Hai qualcosa di famigliare!

Evan&Alyce

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    Evan Jack Peters ~ AcromantulaL'aveva guardata bene. Aveva guardato i suoi lineamenti, i suoi movimenti. Aveva guardato attentamente le sue azioni ed era stato fin troppo attento al suo sguardo, tono di voce e soprattutto al suo essere. Alyce Coffey. Per la prima volta, guardando una donna non aveva sentito il solito istinto di possessione, di voglia di sentirla propria e soprattutto di sottometterla. Il che lo aveva reso strano, nervoso, nevrotico e meno tranquillo del solito. Aveva fatto delle ricerche ed aveva trovato un pò la sua storia, ma niente di particolare. Sui social non c'era niente, alla gringott non parlavano neanche morti quelle stupide bestiacce, e della sua famiglia si sapeva veramente poco. Avrebbe dovuto chiedere al suo medico, o comunque cercare delle informazioni, ma non aveva idea, che in realtà, la persona che in quel momento era più vicino a lui, era la parabatai della persona più vicina ad Alyce e di conseguenza la chiave per determinate informazioni. Aveva chiesto in giro, aveva fatto di tutto pur di non arrivare a quel momento impreparato, ma niente. Non aveva trovato niente di davvero esaustivo. Niente che lo aveva pienamente soddisfatto e visto che Evan era una faccia di culo non indifferente, aveva deciso di presentarsi nell'unico posto dove avrebbe potuto parlare liberamente e soprattutto lontano da occhi indiscreti.
    Entrò nel locale con una camicia bianca, una giacca nera ed un pantalone elegante, aveva anche la cravatta un pò slacciata al collo. Scarpe eleganti, capelli sistemati a pennello. Per una volta era uscito senza occhiali da sole e soprattutto era sobrio, il che poteva essere potenzialmente peggio di quando era ubriaco visto e considerato che quando faceva qualcosa di realmente assurdo e malvagio non beveva mai ne tanto meno si drogava. Gli piaceva essere lucido ed assaporare il dolore degli altri, gli piaceva sentire le urla, gli strepiti e soprattutto le suppliche, quelle erano la parte che amava di più. Voleva far del male ad Alyce? No, non per il momento, voleva solamente capire perchè sentiva quel senso di appartenenza, quel senso di famigliarità nel suo tono di voce, nelle sue movenze. Non era mai successa una cosa del genere eppure...Si mise seduto al bancone, si guardò intorno e quando una ragazza si avvicinò a lui per servirlo, Evan scosse il capo. No, io voglio Alyce. Rispose semplicemente. La ragazza aveva solamente un'alternativa, sparire e chiamare la proprietaria. Si mise comodo e si coninutò a guardare intorno, cercando, effettivamente, di memorizzare più cose possibili di quello che aveva intorno. Non gli piaceva non avere il controllo delle cose, non gli piaceva essere preso alla sprovvista ed essere confuso.Evan aveva degli schemi che rispettava meticolosamente sempre, fuori da quelli, impazziva.


     
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    Quella era una di quelle sere in cui Alyce aveva deciso di cimentarsi nel--- No, bugia. Non aveva voglia di fare un cazzo come sempre, se ne stava a guardare la sala torture con un orgoglio pazzesco e si assicurava che Silene la pulisse alla perfezione.
    Se ne stava poggiata a quello stipite, con le braccia incrociate sotto i seni e il telefono in una mano, la mancina per la precisione. Addosso aveva una specie di vestito cortissimo verde smeraldo, legato in vita ma che lasciava scoperto il seno e con esso il suo reggiseno di pizzo. Dal collo pendeva la collana che Brian le aveva regalato inaspettatamente, ormai parte integrante di quella pelle.
    «Secondo me dovremmo aggiungere qualche altra macchina... insomma, rinnovare un po'...» - lo smeraldo le brillava in maniera poco umana, nel parlare di tutte quelle possibili leccornie della tortura.
    Scrisse un messaggio a Brian «Voglio sistemare la stanza dei giochi, mi dai una mano oggi pomeriggio?» - inviò il messaggio, giusto in tempo prima che giungesse Rebecca, correndo da lei «Alyalyaly.» - la rossa si girò già esasperata «Becca, ti taglio le corde vocali se non la smetti di chiamarmi. Cosa c'è?!» - sbuffò, tornando a guardare la sua stanza preferita «Un cliente. Vuole te.» - aggrottò la fronte «In che senso?» - la ragazza scrollò le spalle «non lo so, gli ho chiesto se voleva passare una notte da favola e mi ha detto che voleva te.» - Alyce sollevò gli occhi al soffitto «E tu ti sei arresa facilmente. Ti ringrazio. Ma lo sai che l'unico cliente che servo personalmente è Brian.» - Becca scosse il capo con forza «No, Aly. Devi venire, è uno dei nostri.» - Alyce scattò sull'attenti, come se quella fosse la cosa più importante che Becca doveva dire e che stava omettendo. «Dobbiamo fare una lezione sulle notizie di primaria importanza, Reby.» - quindi affrettò il passo e si diresse al bancone dove c'era Luke a sistemare i bicchieri. Cercò tra i clienti un volto conosciuto e si soffermo su Evan. Lo aveva visto quella volta allo stadio, ma non ci aveva scambiato parole, se non sguardi di intesa che lasciavano ben intendere quali fossero i suoi interessi comuni alla rossa. Si avvicinò, il suono dei tacchi rimbombava sulla pedana del bancone «Mi hanno detto che mi cercavi.» - non era una che girava troppo intorno alle cose. Fisso il suo smeraldo negli occhi di Evan. C'era qualcosa di già visto nel taglio dei suoi occhi, ma cosa...
    alyce coffey

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    Era li con il chiaro intento di parlare con Alyce. Non era un tipo che pagava ne per l'alcool, ne per le donne, ne per assolutamente niente. Evan aveva delle altre abitudini e comunque amava il suo lavoro da buttafuori nel locale di seconda mano fuori londra. Insomma era una persona abitudinaria e non gli piaceva cambiare moltissimo, ma quella cosa era importante. Era come se fosse legato ad Alyce da qualcosa, si erano capiti al volo e non si erano mai neanche parlati. Era come se la conoscesse da una vita, ma non riusciva a capire da dove provenisse quella sensaizone. Non beveva ne si drogava da giorni, quindi non era quello il problema. Attese li, al bancone sbuffando e guardando culi con un certo interesse, ma perdendone subito una volta che il suo sguardo si era posato su di un'altra ragazza. Non c'era niente e nessuno che lo avrebbe distratto dal suo intento, era come se fosse preso da un'unico scopo e lui non riusciva a distogliere l'attenzione su qualcosa che voleva veramente. Voleva scopare con lei? Assolutamente no, almeno non in quel momento. Era come se volesse sapere chi fosse realmente. Quando la vide arrivare, riconobbe il passo determinato e spedito e non fece altro che tirarsi leggermente su e sogghignare. Le diede una rapida occhiata. Aveva gusto nel modo di vestirsi anche se la trovava... come dire? Volgare? Nah, non sarebbe stata la parola giusta, ma in quel momento non aveva nessuna voglia di parlare dei vestiti della ragazza. Di quelli non gli interessava niente. Fece un respiro profondo come se volesse sentire davvero il suo odore. Evan non era un puffoletto e non era uno che girava intorno a niente. O meglio dipendeva dal mood che aveva in determinate circostanze, ed in quel momento, la sua massima priorità era levarsi quel tarlo dalla mente.Come si chiamava tuo padre? Perchè parlava al passato? Era morto? Il suo sicuramente si, insomma, lo aveva bruciato vivo, certo che era morto! Sorrise compiaciuto al ricordo. Una persona troppo assente, come se avesse una doppia vita e lui non era secondo, ne terzo a nessuno. Insomma, chi poteva davvero mettere al secondo posto uno come lui? Impossibile, e comunque se succedeva poi si pagava un prezzo veramente, ma veramente troppo alto: la vita. Chissà se Elly era disposta a pagare quel prezzo!Comunque i suoi occhi vennero puntati in quelli smeraldo di lei. Voleva una risposta secca. Un nome ed un cognome.
    Evan Jack Parker

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    Evan Jack Parker - 28 anni
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    Non che fosse strano che uno dell'acromantula bazzicasse in quel posto, ma difficilmente chiedevano insistentemente di lei. Era qualcosa che capitava solo in casi eccezionali, quando qualcuno aveva necessità di accedere ad aree riservate. Nemmeno Brian rientrava tra quelli che chiedevano di lei, ma semplicemente perché lui entrava e si prendeva esattamente quello che desiderava. Ma tralasciando questo tergiversare, quando Alyce arrivò da Evan lo guardò intensamente come se ci fosse qualcosa di familiare in quello sguardo, qualcosa che non riusciva a capire, ma era come specchiarsi in una lastra riflettente. Scosse il capo, forse si era calata troppe droghe quel giorno, quindi cercò di nuovo di concentrarsi su quello che doveva realmente fare: prestare attenzione ad Evan.
    Eppure quella sensazione di averlo già visto, di avere ricordi confusi con lui, era troppo forte che iniziava quasi a farle girare la testa, forse doveva distrarsi e per farlo volse appena le spalle al biondo e preparò due shottini di vodka liscia, qualcosa di forte per far si che quel giramento di testa smettesse (?), funzionando palesemente al contrario.
    Sbattè il vetro sul tavolo, sentendo palesemente i suoi occhi addosso. Che diavolo voleva?
    Buttò giù la vodka, fresca e aspra come sempre, ma decisamente dall'effetto lenitivo e subito mise le mani avanti «Guarda che io non vado a le---» - lo smeraldo di Alyce, fino a quel momento privo di ogni singola emozione, spento e vuoto, si sollevò con lentezza in quello di Evan. Di nuovo quella sensazione.
    Quella domanda, però, l'aveva pietrificata. La mascella si indurì perché i denti strinsero come se volessero spaccarsi tra loro.
    Di scattò tornò dalla bottiglia di vodka e se ne verso un secondo shottino, lo buttò giù e «Sono figlia di puttana.» - disse guardando l'interno vuoto del bicchierino, prima di tornare su Evan «Sei venuto per questo? Mi spiace, non conosco mio padre.» - e mentre proferiva quella parola, Evan avrebbe potuto vedere la sua faccia deformarsi in un'espressione di disgusto, come se volesse vomitare a dire la parola padre.
    Che cazzo di domanda era, poi, quella? Non era sicuramente nella norma chiedere una cosa del genere, sapeva che c'era questa usanza nei paesi del sud italia, chiedere "a chi sei figlio tu?" ma qui non eravamo in sud Italia.
    Ancora vodka.
    Ancora lo guardò.
    «Il tuo?» - beh, alla fine erano domande per conoscersi, no?
    alyce coffey

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    CHe suo padre fosse una merda lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene, ma era come se qualcuno gli avesse detto qualcosa di non troppo vero. Alla fine lui aveva un disturbo mentale, delle manie veramente da assassino e da qualcuno doveva aver dovuto riprendere. I suoi genitori, quelli che aveva bruciato erano una famiglia normale, forse troppo normale, erano una di quelle famiglie perfette che non avevano nessuno scheletro nell'armadio e stranamente con loro non aveva foto di quando era eccessivamente piccolo, ma solamente dagli 8 anni in poi. Ad 8 anni si è grandi abbastanza sapere un sacco di cose e da ricordarsi altrettante cose. Alyce, da quando l'aveva vista era come se fosse stata sempre presente, come se avesse una parte della sua infanzia dentro la sua testa, quindi doveva sapere qualcosa. I suoi occhi di quel colore particolare erano puntati su quelli smeraldo della ragazzina. A quella sua risposta sul padre rise sommessamente, ma non c'era niente di divertente.Non puoi mentire ad un bugiardo dalla nascita. So quando gli altri mentono. In realtà lui mentiva sempre e lei aveva qualcosa che gli dava un senso di famiglia, di vera famiglia che non gli era mai appartenuto. Sospirò e prese anche lui lo shottino di vodka che lei aveva preparato e lo buttò giù, poi ridacchiò ancora per quella sua contro domanda. Lo hai conosciuto e forse anche troppo bene. Quello lo disse solamente perchè era una frase ad effetto, eppure la sensazione era esattamente quella. Sapeva che c'era qualcosa in quella ragazza che li accumunava, certo la bipolarità e la sociopatia era sicuramente qualcosa di importante, ma c'era dell'altro. Sorrise ancora poi sospirò. Matthew Coffey. Poi ho avuto anche un altro padre di nome Carl Peters. é morto. Credo che lo sono entrambi. Il tuo? Aveva scoperto da poco quella piccola discrepanza della sua vita. Aveva ritrovato dei vecchi documenti di suo padre ed aveva letto un pò di cose, ed alla fine aveva anche scoperto che lui non era un Peters, loro non potevano avere figli e quindi, visto che erano ricchi, avevano pensato bene di comprarne uno. Un bambolotto, una cazzo di merce di scambio. Ma non disse nulla. Una famiglia ricca che decide di levare un bambino da un padre cattivo e da una madre che non si meritava quei ricci biondi. Erano quelle le giustificazioni che si erano dati i suoi vecchi genitori. Era così, che alla fine si erano scusati con il loto stupido dio. Si morse il labbro ed attese, poi tese il bicchierino per farle capire che poteva versarne altra, perchè ne avevano bisogno. Entrambi.
    Evan Jack Parker

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    Evan Jack Parker - 28 anni
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    Alyce non era un animale atto alla socializzazione, tanto quanto non fosse atto alla riproduzione. Ancora aveva in mente di potersi tatuare la runa della sterilità, perchè alla fin dei conti, essere genitori era uno schifo, si finiva ad odiare chi si metteva al mondo, anche quando lo si era desiderato tanto da fare in modo che non fosse solo uno il figlio, ma due o forse, addirittura più di due, no?
    Lei e Peter avevano imparato a caversala una con l'altro, eppure non era bastato a non dividere i due, quando Alyce era riuscita finalmente a scappare dalla casa paterna.
    Non era bello essere genitori, era una merda! E si finiva per far del male ai propri figli, per il puro gusto di voler il piacere tutto per sé.
    Era quello che era successo a lei e nessuno le avrebbe tolto dalla mente che i genitori sono anche altro.
    Ora, fare faccia a faccia con la realtà, significava dover ammettere di avere un padre che probabilmente ancora la stava cercando per completare il suo divertimento con lei, adesso che era cresciuta e anche più consapevole di quello che le avrebbe potuto fare, lui si sarebbe divertito ancora di più.
    Eppure aveva imparato che a quella domanda, su chi fosse il padre, lei avrebbe risposto sempre così, di essere figlia di puttana, una prostituta che poverina era stata poco attenta, tanto la madre non si discostava troppo dall'essere una puttana, anche solo per come l'aveva lasciata nelle mani di quella merda che lei diceva di amare.
    Ora, Evan era lì, a chiederle informazioni proprio su quella parte della sua famiglia che lei volutamente aveva deciso di voler nascondere. Guardò l'affiliato ridere e rise appena anche lei, ancora disgustata dall'argomento, quindi sospirò e buttò giù un bicchiere di whisky così da togliere l'amaro che aveva in bocca; poi quelle parole di lui, lo smeraldo si socchiuse appena, nascosto tra le palpebre, per poi riaprirsi lentamente, spento e distaccato «Ma davvero?!... e da cosa hai capito che mento? Dal fatto che a prescindere da chi sia mia madre, per avermi messa al mondo deve aver per forza avuto dello sperma dentro quella sua vagina di merda?! Magari è andata alla banca del seme, no? O forse sono stata solo un pompino sbagliato, se mi avesse ingoiato avrebbe fatto metà del suo dovere.» - era veramente infastidita da quelle domande, da quell'argomento. Non riusciva a parlarne serenamente nemmeno quando lo toccava con Brian, quindi perchè farlo con lui, che era un semplice soldato dell'Acromantula? Non si era preoccupata nemmeno di mitigare il linguaggio, come se ad Evan non servissero guanti bianchi per poter indorare la pillola.
    Quando rispose alla sua, di domanda sul padre, ad Alyce quasi andò di traverso la vodka che aveva versato per entrambi «Oh, sei qui perchè tuo padre è venuto a scoparsi qualcuna delle mie ragazze? Allora mi spiace, ma esco fuori respons---» - la sua frase si interruppe e il bicchiere che aveva in mano venne frantumato con un piccolo boom nel palmo della ragazza, quando il nome di Matthew Coffey le giunse all'orecchio «Porca puttana.» - disse, mentre prendeva un mucchio di rotolone di carta per tamponare il sangue nella sua mano. Le tremavano entrambe le mani nell'aver sentito quel nome, si girò di spalle al ragazzo «Non conosco nessuno di questi uomini.» - mentì ancora, non era possibile.
    Il fatto che Evan conoscesse il nome del padre, voleva dire due cose: o si era informato su di lei, per quale motivo? Oppure era... era... digrignò i denti.
    Non era possibile. Erano sempre stati solo lei e Pete. Lui non c'era. Da nessuna parte. E lei era quella più piccola. Perchè mai doveva essercene un altro?! E perchè era lì, davanti a lei?!
    «Senti, Evan, io non so di cosa cazzo parli, ok?» - mentire era la sua difesa. Soprattutto perchè «Non credo che Coffey sia morto. La carne triste non la vogliono nemmeno lassù.» - si era scoperta e guardando quel bicchiere vuoto venirle posto, prese con la mano non ferita la bottiglia «Fa il cazzo che ti pare, non ho voglia di versare bicchieri.» - quindi ne prese un sorso direttamente dalla bottiglia e sbattè il restante sul bancone, tra lei e Evan.

    Non poteva essere...
    Uscì da quel bancone, lo aggirò e si avviò verso la sala, come se dovesse mettere a posto qualcosa.
    Non può essere...
    «Uh. Abbiamo un altro fratello, anche lui carino.
    No, non è nostro fratello. E' un impostore.
    Ma noooo, come può mentire su questa cosa?!
    Anche noi mentiremmo sui nostri genitori...
    Sì, e poi lui è bugiardo dalla nascita, lo ha detto prima.
    Secondo me è nostro fratello e voi non volete credergli perchè avete paura.
    Noi non abbiamo paura di niente, sm---»
    - un posacenere volò contro un muro, all'improvviso, nel bel mezzo del finto silenzio di quella stanza «PORCA DI QUELLA PUTTANA, VOLETE STARE ZITTE.» - le mani di Alyce si allungarono a coprire tempie ed orecchie; no, questo era troppo da poter reggere.
    alyce coffey

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    Evan Jack Peters
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    Non aveva mai avuto tatto e sinceramente la cosa non piaceva per niente neanche a lui. Come faceva a sapere che stava mentendo? Come poteva anche solo pretendere di andare a rubare a casa dei ladri? Era un sociopatico e sua sorella era una bipolare. Che bella coppia no? Non sapeva che la persona che aveva bullizzato alle superiori era suo fratello minore e che avesse una gemella. Erano fratellastri? Possibile, suo padre aveva il suo stesso cognome, ma lui aveva il cognome di sua madre, quello era chiaro, chiarissimo. Non era un coffey e neanche voleva esserlo, ma lei era sua sorella e di conseguenza lo era anche Peter? Nah, forse era tutta una farsa, forse il nome del padre era giunto a lui solamente perchè era un figlio di puttana, in fondo lui aveva bruciato i suoi genitori vivi e lo aveva fatto sembrare un incidente. Guardò i comportamenti della rossa e cercò anche di capire se stesse mentendo per vergogna, per paura o perchè, semplicemente non poteva essere vero. Il problema era solamente uno: avevano un disturbo comune e per entrambi era causato da loro padre. Lo sapeva, aveva rivisto delle foto vecchie e soprattutto, pure se non era suo padre quell'uomo era stato nella sua vita, lo sapeva, lo aveva visto e rivisto nella sua mente. Sapeva che si era scopato sua madre, sapeva che gli aveva fatto del male e sapeva anche che a lui era piaciuto sentire il dolore. Forse era la sua autodivesa. Quell'uomo poteva non essere suo padre biologico, ma lo aveva disturbato così tanto che alla fine la sua mente non aveva fatto altro che danneggiarsi. Sorrise maligno a quelle sue reazioni. Si, c'era qualcosa che lo ricordava, i suoi scatti, la sua pelle chiara. Eppure non potevano essere imparentati. Quando la vide ferirsi, non si mosse neanche di un millimetro. Sei simpatica. Ed invece pensa, sei lo sperma migliore del tuo padre bastardo! Rispose alzandosi dallo sgabello non appena lei cercò di uscire da dietro al bancone. Ma la lasciò andare via, ma non potè non seguirla. Con lo sguardo, con la mente. Aveva dei vaghi ricordi anche della rossa, ma non si ricordava il perchè, il quando, il percome. Era confuso, come se aveva deciso di rimuovere tutta quella parte della sua vita. Prima di andare in collegio era una persona, uscita da li era un'altra. E se lo avesse incontrato li? Doveva saperlo, la sua mente era corrotta e lui odiava profondamente non sapere le cose. Senza contare, inoltre, che il suo disturbo non gli permetteva di razionalizzare e lasciar perdere. Più lei scappava più lui ne sarebbe stato ossessionato, più lei chiedeva pietà con i suoi comportamenti più lui diveniva insistente. La vide lanciare un posacenere nel bel mezzo del niente e rise, rise di gusto. La scena era per lui divertente e di suo gradimento. Si morse il labbro. Mio padre è sicuramente morto in un incendio! Urlava come una femminuccia, non è riuscito neanche a proteggere la mamma. Forse era il mio padre adottivo, oppure solamente un perdente a cui mia madre a messo a credere che io ero il figlio. Non lo so. Ma Matthew centra qualcosa. Era esattamente quello il problema. Il problema che sotto quella situazione c'era qualcosa di strano. Si abbassò, prese un pezzo di vetro rotto del posacenere e poi si alzò la manica del braccio sinistro. La vedi questa? Me la sono fatta in un collegio. Comincio a pensare che non sia stato io, ma io sia stato indotto. Forse volevo attirare l'attenzione oppure venivo ripetutamente abusato da un maledetto stronzo. Fatto si è che se non la smetti di rompere tutto, sarò costretto a ucciderti. Questo casino mi da fastidio.Schizzofrenia portami via! La cosa divertente era che Alyce era famosa non per le sue buone maniere, minacciarla di morte forse non era proprio un'ottima idea, ma a lui cosa importava? Era un sociopatico con le manie di onnipotenza!

    RevelioGDR
     
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