Posts written by Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    15 Dicembre. Mancavano pochi giorni alla fine della scuola prima delle vacanze natalizie e Gyll non faceva altro che vedere lo scorrere del tempo sul calendario, nella magra speranza che avrebbe potuto lasciare quelle mura per circa due settimane. Era qualcosa di meraviglioso visto quanto quella gabbia dorata le stava stretta e attendeva ogni volta la pausa dalle lezioni per poter fuggire in chissà quale posto magnifico o, semplicemente, tornare a casa sua, dove poteva stare in grazia di Odino, senza nessuno che le rompeva le scatole.
    Quel giorno, la ragazzina stava cercando di seguire al meglio ogni lezione, senza alcuna distrazione, tuttavia, l'idea che le attendeva la lezione di rune, fece tornare alla mente della ragazzina il fatto che era da un sacco di tempo che non vedeva Gerald.
    Sospirò, giungendo in quella stanza che ormai era diventata delizia e tortura per la sua mente, quindi a capo chino cercò il primo posto in ultima fila che fosse libero, prima di sussultare ad una voce ben diversa da quella del professor Olwen (n.d.a.: impegnato col suo doppelganger chissà dove!!!), tanto che lo stupore le si disegnò in volto a trovare Kwaku a presenziare alla lezione e non il dolce e gentile Lancelot.
    Kwaku incuteva decisamente più terrore di quanto lo facesse Olwen, ma doveva ammettere che era decisamente affascinante. Forse il debole che Gyll aveva per gli uomini di Denrise sarebbe stato un grosso problema per la sua concentrazione a lezione. Poggiò il mento sul dorso della mano e lo osservò da capo a piedi, quasi affascinata, con i suoi occhi da cerbiatto a concentrarsi su ogni particolare. Era uno dei Superquattro della Lega dei Duelli e le storie che Gerald aveva raccontato su di lui erano svariate, ma tutte piene di eroismo, tanto che la mezza-veela si chiedeva se fossero realtà o solo un'esaltazione della figura dell'altro.
    Sgranò gli occhi alla rivelazione su Lancelot, credendo fermamente che quella frase avesse tutto di sessuale e niente di duellante. Non poteva crederci che Olwen... cioé Labaan... ma a scuola?! Voleva chiederlo, ma sapeva che non erano fatti suoi, quindi si limitò a guardarlo come se avesse appena scoperto la cosa più strana del mondo, con gli occhietti sgranati e le guance arrossate.
    Ascoltò le risposte dei suoi compagni e quasi timidamente sollevò la mano, non aveva voglia di farsi notare, sapeva che se lo avesse fatto il mondo sarebbe crollato su se stesso e tutto sarebbe andato in frantumi, come capitava da troppo tempo, ormai, ogni volta che si metteva al centro dell'attenzione.
    «Seppur tradizionalmente ci riferiamo ad Estonia, Lettonia e Lituania, come Paesi Baltici, dimentichiamo che bagnata da questo mare c'è anche la Danimarca. Lei, professor Labaan, ci ha chiesto quale di questi appartiene ai popoli del MAR Baltico, non a quelli che noi reputiamo i Paesi Baltici (quindi i primi tre); quindi sì, per esclusione direi che la croce cristiana esposta al Ministero della Magia Danese, appartiene ai popoli del mar Baltico. Inoltre, essendo il cristianesimo la religione più diffusa in quello Stato, seppur il luteranesimo abbia un'alta percentuale di fedeli.»
    Tornò in silenzio, sperando di non aver fatto troppi danni con la sua apparizione e la sua domanda, ma rimase a guardare il docente per caso (?) in attesa di quello che andava fatto.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Quando Gyll aveva deciso di andare al ballo, lo aveva fatto con l'intenzione di rimanere più anonima possibile. Certo, portarsi Pixie non si stava rivelando un ottima scelta, visto quello che la piccola stava combinando, tuttavia ormai il dado era tratto e questo non poteva far altro che creare disagi su disagi, come se a questo ballo già non ci fossero mille e più intrecci che stavano prendendo una piega del tutto inaspettata.
    Pixie le arrivò dritta in petto, complice la dolcezza della Lynch, che non si dimostrò diversa da come sempre l'aveva trattata. Si sbilanciò, finendo per cadere di sedere a terra, ma con Pixie tra le braccia, sana e salva. Uno sguardo di ghiaccio, freddo e distaccato, con un piccolo broncio verso la Prefetta degli Opal, prima di alzarsi e sbuffare.
    Era sempre così, tutti che ridevano di lei o che la trattavano male, poi pretendevano che lei, di bell'e buono crescesse. Era certa che se fosse riuscita a superare quegli anni, si sarebbe sentita sicuramente meglio fuori da quella gabbia di isteriche e vipere e di ragazzini presi dagli ormoni che sembravano essere gli zerbini delle serpi che si portavano dietro.
    Guardò verso Deva, quindi verso tutti gli altri.

    «Andiamo, Pixie. Come al solito non siamo graditi.»

    Sbuffò ancora una volta, sentendo gli occhietti cristallo bruciare. Non doveva piangere, non doveva farlo come quando lo aveva fatto durante la lezione di magitech, perché da lì era venuto fuori il peggio di quegli anni e lei non aveva la minima intenzione di vivere di nuovo il suo travaglio. Si incamminò con l'intento di tornarsene in stanza, ben conscia che era stato un grande, grandissimo errore presenziare a quel ballo, ma Pixie decise di scapparle di nuovo.

    «Accidenti!»

    Stridette tra i dentini, mentre sbatteva le mani lungo i fianchi. C'era solo un problema, adesso, ossia che la panda era sgattaiolata in mezzo alla pista e per trovarla... si doveva mettere alla sua altezza. Quindi si piegò, poggiò le ginocchia a terra e iniziò a gattonare per la sala.

    «Scusate. Permesso. Ahio. Ok, ci sono.»

    Più proseguiva, più cercava di capire dove stava andando, vedendo scarpe per lo più tutte simili tra loro e non riconoscendo nessuno. Vide la coda della creatura finire sotto un tavolo, quindi affrettò il suo gattonare e ... un colpo. Duro. Forte. E la testa che faceva male. Un urto che la portò a sedersi a terra e toccarsi il testino.

    «Oh Merlino.»

    Sollevò lo sguardo, ancora con la mano sulla fronte e gli occhioni celesti della mezza-veela si ritrovarono ad osservare la figura del docente di alchimia. Arrossì di colpo, rimanendo pietrificata a terra, mentre notava che non fosse solo ma che ci fossero anche altri due docenti.

    «Scusascusascusascusa.»

    Fu l'unica parola che riuscì a ripetere all'infinito.
    Keegan Mac Aodhagain Elisabeth Lynch Deva L. Lestrange Morrigan Maverick Andrè De Long-Prée prof, vi ho mandato il disagio.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    «Pixie!»

    Battè appena il piedino a terra, cercando di richiamare l'attenzione di quell'animaletto che non aveva tenuto fede alle sue promesse, ed anzi, scivolava felice sullo specchio ghiacciato, manco fosse Carolina Kostner alle olimpiadi invernali.
    Le iridi di ghiaccio, quasi supplicanti, si rivolsero a quella moretta che aveva accanto, era una sua concasata del primo anno, ma non aveva mai avuto niente a che fare con lei, se non qualche stringato buongiorno scontrandosi fuori dalle stanze prima di andare ognuna alle proprie lezioni. Eppure, in quel momento sembrava quella più vicina e non aveva poi tanto tempo per girarsi attorno.
    La fissò quasi sperando che la sua risposta fosse affermativa, ma l'altra non risultò essere la sua salvezza. Se solo avesse saputo, l'altra, della menzogna che si celava dietro quelle parole, forse avrebbe trascinato la primina su quella pista tirandole i capelli e costringendola a recuperarle il suo piccolo panda.

    «E' un disastro, e ora? Come facciamo?»

    Certo, perché era diventata una problematica di entrambe ora? Si voltò verso la pista e intravide Joo-Hyuk cercare di arrestare la scivolata del panda. Trattenne il respiro, portandosi le mani alla faccia tipo urlo di Munch.

    «La uccide, la uccide, la uccide.»

    Ed invece no. Pixie si ritrovò a fare faccia a faccia col pattino, sedendosi sul pavimento ghiacciato e iniziò a scivolare con quello roteando su se stessa. Gyll era disperata. Guardò l'altra, dopo che questa riprese a parlare e poi guardò verso Erin. Si voltò verso Deva e le porse parte del vestito.

    «Potresti strapparlo? Non riesco a muovermi.»

    Quindi avrebbe atteso l'altra sperando che l'aiutasse, per poi salire su una delle barre della staccionata e iniziare a sventolare le braccia.

    «Hey! Hey! Voi due! Tu, ragazzo del fumetto! E... lei lei. Mi serve lei, portala quiiii ~»

    E indicava la ragazza con cui poverino stava ballando. Prima di rivolgersi di nuovo a Deva.

    «E se mi dice no? Ngh...»
    Deva L. Lestrange Joo-hyuk Kwon Erin Murphy
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Emancipazione.
    Giochi di sguardi.
    Conversazioni e ascolti.
    Tutto questo che stava avvenendo in quella sala, non era decisamente all'altezza di Gyll. No, la ragazzina aveva cercato di rendersi il più normale possibile, indossando uno degli abiti che Jessica le aveva regalato, bocciandole quello che aveva comprato lei, dove sembrava un albero di natale con anche le lucine ad intermittenza e aveva addirittura tirato su i suoi biondi capelli in due trecce che partivano dal basso e finivano in due chiocciole sul capo, così da avere il volto libero da ogni filamento color paglia. Anche il make up non era esagerato, aveva voluto risaltare i suoi occhi, lasciando comunque tonalità neutre a fare da protagoniste, eccezione fatta per il tocco di luce che aveva posto sugli occhi, brillantini che ne illuminavano lo sguardo, mentre sulle labbra aveva scelto delle gradazioni tenue, così da non attirare troppo l'attenzione su di lei. Non aveva la minima intenzione di essere osservata da nessuno, per questo motivo aveva cercato di rimanere anonima e di andare al ballo con... Pixie.
    Sì, il panda rosso che le faceva ormai da migliore amica, confidente e cuscino su cui piangere, quel giorno sarebbe stato anche la sua accompagnatrice per il ballo, in barba a tutte le leggi tradizionali dove il cavaliere dev'essere un ragazzo e che abbia due piedi. Lei aveva scelto una femminuccia e con due zampe e molto pelosa.
    L'unico problema fu che quando Pixie arrivo nella Sala Grande, qualcosa andò storto...

    Rewind

    Erano giorni che stava in ansia per quel ballo e più pensava a cosa indossare, più la mezza-veela sentiva che non andava bene niente di quello che aveva, soprattutto dopo che Jessica le aveva detto di dover indossare qualcosa che non la rendesse una bambina, perché ormai lei non lo era più. E questo era anche vero, però...
    Qualche giorno dopo, trovò sul suo letto un pacco morbido, con un bigliettino sopra. Pixie lo stava annusando, lei invece pensò a leggere il biglietto.

    «Ecco, dovrebbe starti. E' tuo.»

    Gyll prese il vestito e lo guardò. Forse era un po' troppo per lei ma poteva darsi una possibilità e rendersi un po' più donna a quell'evento.

    «Pixie, quest'anno verrai con me al ballo, in barba a tutti i cavalieri che potrebbero esserci! Io e te saremo splendide.»

    Si gettò sul letto afferrando la panda, quindi la sollevò e la guardò.

    «Però devi fare la brava, cerchiamo di non farci riconoscere. Niente assalti al cibo e niente cose... strane. Ok?»

    L'animaletto la guardò un po' stranita, ma sembrò accettare quelle coccole che la ragazza le fece poco dopo, quindi se ne stette.
    Era arrivato il giorno del ballo e lei si era intrufolata in quel vestito come mai aveva fatto prima d'ora. Quasi ci stava rimanendo impiccata, uscendo prima dal buco delle ascelle, poi infilandoselo al contrario, insomma, dopo mille peripezie, era giunta nel buco giusto (?) ed era uscita da lì, facendo cadere i veli di quell'abito celeste addosso al suo corpo, come se fossero stati cuciti per lei.
    Si guardò allo specchio e sotto la gonna, Pixie sollevò il lembo, guardandola anche lei allo specchio squittendo.

    «Tu dici? Io mi sento strana.»

    Quindi il panda sgusciò fuori e spinse anche le scarpe che aveva trovato con il pacco dell'amica, osservandole. Quanto ci avrebbe messo a cadere da quelle? Non tanto dai, sui tacchi non era poi così male. Forse.
    Beh, era pronta, no?
    Giusto una sistematina ai capelli...

    Presente.

    Dicevamo, qualcosa andò storto e Pixie sembrò non mantenere proprio la sua promessa da panda rosso riguardante il non attirare l'attenzione su di loro, infatti con il suo cappellino a molla con sopra una stella cometa, Pixie pensò bene di sgambettare verso il tavolo del cibo e rubare qualche pizzetta, prima di scendere e correre verso...

    «No, Pixie, lì no.»

    La mezza-veela arricciò il tessuto del suo vestito, fino a scoprire le gambe fino ai polpacci e iniziò a correre verso la pista di pattinaggio, fermandosi proprio al baracchino del cioccolato, dove si fermò a guardare a destra e sinistra che fine avesse fatto il suo animaletto.

    «Un disastro, lo sapevo.»

    Non notò Lilith e Joshua, ben intenta a cercare dove fosse invece Pixie. Finì per arrivare accanto ad una ragazzina del primo anno, che aveva visto girovagare poco per la Sala Comune, non che fosse molto attenta a chi entrasse ed uscisse di là.

    «Hai visto un---»

    Proprio mentre stava rivolgendo parola a Deva, alle sue spalle vide scivolare a pancia in giù il panda rosso. Sgranò le iridi e le puntò sulla ragazzina.

    «Dimmi che sai pattinare, ti prego

    I suoi occhi si fecero languidi e il volto erano contrito da una strana espressione imbarazzata, mista al disagio totale.
    Chiede aiuto a Deva L. Lestrange per recuperare Pixie che ha deciso di pattinare a pancia in giù sul ghiaccio.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Era certa che, se avesse avuto la possibilità, avrebbe chiesto alla docente perchè non l'aveva gratificata prima nel dirle che aveva azzeccato la pozione, invece di limitarsi a quell'occhiolino.
    Gyll era piuttosto permalosa, perchè credeva di sapere ben poco, ma quello che conosceva le piaceva metterlo in mostra e sentirsi apprezzata per ciò; probabilmente avrebbe tenuto il broncetto per tutta la giornata, ma poi le sarebbe passato, non appena una qualsiasi cosa l'avesse distratta. Per fortuna questo sarebbe successo nel giro di meno di dodici ore, facile com'era alla distrazione, la biondina.
    In quel momento, però, dovette concentrarsi sulla lezione e seguì con lo sguardo la docente di pozioni che pareva essere particolarmente soddisfatta di aver nascosto loro quegli ingredienti e di aver giocato uno scherzetto per confonderli.
    Gyll rise appena, nascondendo la bocca con la mano, quindi osservò il composto nella boccetta dopo averla afferrata.
    Ovviamente fu l'ultima a prendere la sua dose, lasciando che gli altri camminassero per l'aula e prendessero la propria boccetta per primi, rispetto a lei.
    Quindi se la rigirò per le mani, capovolgendola e vedendo la bolla d'aria che si creava nel passare da sopra a sotto e viceversa.
    Non aveva mai preso una pozione fino ad allora, era un po' titubante, ma in fin dei conti era tutto sotto controllo con la O'Neill lì, giusto?

    Guardò gli altri berla, uno dopo l'altro raccontarono cose che riemersero nei propri pensieri e qualcuno era anche divertente, qualcun altro, invece, parve molto scosso da quello che sembrava essere il ricordo più triste che volutamente avevano nascosto.
    Toccava a lei, era rimasta per ultima.
    Gyll guardò la boccetta e la stappò, se la portò alla bocca e ... si fermò «Professoressa, è possibile scegliere quale ricordo riportare alla memoria, bevendo questa pozione?» - domandò un po' per curiosità, un po' per sperare di non trovarsi alle prese con il suo ricordo peggiore.
    Mandò giù il liquido non appena venne il momento e l'attimo fu talmente reale che quasi poteva risentire tutte quelle emozioni, con ogni senso.

    «Ero a casa del nonno quel giorno. Amavo andare a casa dei nonni, mi portavano sempre qualche dolce nuovo dalla fabbrica. Anche quel giorno lo fecero: erano dei cioccolatini frizzanti e mi piacevano tantissimi. Era un sacchetto pieno di quei cioccolatini. Anche troppo grande per me. Ma erano tutti miei. Li nascosi sotto un cuscino sul divano, così mamma e papà non me l'avrebbero tolti.
    Papà, però, si sedette sul divano, senza accorgersene schiacciò il sacchetto e stette lì per qualche oretta, parlando con il nonno di affari. Quando si alzò la cioccolata era sciolta e aveva sporcato tutto il pantalone di papà. Io, per evitare di essere sgridata, iniziai a ridere, dicendo che papà si era fatto la cacca sotto. Ovviamente l'odore del cioccolato mi rese meno credibile di quel che pensassi, ma almeno ho evitato una sgridata colossale.»
    - rise appena, ricordando quella scena dove tutti i presenti avevano riso, ricordandosi come il calore della propria famiglia l'avvolgeva e ritrovandosi a desiderare malinconica di rivivere momenti come quelli...
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Quella lezione era una di quelle che preferiva, tuttavia non riusciva a capire esattamente cosa aveva in mente la docente. Quindi, dopo aver visto il suo stupore nell'ascoltare la propria risposta, la mezza-veela si mise a sedere, aggrottando appena appena la fronte, incerta se fosse un'occhiolino d'intesa o uno per dire "magari se stai zitta...".
    Vide arrivare i suoi colleghi di corso, quindi, mentre prendevano posto tra gli altri studenti presenti in aula.
    Abbozzò un sorriso ad entrambi, senza entrare nello specifico o senza chiedere loro se avessero passato delle buone giornate. Non che non le interessava, ma era ancora curiosa di sapere che fine avrebbero fatto in quella lezione fuori dagli schemi.
    Gyll si girò sulla seggiola, si mise a sentire tutti gli studenti dire la propria, a partire da quelli del terzo anno come loro, fino ad arrivare alle più specifiche risposte di chi aveva più esperienza, ammirando lodevolmente quelli del quinto, che parevano avere il Compendio delle pozioni stampato in testa, mentre lo recitavano a menadito.
    Gyll sentì la boccuccia spalancarsi a tutte quelle risposte, qualcuno paventava anche la possibilità di creare qualche pozione di livello avanzato che lei immaginava non riuscire mai a creare, come il Distillato della Morte Vivente; a nominarla fu una delle studentesse dei Black Opal che lei ammirava particolarmente, Jennifer DeLacroise: Gyll sognava, un giorno, di diventare caparbia come lei e di avere almeno la metà delle sue conoscenze.
    A sentir nominare tutte quelle pozioni, quasi le venne il dubbio se mai fosse riuscita a diventare così capace. Non era sua intenzione diventare una pozionista, in quanto tale, ma comunque era una delle poche discipline che reggeva sicuramente più di quanto non reggesse le altre.
    La mezza-veela, poi, una volta sentiti tutti i pareri dei suoi compagni di corso, si voltò, roteando sul suo sedile, nuovamente verso la docente, poggiando il mento sul dorso delle mani, incrociate sul banco, osservando con attenzione l'insegnante e sperando di capire quale sarebbe stato il prossimo passo per loro.
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Si stava chiedendo ancora se fosse la cosa migliore essere lì oppure doveva fuggire e riconoscere di aver fatto una grande stronzata, come tutte quelle decisioni che aveva preso nell'ultimo periodo.
    Non si rendeva ancora conto di cosa stava facendo, di dove sarebbe potuta finire quella serata e se tutto quello potesse essere un altro passo falso.
    Non sapeva nemmeno lei cosa stava cercando, e forse si stava facendo troppi problemi, doveva tornare a lasciarsi andare? Ma ogni volta che lo faceva si ritrovava a dover fare i conti con gli errori e la gente che si arrabbiava con lei. Ora voleva solo un po' di pace e rimediare a quegli errori che aveva fatto nei mesi precedenti, forse ci sarebbe riuscita, forse no. Questo poteva dirlo solo a fine di quella serata che sarebbe stata la prova di quanti disastri riusciva a fare.
    Le parole di James le strapparono un sorriso appena accennato, oltre che ad un imbarazzo crescente. Annuì appena alle sue parole «Ma Marlee magari non è d'accordo a darmi uno dei suoi pigiami... insomma, potrei essere un fastidio, non saprei. Comunque pensiamoci durante la serata...» - sorrise dolcemente, lasciando spazio al ragazzo di continuare a parlare.
    James era così diverso da suo fratello e quasi si chiedeva se fossero realmente fratelli oppure uno dei due era stato adottato.
    Quando il discorso ricadde sulle spiagge favolose della Grecia, Gyll si sentì leggermente più sollevata e annuì ancora una volta, portando alle labbra un goccio di birra, giusto a bagnarle, senza prendere davvero un sorso generoso.
    Le prospettive per la serata erano belle, ma non la entusiasmavano troppo. Aveva paura, paura di fare un passo falso e di non riuscire a rimediare ad ulteriori danni che quell'incontro avrebbe potuto provocare, ma finse di sorridere all'idea che James aveva, mascherando la sua preoccupazione ai massimi livelli.
    Sussultò quando arrivò quel complimento poco celato e divenne, questa volta, in un battibaleno, rossa come un pomodoro «Oh... io... grazie James...» - mormorò appena, calando lo sguardo con un ulteriore sorriso gentile.
    La musica iniziò ma Gyll non stava dando alcun peso alle note, concentrandosi sul non fare passi falsi, ma quando la sua attenzione venne portata alla canzone, si rese conto che non conosceva affatto quel pezzo e si voltò con lo sguardo verso la cassa, come se potesse leggerne le parole, ma senza realmente riuscirci.
    Ballare.
    Quel verbo le sibilò nella testa, di scattò tornò con lo sguardo sul ragazzo «Oddio, James... io non so ballare... credimi sono una frana...» - l'imbarazzo era pazzesco, sorrise quasi dal nervoso e scosse la testa «Oh mamma... non posso... farei danni sicuramente!» - si nascose il volto tra le mani.
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    Era vero, signori e signore: l'alcol era il miglior amico dell'uomo.
    Anche in quella situazione tragicomica stava aiutando Gyll ad essere un tantino senza freni, la mezza-veela, per una volta, non voleva avere alcun freno nel dire quello che pensava ad Aidan e se questo significava rinfrescare la memoria sulle loro esperienze fatte insieme, allora questo poteva essere la migliore delle occasioni per farlo; quando mai sarebbe ricapitata una situazione simile?
    Alla fine, Gyll aveva cercato il confronto con Aidan fin dal primo momento, tentando di istaurare un rapporto di amicizia, ma aveva ben presto capito che in quel frangente era troppo presto, era ancora tutto troppo caldo per poter essere superato con un dialogo e una stretta di mano.
    Ora, invece, la situazione era diversa, ognuno aveva fatto il proprio percorso, lei era inciampata più volte e ancora non si era rialzata, ma a lui forse era andata meglio e gli augurava con tutto il cuore di sorridere sempre.
    Ascoltò le sue parole, cercò di abbozzare un sorriso ma venne sostituito dal bicchierino che venne nuovamente svuotato «Dovrebbero sequestrarti quella mazza fino a quando non avrai il porto d'armi...» - lo prese appena appena in giro, divertita dall'idea che andasse a mietere vittime con quella mazza e soprattutto, evitando magistralmente, di dirgli quanto fosse stata felice che Olwen l'avesse fermato, perchè contro Gerald quella mazza si sarebbe solamente rotta in mille frantumi, probabilmente con lui con le ossa rotte.
    «Fa niente, Aidan... si fa l'abitudine a tante cose e questa è una di quelle. E tu hai agito in maniera impulsiva, non preoccuparti... e comunque no, non sapranno niente i professori di questa cosa, non ho intenzione di metterli in mezzo.» - sicuramente non poteva colpevolizzarlo di aver fatto parlare il suo istinto, ma se solo ci avesse riflettuto un po' di più, probabilmente non sarebbero stati seduti a quel tavolo a parlarne.
    Recuperò con lo sguardo il sorriso di Aidan, ritrovandolo familiare e compiacente, nonchè tranquillizzante da un lato. Chinò lo sguardo imbarazzato sul bicchierino appena svuotato, giocandoci appena mentre lo roteava sul tavolo «E' stata la sera più bella della mia vita... avevo una paura pazzesca... » - ammise forse per la prima volta «... sei stato la persona più importante per me, Aidan... credimi...» - continuava a giocare con la vergogna di sollevare lo sguardo su di lui, anche quando propose di riprendere i buoni rapporti, nascondendo a lui la verità di quello che stava passando per non poter essere classificata così come tutti la classificavano «Certo, possiamo rimanere amici...» - si forzò a sollevare lo sguardo e poi ad accogliere la sua richiesta «E' una sensazione momentanea, vero, ma comunque piacevole... e credo che ormai sia troppo tardi per evitare di ubriacarmi... il danno è fatto, almeno per stasera.» - sorrise appena, facendogli un occhiolino.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Era forse stato quel contatto che l'era parso proprio come quello di Adrien mesi prima? Era forse la sua poca voglia di essere una poco di buono che l'aveva spinta a rifiutare quell'invito?
    Eppure non l'era sembrato di aver dato false speranze o segnali sbagliati al ragazzo che l'aveva afferrata.
    Non sapeva come ne sarebbe uscita da quella situazione, ma sicuro era che avrebbe dovuto farlo al più presto, perchè aveva scoperto che a differenza sua, i ragazzi avevano una forza notevole, con cui potevano sopraffarla in un attimo. Questo era il dramma di chi si concentrava più sulla natura che sull'allenamento fisico.
    Tuttavia sembrava che anche quella volta Gyll potesse essere la classica donzella in pericolo, così da attirare l'attenzione del cavaliere lì vicino, pronto a salvarla.
    La voce di Harry non fu riconoscibile in primo ascolto, forse colpa dell'alcol o fose perchè Gyll stava ancora pensando a come liberarsi da sola da quella presa fastidiosa; fatto sta, che il suo intervento fece spostare l'attenzione del ragazzo da lei al concasato.
    Ancora una volta aveva fatto dei danni, quest'idea non gliel'avrebbe tolta nessuno e mentre il concasato si occupava di liberarla dalla presa del ragazzo sconosciuto, lei si perse un attimo nella sua testa, chiedendosi cosa avesse fatto di male per riuscire a cacciarsi sempre nelle peggiori delle situazioni.
    Mentre si massaggiava il polso, Harry la riportò alla realtà e lei scosse il capo per riprendere le funzioni. Annuì appena «Tutto bene, sì. Grazie Harry...» - mormorò appena, quindi si guardò il braccio, vedendo il segno rosso che sarebbe passato presto «E' tutto passeggero, non preoccuparti...» - si guardò attorno, quindi annuì alla sua proposta «Te ne sarei grata, sì... sempre se non disturbo, sia chiaro.» - magari era con qualcuno e lei sarebbe stata la terza incomoda.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Non poteva che concordare con James su quanto la Grecia fosse un paradiso terreste alla portata di tutti, tuttavia lei era lì, in quel limbo, a cercare davvero qualcosa che potesse legarla anche solo per sbaglio ad un Adrien, che era sparito dalla sua vita manco avesse la lebbra.
    Forse non era stata la migliore delle scelte presentarsi in Grecia, invitata dal fratello, ma ora che ci pensava, il danno era fatto, se proprio era stato un danno.
    Adrien aveva rotto tutti i ponti con lei, non era riuscita nemmeno a incontrarlo una seconda volta prima che le vacanze estive iniziassero, quindi l'unico modo per cercarlo era tentare di ricostruire i suoi passaggi. Sarebbe stato più facile con Regina, ma la primina non aveva molto a genio la mezza-veela e questo aveva fatto in modo che Gyll optasse per l'altro gemello che già aveva incontrato una prima volta sulla spiaggia.
    «E' sicuramente un posto unico, non c'è che dire...» - confermò, quindi, le parole di James, guardandosi attorno per coglierne nuovamente la bellezza del posto.
    Purtroppo quando seppe della mancanza dell'altro Beauvais, le sue speranze di incontrarlo si spensero in un nano secondo, un nano secondo che cercò di mascherare con un sorriso e un chinare gli occhi sulle proprie mani, imbarazzata dall'invito a rimanere «Ci penso, ok? Non credo di aver portato il cambio o il pigiama, quindi non saprei... però è davvero gentile da parte tua invitarmi a stare da te.» - le guance si fecero ancora più corallo, mentre con gli occhi celesti risaliva a guardare il ragazzo, mentre si rigirava la birra tra le mani, senza realmente sorseggiarla, ma sentendone solo l'odore.
    «E' rimasta spettacolare come l'ultima volta che ci sono venuta. Ah. Domani? E oggi cosa faremo?» - lo guardò aggrottando la fronte incuriosita dal programma che il ragazzo aveva previsto per loro.
    Gyll McKenzy

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    Non puoi attraversare la vita, cercando di non farti male.
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    Black Opal, III anno

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Sentiva quelle dita sul polso che stringevano ancora e ancora. Da una parte era contenta di sentire il contatto con la pelle di Adrien, dall'altra sapeva che quel contatto bruciava come lava sulla pelle e che, anche se faceva male, era l'unico modo per riceverlo, da parte sua.
    Si sentiva trascinare, mentre lei continuava a protestare, consapevole che non sarebbe servito a nulla continuare a chiedere di fermarsi.
    Adrien, quando partiva, era difficile fermarlo. Gyll, d'altro canto, non si sarebbe mai aspettata che il destino fosse così balordo con lei, da esaudire il desiderio di incontrare il concasato, in quella situazione davvero scomoda.
    Il suo dito batteva contro il suo petto e il volto della mezza-veela si contrise appena appena dal dolore di quella ripetuta spinta «Mi fai male...» - sussurrò appena tra una pausa e l'altra del ragazzo che continuava a sentenziare parole che a Gyll poco importavano.
    Sussultò solo quando la voce del ragazzo si alzò, dichiarandola non al sicuro.
    Strinse i denti, trattenendosi dal contraddirlo ancora una volta, perchè l'unica cosa che voleva, adesso, era che quell'incontro finisse, per quanto avesse desiderato che inziasse.
    «Sono al sicuro, Adrien... per favore... lasciami...» - cercava di trattenere le lacrime, sentendo la vodka ritornare su, forse per il nervoso che aveva procurato l'essere strattonata dal suo concasato.
    Inciampò e lui la rialzò stringendo ancora di più «Mi lascerai il segno, Adri...» - cercò di tentare ancora una volta di liberarsi da quella presa, tirando il braccio verso di sé, ma lui era evidente che fosse più forte di lei e l'incazzatura che aveva faceva il resto.
    Non servì a niente continuare a protestare, non servì a niente se non a ritrovarselo davanti, ancora incazzato, ancora ad urlarle contro.
    Ritrovò in quelle parole piene di rabbia, l'interesse e l'attenzione che stava mettendo su di lei. Ma non era questo quello che bastò per farla desistere dal chiedere di non essere portata in Accademia «C'è un albergo qui vicino. Portami lì, ma non portarmi a scuola. Scapperei appena esci dalla mia stanza, Adrien. Non voglio tornare a scuola.» - era la verità e gli occhi celesti di lei, adesso puntavano seri in quelli scuri di lui, notando come aveva tagliato i capelli ricci che aveva. Non era il momento di chiedere, per quanto avrebbe voluto far di tutto tranne che litigare ancora una volta «Portami in quell'albergo. Ultimamente ci vado spesso quando non riesco a tornare a casa. Avranno sicuramente una camera per me.» - chinò lo sguardo in quell'ammissione di colpa che faceva intendere che non fosse la prima volta che beveva oltre il limite consentito «Così tu potrai stare tranquillo che non sono in mezzo al parco e io potrò essere felice di non essere a scuola. E vissero tutti felici e contenti. O almeno tu.» - questa volta nel suo tono vi era lo sdegno, l'acidità di quella frase si poteva ascoltare lontano un miglio.
    Rimase in silenzio ancor per qualche istante, prima di riprendere «Mi chiedo... cosa cazzo te ne frega se metto a rischio la mia vita, se non hai nemmeno le palle per potermi dare un'altra possibilità e ricominciare?! Bevo. E quindi? Cosa cazzo te ne frega! Almeno quel cazzo di alcol smette di farmi avere te sempre in testa, sempre davanti agli occhi anche quando li chiudo per addormentarmi!
    Ed invece?! NO! Sei qui anche mentre sono sbronza... e io... io non ce la faccio più...»
    - si lasciò cadere sulle ginocchia, mentre sentiva le lacrime scendere e la vodka risalire a poco a poco «Vattene, Adrien...» - strattonò forte il braccio che lui le teneva stretto, mentre si rialzava barcollando appena «Non voglio che tu mi veda vom---» - non fece in tempo a finire che dovette trovare uno spazio di lato per poter cacciare fuori la vodka che aveva ingerito. E forse era più di quella che Adrien aveva visto mancare dalla bottiglia.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Un altro anno ancora più difficile dei precedenti era iniziato e Gyll non sapeva come sarebbe andata, sapeva solo che ce l'avrebbe messa tutta per poter tentare di ricevere una gratificazione decente riguardo i suoi voti, quell'anno.
    L'anno precedente aveva avuto alti e bassi, ma questa volta aveva deciso di impegnarsi seriamente su quelle che erano materie che nella vita le sarebbero servite.
    Una di queste, la sua preferita insieme a Divinazione, era sicuramente pozioni e finalmente andare a lezione dalla O'Neill era la cosa che più attendeva nelle lunghe giornate pesanti che si ritrovava a vivere.
    Quando entrò in aula, sembrò quasi di sentire l'odore di familiarità che tanto l'aveva avvolta negli anni precedenti, solo in quelle due aule in cui avrebbe preferito passare la maggior parte del proprio tempo.
    Era quasi ridicolo come lei che soffrisse di un disturbo dell'attenzione, avesse a cuore le materie dove doveva stare il più possibile concentrata pur di non avere pessimi risultati.
    Quando vi entrò, gli occhi volarono subito ai vari angoli, rappresentanti i punti cardinali, dove vi erano degli oggetti decisamente diversi.
    Aguzzò la vista e cercò di cogliere quante più informazioni possibili, passando il dito indice ad indicare ogni angolo dell'aula.
    «Salve professoressa O'Neill, è un piacere vederla.» - disse la mezza-veela con un sorriso delicato sulle labbra.
    «Vedo che ci sono dei cambiamenti per questa lezione. Margherite?» - domandò indicando il vado con su scritto M'ama, non m'ama. Poi buttò un occhio sulla cattedra e sul banco di lavoro, stringendo gli occhi «Caffè, ginseng... non mi dirà mica che ci occuperemo della pozione della memoria?!» - gli occhi si allargarono in una eccitata espressione, mentre le mani si univano davanti al petto, battendo un paio di volte entusiaste.
    Ovviamente sapeva che non poteva rimanere lì imbambolata, quindi si piazzò in prima fila, al banco più vicino possibile alla docente.
    Postazione: A2
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Non erano serviti quegli scossoni a farla riprendere da quella specie di trance nella quale era entrata la mezza-veela. Era come se fosse rimasta incantata dal trovarsi realmente tra le braccia di Adrien, seppur consapevole data la sua reazione, che il ragazzo fosse molto arrabbiato con lei piuttosto che felice di vederla.
    Alla fin dei conti non aveva fatto niente, questa volta, per ferirlo, quindi perché continuava ad urlare contro ed essere arrabbiato come se avesse programmato quell'incontro?
    Gyll non capiva.
    L'unica cosa che comprendeva era quanto quel volto era bello, quanto le piacesse anche quell'espressione arrabbiata che aveva, quella fronte aggrottata mentre la scuoteva.
    Non riusciva a pensare ad altro e quando gli fece quel complimento fu talmente spontaneo da non rendersi conto che lui avesse arrestato gli scossoni.
    Amava i ricci del ragazzo, ma in quel momento stava apprezzando anche la loro assenza. Forse il fatto di non averlo incontrato per così tanto tempo le aveva fatto vedere un'immagine diversa da quella a cui era stata abituata.

    Ovviamente, la ragazzina, non si aspettava certamente che lui smettesse di essere arrabbiato con lei solo per quel complimento.
    Non avrebbe sicuramente atteso un "ohw grazie, dai come stai? Beviamo qualcosa?" a mettere fine a tutto quello strazio della loro distanza.
    Per questo quando lui le afferrò il polso, lo stupore fu minimo, seppur il tonfo al cuore ci fu comunque.
    Calò lo sguardo di cristallo sulle dita che strinsero il polso e cercò per qualche secondo di tirarlo via dalla presa, ma rapidamente si sentì trascinata. Sì, quello la stupì, tanto da farle schiudere la bocca dallo stupore e cercare di tenere il passo dietro l'opale.
    «Adrien. Aspetta... io non» - ma quale indirizzo doveva dargli. Lei viveva in Scozia e non aveva preso nessun appartamento lì a Londra, se non la sua stanza ad Hidenstone. Cercò di tenere il passo, inciampando di tanto in tanto «Adri! Cosi cado...aspetta...» - cercava di fare opposizione, provando anche a tirare il braccio del ragazzo, ma senza ottimi risultati «Ma quale indirizzo... ADRIEN!» - alzò di proposito la voce, inciampando dietro di lui «Io non ho nessuna casa qui... io vivo in Scozia...» - bofonchió una volta attirata la sua attenzione «... l'unica stanza che ho qui è a scuola... e non voglio tornare li adesso...» - era vero, forse lei non si era fermata a conoscere lui, ma nemmeno lui aveva perso il suo tempo a sapere qualcosa di lei «...e a meno che tu non voglia portarmi fino in Scozia, devi fermarti.»
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Dondolare in bilico su quel ponte era la sensazione più bella che potesse provare in quel periodo.
    Era come essere ad un passo da un burrone, con la voglia di cadere giù, ma con la consapevolezza che non possa servire a niente nella vita, se non a scappare dai problemi. E lei aveva deciso di non scappare più. Non poteva continuare a farlo in eterno, l'ultima volta che lo aveva fatto era stato ancora più catastrofico di quanto potesse immaginare e aveva perso una persona importante per lei, una delle poche.
    Era lì a fare su e giù, godendosi quel leggero venticello che si ficcava nello spazio lasciato dal cappuccio ficcato in testa, stava bene, ora che aveva tutto il controllo della situazione su quel bordo: era lei a decidere cosa fare, quando scendere, quando cambiare rotta.
    Faceva tutto lei.
    Poi aveva la sua nuova best friend delle sue ultime uscite, la vodka.
    E grazie a quella che Gyll stava riuscendo anche ad annebbiare la sua sensazione di pericolo che potesse cadere.
    Il solo pensiero che aveva in mente era uno: Adrien.
    Aveva gli occhi socchiusi, giusto quel poco per vedere dove mettere i piedi, la sua mente viaggiava a cercare quel sorriso, quegli occhi e quelle labbra...
    Pensava a cosa stesse facendo in quel momento, se avesse finito di lavorare... aveva provato a scrivergli in quel periodo, ma continuava ad essere scontroso, non voleva vederla o sentirla nominare.
    Ma lei aveva deciso di non mollare, voleva riprendersi quella parte che le mancava e avrebbe continuato così fin quando non le avrebbe concesso un incontro chiarificatore, avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo. Ora. In quel preciso istante.

    Qualcuno lassù doveva aver ascoltato questo desiderio e, invece di aspettare che quel disastro di ragazza trovasse la lampada magica e la strofinasse, aveva deciso di esaudire quella necessità e di farla ritrovare proprio nelle braccia del suo desiderio recondito.

    Fu un attimo e dal camminare in bilico a mettere i piedi a terra passò qualche millesimo di secondo.
    Non aveva sentito nessuno che la chiamasse o l'avvertisse, forse troppo presa a capire come fare per recuperare il rapporto con Adrien. E quello stesso Adrien apparve. Apparve come mai si sarebbe immaginata potesse apparire.
    Gyll si sentì sollevare dalla vita, strinse forte la bottiglia e chiuse gli occhi, per poi sentirsi, come un sacco di patate, poggiata con i piedi a terra. Si sentì voltare verso il tizio che aveva appena deciso di rimetterla giù dal suo bilico.
    Ma quando i suoi occhi di cristallo incrociarono lo sguardo spaventato di Adrien, il cuore perse tutti i battiti. Si arrestò, spinse il petto e iniziò a fare male.
    Adrien.
    Gli occhi erano sgranati.
    Ancora una volta le urlava contro e quando iniziò a scuoterla, lei lo lasciò fare, con quell'espressione ancora disegnata in volto, la bocca appena socchiusa e gli occhi lucidi.
    Fu fulmineo, il concasato, a strapparle di via la vodka, che fece un tonfo nel fiume. Gyll però non seguì il volo della bottiglia, continuava a guardare Adrien, come se avesse avuto una visione.
    «Ricordati di respirare...» - la vocina nella sua testa le diede un piccolo consiglio e... Gyll spalancò la bocca e riprese fiato, come se fosse stata sott'acqua fino a quel momento, con un grosso respiro rumoroso.
    «Sei tu.» - un sospiro, un soffio d'aria quasi faticoso, mentre continuava a guardarlo incantata «I... i tuoi capelli.» - disse, quasi riuscendo ora a capirci un po' di più «... s-stai bene ...» - e tutto quello che aveva detto? O meglio, che le aveva urlato contro?
    Gyll McKenzy

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Si stavano accoltellando l'un l'altro.
    Ma perché?
    Lei voleva lui. Lui... voleva lei, giusto? E se era così, non bastava chiedere scusa, ricominciare e cercare di sistemare la situazione?
    No, sarebbe stato troppo facile nella vita della mezza-veela. Lei doveva complicarsi l'esistenza e la stava complicando anche ad Adrien.
    Voleva che stesse bene, ma per farlo lo stava ferendo. Era un paradosso assurdo.
    Lo sentì urlare, socchiuse gli occhi sentendo la testa esplodere a quelle urla.
    Perchè lo stavano facendo? Perchè passavano quel loro incontro a distruggersi?
    «Non avresti potuto aiutarmi, Adri. Non può farlo nessuno.» - mormorò, con un tono di voce quasi straziato dal dolore che sentiva dentro «Io volevo esserci per te, ma vedi? Se ci sono, ti ferisco. E se ti ferisco, non posso perdonarmelo, Adrien. E' COSI' DIFFICILE CAPIRE QUANTO CI TENGO A TE?» - questa volta il tono si alzò di nuovo, le lacrime scesero di rabbia, rigandole il volto. Voleva scappare e andare via da lì, ma voleva anche trascinarlo con sé. Quello sì che sarebbe stato egoismo, portarlo a fondo con se stessa, rischiando di annegare entrambi.
    Uno dei due doveva sopravvivere. E Gyll aveva scelto che fosse lui a farlo.
    Forse quel distruggersi avrebbe portato esattamente a questo, lui che la dimenticava e si salvava. E se così era l'unico modo, forse andava fatto.
    Era vero, non si era accorta di niente, ma non perchè non guardasse in sua direzione, ma perché continuava a scappare da tutto e da tutti, credendo fosse la reazione migliore.
    «Mi dispiace, Adri... se solo avessi visto...» - voleva proseguire quella frase, ma la pugnalata che Adrien le sferrò poco dopo, la lasciò di stucco.
    Non parlare d'amore.
    Scandì quelle parole che si tatuarono nella sua testa.
    Iniziò a scuotere il capo, in disappunto con quello che diceva «Non puoi dirlo, Adri. Non puoi. Non sei in questa situazione e ti auguro di non trovartici mai.» - amare due persone era possibile, lei lo stava provando e sapeva che fosse sbagliato. Sentire lui dire che non l'avesse mai amata, fu il colpo di grazia. Gyll voleva vomitare. Le lacrime bruciavano, così come il sapore amaro del sangue raschiava la gola «Io---» - stava ancora una volta per parlare, ma ancora lui colpiva, pugnalava, feriva.
    Andava bene.
    Lo meritava, ne era sicura.
    Ma faceva così tanto male.
    «Io ti amo...» - voleva dirglielo, ma era troppo difficile, era inutile.
    «Sì, vorrei scappare ancora. Hai ragione. E vorrei portarti con me... No. Non voglio che tu non faccia parte della mia vita, non è come dici. E' che la mia vita è un inferno. E non voglio che---» - sgranò gli occhi...
    Era come tutti gli altri.
    «Tu non sei imperfetto.
    io sono un disastro.
    Tu sei la sola cosa perfetta che mi sia capitata e come ti ho toccato, ho rovinato tutto.
    Se avessi deciso per te, non sarei rimasta qui, Adrien... »
    - la gola bruciava, non riusciva più a parlare.
    Cadde sul pavimento, era esausta, non era riuscita a far capire a lui cosa volesse dire, come sempre, non sapeva comunicare.
    Rimase lì, sola.
    Sentì i suoi passi svanire. Raccolse le gambe e piegò le ginocchia, pianse abbracciata alla sua stessa pelle.
    Aveva rovinato tutto.
    Gyll McKenzy

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