizzare le idee, ma non aveva fatto altro che mescolare ancora di più le cose, sentendo l'enorme mancanza di entrambi, due pezzi di lei lasciati indietro, una sofferenza mai provata prima.
    Cosa c'era di sbagliato in lei?
    Perchè ora l'unica cosa che voleva fare era scappare e lottare contro la voglia di abbracciare quel ragazzo che meritava delle spiegazioni, sentire il battito del suo cuore all'unisono con il proprio. E stava per impazzire a vedere quanto quel ragazzo che aveva davanti stava soffrendo. Certo, lo si leggeva in quell'espressione dura e cupa.
    Lei non riusciva a reggere tutta quella pressione.
    Eppure quando sentì quella voce, quella domanda...
    Perchè...
    Come poteva spiegarglielo?
    Sgranò gli occhi, abbassando lo sguardo sui propri piedi, ritrovandoli con le punte rivolte verso quelli del ragazzo.
    Ascoltava ogni parola, ogni domanda.
    Salì con lo sguardo sgranato. Davvero pensava che gli avesse fatto qualcosa?
    Non riusciva a rispondere, aveva il cuore in gola, voleva sparire seduta stante... per sempre. Sentiva il suo tono crescere sempre di più e lei farsi sempre più arrabbiata con se stessa, confusa, distrutta.
    Lo vedeva toccarsi quei ricci, lo notava quanto stava male. E lei era la causa di tutto quello.
    Lo seguì con gli occhi mentre si voltava di spalle e sussultò a quel pugno, trovandosi a fare - istintivamente - un passo verso di lui, allungando un braccio come a volerlo sfiorare.
    Eppure quel braccio cadde nel vuoto, quasi come se non fosse riuscita ad arrivarci, come se fossero così distanti, seppur vicini.
    Quella rabbia cacciata fuori, quell'urlare.
    Era finito al San Mungo?
    Blake lo aveva picchiato?
    E lui chi aveva picchiato?
    E perchè per lei?
    Come stava?
    Cosa si era fatto?
    Troppe erano le domande, poche le risposte, ma non riusciva a cacciare nemmeno un filo di voce.
    Lo guardava con gli occhi sgranati, quasi come se fosse scandalizzata, oltre che ferita, distrutta. Si potevano quasi scorgere crepe, come in un vetro frantumato, attraverso lo specchio di quello sguardo.
    Non c'era mai stata.
    Lui aveva bisogno di lei.
    Lei non c'era mai stata.
    Il silenzio che Adrien lasciò cadere fu immenso per lei.
    E quelle parole, quelle accuse risuonavano come urla strazianti nella sua testa.
    E poi, il colpo finale.
    Cos'erano.
    Gyll mandò giù a vuoto. Ancora una volta.
    «Un casino.» - mormorò piano la mezza-veela, dopo un lunghissimo silenzio successivo a quella domanda.
    Ecco cos'erano. Un casino «Un favoloso casino.» - aggiunse, senza alcuna emozione in quel tono.
    Era quello che pensava.
    Ora doveva parlare lei?
    Davvero doveva farlo?
    Era così complicato...
    «Ti sei chiesto il perchè. Il perchè io ti avessi lasciato solo, il perchè io fossi scappata da te, il perchè non ero vicino a te quando ne avevi bisogno, se tu fossi sbagliato.
    Non ho sentito una sola volta sentirti domanda perchè io non stessi bene, perchè IO stessi soffrendo, perché IO fossi scappata da tutti, non da te! Hai pensato a porti domande solo su te stesso, ti sei chiesto se fossi ancora viva? Se non mi fosse successo qualcosa, a prescindere da te!»
    - la sua era un'escaletion di emozioni, ora per la prima volta dopo mesi le stava buttando fuori e forse era quello di cui aveva bisogno.
    Lo guardava, mentre il vetro celeste vibrava e si faceva più liquido «Pensi di aver sofferto solo tu, Adrien? Pensi che io me la sia spassata lontano da te? Lontano dalle tue braccia? Se pensi questo, credimi sei solo un coglione e capisco che a questo punto hai ragione, non hai fatto alcun errore TU. Ma io sì, ho sbagliato ad innamorarmi di te. Ho sbagliato ad incasinarmi la vita con te. A ficcarmi in questa giostra di emozioni che mi fa venire solo il mal di stomaco!» - il suo tono adesso era diventato più alto, c'erano note di tristezza, di rabbia, ma tanta necessità di scappare che ancora vibrava forte in quelle corde vocali «Ti sei mai trovato a pensare che forse, sei arrivato nella vita di una persona, l'hai scombussolata e l'hai distrutta e quella persona deve capirci qualcosa? Ecco! Forse a volte devi pensare più a chi hai di fronte che a te stesso, Adrien! Sai cosa significa per me essere consapevole di amare due persone?! DUE. E di non voler rinunciare a nessuna di loro due.
    Significa capire di essere sbagliata. E l'unica via d'uscita è la fuga, perchè non ci sono tempi, non ci sono attese. C'è solo sofferenza. Ed è quella che provo io ogni volta che penso ai miei sentimenti! Ogni singolo giorno. Ogni singolo attimo. Ogni frazione di secondo. Ecco quanto è stato il tempo in cui ti ho pensato, in cui ho sperato con tutta me stessa che la mia assenza ti spingesse tra le braccia di un'altra, così che almeno uno tra noi due si potesse salvare da questo inferno.»
    - più parlava, più sentiva la rabbia salirle, insieme alle lacrime che scendevano.
    Lei voleva salvarlo da se stessa, ma non era servito a niente.
    «E sai perchè desideravo tutto questo? Perchè preferirei morire io nel fuoco, piuttosto che sapere che tu possa soffrire per me! Ho sperato di poter essere, per la prima volta, una delle tante, una di quelle che si può sostituire. Ed invece... eccoci qua!» - più urlava, più si faceva verso di lui, fino ad arrivare ad un passo, un passo e un braccio che andò a scontrarsi contro il suo petto, cercando di dargli un pugno, due, tre... mentre parlava... mentre piangeva... mentre urlava «Siamo qui a fare cosa?! A capire quanto casino c'è in questa situazione?! E quale sarebbe la soluzione?! Continuare a ferirti sapendo che vivere senza di te per me è impossibile, ma non riuscendo ancora a riordinare la mia testa?! Credi che questo a me faccia stare bene?! Pensi che io sia felice?! Ti rispondo io, Adrien! NO!» - sferò un altro pugno, con quelle poche forse che aveva, perchè alla fin dei conti lei non era mai stata una che sapeva tirar mani «IO ODIO SAPERE DI ESSERMI INNAMORATA DI TE! ODIO CHE IO POSSA FARTI SOFFRIRE! PERCHE' CI VORREI MORIRE TRA QUELLE BRACCIA, VORREI TORNARE A RESPIRARE TRA QUELLE LABBRA ED INVECE... INVECE SO CHE DEVO SPARIRE. DEVO STARE LONTANA DA TUTTI, PER IL TUO BENE. Perchè io... io sono solo un casino. Io... ti sto rovinando la vita...» -nelle ultime parole il tono era calato di molto, in un sussurro, così come l'ultimo pugno sferrato su quel petto si era arrestato lì, scivolando piano e accarezzandone il busto, fino a ricadere inerme sui propri fianchi. Le gocce salate scendevano a terra, creando cerchi che subito venivano assorbiti da quel pavimento. E quella scarica di rabbia non fece che far cedere le sue gambe, facendola ritrovare con le ginocchia a terra. Le mani adesso erano poggiate sulle cosce «Odiami, Adrien. Per favore... sarebbe tutto più facile per te. La tua vita tornerebbe ad essere fantastica senza me. Per favore... odiami...» - lo stava supplicando, stava chiedendo di scegliere la soluzione migliore per lui, perchè lei poteva soffrire, ma lui si sarebbe rialzato.
    Gyll McKenzy

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  7. Adrien Beauvais
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    CRETINO
    Stupido, imbecille.
    Era incredulo… davvero si stava permettendo di dirgli quelle cose, quando lui l’aveva talmente capita da lasciarla in pace per diverso tempo?! Ma davvero le pensava?! Socchiuse gli occhi dalla rabbia e strinse le labbra in una linea sottile, testimonianza della tempesta che si stava per abbattere su di lei. Poi, si concesse una risatina amareggiata… avrebbe potuto sembrare isterico, ma, forse, l’opalina lo stava davvero conducendo all’isterismo.
    - MA VAFFANCULO, GYLL! MA TI RENDI CONTO DI CHE CAZZO STAI DICENDO?! IO HO PENSATO SOLO A ME STESSO?! MA SEI SERIA?! – sbottò, urlando. Non ce la poteva proprio fare a rimanere calmo, non quando lo si accusava di errori che non aveva compiuto. Gli sembrava di essere ricaduto nel loop della pecora nera: era lui l’errore, sbagliava sempre lui… per suo padre, sua madre e tutti gli altri, compresa Gyll, chi aveva sbagliato era lui. E quella consapevolezza gli faceva affluire il sangue al cervello in una maniera pazzesca.
    - TI HO LASCIATA LIBERA! LIBERA DI CAPIRE CHE CAZZO STAVA SUCCEDENDO NELLA TUA TESTA. AH SI?! IO NON MI SONO MAI CHIESTO SE TU FOSSI ANCORA VIVA?! E TU CHE CAZZO HAI FATTO? NON SAI QUANTE VOLTE HO RIVOLTO LO SGUARDO IN TUA DIREZIONE PER VEDERE SE STESSI BENE, PERCHE’ SEMMAI TU AVESSI AVUTO BISOGNO DI AIUTO, IO CI SAREI STATO. PER TE. -
    Avrebbe voluto sferrare un nuovo pugno al muro, ma non lo fece perché le nocche gli facevano già male… e, poi, lui non voleva, almeno per una volta, essere associato al volto di un ragazzo violento…
    - TU, INVECE, ERI COSÌ ASSORTA NEL TUO EGOISMO CHE NON TI SEI NEMMENO RESA CONTO DI QUANDO SONO RIENTRATO EMACIATO IN SALA COMUNE DOPO ESSERE STATO PICCHIATO A SANGUE! -
    Si zittì per un attimo… voleva dire così tante cose che faceva fatica ad esprimerle. Si passò una mano sul volto, mentre camminava avanti e indietro per il corridoio, ma quando sentì pronunciare la parola “amore”, si girò inferocito verso la ragazza, puntandole un dito contro.
    - Non. Parlarmi. Di. Amore.
    Ogni sillaba fu sottolineata con spietatezza.
    - Non è amore se dici di amare DUE persone… non c’è mai stato nessun amore tra di noi. Dobbiamo scrivercelo sulla fronte entrambi: abbiamo corso troppo. Non ci conosciamo affatto e questa discussione lo dimostra. Io non ti amo, tu non mi ami, fine della storia. Tu mi piacevi tanto, Gyll, fino a quando non hai voluto estromettermi dalla tua vita, perché so che vuoi continuare a farlo e che in questo momento vorresti scappare via. Non so, davvero, quanto io abbia voglia di questa Gyll ora. Non so nemmeno quale sia la vera versione di te… ma fa niente. -
    Lasciò che i pugni cadessero sul suo petto, ma non fece nulla per fermarla, né la sfiorò affatto.
    - La Gyll di ora è proprio come tutti gli altri… come mia madre, come quel fottuto bastardo di mio padre… è facile incolpare me che sono continuamente imperfetto… sì, tanto, io sono la pecora nera per tutto il mondo, no? Sei proprio come tutti gli altri perché parli di amore e sentimenti quando non ci hai capito proprio un cazzo… se si ama, all’inferno ci si va in due… E avresti dovuto lasciarmi la libertà di decidere da me stesso se avessi voluto rovinare la mia vita con te… Ma non l’hai fatto. Hai deciso per me, proprio come tutti gli altri… E hai deciso che la mia vita sarebbe stata “fantastica” senza di te… brava! -. Applaudì sarcastico. - Complimenti! Non sai nulla di me… non ha voluto conoscermi, tantomeno ora… -
    La osservò scivolare sul pavimento con occhi impassibili. L’ultima frase che si sentì di dirle fu: - Io non ti odio, Gyll… e non inizierò a farlo… piuttosto, tu cerca di scegliere quale Gillian Mckenzy vorresti essere… -
    Detto ciò, andò via, lasciandola sola. Non l’avrebbe confortata, non dopo tutto il male che gli aveva procurato.



    17 ANNI
    BLACK OPAL
    SCHEDA PG
    STATISTICHE
    ADRIEN BEAUVAIS
    I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere.


    Gyll McKenzy
     
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Si stavano accoltellando l'un l'altro.
    Ma perché?
    Lei voleva lui. Lui... voleva lei, giusto? E se era così, non bastava chiedere scusa, ricominciare e cercare di sistemare la situazione?
    No, sarebbe stato troppo facile nella vita della mezza-veela. Lei doveva complicarsi l'esistenza e la stava complicando anche ad Adrien.
    Voleva che stesse bene, ma per farlo lo stava ferendo. Era un paradosso assurdo.
    Lo sentì urlare, socchiuse gli occhi sentendo la testa esplodere a quelle urla.
    Perchè lo stavano facendo? Perchè passavano quel loro incontro a distruggersi?
    «Non avresti potuto aiutarmi, Adri. Non può farlo nessuno.» - mormorò, con un tono di voce quasi straziato dal dolore che sentiva dentro «Io volevo esserci per te, ma vedi? Se ci sono, ti ferisco. E se ti ferisco, non posso perdonarmelo, Adrien. E' COSI' DIFFICILE CAPIRE QUANTO CI TENGO A TE?» - questa volta il tono si alzò di nuovo, le lacrime scesero di rabbia, rigandole il volto. Voleva scappare e andare via da lì, ma voleva anche trascinarlo con sé. Quello sì che sarebbe stato egoismo, portarlo a fondo con se stessa, rischiando di annegare entrambi.
    Uno dei due doveva sopravvivere. E Gyll aveva scelto che fosse lui a farlo.
    Forse quel distruggersi avrebbe portato esattamente a questo, lui che la dimenticava e si salvava. E se così era l'unico modo, forse andava fatto.
    Era vero, non si era accorta di niente, ma non perchè non guardasse in sua direzione, ma perché continuava a scappare da tutto e da tutti, credendo fosse la reazione migliore.
    «Mi dispiace, Adri... se solo avessi visto...» - voleva proseguire quella frase, ma la pugnalata che Adrien le sferrò poco dopo, la lasciò di stucco.
    Non parlare d'amore.
    Scandì quelle parole che si tatuarono nella sua testa.
    Iniziò a scuotere il capo, in disappunto con quello che diceva «Non puoi dirlo, Adri. Non puoi. Non sei in questa situazione e ti auguro di non trovartici mai.» - amare due persone era possibile, lei lo stava provando e sapeva che fosse sbagliato. Sentire lui dire che non l'avesse mai amata, fu il colpo di grazia. Gyll voleva vomitare. Le lacrime bruciavano, così come il sapore amaro del sangue raschiava la gola «Io---» - stava ancora una volta per parlare, ma ancora lui colpiva, pugnalava, feriva.
    Andava bene.
    Lo meritava, ne era sicura.
    Ma faceva così tanto male.
    «Io ti amo...» - voleva dirglielo, ma era troppo difficile, era inutile.
    «Sì, vorrei scappare ancora. Hai ragione. E vorrei portarti con me... No. Non voglio che tu non faccia parte della mia vita, non è come dici. E' che la mia vita è un inferno. E non voglio che---» - sgranò gli occhi...
    Era come tutti gli altri.
    «Tu non sei imperfetto.
    io sono un disastro.
    Tu sei la sola cosa perfetta che mi sia capitata e come ti ho toccato, ho rovinato tutto.
    Se avessi deciso per te, non sarei rimasta qui, Adrien... »
    - la gola bruciava, non riusciva più a parlare.
    Cadde sul pavimento, era esausta, non era riuscita a far capire a lui cosa volesse dire, come sempre, non sapeva comunicare.
    Rimase lì, sola.
    Sentì i suoi passi svanire. Raccolse le gambe e piegò le ginocchia, pianse abbracciata alla sua stessa pelle.
    Aveva rovinato tutto.
    Gyll McKenzy

    "
    Non puoi attraversare la vita, cercando di non farti male.
    "
    Black Opal, III anno

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