Sono qui per caso

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    Philipp Garlic
    Predone | 27 anni
    'Solo una testa di cazzo di lei poteva' con un sorriso, ancora una volta Philipp osservò l'insegna del negozio della donna che amava, pensando quanto di lei dicesse e raccontasse, proprio per il coraggio che ci doveva volere ad aprire una libreria in una terra ove per lo più la gente si vantava di essere analfabeta 'E ogni riferimento a Jonathan troglodita Baker è puramente casuale' pensò lui, ben conscio di come l'uomo fosse praticamente uno stereotipo su due gambe del denrisiano medio, incarnando tutto ciò che un denrisiano doveva essere e che grazie a dio nessuno a parte lui davvero era 'Sennò ci saremmo ammazzati da anni per due spicci'
    Scosse la testa: le sere passate a pensare a Jonathan, e non sempre in termini di invidia, erano ormai terminati, essendoci ben altre curve a tenerlo sveglio quando il sole calava. Sospirò e alla fine entrò "E' permesso?" erano le 18 oramai e il sole iniziava a tramontare, ma lui non sentiva freddo: indossava una camicia chiara color sabbia sopra dei pantaloni del medesimo colore e degli scarponi da lavoro. Si sistemò i capelli con la mano e appena vide la donna le sorrise.
    "Ciao, passavo a vedere come te la cavavi" disse lui, sgranchendosi le spalle e sistemandosi sulla schiena meglio Jeger, la sua alabarda. Avvicinò la bella magistorica e le diede un bacio appassionato "Come ci siamo già detto, io, come ogni bravo denrisiano non so leggere, quindi qui non potrei comprare niente" propose lui, ridacchiando, carezzandole poi, affettuoso, i capelli, segno di come la giornata fosse andata bene e Brugnir non lo avesse fatto uscire isterico assieme ai clienti, cosa, in effetti, non poi troppo comune.
    Dopo aver scambiato un po' di effusioni con la storica dal cuore di ghiaccio (ma non per lui: erano ben consci di essere l'uno per l'altra una enorme eccezione) il ragazzo avrebbe comunque iniziato ad aggirarsi per gli scaffali con far curioso "Qualcuno ti ha dato dell'inglese del cazzo o ti ha insultata? Io e Jeger, nel caso, saremmo felici di insegnargli l'educazione..." fece presente lui, quasi dimentico di come tutto il mondo fuori da denrise fosse definito inglese del cazzo.
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    Anche quella giornata lavorativa stava volgendo a termine. Orami il negozio aveva iniziato ad ingranare e forse ciò era dovuto al passaparola che aveva interessato il villaggio dopo gli eventi islandesi. Le visite degli autoctoni erano aumentate notevolmente, con la strega che aveva visto pian piano la cassa aumentare il fatturato ad ogni chiusura. Niente di così eccessivo o trascendentale, ma era comunque un notevole passo in avanti rispetto all'apertura.
    In quel tardo pomeriggio, dopo aver servito una curiosa nonnina in là con gli anni, era intenta a sistemare gli arrivi settimanali con ben due giorni di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Era assurdo osservare che una puntigliosa come lei svolgesse quel semplice compito con così grande lasso di tempo, ma, come già detto in altre sedi, era pur vero che avesse dato un freno a quella frenesia -quasi isterica- di dover avere tutto sotto controllo e in perfetto ordine. Per carità, alcuni atti maniacali le erano rimasti: non un granello di polvere sarebbe stato trovato lì, neanche nell'angolo più remoto del negozio.
    L'odore di pulito, misto ai libri freschi di stampa, era pregnante ogni qualvolta si superavano i battenti, senza però risultare invasivo e forse fu prima l'alterazione di quello -quando era passata dalla zona proibita all'interno della stanza principale- a farle percepire la presenza di Garlic prima ancora di sentire la sua voce. «Per te no, assolutamente», aveva alzato giusto di un ottava il tono di voce, ben consapevole di come l'eco del labirinto di scaffali avrebbe finito col raggiungere il bel fabbro. Quello, unito al rumore dei tacchi degli stivaloni sul pavimento, avrebbero permesso al biondo di scoprire la sua provenienza, anticipando quello che di lì a breve lo sguardo eterocromatico avrebbe registrato. In un semplice abito nero, in lana, con chiusura a scaldacuore, la scozzese salutò il compagno che, a modo suo, continuava a sincerarsi che la sua vita procedesse nel migliore dei modi possibile. «Tutto nella norma» soffiò sulle sue labbra, dopo aver ricambiato lo scambio di saliva ed ormoni decisamente non andatto ai minori. «Sì, in effetti Canfora è un ottimo soprammobile di qualità», lo derise bonariamente visto che Garlic, per quanto volesse farsi passare come uno dei tanti bifolchi dell'isola, possedeva una conoscenza da far invidia a buona parte della compagnia dei docenti della Burke. «Tolto te dici? No, oggi tutto piuttosto tranquillo». Il che era vero, gli insulti e le diffidenze nei suoi confronti sembravano scemare fortemente dalla fine di dicembre, ma non voleva cullarsi troppo su quello. «Ti va di aiutarmi con questi?» Indica gli scatoloni con il nuovo materiale arrivato, in particolare roba di cancelleria e libri comuni, visto che quanto di più delicato possedeva era già stato messo al sicuro. «Ovviamente se trovi qualcosa di interessante non esitare a prenderlo, solo avvisami». E con un colpo di bacchetta ordinò ad una serie di boccette di inchiostro colorato di andare a sistemarsi in uno dei tanti ripiani a loro dedicati sulla parete attrezzata al di là del bancone.
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    Gli piaceva andare da Kenna: gli piaceva sia perché nel locale c'era la sua donna, sia perché nel locale c'erano i libri 'E uscendo posso dire di essere venuto per la prima, mentre vengo anche per i secondi' si disse lui, rendendosi conto della cosa che più amava della donna: poter dividere con lei i suoi desideri, i suoi piaceri, senza sentirsi in colpa, o comunque giudicato.
    Kenna faceva quell'effetto al ragazzo, ma restava il fatto fosse una donna alquanto scorbutica e tale fu anche il suo buongiorno, che però fece allargare solo un sorriso sprezzante al giovane "Ce lo dicono spesso, su molte isole: e noi entriamo uguale!" fece presente lui, che amava bullarsi insensatamente, allorché ironicamente, degli usi denrisiani con lei, forse anche allo scopo di esorcizzare la rigida dottrina che i Garlic gli avevano inculcato nel profondo, fin nelle ossa.
    Rimase dov'era, guardandosi un poco in giro e odendo in distanza il tacchettio dei suoi stivali, quanto bastava per accoglierla col suo sguardo e, ben presto, un limone ben dato, sprendo poi come tutto fosse andato bene e nessuno avesse molestato la signora, a parte lui "Meglio così allora: togliere il sangue dalla carta è un bel casino" propose con un occhiolino, quasi incapace di rimare davvero serio fino alla fine di un discorso, lasciando libera la donna, osservandone le morbide vesti 'Thor, come cazzo fa ad essere così sexy anche in quella roba?' si chiese lui, incrociando le braccia e soffiando aria dal naso, frustrato, salvo poi seguirla e trovarsi ben presto con in mano uno scatolone.
    "Certo, tutto per te" propose con un sorriso sincero "Dove va messa 'sta roba?" chiese dunque poco dopo, seguendo lei ed iniziando a disporre tutto, un po' a mano, un po' con la magia "E comunque ok, se vedo qualcosa che mi piace, prima lo prendo e poi ti avviso" ghignò, iniziando poi a guardarsi attorno con far predatorio "Solo che sai... non so leggere, io scelgo solo dalla copertina..." propose lui, sghignazzando un poco e fancendo anche spallucce, nel mentre altre cose andavano al loro posto.
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    Inspiegabili. Kenna Ivonne MacEwen e Philipp Garlic erano una delle coppie più impensabili di questo mondo. Molto tempo prima erano rimasti vittima della chimica, un'intesa fisica che erano stati capaci di riaccendere dopo quasi un anno finendo con l'iniziare una relazione vera e propria. «Perché sto con uno come te?» Un sussurro il suo che però sapeva sarebbe arrivato al diretto interessato senza alcuna difficoltà. Insomma riferimenti alla sua natura di Predone erano continui, sperava solo che quella buccia di banana rimanesse un caso isolato e non divenisse modo per delineare la loro relazione. Aveva ancora i brividi di un vecchio partener che aveva osato delineare i loro incontri amorosi paragonandoli alla politica americana. «Ripeto: perché?» Se Garlic fosse stato solo quello avrebbe di sicuro fatto il volo dell'angelo una volta appagata la sua vagina, ma per fortuna non era così e continuava comunque ad essere soddisfatta sotto ogni punto di vista. «Ecco, andiamo meglio ora», sorrise divertita, di fatto replicando quello dell'uomo in fatto di sincerità. Si era accorta che da quando c'era lui nella sua vita rideva molto di più, il che la diceva lunga su quanto triste e grigia fosse stata la sua esistenza. «Lì, insieme a tutte le altre», ampliò con un gesto del braccio, assistendo ad un'opera di magia e manualità che mettevano ben in risalto i muscoli e quel sedere da urlo che probabilmente recava ancora qualche graffio. Graffi che sarebbero aumentati se il biondino non avesse rispettato le sue regole, dopotutto un Giudice era duro a morire. «Non funziona così», posò l'ultima boccetta di inchiostro producendo un rumore sordo. «Metti che io venga da te, trovassi una qualche arma o gingillo interessante, lo dovessi prendere e solo dopo ti avvisassi». Si avvicinò quel tanto che bastava a percepire nitidamente il suo profumo e il calore corporeo. «Non mi staccheresti forse qualche arto?» Ghignò, ben sapendo che non solo l'avrebbe fatto ma si sarebbe anche prestato ad improvvisarsi guaritore per rimarginare quanto avrebbe causato. «Lo sai che non attacca più con me questa storia, vero?» Una mano volò sulla sua spalla ad allontanare un peluco invisibile, prima di picchiettarla un paio di volte distrattamente. «Sai perfettamente che quando siamo soli» -il tono si abbassò, le labbra vennero umettate e le iridi verdi volavano dalle sue a quelle linee carnose che bramava- «puoi toglierti l'armatura del rozzo ed ignorante che tutti credono tu abbia». La mano scivolò lungo il braccio un paio di volte prima di salire lungo il collo e da lì l'indice a sfiorare leggera la tempia. «Hai una buona testa che darebbe del filo da torcere a gran parte dei professori lassù». E lo credeva davvero. Probabilmente, rispetto a quando era andata via, il corpo docente aveva subito qualche cambiamento, ma rimaneva indubbio come alcuni non meritassero affatto la cattedra dietro cui sedevano.
    «Anche perché se non fossi stato intellettualmente interessante questi mi avrebbero già annoiata da un pezzo», l'altra mano scivolò sul fianco e poi sull'addome ben definito, allungando il viso verso il suo orecchio quasi stesse per confidare un segreto. «Ma diciamo che al momento non sono ancora stanca». Le labbra lasciarono un delicato bacio sul lobo, privo di schiocco, per poi tornare a fissarlo negli occhi. «Di nessuna delle due cose». Poi avrebbe cercato di allungare una mano affinché le loro falangi si intrecciassero. «Ti va di vedere una cosa?»
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    Philipp Garlic
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    Di tanti primati in mano a Kenna ve n'era forse uno meno gradito di altri: essere il principale oggetto dell'ironia di Philipp.
    Phil e Kenna erano accomunati dall'essere due triturapalle ambulanti, sempre musoni e pronti ad elencar ragioni per non far qualcosa, eppure, stando insieme, qualcosa si era evoluto, e proprio come la moltiplicazione di due numeri negativi ne creava uno positivo, alla stessa maniera i due avevano finito collo scoprirsi a ridere, al punto di non capire manco bene perché o per come.
    Al primo sussurro sconsolato della libraia, Philipp accennò solo un sorriso, ma al sentirle ripetere la domanda, egli dovette posare le sue forti mani sulle sue eleganti spalle "Perché sono bellissimo, che domande... e perché probabilmente sono l'unico dell'isola che non darebbe fuoco a questo posto" propose lui con voce morbida ed un sorriso finale, portando un'altra valida motivazione a quell'improbabile relazione: baciava piuttosto bene.
    Un occhiolino fu regalato alla donna a seguito del suo apprezzamento, nel mentre i suoi muscoli e la sua magia venivano messi a sua disposizione per aiutarla a partar avanti le sue faccende con maggior celerità, anche se la continua ironia parve infastidire un po' il lato legale di lei, al punto di chiedergli cos'avrebbe fatto se ella fosse entrata da brugnir e si fosse preso quello che voleva.
    'Ah, perché, dovrei far qualcosa?' si chiese lui per un istante, rendendosi conto che un'arma, a Kenna, l'avrebbe ceduta volentieri. Ma stavamo parlando di un denrisiano, non di una persona onesta con sé stessa, sicché le sue parole e i suoi gesti furono un po' dievrsi "Non ti farei mai del male, Kenna... e questo lo sai" esordì lui, severo, avvicinandosi di nuovo alla sua bella, fino a carezzarne i capelli "Probabilmente ti prenderei una manina o due, tipo così..." e con una certa forza, ma delicatezza, avrebbe afferrato il suo polso destro "E ti direi che se hai le mani libere le puoi tranquillamente occupare in modi migliori che fottere cose" e a quelle parole, avrebbe tentato di infilare le falangi di lei sotto le sue vesti, a percepire i suoi sculttorei addominali, lanciandole intanto dardi eccitati dai suoi occhi diversi nel colore, ma identici nella brama di osservarla.
    Era difficile resistere alle di lei labbra, ed infatti, nonostante lei stesse anche insistendo sul fatto che non credeva alle sue baggianate riguardo il proprio analfabetismo, tentò ancora di congiungerli in un bacio carnale, sibilando quasi al percepire il tocco di lei sul suo braccio e poi alla sua tempia, al che sentì il bisogno di piegare di lato la testa e muoverla circolarmente quasi a farsi accarezzare dal palmo di lei come solevano fare i gatti "Sei troppo intelligente per non cogliere la mia banale ironia" confermò lei "Ma... ogni volta che te lo dico, metti su un broncio adorabile che ti rende ancora più sexy del solito... e io non so resistere" ammise con una risata, tentando di afferrare la mano di lei, per baciarla "E poi ti lamenti sempre che sono un musone tutto dovere e mostri... apprezza che provi ad essere auto-ironico!" concluse lui, ignorando che, forse, quello che si lamentava di certe sue rigidità sopra la vita era William e non Kenna, ma all'altra narratrice l'ardua sentenza (?).
    Avrebbe baciato la mano di lei per un po', spostandosi forse al suo avambraccio, nel mentre adocchiava un libro di magimedicina che sembrava una buona introduzione alle arti della guarigione 'Visto che giro con un coso velenoso potrebbe non essere una pessima idea...' si disse lui, salvo poi venir riportato alla donna al sentir la sua offerta.
    La osservò lievemente sorpreso, non comprendendo cosa potesse volere, ma, alla fine, inclinò un ghigno "Se lo dici così... come posso dirti di no?" concluse lui, pronto a seguirla anche all'inferno.
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    Proprio non ce la faceva: ogni volta che il suo uomo se ne usciva con una perla delle sue la MacEwen finiva o con il sollevare gli occhi al cielo o tentare di fulminarlo con una occhiataccia delle sue. In quel momento fu la seconda ad essere diretta verso il fabbro. «Solo perché gli altri vorrebbero farlo evanescere per sempre», che fosse ironica o seria non lo sapeva neanche lei. Quel che poteva affermare era che, senza dubbio, negli ultimi mesi gli introiti aumentavano esponenzialmente. Come anche le domande sul perché alla fine fosse capitolata proprio con lui, una persona distante dal suo mondo ma con cui sembrava riuscire ad incastrarsi alla perfezione, anche quando si trattava di ipotizzare le più disparate minacce.
    «Forse...» si ritrovò a sussurrare nel vederlo avvicinare e carezzare la sua chioma con dolcezza. Durò qualche istante perché poi la sua mano scese a circondare il polso in una stretta ferma e al tempo stesso morbida. «Mmm», mormorò quando venne guidata sotto la sua maglia a stretto contatto con i suoi addominali. «Interessante» riuscì a dire prima di essere invitata in un bacio che di casto aveva solo il nome. Eppure quello non riuscì a fermare la magistorica dal sottolineare come l'uomo fosse tutto tranne che analfabeta, venendo accolta dallo stesso con una risata delle sue. «Ti ricordo che se c'è un musone qui quella sono io», articolò seguendo strettamente il movimento di quelle labbra sulla sua mano prima di passare alla controffensiva.
    «Qui non sei mai venuto» annunciò guidandolo nel dedalo degli scaffali fino a fermarsi davanti alla porticina rotonda. Ovviamente i battenti principali erano stati sigillati con la magia qualche minuto prima. Catalizzatore alla mano la strega toccò diverse rune, in un ordine preciso, mormorando parole irraggiungibili all'udito di Garlic. «Penso che qui forse troverai qualcosa di più interessante del libro di medimedicina che avevi adocchiato prima», lo informò rivelando con una mano una piccola saletta raccolta con tanto di chaise long in cuoio scuro. «Qui ci sono alcuni testi rari, altri rarissimi. Capirai bene che non sono per tutti con una semplice occhiata». E avrebbe lasciato a lui la possibilità di esplorare quel luogo e, perché no, forse non solo quello.
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    Imbattersi in un garlic non era proprio la cosa migliore che potesse capitare nella vita, ma Kenna pareva starsici abituando, un po' perché a Denrise uno come Philipp passava pure per lord, un po' perché aveva un livello di scolarizzazione non pari alla media del Burundi, un po' perché era un figo da paura, con degli addominali d'acciaio che le permettevano di certo di passare sopra a molti suoi difetti. E poi sì, perché non le avrebbe mai fatto del male, se non forse un po' a letto, ma quello era un altro discorso ed era anche probabile che la libraia non se ne sarebbe lamentata, del resto, da come esplorava il suo basso ventre, anche solo per gioco, era chiaro come la nostra frigidonna lo fosse solo ad un livello superficiale: una volta accesa, era come Rossano Rubicondi, una tigrotta del materasso.
    Tentò la sua donna, del resto quel giorno era allegro, era felice, e gli piaceva provare ad estendere quello stato anche all'altra, per quanto l'approccio, un po' ironico e molesto, avesse effetti altalenanti "Solo perché col muso sei molto sexy" gli ricordò lui quando ella rivendicò per sé l'appellativo di musona "E comunque, non è manco tanto vero: io ti vedo spesso sorridere" concluse con un occhiolino, seguendo poi lei ovunque lo avesse voluto portare, il che si tradusse in un reparto un po' riservato e discreto della libreria.
    "No, qui non ci sono mai venuto... vedi che ci sono ancora un sacco di cose da scoprire di te? Per questo sei la migliore di Denrise: nessuno stuzzica un predone come te" propose, iniziando a guardarsi intorno, salvo poi dover posare lo sguardo su di lei quando si sentì colto in fallo "L'hai notato? Cazzo se c'hai l'occhio di lince" rise lui, forse un po' in imbarazzo per il fatto che lei avesse notato come la sua attenzione fosse stata catturata da un libro sui guaritori.
    Tornò a guardarsi intorno, notando molti libri rari e preziosi, anche se inevitabilmente il suo tocco cadde su un volume 'Erbivicus: breviario di piante passate di Palladium Harintolus' lesse nella propria mente, provando un naturale interesse per qualcosa di così antico e primordiale: aveva sempre avuto una segreta passione per le creature che non solcavano più la terra, bramando fin da piccolo di poterle scovare e domare.
    "Interessante" ammise lui, certo che comunque lei avrebbe notato il suo interesse 'Ed è troppo stracciapalle ed affarista per non farmelo notare!' finendo poi col volgere il suo sguardo diverso alla donna "Ma ora mi sto concentrando sui materiali... voglio migliorare come fabbro e imparare anche a lavorare il cuoio e gli altri materiali di origine animale e vegetale... voglio diventare un magitecnico completo... e poi... potrò dedicarmi alle creature estinte" del resto, la skill di Magiarcheologia non era poi così lontana, e quel libro sarebbe stato perfetto, a quel punto "Quindi prenderò quello che hai visto prima... del resto la partenza con Siugurd si avvicina e sono sicuro che tu avrai altri colpi di testa in quella Missione... e nel caso voglio poterti curare" al che storse la bocca "Anche perché i nostri druido o cagano il cazzo" ciao Airwen e Connor "O sono maghi neri" ciao Jason "Quindi chi fa da sé fa per tre!" ammise lui, incrociando le braccia e incoccando un piccolo sorriso, pronto a spendere i propri 15 galeoni, salvo poi attirare a sé la donna "Che ne dici di cenare da me?" propose poi lui con voce profonda, carezzando la di lei schiena con occhi trasognanti.
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    Sapeva di essere una bella donna. Lo vedeva nello sguardo delle persone che si soffermavano sulle curve del suo corpo messe in evidenza dai tagli dei vestiti che coprivano le sue nudità come una seconda pelle. Per quanto avesse finito con l’abbandonare le gonne a tubino strette a vita alta, che sottolineavano con eleganza il suo fondoschiena sodo e il punto vita stretto, riusciva comunque a risultare sexy, talvolta anche elegante, con fogge di diverso materiale, meno pure della seta o di un abito di alta moda.
    Sapeva di essere sexy ed affascinante quando lo sguardo altrui si soffermava sui profondi occhi verdi che si illuminavano di una luce un po’ sin istrua quando nella sua visione periferica entrava qualcosa -o qualcuno- di davvero interessante. Ma, soprattutto, si sentiva sexy quando lo sguardo eterocromico del Predone cercava di privarla di ogni singolo strato che celava la sua nudità, la sua anima.
    Eppure, la cosa sconvolgente, fortemente destabilizzante, per lei e per chiunque avesse incontrato il suo cammino furono le seguenti parole dell’aitante biondo. “Io ti vedo sempre sorridere”. Ed era vero. Sembrava quasi che il fabbro denrisiano fosse riuscito ad infilarsi in una delle crepe della sua rigida armatura per trovare quel piccolo tasto capace di far mostrare al mondo intero la schiera di denti e la distinzione di quelle labbra carnose che per anni erano state modellate in una linea di disappunto. «E allora avrai certamente notato che lo faccio solo con te». La lingua schioccò contro il palato prima che la bocca finisse con l’assestarsi in un sorriso enigmatico, complice e di facile lettura solo per l’uomo che teneva a sé per la cintola dei pantaloni.
    Se lo trascinò dietro fino a quella porticina rotonda che custodiva i suoi tesori più preziosi. Ovviamente non erano comuni oggetti: testi rari e rarissimi coloravano con le loro coste ripiani di scaffali molto più piccoli di quelli presenti nella sezione aperta a chiunque avesse varcato la soglia del suo negozio. Invece lì, con il Grimorio di Merlino a farla da padrone, c’erano informazioni, storie e magie che non tutti sarebbero stati capaci di comprendere ed usare, con il rischio che, in mani sbagliate, la terza guerra mondiale non sarebbe stata poi così lontana. Non che i conflitti dei denrisiani con il resto del mondo fossero cosa di poco conto. Eppure quel tesoro non sembrava sortire lo stesso effetto su Garlic. «Interessante? Solo interessante?!» Scoccò una occhiata sprezzante, neanche avesse offeso gli avi fino ad arrivare all’inizio della specie. «Se volevi morire giovane bastava dirlo subito Garlic». Ed il fatto che avesse la testa ancora attaccata al collo non risiedeva tanto nella mole infinita di exp, pp, quirk e compagnia bella, bensì risaliva nella consapevolezza che dietro quel sorrisino strafottente, muscoli d’acciaio e canottiere scure che lasciavano poco spazio all’immaginazione, ci fosse un cervellino davvero niente male. Il silenzio accolse i tentativi di spiegazione del suo compagno per cui finì con il produrre un sottile lamento quando, con candore, ammise che la magitecnologia era il punto di arrivo per quella sua ultima ricerca. «Sto forse sviluppando qualche strana forma di feticismo verso i magitecnologi?» Perché, ad onor del vero, il primo della categoria ad essere riuscito a squarciare il velo argento di ragnatele a protezione della sua fagiana era stato proprio Mavericks che, tra l’altro e giusto per non farsi mancare nulla, era un denrisiano. In esilio, certo, ma pur sempre un denrisiano. Un sopracciglio si sollevò quando l’uomo toccò le sponde di lidi che per lei erano decisamente lontani: il druidismo e l’arte della guarigione. Soprattutto per quest’ultima lei aveva seria difficoltà. Piuttosto portata nella manipolazione degli elementi quando si trattava di cantare un semplice emplastrum sudava freddo, neanche l’invocazione di bene con cui fasciare ferite più o meno gravi fosse ben più difficile di quella usata per chiamare e legare a sé un demone. Non che l’avesse mai sperimentato, eppure una parte di lei sapeva che quel pensiero celasse il vero. «Perché ho la strana sensazione che in quel “per sé” finirò con il rientrarci anche io?» E no, non era stato affatto dettato dall’impulso di saltare su piattaforme galleggianti sospese su un fiume di lava incandescente con squali pronti a sbranarti vivo. Tutto ciò non perché fosse ad un tratto impazzita del tutto -o forse sì- quanto perché aveva visto lui in pericolo. Accettare quel gesto e il significato che si celava all’interno non era stato affatto facile, tanto che ancora ora stava provando a metabolizzarlo. Scosse il capo veloce ringraziandolo per quell’invito che aveva tanto il sapore di un’ancora di salvezza. «Andata, ma se mi presenti di nuovo stufato di interiora di dubbia provenienza o quel maledettissimo salame, questa non la vedrai per un po’», e con eleganza formò una v con l’ausilio di braccia e mani ad indicare quel frutto non più proibito. Era dopotutto una signora di indubbia raffinatezza ed eleganza, seppur i modi rozzi dell’isola sembravano far breccia nella sua cortina di ferro. «Prima di uscire ricordati di lasciare i tuoi preziosi galeoni sul bancone e di portarti via quel noiosissimo libro». E lei con lui.
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