Vengo qui per il libro, davvero...

@Kenna

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    Gli esami M.A.G.O. erano appena terminati e finalmente lei aveva un po' di tempo da dedicare a se stessa e alla sua vita privata. Era chiaro che le sue attività, con la fine dei M.A.G.O. erano terminate, seppur per finta, visto che doveva già prepararsi all'anno scolastico che era già dietro le porte; ma Eva aveva deciso di voler fare - per una volta - esattamente quello che voleva: andare a trovare una vecchia amica.
    Sapeva che Kenna era tornata ed aveva prelevato quella libreria a Denrise, ma purtroppo la scuola l'aveva tenuta lontana da Denrise per tanto tempo, sempre chiusa in quelle quattro mura a crescere quelli che erano i suoi figli adottivi; per questo era riuscita a scrivere solo qualche gufo all'ex collega, dicendole che ra felice che fosse tornata in zona e che sarebbe passata il prima possibile. Ovviamente il prima possibile era ormai passato da tempo, ed eccola ad affacciarsi da quelle parti alle porte dell'estate.
    L'intento non era solo quello di rivedere la mora, passare un po' di tempo con lei e far visita al suo nuovo impiego, ma anche acquistare qualcosa di interessante, che era sicura di trovare in un posto gestito da quella donna.
    Per Eva, era stata una grande perdita la MacEwan, per lei era quasi diventata un'amica, un punto di riferimento, ma le sue ricerche e il suo lavoro aveva fatto sì che le loro strade si dividessero. Tuttavia, ora che era tornata, non poteva certamente piangersi addosso e non correre da lei. Beh, correre, che parolone visto che erano passati mesi e mesi dal suo rientro, e lei si presentava solo ora.
    Aveva indossato qualcosa di molto semplice: un vestitino di tela di lino bianco, con dei piccoli richiami forati, scollo a V; appena si intravedeva il suo intimo color carne. Ai piedi aveva un paio di sandali verdi, dal tacco medio, quasi 10 centimetri, che richiamavano il colore dei suoi occhi smeraldo; qualche spruzzo di un profumo naturale al muschio bianco e via, era pronta!
    Arrivata alla porta della libreria avrebbe bussato con delicatezza «Kenna, si può? Sono Eva.» - avrebbe detto con tono gentile, affacciandosi alla legnosa semi-aperta, notandola solo dopo aver bussato.
    Eva Ivanova

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    Il Leabharlann si stava dimostrando un porto sicuro sia per gli abitanti del villaggio che per gli inquilini temporanei di Hiddenstone. A dimostrazione parlavano gli incassi che man mano erano aumentati, esponenzialmente con le sue partecipazioni alle spedizioni dell'isola. In quasi un anno di vita la libreria sembrava risplendere come un diamante, molto più luminoso anche delle sue più rosee aspettative. Ed un bilancio fu costretta a farlo in pochi battiti di ciglia, non appena una zaffata di muschio bianco solleticò le sue narici prima ancora di vedere una donna per cui aveva provato una forte attrazione sessuale in passato. Eva Ivanova nel suo vestitino di lino traforato a metter in evidenza le sue curve era a dir poco magnifica, da mozzare il fiato. E lo trattenne per qualche secondo la scozzese, cercando di richiamare una briciola di contegno oltre che un sorriso il più vicino possibile ad uno naturale. Un elemento stonante per i ricordi della rumena così come il tipo di abiti che indossava, decisamente lontani dalla gonna a tubino e blusa di seta che caratterizzavano i suoi outfit accademici. Infatti indossava un vestito alla greca dai toni della terra con ricamati all'apparenza dei simboli privi di segno ma che in realtà erano riproduzioni di sigilli runici ricamati. Ai piedi un paio di sandali alla schiava di cuoio, intrecciati per tutta la lunghezza del polpaccio. I capelli lasciati liberi e mossi in morbide onde. «Certo che si può. Benvenuta al Leabharlann». Superò il bancone, andando ad accoglierla con l'intento di stringerle una mano -la sinistra con la sua destra- non nel tipico segno di saluto. Le iridi verdi in quelle appena più chiare della docente di Incantesimi. «Finalmente libera, eh? Come sono andati i M.A.G.O. quest'anno?» Continuava a scrutarla, come alla ricerca di qualcosa. «Mi hanno detto che quest'anno hai preso il mio posto come responsabile dei Dioptase. Come stanno i miei... ehm, gli studenti?» Se l'avesse permesso l'avrebbe accompagnata verso il giardino interno, invitandola a sedersi ad uno dei tavoli e sedute in pietra, mentre con un paio di colpi di bacchetta chiuse i battenti del negozio e appellò un paio di bicchieri con un vassoio su cui erano adagiati diversi alcolici, cui la stessa donna avrebbe potuto servirsene in completa autonomia. «Allora... cosa mi racconti? Come stai?» Le labbra appena bagnate da un velo di Ogden Stravecchio, mentre nella sua mente arrivò la realizzazione di quello che cercava forte e chiaro. Per tutto quel tempo aveva cercato una traccia, la più piccola, di nocciola, come quella che pennellava una delle iridi di Garlic.
    Kenna Ivonne
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    Le spese erano solo una scusa, per la rumena, usata per entrare in quella libreria e andare a trovare quella vecchia amica che aveva lasciato la scuola come sua collega. Per Eva era difficile ammettere quanto avesse sofferto per la mancanza di un punto di riferimento come Kenna, ma era pur sempre vero che le sue emozioni erano spesso contrastate dal fatto che avesse sempre la mente occupata in qualcosa da fare, o nella preoccupazione per i ragazzi che stava crescendo.
    Quando sentì la voce della mora, quasi respirò di nuovo, cancellando dalla sua mente quell'idea di non essere la benvenuta in quel posto, che poi, perché mai?!
    La voce della libraia le fece allargare il sorriso sul volto, mentre i suoi capelli si tingevano di un rosato delicato, simile a quello che aveva toccato le sue gote.
    Strano fu quel suo stringerle la mano, diverso dal classico saluto, ma non disse niente, afferando quelle dita e riscoprendo il calore (battutona per una frigidona come Kenna!) della mora.
    Sospirò come se si stesse togliendo una benda dalla bocca e stesse riprendendo fiato «Oh sì. Finalmente ho un attimo per dedicarmi a me.» - confessò, senza però spegnere quelle labbra e lasciandole a mostrare quella parentesi sollevata. Scrollò le spalle «Ho avuto paura come sempre che i ragazzi si facessero male, ma devo dire che se la sono cavata meglio di molti altri degli scorsi anni. Ogni anno che passa, sembra che questi ragazzi siano nati per combattere.» - si arrestò nel parlare, prendendo fiato «Non so se esserne fiera, o averne un terrore terribile, mia cara...» - confessò sinceramente alla donna, mentre cercava i suoi occhi in cui specchiarsi. Annuì appena e sorrise a quella sua domanda «Stanno tutti bene. Crescono come un panetto di pizza.» - rise appena, per poi aggrottare la fronte «E non mi chiedi di Ensor? Dannazione, continua a terrorizzare gli studenti.» - ancora rise mentre la seguiva nel giardino sul retro.
    Si guardò attorno, sgranando le iridi celesti «Wow. Questo posto è magnifico Kenna. Un piccolo angolo di paradiso...» - disse, accomodandosi sulla seduta in pietra.
    Si rilassò decisamente da quando era entrata e prese la bottiglia di Diesus per versarsene qualche goccia. Si bagnò le labbra sentendo il sapore forte delle erbe, quindi giocò con il bicchiere tra le dita «Quest'anno è stato piuttosto tranquillo, devo ammetterlo. Tranne per il piccolo intoppo avuto col ministero, a Maggio dello scorso anno. Hai saputo?» - disse, chinando lo sguardo sull'interno del suo bicchiere. «A te, invece? Come vanno le cose?» - domandò per sincerarsi delle sue condizioni.
    Eva Ivanova

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    Kenna doveva ammettere di come il fascino e la bellezza della Ivanova non erano cambiati. Era sempre una bella donna capace di scatenarle degli istinti altri, ma sebbene il suo corpo avrebbe comunque potuto rispondere a quegli stimoli sensoriali il muscolo che contribuiva a mettere in circolo il sangue e a mantenerla viva sembravano pensarla in un altro modo. Neanche il rosa tenue delle gote e poi della sua chioma sembrarono far breccia nel muro della libraia, conscia di come solo uno -se si fosse impegnato davvero- sarebbe stato in grado di abbattere la protezione made in Garlic. Scacciò i lineamenti di quell'uomo prima che potessero formarsi nella sua mente, riappropiandosi del suo arto con un sorriso accennato e raro. «Quindi devo attribuire al tempo la colpa per non essere venuta prima a trovarmi?» Stranamente non c'era asprezza in quelle parole -in realtà bastava la scelta delle stesse- ma la metamorfa avrebbe potuto comprendere un leggero risentimento, bonario, nei suoi confronti. Era convinta che una volta sparsa la voce sulla sua attività la rumena si sarebbe presentata per prima nella libreria, invece erano passati quasi dodici mesi prima di vederla lì dentro. Si erano allontanate e la colpa non era attribuibile a nessuna delle due.
    In ascolto, la strega si ritrovò a domandarsi più volte qual'era l'obiettivo ultimo della somma idiota che sedeva sullo scranno più alto della scuola: stava forse preparando un suo esercito o semplicemente andava alla cieca? «Spero che stiano allenando anche il cervello e l'anima, oltre ai muscoli», commentò asciutta alle parole della docente di incantesimi e sul ritratto dipinto sui suoi ex studenti. Nati per combattere andava bene se bilanciati da pensiero critico e spirito di osservazione e non furia cieca. Voleva che comprendessero i sottili meccanismi della società e non solo a produrre un Patronus corporeo, a tracciare sigilli o a evocare fiamme infernali. I suoi ex colleghi sarebbero stati in grado di ampliare il loro raggio di azione o erano troppo soggiogati dai fili che la Burke tirava dalla sua stanza? L'odio per quella donna non accennava a diminuire ed era perfettamente consapevole di come mai le sarebbe passata. Aveva contribuito a fondare a quella scuola, l'aveva diretta e guidata per anni ed era stata scacciata via neanche fosse stata una mosca su una montagna di escrementi fumante. Era la mancanza di riconoscenza che più infastidiva la scozzese e a quello non ci sarebbe mai stato risarcimento. Si era trincerata dietro una maschera di freddezza, continuando a mandare di sé l'immagine dell'indifferenza fino a quando un leggero strabuzzare d'occhi non rischiò di mandare in fumo tutto. «Panetto di pizza? Merlino! Per fortuna non ci sono denrisiani al momento o l'avrebbero schernita». Lei e tutti gli studenti che già erano presi di mira dagli abitanti del villaggio. E lei stava diventando proprio una di loro. Si ancorò quindi, con unghie e denti, alle osservazioni di colei che aveva preso il suo posto, quasi tranquillizzandosi nel sentire che alcune cose non erano affatto cambiate dopo il suo licenziamento. «Ensor è maledettamente bravo nel suo lavoro, meno nei rapporti umani, ma non è quello che importa, no?» Era quello che voleva la Burke o chi per lei, dopotutto. Ciò che ora interessava, comprese Ivonne, fu che lei si era liberata da quelle costrizioni, mettendo su qualcosa di suo e rinascendo dalle sue stesse ceneri. La condusse in giardino, lasciando che la donna si beasse di quello scorcio tranquillo e dal sapore di pace. «L'idea era proprio quella, di trovare un posto accogliente», probabilmente per l'altra sarebbe stata stridente la sua affermazione, visto che il suo carattere era letteralmente diametralmente opposta rispetto alla descrizione di quel luogo. «Molto più di me, almeno». Rimase sorpresa nel vedere come la bionda avesse scelto un amaro ad una vodka liscia, ma non lo diede a vedere trincerandosi dietro qualcosa di ben più forte del Diesus.
    «Sì, le voci mi sono giunte» e probabilmente sarebbe anche intervenuta se qualcun altro non avesse deciso per lei, tra una ubriachezza molesta ed uno dei luoghi che più aborriva al mondo, ma quella era un'altra storia. Si protese nel creare un contatto fisico, scontrando la mano con il ginocchio di lei stringendolo leggermente. Aveva saputo che aveva ucciso qualcuno, che aveva affrontato un processo ma che aveva ancora il suo culo a mandolino sulla sua cattedra. Beffardo il destino. «L'importante è che tutto si sia risolto per il meglio, Eva», carezzò con dolcezza quelle tre parole a comporre il nome, cercando di imbriglliare a sé quelle iridi chiare, ritornando a posto -in assetto protettivo- per parlare di quanto fosse successo nella sua vita dopo che si erano separate le loro strade. «Direi bene. Oltre ogni mia aspettativa -anche quella di buona parte dei Denrisiani- gli affari vanno bene», decise di viaggiare su un terreno sicuro, mentre la sua mente -e il suo colorito- virarono su altro tanto da diventare le sue guance rosate. «E non solo quelli», se l'altra avesse inteso qualsiasi altra cosa lei non avrebbe fatto nulla per smentirlo. Dopotutto le sarebbe bastato fare un giro nel villaggio per sapere che al suo fianco ci fosse uno dei fabbri di Brugnir e per di più di qualche anno più giovane di lei. «Tu sempre con Black o finalmente ti sei stancata del pennuto?» Ed ingollò il bicchiere, ricordandosi di come una leggera attrazione si era venuta a creare quando lui era venuto da lei. Roba di poco conto se paragonata ad un altro uomo che risiedeva al castello. Roba di poco conto da reputare inutile la sua condivisione con la strega che aveva di fronte.
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    La domanda di Kenna la fece irrigidire appena, in un misto tra imbarazzo e disagio che aveva provato poche volte. La verità era esattamente quella, non aveva avuto un briciolo di tempo per andarla a trovare, ma detto così sembrava sicuramente una scusa e forse Eva si sentiva anche un po' in colpa nei confronti di Kenna, quasi come se l'avesse messa da parte. Annuì, ora con uno sguardo decisamente più amareggiata di prima, ma con una consapevolezza nel cuore: Kenna le stava rivolgendo ancora la parola, quindi c'era ancora modo per poter recuperare un briciolo del loro rapporto e questo spinse Eva a prendere un respiro profondo e sospirare, prima di rispondere alla sua domanda, prima con un cenno del capo, poi schiudendo le labbra che ancora sorridevano lievemente «Esattamente. E non sai quanto mi sia arrovellata al pensiero che ogni volta che avevo un briciolo di tempo, qualcosa mi impediva di giungere da te.» - e la sincerità fece capolinea nelle sue iridi che rapivano lo sguardo di Kenna.
    Alle parole dell'ex docente, Eva aggrottò la fronte «E' il mio timore principale, Kenna. Li vedo tutti pronti a usare quella bacchetta senza nemmeno riflettere su quel che stanno facendo. E Merlino solo sa quanto possa essere complicato quel che viene dopo aver agito senza pensare.» - e lei ne era ben consapevole, reduce dai vai processi e interrogatori avuto per la sola volta in cui non aveva ragionato prima di agire. Sospirò nuovamente «E per me, senza di te, è ancora più difficile ammettere di essere una delle poche nel corpo docenti che crede fermamente che questi ragazzini debbano sviluppare la mente, oltre che le braccia.» - scrollò le spalle, quindi spostando l'attenzione sulla questione Ensor «Hm? Che intendi?» - domandò quasi incuriosità dalla sua affermazione.
    Il giardino aveva reso bene l'idea di Kenna e doveva anche ammettere che non aspettava da lei un decisione del genere, vedendola sempre composta e ben poco accogliente verso gli altri. La sua consapevolezza disarmante, la fece sorridere «Devo dire che io non mi sono mai potuta lamentare del tuo modo di essere.» - le disse facendole un piccolo occhiolino di complicità.
    Si bagnò appena le labbra con il liquido scelto, quindi guardò l'interno del bicchiere, sbirciando appena le dita di lei sul proprio ginocchio, senza provarne fastidio alcuno, ritornando con la mente a quel che era successo alla laurea del Barnes, prima di ritrovarsi a sollevare il cristallo sul volto della libraria, sentendo quel tono dolce richiamarla. Le sorrise, questa volta con un accenno di malinconia in quelle labbra.
    Ascoltò con piacere come stava andando la sua vita e notò quel rossore sulle guance. Eva sgranò gli occhi e «Non solo quelli, eh? Hai ceduto al fascino di qualche denrisiano, Kenna?» - il suo tono era appena appena più gioioso, quasi pizzicato da quel senso di curiosità che malcelava.
    Annuì, poi, alla domanda su Samuel «Quel corvaccio mi ha rapita, lo ammetto a mani alte. Ci è riuscito con poco e devo ammettere che non mi aspettavo nemmeno che potesse durare così tanto, senza ritrovarmi con qualche amante nel suo letto.» - rise decisamente di gusto, mentre ritornava a sorseggiare il suo alcolico.
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