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    «Hai sentito, Muffin? Un nuovo fratello. Nono, non ci piace questa cosa.»

    Il dito indice di Alyce stava giocando con le due zampette della sua acromantula nana, che sembrava elargire dolcezza solo alla propria padrona, mentre la rossa alternava una pillola, con un bicchiere di rum. Quell'apparizione di Evan di qualche settimane prima aveva mandato in crash tutto il lavoro che stava facendo, cercando di rimanere sobria e pulita. Cioé, pulita no, ma ecco, stava riuscendo a non avere un'overdose in quel periodo. Ma tutto stava andando lentamente a puttane, così com'era andata a puttane la sua infanzia, la sua adolescenza e tutto il resto della sua vita.
    Aveva visto uno spiraglio di grigio solo quando aveva incontrato Brian, ma quello spiraglio era andato a farsi fottere anche quella volta. Non aveva cercato il docente, sapeva che avrebbe risistemato il suo casino con un solo algido sguardo, dove a lei piaceva morire dentro quegli occhi. Era come se voleva sentire quella sofferenza frantumarla in mille pezzi, era come se volesse star male, non permettendo all'insegnante di lenire quelle ferite.
    Però c'era una persona che doveva sapere, c'era una persona che necessitava di conoscere quanto la sua vita stesse andando in frantumi, perché era la loro vita.

    «Muffin, Muffin, Muffin... dovresti mangiare... che ne dici se vai a recuperare qualche croccante dito di qualche stronzetto?»

    Sbiascicava, mentre ingoiava una nuova pillola. Aveva perso il conto, ma sapeva che aveva rovesciato sul bancone quasi tutti i tubicini dei suoi psicofarmaci, così da poter fare un sano aperitivo con essi.
    Quando arrivò Peter, i due omoni all'entrata arrivarono e in coro parlarono ad Alyce, che capì circa lo 0,0001% delle loro parole, se non sopra e fratello.

    «Oh, Pete

    Squittì il nome del fratellone alzando il capo, seppur con flemma cronica si sollevò, facendo rovesciare qualche bicchiere a terra, beccandosi gli sguardi preoccupati di Luke.

    «Ancora un bicchiere e vado.»

    Si mormorò a se stessa, afferrando una bottiglia di rum e attaccandosi. Mentre la rossa scolava le bottiglie, alla porta di Peter arrivò il barman. La spalancò senza bussare e i suoi occhi si soffermarono sul biondo.

    «Questa volta non regge. Se non ci pensi tu, lo farò io.»

    Algido come sempre, ma Peter ben sapeva che Luke, per Alyce, avrebbe dato anche l'anima in pasto ai dissennatori, anche solo per un'attenzione della rossa, che sembrava invece non averne per niente per l'altro. L'uomo se ne andò, scivolando e lasciando Peter in silenzio.
    Pochi attimi dopo, tra un casino frastornante di passi strascicati, arrivò la rossa. Inciampò nei suoi stessi passi, gli occhi avevano le pupille dilatate e quando aprì la porta, poco ci mancò che non cadesse di faccia a terra. Si salvò solo perché barcollando malamente, arrivò a scivolare sul fratello.

    «Peteeee»

    Mormorò, cercando rifugio nell'incavo del suo collo e insipirando il suo profumo così familiare. Le labbra si posarono sul collo del ragazzo, iniziandolo a baciare lentamente, mentre una mano, fredda come il ghiaccio, cercava di scivolare sul jeans del fratellone, ricercando l'intimo di lui.
    Sesso, droga e alcol.
    I rifugi perfetti per lei.
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  2. .
    Passare dei giorni in Cornovaglia con Peter non era stata una cattiva idea. Alyce aveva sempre vissuto in funzione del fratello e questo aveva fatto sì che legassero in una maniera completamente differente da ciò che un rapporto fraterno avrebbe potuto contemplare. Il loro andava oltre ogni limite della decenza, erano cresciuti nell'inferno e l'uno era l'angolo di paradiso dell'altro.
    Lei non amava tanto al Cornovaglia, ma qualsiasi posto, insieme a Pete sarebbe stato bello, se fossero stati da soli. Aveva avvisato Brian che non ci sarebbe stata, quel weekend e che avrebbe passato le giornate con il fratellone. Non sapeva perché, ma sentiva di dover avvisare il docente della sua assenza, visto che ormai era diventato assiduo visitatore del suo loft, quindi preferì non nascondergli il fatto che se fosse andato da lei, non l'avrebbe trovata.
    Era notte e Alyce stava dormendo nel lettone con il biondo, lo facevano sempre quando erano piccoli e Peter aveva la capacità di far addormentare Alyce in un solo secondo. Questa cosa non era cambiata, riusciva a farla star bene anche senza le pillole, seppur le sue voci a volte tornavano, a differenza di quello che accadeva con Brian.
    Peter era la sua persona e questo non sarebbe cambiato davanti a niente. Anche quella notte era lì, con lei, mentre lei sonnecchiava avvinghiata a lui, una gamba sul suo bacino, le braccia attorno al suo petto e la testolina rossa posata sulla sua spalla, monopolizzando il suo corpo.
    Sentì l'altro agitarsi, la presa su di lui si strinse di più, mentre il corpo mezzo nudo della rossa strisciava su quello altrettando svestito del fratello. Era normale per loro dormire così, lei in intimo, lui anche. Nessuno avrebbe cambiato il loro rapporto.
    Nessuno.
    Era in uno stato di dormiveglia, quando quelle parole le arrivarono leggere, dolci e calde. Scivolò con il corpo ad aggrapparsi ancora di più al suo, quasi salendogli addosso, mentre mugugnava teneramente in quello stato tra il sonno e la veglia.

    «Anche io, Pete

    Gli mormorò, sollevando il capo a cercare le sue labbra per donargli un dolce bacio su quello inferiore. Piano sollevò le palpebre, ancora addormentate, mostrando lo smeraldo acceso dei suoi occhi.

    «Cosa c'è che non va, fratellone?»

    Domandò con una lentezza dovuta allo stato di sonnolenza, mentre il suo bacino sfregava su quello di lui.
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  3. .
    Alyce non era un animale atto alla socializzazione, tanto quanto non fosse atto alla riproduzione. Ancora aveva in mente di potersi tatuare la runa della sterilità, perchè alla fin dei conti, essere genitori era uno schifo, si finiva ad odiare chi si metteva al mondo, anche quando lo si era desiderato tanto da fare in modo che non fosse solo uno il figlio, ma due o forse, addirittura più di due, no?
    Lei e Peter avevano imparato a caversala una con l'altro, eppure non era bastato a non dividere i due, quando Alyce era riuscita finalmente a scappare dalla casa paterna.
    Non era bello essere genitori, era una merda! E si finiva per far del male ai propri figli, per il puro gusto di voler il piacere tutto per sé.
    Era quello che era successo a lei e nessuno le avrebbe tolto dalla mente che i genitori sono anche altro.
    Ora, fare faccia a faccia con la realtà, significava dover ammettere di avere un padre che probabilmente ancora la stava cercando per completare il suo divertimento con lei, adesso che era cresciuta e anche più consapevole di quello che le avrebbe potuto fare, lui si sarebbe divertito ancora di più.
    Eppure aveva imparato che a quella domanda, su chi fosse il padre, lei avrebbe risposto sempre così, di essere figlia di puttana, una prostituta che poverina era stata poco attenta, tanto la madre non si discostava troppo dall'essere una puttana, anche solo per come l'aveva lasciata nelle mani di quella merda che lei diceva di amare.
    Ora, Evan era lì, a chiederle informazioni proprio su quella parte della sua famiglia che lei volutamente aveva deciso di voler nascondere. Guardò l'affiliato ridere e rise appena anche lei, ancora disgustata dall'argomento, quindi sospirò e buttò giù un bicchiere di whisky così da togliere l'amaro che aveva in bocca; poi quelle parole di lui, lo smeraldo si socchiuse appena, nascosto tra le palpebre, per poi riaprirsi lentamente, spento e distaccato «Ma davvero?!... e da cosa hai capito che mento? Dal fatto che a prescindere da chi sia mia madre, per avermi messa al mondo deve aver per forza avuto dello sperma dentro quella sua vagina di merda?! Magari è andata alla banca del seme, no? O forse sono stata solo un pompino sbagliato, se mi avesse ingoiato avrebbe fatto metà del suo dovere.» - era veramente infastidita da quelle domande, da quell'argomento. Non riusciva a parlarne serenamente nemmeno quando lo toccava con Brian, quindi perchè farlo con lui, che era un semplice soldato dell'Acromantula? Non si era preoccupata nemmeno di mitigare il linguaggio, come se ad Evan non servissero guanti bianchi per poter indorare la pillola.
    Quando rispose alla sua, di domanda sul padre, ad Alyce quasi andò di traverso la vodka che aveva versato per entrambi «Oh, sei qui perchè tuo padre è venuto a scoparsi qualcuna delle mie ragazze? Allora mi spiace, ma esco fuori respons---» - la sua frase si interruppe e il bicchiere che aveva in mano venne frantumato con un piccolo boom nel palmo della ragazza, quando il nome di Matthew Coffey le giunse all'orecchio «Porca puttana.» - disse, mentre prendeva un mucchio di rotolone di carta per tamponare il sangue nella sua mano. Le tremavano entrambe le mani nell'aver sentito quel nome, si girò di spalle al ragazzo «Non conosco nessuno di questi uomini.» - mentì ancora, non era possibile.
    Il fatto che Evan conoscesse il nome del padre, voleva dire due cose: o si era informato su di lei, per quale motivo? Oppure era... era... digrignò i denti.
    Non era possibile. Erano sempre stati solo lei e Pete. Lui non c'era. Da nessuna parte. E lei era quella più piccola. Perchè mai doveva essercene un altro?! E perchè era lì, davanti a lei?!
    «Senti, Evan, io non so di cosa cazzo parli, ok?» - mentire era la sua difesa. Soprattutto perchè «Non credo che Coffey sia morto. La carne triste non la vogliono nemmeno lassù.» - si era scoperta e guardando quel bicchiere vuoto venirle posto, prese con la mano non ferita la bottiglia «Fa il cazzo che ti pare, non ho voglia di versare bicchieri.» - quindi ne prese un sorso direttamente dalla bottiglia e sbattè il restante sul bancone, tra lei e Evan.

    Non poteva essere...
    Uscì da quel bancone, lo aggirò e si avviò verso la sala, come se dovesse mettere a posto qualcosa.
    Non può essere...
    «Uh. Abbiamo un altro fratello, anche lui carino.
    No, non è nostro fratello. E' un impostore.
    Ma noooo, come può mentire su questa cosa?!
    Anche noi mentiremmo sui nostri genitori...
    Sì, e poi lui è bugiardo dalla nascita, lo ha detto prima.
    Secondo me è nostro fratello e voi non volete credergli perchè avete paura.
    Noi non abbiamo paura di niente, sm---»
    - un posacenere volò contro un muro, all'improvviso, nel bel mezzo del finto silenzio di quella stanza «PORCA DI QUELLA PUTTANA, VOLETE STARE ZITTE.» - le mani di Alyce si allungarono a coprire tempie ed orecchie; no, questo era troppo da poter reggere.
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    L'illusione che la tranquillità potesse arrivare nelle mani di una come Alyce fu effimera ma allo stesso tempo piacevole anche solo al pensiero.
    Il mix di alcol e psicofarmaci che aveva fatto, le aveva fatto perdere per un attimo la lucidità tanto da finire nelle grinfie di quei due stronzi, ma Spike era stato attento e pronto ad intervenire, questo doveva ammetterlo e soprattutto l'aveva aiutata a liberarsi.
    Era strano quel loro modo di rapportarsi, era come se si fossero girati attorno fino ad odiarsi ed ora stessero firmando un armistizio di pace tale da renderli consapevoli di quanto insieme potessero essere una buona squadra.
    Questo era bastato ad Alyce per invitarlo a bere qualcosa con lei, nonostante il piccolo broncetto che aveva messo, quasi infantile, oltre che folle, sulle labbra, quando lui le aveva negato momentaneamente quel sorriso che l'aveva fatta esaltare poc'anzi.
    Sbuffò appena, scrollando le spalle «Oh, allora necessito di trovarmi con te in qualche...» - si voltò a guardarlo da capo a piedi, mentre la lingua biforcuta scivolava tra le proprie labbra, quasi a bagnarle «...evento particolare...» - fu quasi un sussurro il suo, un sibilo serpentesco, come un serpente a sonagli quando incontra la propria preda.
    Aprì la porta della stanza e ad accoglierci vi fu una delle suite migliori del Rouge, una di quelle che erano riservate a persone di spicco, ma che in quel momento Alyce aveva voglia di usare per se stessa. Entrò per prima, spalancando il legno, quindi fece segno al ragazzo di accomodarsi senza però condirlo prima di alcune parole, per essere chiari tra loro «Accomodati pure, ma sappi che quando chiudo questa porta, scatterà la serratura e sarà possibile aprirla solo tra un'ora. Tuttavia, avremo tutto quello di cui necessitiamo...» - sollevò un sopracciglio, mentre lo smeraldo non smetteva di puntare il vampiro, quasi a volerne studiare le volontà «Mi farebbe piacere che tu passassi quest'ora con me... sarebbe un evento... particolare...» - questa volta a ghignare appena fu lei, mentre lasciò la porta e la scelta al vampiro, scivolando lei all'interno della stanza.
    Il parquet era pulito e lucido, al centro della stanza vi era un letto piuttosto alto, con dei veli drappeggiati ai lati, non chiusi, a mostrare i cuscini e le lenzuola perfettamente bianche e pulite. Negli angoli vi erano un frigobar, un bancone con degli alcolici e bicchieri e alcuni divanetti e cuscini alti sparsi per il parquet. Vi era poi una seconda stanza, nascosta dai drappi pesanti e bordeaux, che celava un bagno lussuoso con una vasca idromassaggio per due, una sauna (spenta al momento) e dei lettini per messaggi. Quello non era l'angolo preferito di Alyce, che invece si era ricacciata a riempire due bicchieri di whisky ambrato per lei e Spike, sperando che la raggiungesse.
    Si sarebbe poi tolta le scarpe con maestria, per camminare a piedi nudi su quel parquet perfetto, senza alcun graffio e accomodarsi su uno dei puff poggiati a terra, mentre lo smeraldo andava di nuovo verso Spike.
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  5. .
    Ma davvero?
    Cioé seriamente due tipi stavano cercando di violentarla nel suo stesso locale?
    Maledizione, se solo fosse riuscita a prendere la propria bacchetta o ci fosse stato Brian in quel momento, era piuttosto certa che non avrebbero avuto modo nemmeno di avvicinarsi.
    Stringeva le gambe, sempre più strette, con l'intenzione di rendergli le cose difficili, non per paura alcuna «Dai...» - cercò di sbiascicare, come potesse convincerli a fermarli.
    Lei sapeva che non si sarebbero fermati, lo aveva già provato con il padre, e sapeva anche che in quei casi, quando non si poteva reagire, si doveva solo lasciar passare il tempo, avrebbero finito nel giro di poco e forse non avrebbe sentito niente.
    «Ragazzi... dai...» - sembrava quasi ridere del loro tentativo, come se la cosa la divertisse, ed in parte era proprio così, a dirla tutta.
    Era divertente sentire il loro fiato putrido addosso, credendo di poter essere un maschio alpha da riuscire a procurarle dolore con quella pratica con consensiente. Le dita ruvide del ragazzo che aveva davanti si fecero più insistenti. Senti la pelle lacerarsi sotto dei graffi che avrebbero bruciato appena, le gambe si aprirono e lui riuscì a ficcare una mano, mentre la sua mutandina veniva spostata.
    Lasciò cadere la testa in avanti, abbandonandosi e chiudendo gli occhi. Doveva azzerare tutte le sensazioni, così non avrebbe provato nemmeno dolore e schifo.
    Ma davvero stava succedendo di nuovo?
    Sentì quelle dita entrare di prepotenza e la sua intimità bruciare, mentre l'altro, quello alle sue spalle, rideva e chiedeva quando fosse il suo turno «Dominique - nique- nique s'en allait tout simplement. Routier, pauvre et chantant» - iniziò a sbiasciare una canzone, così da concentrarsi su altro, mentre sentiva il rumore della cintura e poi...
    Una voce, non troppo familiare, ma nemmeno sconosciuta. Il capo si sollevò di poco, notando la presenza di Spike poco più in là.
    Il suo primo pensiero fu "davvero? tra mille, proprio lui." mentre un ghigno divertito la fece vibrare appena «Adesso sì che è eccitante...» - sibilò come una serpe, mordendosi appena il labbro inferiore.
    «Siamo già in due, quando abbiamo finito te la lasciamo, ora spar---» - a vedere i canini del ragazzo, il tipo che aveva già cacciato il suo pistolino lasciò cadere il jeans a terra. Aly guardò verso le sue gambe «Ahahah. Ma davvero?! Cioé con quello?! Te lo hanno mai detto che lo hai piccolo?!» - rise divertita, stava completamente di fuori, era chiaro, oltrettutto piuttosto nella norma. Forse non era il momento giusto per stuzzicarli, ma era più forte di lei «Hey, psss... lui ha ragione eh. Dovreste lasciarmi andare.» - rise folle come sempre. Il tizio che la teneva stretta, strinse la presa quasi per paura, con lo sguardo terrorizzato da Spike «Oh... non si fanno male le signorine.» - disse, sentendo quelle dita troppo fastidiose. Quindi recuperò un po' di forze e di scatto tornò con la testa su, dando una testa al povero naso dell'uomo, per liberarsi.
    Sbuffò, quindi, facendo cadere a terra le sue mutandine ormai strappate e sfilandole dalle gambe, rimanendo, sotto la gonna, senza quel tessuto «Uffa, mi piacevano.» - si spolverò appena, quasi a togliersi di dosso delle ragnatele e poi andò verso Spike «Tranquillo, ora finiranno in un posto favoloso!» - lo smeraldo di Aly si accese di un luccichio psicopatico, mise due dita alle labbra e fischiò. In un niente arrivarono le due guardie «Sapete dove metterli. Chiamate Becca e ditele di intrattenerli fino al mio arrivo. On fire, please.» - era un messaggio in codice, un messaggio che chiedeva di chiudere quei due nella sala torture e di legarli con delle catene passate nel fuoco. Oh, poveretti.
    Tornò quindi a concentrarsi su Spike...
    Lo guardò da capo a piedi...
    Era un fottuto bastardo il destino, le aveva messo davanti l'unica persona con cui poteva scontrarsi. Eppure... «Puoi rifarmi quel sorriso? E' decisamente eccitante...» - ammise, mentre scivolava verso di lui, arrivando ad un passo «Direi che sono in debito... bevi qualcosa? Offre la casa...» - non era tipo da ringraziare in maniera canonica, quindi gli fece segno di seguirla, per salire delle scale verso il corridoio delle stanze «Ho bisogno di tranquillità...» -ammise semplicemente, aprendone una.
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    Non che fosse strano che uno dell'acromantula bazzicasse in quel posto, ma difficilmente chiedevano insistentemente di lei. Era qualcosa che capitava solo in casi eccezionali, quando qualcuno aveva necessità di accedere ad aree riservate. Nemmeno Brian rientrava tra quelli che chiedevano di lei, ma semplicemente perché lui entrava e si prendeva esattamente quello che desiderava. Ma tralasciando questo tergiversare, quando Alyce arrivò da Evan lo guardò intensamente come se ci fosse qualcosa di familiare in quello sguardo, qualcosa che non riusciva a capire, ma era come specchiarsi in una lastra riflettente. Scosse il capo, forse si era calata troppe droghe quel giorno, quindi cercò di nuovo di concentrarsi su quello che doveva realmente fare: prestare attenzione ad Evan.
    Eppure quella sensazione di averlo già visto, di avere ricordi confusi con lui, era troppo forte che iniziava quasi a farle girare la testa, forse doveva distrarsi e per farlo volse appena le spalle al biondo e preparò due shottini di vodka liscia, qualcosa di forte per far si che quel giramento di testa smettesse (?), funzionando palesemente al contrario.
    Sbattè il vetro sul tavolo, sentendo palesemente i suoi occhi addosso. Che diavolo voleva?
    Buttò giù la vodka, fresca e aspra come sempre, ma decisamente dall'effetto lenitivo e subito mise le mani avanti «Guarda che io non vado a le---» - lo smeraldo di Alyce, fino a quel momento privo di ogni singola emozione, spento e vuoto, si sollevò con lentezza in quello di Evan. Di nuovo quella sensazione.
    Quella domanda, però, l'aveva pietrificata. La mascella si indurì perché i denti strinsero come se volessero spaccarsi tra loro.
    Di scattò tornò dalla bottiglia di vodka e se ne verso un secondo shottino, lo buttò giù e «Sono figlia di puttana.» - disse guardando l'interno vuoto del bicchierino, prima di tornare su Evan «Sei venuto per questo? Mi spiace, non conosco mio padre.» - e mentre proferiva quella parola, Evan avrebbe potuto vedere la sua faccia deformarsi in un'espressione di disgusto, come se volesse vomitare a dire la parola padre.
    Che cazzo di domanda era, poi, quella? Non era sicuramente nella norma chiedere una cosa del genere, sapeva che c'era questa usanza nei paesi del sud italia, chiedere "a chi sei figlio tu?" ma qui non eravamo in sud Italia.
    Ancora vodka.
    Ancora lo guardò.
    «Il tuo?» - beh, alla fine erano domande per conoscersi, no?
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    Le serate al Rouge erano sempre più frenetiche e quella sera, la rossa aveva esagerato con gli psicofarmaci per poter reggere al meglio quella confusione. Solo che non riusciva mai a calibrare bene le dosi e anche questa volta aveva la testa che le girava come se avesse bevuto dieci bottiglie di vodka. Luke era indaffarato con i clienti, anche se non la perdeva mai d'occhio mentre barcollava mantenendosi alla parete destra «Merda.» - non era decisamente quello che voleva, aveva solo bisogno di una spinta maggiore per poter accettare quella serata, ma aveva preso una pasticca di troppo, un'altra volta.
    Passò davanti ad un volto che lì per lì non riconobbe, tuttavia, quando Spike le fece cenno col capo, lei distrattamente ricambiò, credendo fosse un cliente abituale.
    Cercava di raggiungere il corridoio buio che portava al retro del bancone, urtando di tanto in tanto qualcuno. Spike avrebbe potuto notare, come dietro la rossa, a farsi segno di seguirla, c'erano due uomini. I loro volti sembravano piuttosto contriti dall'alcol, ma parevano piuttosto lucidi per poter seguire la ragazza. Passarono davanti a Spike, mentre uno dei due diceva all'altro che lui preferiva davanti. L'altro concordo, accettando di prendersi il dietro.
    Alyce, nel frattempo, strisciava nel buio di quel corridoio, sperando di potersi riprendere lontano da quel casino.
    Bastò così poco, forse solo lo svoltare l'angolo del muro, che subito i due affrettarono il passo, dopo essersi accorti che nessuno li seguisse. Alyce era inciampata, cadendo con il ginocchio destro a terra «Per la miseria.» - sbiascicò appena, cercando di arrampicarsi sulla parete per rialzarsi. Subito i due uomini ne approfittarono «Ti aiutiamo noi. Reggiti.» - Alyce non aveva idea di chi fossero, non metteva bene a fuoco i loro volti, ma in quel momento aveva bisogno di una mano e si aggrappò a quelle braccia che la tirarono su.
    Lo fecero prima di palleggiarsela tra loro «Eccoti qua... Adesso ti riaddrizziamo noi...» - Alyce bofonchiò qualcosa di indecifrabile, mentre loro ridevano e l'altro le mise una mano in mezzo alla coscia «Che cazzo fai...» - sbiascicò la rossa, provando a spingerli via. Uno si era messo dietro di lei e appena vide che voleva reagire, le bloccò le braccia «Ahahah che cazzo fate... non vi conviene...» - i due non parevano tanto preoccupati di quelle minacce mal pronunciate. Il suo vestitino era abbastanza corto da permettere all'uomo di ficcare la sua mano in mezzo alle gambe della rossa, che rideva psicopatica «Come siete antichi... sapete che è già succ---» - le arrivò uno schiaffo in faccia, che Alyce sentì stranamente più forte del solito. Lasciò cadere il viso, mentre stringeva le gambe, cercando di rendere più difficile il passaggio di quella mano.
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    Quella era una di quelle sere in cui Alyce aveva deciso di cimentarsi nel--- No, bugia. Non aveva voglia di fare un cazzo come sempre, se ne stava a guardare la sala torture con un orgoglio pazzesco e si assicurava che Silene la pulisse alla perfezione.
    Se ne stava poggiata a quello stipite, con le braccia incrociate sotto i seni e il telefono in una mano, la mancina per la precisione. Addosso aveva una specie di vestito cortissimo verde smeraldo, legato in vita ma che lasciava scoperto il seno e con esso il suo reggiseno di pizzo. Dal collo pendeva la collana che Brian le aveva regalato inaspettatamente, ormai parte integrante di quella pelle.
    «Secondo me dovremmo aggiungere qualche altra macchina... insomma, rinnovare un po'...» - lo smeraldo le brillava in maniera poco umana, nel parlare di tutte quelle possibili leccornie della tortura.
    Scrisse un messaggio a Brian «Voglio sistemare la stanza dei giochi, mi dai una mano oggi pomeriggio?» - inviò il messaggio, giusto in tempo prima che giungesse Rebecca, correndo da lei «Alyalyaly.» - la rossa si girò già esasperata «Becca, ti taglio le corde vocali se non la smetti di chiamarmi. Cosa c'è?!» - sbuffò, tornando a guardare la sua stanza preferita «Un cliente. Vuole te.» - aggrottò la fronte «In che senso?» - la ragazza scrollò le spalle «non lo so, gli ho chiesto se voleva passare una notte da favola e mi ha detto che voleva te.» - Alyce sollevò gli occhi al soffitto «E tu ti sei arresa facilmente. Ti ringrazio. Ma lo sai che l'unico cliente che servo personalmente è Brian.» - Becca scosse il capo con forza «No, Aly. Devi venire, è uno dei nostri.» - Alyce scattò sull'attenti, come se quella fosse la cosa più importante che Becca doveva dire e che stava omettendo. «Dobbiamo fare una lezione sulle notizie di primaria importanza, Reby.» - quindi affrettò il passo e si diresse al bancone dove c'era Luke a sistemare i bicchieri. Cercò tra i clienti un volto conosciuto e si soffermo su Evan. Lo aveva visto quella volta allo stadio, ma non ci aveva scambiato parole, se non sguardi di intesa che lasciavano ben intendere quali fossero i suoi interessi comuni alla rossa. Si avvicinò, il suono dei tacchi rimbombava sulla pedana del bancone «Mi hanno detto che mi cercavi.» - non era una che girava troppo intorno alle cose. Fisso il suo smeraldo negli occhi di Evan. C'era qualcosa di già visto nel taglio dei suoi occhi, ma cosa...
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    Quella giornata era decisamente uno strazio. Alyce era nel retro del Rouge, a cercare di mandar giù la noia cercando qualcosa da fare. Brian oggi era occupato, questioni di lavoro. Quello di star dietro a quella mandria di scalmanati bambini, lui lo chiamava lavoro. Lei avrebbe solo voluto ucciderli tutti, uno dopo l'altro, per tentare di capire quale fosse la tortura peggiore per quei mocciosi che la portavano lontano dal suo prof.
    Sì, non era decisamente di ottimo umore, anzi, era nera, quella sera e non ci sarebbe stata alcuna situazione a farle cambiare idea. Luke era andato da lei più volte a concenderle dei cocktails piuttosto forti, ma ormai aveva fatto assuefazione da alcol e anche quello non l'aiutava per niente. Muffin stava lì, seduto accanto a lei sul bracciolo di una poltrona, mentre si faceva accarezzare dalla sua padrona «Oh, Muffin... come ci divertiamo stasera?» - il ragnetto la guardò, ma non disse niente se non un tremolante «Uccidi.» - la rossa rise, prendendo la creatura in braccio e dandole un bacio su quella peluria rossiccia. Durante quelle effusioni amorose tra Alyce e la sua psicopatica acromantula, entrò Drake «Aly, sei sicura di non voler venire a vedere cosa accade di là? Le ragazze che stanno facendo lo spettacolo sono bravissime, dovresti vederle.» - Aly spostò il suo annoiato sguardo smeraldo sul ragazzo «Lo so. Le ho assunte io.» - Drake sollevò le spalle e ci rinunciò, tornando a fare il suo lavoro.
    Muffin si stava godendo il suo momento di coccole, seppur Alyce non era una che elargiva così tanto affetto. Sbuffò e tamburellò il tacco a terra «Dovremmo andare di là, abbiamo finito la vodka e io devo buttar giù le pillole magiche del dottor Barnes.» - poggiò tortura sul bracciolo, quindi fece ricadere il suo lungo vestito rosso verso il basso e si alzò, mostrando delle lunghe gambe nude, che lasciavano intravedere troppo. La scollatura mozzafiato di quella rossa era vertiginosa, non portava nemmeno il reggiseno. A dipingere la sua pelle candida, oltre al rosso del vestito, spiccava al collo una collana che aveva un rubino spigoloso, regalo di Brian da cui non si separava mai.
    Luke, dal canto suo, era preso a servire Jacqueline.
    Ebbene sì, non c'era la barista. Quello che serviva al bancone era un uomo, un ragazzo per la precisione, decisamente troppo irritato da tutta la gente che gli rompeva le scatole «Vodka sour.» - rispose lapidale alla richiesta di Jacqueline, prima di venir attirato dai tacchi dietro il bancone della rossa. Improvvisamente l'espressione di Luke si rilassò in un ghigno divertito, vedendo la rossa scivolare verso le bottiglie e scegliere una vodka «Miah ~» - pigolò appena, mentre sfiorava con il corpo il barman «Mi serve per la magia...» - sussurrò all'orecchio del barman, che socchiuse appena gli occhi, per poi scuotere la testa alle parole di Alyce, vedendola buttare giù le sue pasticche accompagnate dall'alcol. Psicofarmaci e alcol. Che goduria.
    «Dici che ora puoi restare un po' qui con noi?» - Aly lo guardò mettendo un broncio annoiato «E va bene ~» - disse capricciosa, poggiando la schiena al ripiano dov'erano le bottiglie e guardando Luke spremere il limone per ricavare il succo fresco da usare per il Vodka Sour di Jacqueline.
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    Alyce Coffey ~ AnimagusOdio. Odio pazzesco.
    Freddo. Freddo pazzesco.
    Oggi Alyce era in uno di quei giorni della settimana del mese, in poche parole? Aveva il ciclo. E non era mica giusto che fosse al freddo. «Stupido inverno.
    Stupido ciclo.
    No, l'inverno.
    Sì, ma più il ciclo.»
    - le sue personalità, tanto per cambiare, erano in disaccordo. Mentre osservava attorno a sé, lo smeraldo della rossa, notò come il ghiaccio che ricopriva il fiume sembrava aver ricevuto vomito di unicorno, per quanto fosse brillantinato. Volse lo sguardo a destra e notò una baracca (narratrice: te meno!), cercò di guardare meglio e in quel buio notò una lieve luce rossa «Cos'è?
    Il mio assorbente fluo.
    Smettila. Cos'è?
    Giuro.»
    - sbuffò, la psicopatica, sobbalzando alla voce di Murphy che trovava sempre piuttosto eccitante. «IL locale.» - precisò la rossa fiammeggiante, con un po' di superiorità, sapendo quanto il suo Rouge non fosse un locale qualsiasi.
    Dopo aver espletato le solite movenze di saluto, lo sguardo allucinato della donna si piazzò sull'infermiere «Che vinca io. Ehm... volevo dire, il migliore.» - squittì una risata e poi compì i dieci passi «Uno. Due. Tre. Quattro.» - continuava a contare «Cinque. Sei. Sette. Otto.» - le dita si arrotolarono ad una ad una ritmate sul bastoncino di legno «Nove. Dieci. BOMBARDA!» - stoccò in direzione dell'infermiere, cercando di essere piuttosto rapida nel muoversi per poter raggiungere la distanza giusta per poterlo colpire. Quindi disegnò una D e «Diffindo!» - con l'intenzione di colpire verso le gambe dell'avversario.
    Quindi, poi poi avrebbe camminato verso la baracca e vi sarebbe entrata per vedere cosa nascondesse al suo interno, cercando di capirci qualcosa e se potesse essere utile.
    scheda pg | stat


    Il post in breve: Ha il ciclo. Sta storta e psicopatica più del solito, attacca subito e poi si ficca nella baracca per cercare di capirci qualcosa.
    Azione 1: Bombarda [Coraggio 30][Fuga Esplosiva]
    CITAZIONE
    Nome: Incanto Esplosivo [DCAO]
    Classe: Offensivo
    Formula: Bombarda
    Movimento: Stoccata in direzione dell'obiettivo
    Effetto: genera un fascio di luce che dà origine ad un'esplosione quando viene a contatto con una qualunque superficie.
    Note: può danneggiare o distruggere l'equipaggiamento del bersaglio. Con Coraggio > 25 aggiungere 1d6 al danno inflitto.
    Con Coraggio ≥ 35 aggiungere 1d8 al danno inflitto( il bonus precedente decade)


    Azione 2: Diffindo [coraggio 30]
    CITAZIONE
    Nome: Incantesimo Lacerante
    Classe: Offensivo
    Formula: Diffindo
    Movimento: Disegnare una D
    Effetto: Genera un fascio dalla bacchetta che recide con un taglio netto oggetti di ogni genere, può causare gravi danni su utilizzato contro una persona o creatura.
    Note: con Coraggio ≥ 35 può causare amputazioni


    Mezza-azione: Interazione con coso rosso
    Quirk Attivo: Fuga esplosiva
    Pazza è pazza. Bella è bella. Ma oggettivamente, non è scema.
    +1 coraggio a Bombarda; +2 se tenta di impiegare questa magia per aprirsi una via di fuga.

    Oggetto: Pozione incollante
    Skill:
    Magia Nera I - Fattucchiere
    Antiche Rune I - Mago Runico
    Arti Mentali I - Manipolazione Mentale
    Resiliente I - Resilienza
    Outfit: x
    Coraggio: 30
    Empatia: 30
    Intelligenza: 31
    Resistenza: 32
    Tecnica: 32
    Intuito: 24
    Destrezza: 27
    Carisma: 32

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    Odiava far preoccupare Peter, tuttavia doveva ammettere che aveva tentato di non finire nei guai diverse volte, ma con un sì e con un no si era trovata a finirci ugualmente, come se non riuscisse a fare a meno di scontrarsi con qualcuno, come se i suoi disturbi comportamentali non potessero essere risolti da niente se non dal fare a botte con qualcuno o prendersela in qualche altro modo con qualcun altro. Lei sapeva che era sbagliato, ma aveva capito che a quel mondo ce n’erano tante di cose sbagliate e nessuno faceva niente, compreso suo padre, quanto diamine era sbagliato? Eppure lei non poteva far niente, doveva mantenere quel triste e doloroso segreto e rimuginarci sopra, da sola in una stanza, piangeva da sola, senza poter dire niente a Peter, perché il mostro l’aveva minacciata che se solo qualcuno avesse saputo, lei avrebbe subito di peggio e ad Alyce bastava già solo quello che subiva, peggio di così non aveva la minima intenzione di provare cosa significasse. Annuì alla domanda primaria del ragazzo, poi scosse la testa a quella immediatamente dopo «Però potrebbe accadere ed è meglio prevenire che curare, visto che potrebbe succedere non dovrei farmi trovare impreparata, non credi?» – scrollò le spalle, con un sorriso delicato su quel volto candido di porcellana. In fin dei conti, lei si stava allenando nella speranza che un giorno avrebbe potuto reagire contro il mostro dei suoi incubi reali, non aveva tutti i torti, purtroppo che Peter non sapeva e non avrebbe potuto sapere niente, almeno non in quel momento. Tuttavia, la verità su quello che era accaduto era ben altra e quando Peter ne ebbe conferma, Alyce si sentì davvero in colpa per quello che era successo «Lo so, hai ragione Pete…» – ammise, ben consapevole di quanto fosse sbagliato e di come quello l’avrebbe portata ad una sospensione bell’e buona con cui lei avrebbe dovuto scontrarsi «Ce la sto mettendo tutta, Pete. E’ solo che è molto più difficile di quello che tu possa pensare…» – e quelle parole nascondevano molta più verità di quello che credeva il ragazzo, ma lei non avrebbe detto altro, chiudendo gli occhi in quelle braccia «Adesso, però, raccontami la tua partita, almeno non ci pensiamo a quello che è successo, ok? Hai vinto, vero? Tu vinci sempre. Sei così perfetto…» – il suo tono era dolce e basso, quasi come se stesse per addormentarsi tra quelle braccia.
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    Da quando aveva incrociato il volto di Peter, Alyce si sentiva decisamente meglio, come se tutto intorno a loro non fosse più importante, come se anche quel taglio fosse solo un segno che non faceva più male a nessuno e come se ogni piccolo avvenimento di quella giornata avesse perso di significato davanti al viso di Peter. Era il suo stesso ossigeno e nascondergli quello che le succedeva a casa era qualcosa che l’ammazzava tragicamente, trovando in quel suo sorriso l’unica ancora di salvezza che le faceva credere che potesse davvero salvarsi da ciò che le succedeva. «Ora che ci sei tu, io sto sicuramente bene, Pete.» – ammise la piccola futura acromantula, mentre sorrideva alla sua metà migliore. Notò il cambiamento nel suo volto quando la motivazione si fece più chiara e questo la ferì molto, sentendo che l’aveva deluso, poi il tono da lui utilizzato fu una conferma quasi di quello che aveva immaginato. Scosse il capo a destra e sinistra «Non è colpa mia. Io sto solo imparando a difendermi, Pete.» – in vero era questo il motivo per cui il suo comportamento era questo: lei voleva imparare a cavarsela da sola e ci stava riuscendo perfettamente, ma la vera rabbia che riversava sugli altri era quella che avrebbe voluto riversare sul suo papà che faceva di lei la propria bambola gonfiabile. Era difficile da spiegare, era come se con i suoi atteggiamenti lei mettesse in mostra il proprio disagio e questo faceva si che sembrasse sempre quella difficile della classe, che poi alla fine era pur sempre così, ma nessuno si era fermato anche solo un attimo a chiedersi per quale assurdo motivo fosse arrivata a tanto, cosa ci fosse dietro quei disturbi comportamentali. Probabilmente, col senno di poi, se qualcuno avesse agito in precedenza, non avrebbe avuto necessità alcuna di psicologi e psichiatri e le sue personalità sarebbero rimaste sopite per sempre. Si fece tirare dal fratello, sentendo la pace invaderla al contatto con quelle labbra che ricambiò senza alcuna malizia; era il sapore migliore che potesse desiderare in quel momento, leniva anche quella ferita che si era procurata «Ero solo un po’ nervosa, lui si è scontrato contro di me e io mi sono fatta prendere dall’agitazione. Mi dispiace Peter.» – si strinse a lui, quasi come se cercasse rifugio in quelle braccia che non sapevano cosa ci fosse alla base.
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    Era un vero e proprio maschiaccio, ma almeno stava imparando a difendersi per conto suo, senza dover correre sempre da Peter e disturbarlo. Poi, ogni volta che correva da lui, i suoi amici continuavano a prenderla in giro e non avrebbe mai risolto niente se non fosse stata lei a mettere la parola fine. Quindi era da un po’ di tempo che erano più le volte che si trovava in mezzo ai casini e a qualche rissa, che altro. Quel giorno, però, era davvero diversa, la situazione: aveva saltato la partita del fratellone e questo era ciò che più le faceva male, non ne aveva saltata una ed era troppo importante per lei presenziare su quegli spalti, invece non aveva potuto. Peter sicuramente l’avrebbe perdonata, ma l’idea che da lì a poco avrebbe dovuto anche tornare a casa perché sospesa a causa della rissa, le faceva sentire ancor di più la necessità di incontrare il fratello. Quando lui giunse al punto di incontro, la rossa aveva chiuso momentanemanete gli occhi, lasciandosi andare a quella canzone che le risuonava nelle orecchie, per questo quando Peter cercò di attirare la sua attenzione, non furono tanto le parole, quanto l’odore del fratello a farle aprire lo smeraldo e scontrarlo con quel volto così familiare. La prima cosa che fece, la rossa, fu far volare le sue cuffiette e allargare un grosso sorriso che appena appena bruciava per il taglio sul labbro, quindi sollevò il testino sotto quella mano e prese un profondo respiro «Scusa se non sono venuta alla partita oggi, Pete.» – iniziò lei, prima di scontrarsi con quello sguardo serio del fratellone. Si morse il labbro, quindi, provando un po’ di fastidio per lo spacco, calò lo sguardo sull’erba e cercò di trovare una qualsiasi motivazione valida per il fratello. A lui non doveva mentire, questo lo sapeva, quindi non fece altro che dirgli la verità «Ho avuto una discussione con un ragazzino del primo anno.» – ammise con una voce triste e rammaricata, non riuscendo a sollevare lo sguardo sul fratellone.
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    «Decisamente poco divertente.» - era l'ennesimo colpo che la ragazza riceveva, ormai quante ore erano passate sotto tortura? Aveva sicuramente perso il conto, ma questo non era importante, lei non avrebbe parlato?
    Era legata ad una sedia, con le mani strette da una corda di spago doppio, dietro lo schienale e le caviglie che bruciavano per il laccio che stringeva alle gambe anteriori della seggiola. Presa in ostaggio, lei che era la prima che faceva la medesima cosa con gli altri; credevano davvero di poter competere con le sue torture? Quello che stava ricevendo era solo un divertente passatempo feticista che la ragazzina dai capelli rossi avrebbe provato a sopportare il più possibile.
    «Dovrai parlare se non vuoi morire.» - la voce roca dell'uomo mascherato continuava a minacciarla e di tutta risposta, la rossa, non faceva altro che ridere «Dominique, nique, nique
    S'en allait tout simplement
    Routier, pauvre et chantant...»
    - e cantare quella continua canzoncina che non faceva che innervosire i rapitori.
    Volevano i nomi dei generali dell'Acromantula, non sapeva bene il motivo, perché si era bloccata nel momento in cui aveva sentito quella richiesta così folle. Pensavano davvero che avrebbe tradito Robert? O Margot. Ma la cosa più assurda era quella di poter credere anche solo lontanamente che lei potesse tradire Brian.
    Ogni colpo che riceveva in pieno volto, sputava sangue e sentiva la sua pelle gemere dal dolore, ma non c'era sofferenza che teneva in confronto alla sua volontà di non tradire chi amava. Cosa? Amava? Che strano verbo per lei.
    Eppure quello era il momento in cui quel qualcosa scattò nella sua mente. O - con molta probabilità - le botte che stava prendendo avevano fatto girare in maniera diversa quel neurone unico che fino a quel momento funzionava. Lei non provava sentimenti, se non quello che la manteneva in vita, eppure anche l'istinto di autoconservazione non le permetteva di tradire Brian.
    «Puttana da quattro soldi!» - quelle parole furono sottolineate da uno sputo che le arrivò in pieno viso. Alyce volse lo sguardo dal lato destro, socchiudendo gli occhi e strattonando con forza le mani, come a volersi liberare, sentendo la sua pelle lacerarsi sotto lo stretto nodo della corda. Strinse i denti. Quelle parole le odiava. Le ricordavano il padre, quando la definiva la sua puttanella, quando lei non poteva nemmeno difendersi da quelle sue angherie.
    Ringhiò, quasi, a quel pensiero, mentre ancora le braccia cercarono di tirare con forza quella corda «Pensi davvero di poterti liberare? Ahahah, stupida ragazzina.» - il sequestratore aveva stretto le dita della sua mano, quelle ruvide dita, sul suo faccino tumefatto, girandolo in sua direzione con forza mentre le parlava, per poi prendere possesso di una guancia e leccargliela. La mascella di Alyce si irrigidì nuovamente «Sai che se non parli, non mi prenderò solo la tua vita? Magari da morta sei più sexy...» - il suo alito fetido le riempì i polmoni, ancora tentò di strattonarsi, bloccata anche con il volto da quelle mani schifose. Rise, mentre lui le puntava il suo sguardo addosso «Dominique, nique, nique
    S'en allait tout simplement
    Routier, pauvre et chantant»
    - il suo tono era più lento, forse stanco da quelle torture, ma non cedeva, non l'avrebbe fatto. Sarebbe morta con la bocca chiusa e con il pensiero in testa del volto di Brian, che avrebbe protetto per sempre, fin dentro la sua tomba. L'idea era quella di non pensare a lui, affinché loro non potessero mettersi a cercare nella sua mente, per questo forse cantava quella canzoncina inquietante «Perché non smetti di cantare e non rispondi alla mia domanda: chi sono i tuoi generali.» - iniziava a non sopportare più quella sua puzza così vicina, cercò di sfuggire alla sua presa e questo comportò solo un ulteriore pugno in pieno viso, con quel tirapugni di ferro ormai sporco del suo sangue.
    Chinò la testa, esausta, mentre rideva follemente e continuava a cantare «En tous chemins, en tous lieux
    Il ne parle que du Bon Dieu
    Il ne parle que du Bon Dieu»
    - il dolore ormai stava diventando parte di lei e questo non voleva dire altro che la sua resistenza sarebbe aumentata «Cantare non ti aiuterà.» - questo lo diceva lui: per farlo doveva pensare alle parole e non all'uomo che amava e se fossero entrati nella sua testa avrebbero trovato solo un casino.
    Passarono altre ore, i colpi arrivavano sempre più forti e le mani di lui erano arrivate anche dove non dovevano, ma a lei poco importava, aveva già subito di peggio con il padre, figurarsi se quello potesse scandalizzarla. Tra gli strattoni e la forza di volersi liberare, sentiva quella corda allentarsi, forse aveva consumato abbastanza la sua pelle da ridurre i suoi polsi a mere ossa, oppure era riuscita a rendere quel nodo meno stretto. Iniziò a giocare con quella corda, sperando di non farsi vedere, ma doveva intrattenere il suo torturatore «Ok, va bene.» - il capo era chino, mentre sentiva l'odore della sigaretta dell'uomo impregnare la stanza che puzzava di umidità «Ho detto va bene, parlerò. Ma... ad una condizione.» - alzò appena appena il volto, per guardarlo con gli occhi smeraldo «Quello che hai fatto prima... lì sotto... puoi rifarlo?» - finse un tono di supplica, puntando al desiderio che l'uomo aveva espresso in precedenza.
    Questo la guardò, lei non cedette al suo sguardo e rimase a puntarlo. Gettò la sigaretta e si avvicinò di nuovo a lei, mentre si tirava su la manica della camicia sporca del suo sangue, quindi si avviava verso le sue parti basse.
    Fu quello il momento in cui lei si sentì pronta. Attese l'attimo in cui per sfiorarla aveva calato la guardia e la testa, quindi strinse i muscoli delle sue cosce, spingendo il bacino verso il basso e incastrando così la sua mano in mezzo, quindi provò a caricare una testata e finì - se ci fosse riuscita - di liberarsi dalla corda, quindi la prese e la utilizzò, provando a stringere con quanta più forza aveva ancora in corpo attorno al suo collo. Lo guardò gemere, soffrire, i suoi occhi chiedere pietà, mentre lei stringeva sempre più, incrociando la corda un paio di volte attorno al suo collo da porco. Rideva, pazza e psicopatica, mentre il suo volto diventava paonazzo per il soffocamento «Io. Non. Parlerò. Mai.» - gli sibillò ad un passo dall'orecchio, prima che lui spirasse tra le sue gambe. Quindi avrebbe spinto il corpo esamine in terra e avrebbe liberato le proprie caviglie, cercando di far riprendere la circolazione, per poi derubare qualcosa dal cadavere (un tesserino, un numero di cellulare o - perché no - proprio un cellulare per vedere chi lo mandasse) e si sarebbe preoccupata di trovare una via d'uscita.
    Alla fine contava solo una cosa: Brian era salvo.
    Ops.
    Resilienza I: 32/32 Resistenza, 30/30 Coraggio
    alyce coffey

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    Si ringrazia Ciocco Fluffy per l'idea ♥

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    «I'm ready to go
    I'm ready to go
    Can't do it alone
    Can't do it alone»

    Già, ogni singolo giorno aveva l'impressione di non farcela da sola. La scuola non era stressante in sé, quanto il pensiero di non essere all'altezza di quello che la sua famiglia volesse. Non andava bene, non era quella giusta e lei sentiva questo peso, lo faceva ripercuotere su quanto faceva, era sempre nervosa, sempre agitata e ogni giorno, almeno una volta al giorno, finiva in qualche rissa solo perché aveva fatto qualche disastro a scuola.
    Le sembrava di toccare il cielo con un dito, quando riusciva a provocare qualcuno fino al punto da far scoppiare un gran bel casino. E quella volta aveva fatto lo stesso, ancora una volta si era presa a pugni con un maschietto, con uno del primo anno.
    Ne era uscita vincitrice anche quella volta, seppur con un labbro spaccato e ora era sotto un albero di ciliege e cercava di allontanare quella sensazione di essere sbagliata dalla testa, con una canzone che provava a seguire per far volare via la mente.
    L'idea che anche quella volta sarebbe stata ripresa dalla preside, magari un'altra lettera a casa, una sospensione e ... stare con quel padre che non vedeva l'ora che tornasse a casa.
    No, non poteva andare. Doveva pensare ad altro. Giochicchiava con il laccetto delle sue cuffie, color magenta, arrotolandole al proprio dito. Aveva mandato un gufo a Peter, chiedendogli di raggiungerla, non era potuta andare alla partita a causa di quel piccolo scontro, quindi ora voleva chiedergli scusa e - soprattutto - trovare un po' di pace.
    Lui era l'unico e il solo che riusciva a stabilizzare la sua giornata, il fatto di non averlo sempre vicino la faceva sentire un po' persa, ma alla fine ci avrebbe dovuto fare l'abitudine, no? Non sarebbero potuti stare sempre insieme, giusto?
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