In the dark

Mia&Cameron

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    Ultimamente, Mia aveva cominciato a diventare una sorta di animale notturno. Dopo il primo incontro con Naga, la ragazza aveva iniziato a fare i conti con degli incubi tremendi: non era mai stata un tipo capace di dormire una notte intera senza mai svegliarsi, da bambina sognava la signora Nott, pronta a tormentarla anche quando aveva gli occhi chiusi, poi aveva cominciato a fare incubi su Charles, sulla sua natura di lupo mannaro e sulla loro fuga, e ora non aveva fatto altro che cambiare il soggetto dei suoi sogni peggiori. L’incontro con la Morte aveva aggiunto realismo e terrore ai suoi incubi, tanto che per settimane non era riuscita a dormire propriamente, finendo per addormentarsi in biblioteca o avere un costante mal di testa battente, e l’incontro con il Malboro altro non aveva fatto se non peggiorare la sua condizione.
    Da brava sciocca, non aveva mai pensato che parlarne con qualcuno potesse aiutarla, aveva accuratamente nascosto il problema a tutti, Charles compreso, e l’unica che aveva avuto modo di intuire qualcosa era stata la sua coinquilina, alla quale però non aveva mai spiegato nulla, negando più volte l’evidenza. All’inizio si era limitata a provare a rimanere in camera, fare yoga, respirare con calma, cercare di distrarsi, ma ormai aveva capito che c’erano notti in cui niente poteva davvero aiutarla se non camminare e allontanarsi dalla sua stanza.
    Non avrebbe saputo spiegarsi, se si trovava in una stanza chiusa e troppo piccola cominciava a sentire l’aria mancare, il sangue gelarsi nelle vene e finiva per terrorizzarsi, incapace di riprendersi come suo solito. Aveva imparato, negli anni, a gestire gli incubi sulla signora Nott, soprattutto da quando si era allontanata dalla Villa: sognava anche che la donna potesse trovarli e andarli a riprendere, che potesse fare il lavaggio del cervello a Charles e convincerlo che lei non valeva niente e che meritava di stare da sola, ma era qualcosa a cui se non altro si era abituata. La prima trasformazione di Charles, a cui lei aveva assistito, costretta con il fratello fuori controllo, aveva causato la nascita di nuovi demoni, e capitava che di notte la rivivesse, ma con il tempo quel tipo di sogno si era fatto sempre più raro e meno frequente, forse anche perché era una delle cose che la spaventava di meno: certo, rimaneva un lupo mannaro e sapeva che in quei momento non rispondeva davvero di sé stesso, ma sapeva che non le avrebbe mai fatto del male e quelle immagini erano state velocemente sostituite da ben altre.
    Al momento, ciò che la terrorizzava di più era la Morte, che guidava le sue azione portandola ad uccidere le persone a cui teneva di più nei peggiori dei modi. Era ovvio che non avesse potesse di scelta circa quel che poteva o non vivere nei suoi sogni, e quella notte si svegliò di colpo, il fiato corto e la pelle madida di sudore. Scattò a sedere, svegliando Zeus che sbuffò, facendo spuntare un’orecchia da sotto le coperte, dove era solito rifugiarsi, confuso e stizzito all’idea che qualcuno avrebbe provato a svegliarlo. Eppure, per quanto indisponente con tutti gli esseri umani, lo Sphynx amava la sua padrona e non impiegò molto a cominciare a leccarle una mano nel tentativo di rincuorarla in qualche modo e convincerla a tornare a letto. Si ritrovò a fissare il buio davanti a sé, illuminato a tratti dal led del suo magifonino che rischiava il soffitto. Non si impegnò per guardare la notifica, in quel momento non era nello stato migliore per fare nulla che non fosse cercare di sfuggire da quel che aveva visto.
    Scivolò fuori dalle coperte, cercando di fare meno rumore possibile e lasciò una carezza sulla testa di Zeus, sforzandosi di fare meno rumore possibile. Un brivido, causato dal freddo della stanza rispetto al caldo delle coperte, le attraversò la schiena, portandola a prendere dalla sedia accanto alla scrivania gli abiti che aveva preparato per il giorno seguente e indossarli al volo, giusto per non uscire dalla stanza in pigiama. Non controllò nemmeno che ore fossero, era sicura di aver già superato il coprifuoco almeno di un po’, e cercò di uscire dal dormitorio senza dare nell’occhio.
    Mia non era il tipo di persona che trasgrediva alle regole a cuor leggero, sapeva che cosa succedeva a chi lo faceva e non era tipo che amava fare la ribelle, ma sapeva che sarebbe impazzita se fosse rimasta in camera ancora un po’ e non era nemmeno così tanto perfettina come poteva sembrare. In quel momento non stava ragionando lucidamente, incrociò le braccia intorno alla vita per cercare di scaldarsi e di fermare il tremore alle mani, e si avviò per i corridoi, cercando di perdersi nell’ascoltare che nessuno stesse arrivando o nel non farsi scoprire fuori dai dormitori a quell’ora. Aveva bisogno di distrarsi, di pensare a qualsiasi cosa che non fosse quel che aveva visto.
    Finì quindi per girare a vuoto, senza una meta, continuando a vedere di tanto in tanto ombre dove non c’era nessuno e sentendo le sue mani, perfettamente pulite, macchiate del sangue di suo fratello, nonostante non lo vedesse da settimane. Si ritrovò a camminare a vuoto e capitò per puro caso nel corridoio che portava alla Stanza della Necessità: non ci era mai stata, fino a quel momento si era imposta di essere forte e stoica, di non cercare aiuto in nulla o nessuno al di fuori di lei, non ci stava nemmeno pensando in quel momento, era troppo presa dallo sforzo di non pensare per concentrarsi su dove stesse andando.

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    Sua sorella. Il volto sconvolto della ragazzina, le sue parole mentre pregava il professore di aiutarla col bambino... tutto quello gli risuonava in testa, mentre ansimava nel suo letto, in attesa di riprendere fiato. Si era svegliato di soprassalto dopo aver fatto un altro dei suoi fottutissimi incubi. Odiava fare quei sogni. Odiava sognare la notte durante la quale sua sorella si è suicidata a causa di un Imperio. Odiava averlo visto con i propri occhi ma non aver fatto assolutamente nulla per salvarla. Si sentiva e si sarebbe sentito in colpa per tutta la vita, sua sorella era morta ed era tutta colpa di Cameron. Si mise le mani tra i capelli e se li scompigliò, frustrato.
    Nel dormitorio tutto taceva, i suoi compagni erano caduti già da tempo in sonni profondi e quindi lui sarebbe potuto sgattaiolare nella sala comune senza essere visto, ormai provare a dormire sarebbe stato del tutto inutile. Sarebbe andato nella sala con uno zainetto, avrebbe preso un thermos di cioccolata calda e si sarebbe rifugiato da qualche parte a pensare, magari nella stanza delle necessità. Non vi era mai stato prima, ma quel luogo sembrava caldo e accogliente. Inoltre si plasmava a seconda dei bisogni di ognuno. Cosa avrebbe potuto volere? In quel momento, non lo sapeva, fatto sta che scattò in piedi ed infilò al volo un paio di vans nere. Rimase, comunque, con i vestiti che aveva usato per dormire, ovvero una semplicissima t-shirt bianca e dei pantaloni della tuta. Non aveva voglia di cambiarsi, onestamente... tanto chi mai avrebbe potuto incontrare nel bel mezzo della note, se non un noioso prefetto pronto a rimetterlo in riga? Al collo aveva persino il regalo fatto ad ogni studente dalla McEwen. Non si chiese nemmeno perché ce lo avesse addosso, tanto era sconvolto.
    Percorse la strada che lo avrebbe portato nella sala comune e, una volta là, raccattò uno dei tanti thermos. Cam amava davvero molto la cioccolata calda, era la sua bevanda preferita e non vi avrebbe mai rinunciato. Chiuse il suo zainetto ed uscì nei corridoi deserti.
    Mentre camminava, diretto al quinto piano, mille pensieri si fecero largo nella sua testa. Pensieri spiacevoli. Vide sua madre, o meglio matrigna, guardarlo con odio, incolparlo della morte della sorella. Poteva quasi sentire la voce della donna accusarlo di essere un codardo, un fallito... si premette le mani sulle orecchie, sperando che quella visione sparisse. Il suo cuore iniziava a covare un'estrema rabbia, rabbia che si manifestò anche sul suo aspetto fisico. Infatti i suoi capelli iniziarono a colorarsi di un rosso acceso, tipico di quando era incazzato. Non si accorse nemmeno di essere arrivato proprio nel corridoio della Stanza delle Necessità, di aver percorso cinque rampe di scale senza quasi respirare... ma quando si trovò davanti un muro, il suo pugno destro partì senza che potesse farci nulla. Colpì il muro, ancora e ancora, sbucciandosi le nocche che ora sanguinavano. Ma non gliene fregava nulla.
    Per quasi tutta la vita aveva dovuto convivere con un senso di inadeguatezza che lo stava distruggendo, sebbene nascondesse tutto dietro un sorriso arrogante e canzonatorio e a del tagliente sarcasmo. Senso di inadeguatezza che riusciva ad esprimere solo così, con la violenza. Per questo stava picchiando il muro, si sentiva inadeguato. Quasi non meritasse di vivere. E poi, il colmo arrivò quando gli si presentò davanti una visione. Dei capelli biondi e due occhi di ghiaccio. Un ricordo. Lui che non riusciva più a respirare, c'era qualcosa che gli bloccava la bocca e il naso. Solo che non riusciva né a ricordare cosa, né a ricordare chi gli aveva procurato questa sensazione. La sua testa era un tumulto di emozioni confuse, non ci capiva più nulla. Sentiva solo il panico che gli attanagliava le viscere. Un altro pugno contro il muro. Il suo respiro si faceva affannato, tanto da costringerlo ad appoggiare la testa contro al muro. Un altro attacco di panico. Fantastico. In quel momento, non si sarebbe accorto di nessuno, in caso qualcuno fosse arrivato nel corridoio.
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    Mia non aveva un buon rapporto con la solitudine, o se non altro non aveva un rapporto sano. Aveva sempre finito per isolarsi, per colpa sua o degli altri poco importava, ed era stata obbligata a convivere con sé stessa per anni, quando era la sua unica amica. Era abituata al silenzio, al rumore dei propri pensieri, a perdersi nei ragionamenti eppure negli ultimi tempi rimanere troppo tempo con sé stessa aveva cominciato a pesarle e anche a ferirla. Da un lato le pareva di essersi abituata troppo in fretta alla compagnia, che fosse di Jessica, Blake o chiunque altro poco importava, e di aver quindi perso famigliarità con sé stessa, di aver smesso di sentirsi così bene quando era da sola. Forse era colpa delle ultime esperienze, di quel che le era successo da quando era Hidenstone e di quanto dolore le portasse riflettere su determinate questioni, cosa inevitabile quando non era con qualcuno.
    In quel momento, per esempio, si sentiva sola e fragile, sapeva che sarebbe bastato ben poco per farla crollare e non il tipo di persona abituata a piangere fuori dalle mura protette della propria stanza. Era stanca, stanca di quel che le stava succedendo ma ancora di più del suo modo di reagire, stanca di sé stessa e del fatto che fosse sempre troppo emotiva, pronta a prendere le cose troppo sul personale. Sapeva di dover migliorare, sapeva che avrebbe dovuto impegnarsi e prendersela meno, smettere di farsi toccare da certe cose, essere più libera e vivere con più leggerezza. Avrebbe continuato ad essere una persona responsabile anche se avesse cercato di vivere tutto con meno ansia, impegnandosi ma senza distruggersi ogni volta pur di raggiungere il suo obbiettivo. Studiare era qualcosa che le era sempre venuto bene, ma quanti sacrifici aveva richiesto? Quanti notte insonni? Quante crisi di pianto aveva portato con sé? Quando spesso si era sentita inadeguata perché non era la migliore della situazione? Si sentiva stupida ad essere arrivata fino a quel punto, a continuare a chiedere il meglio da sé stessa a costo di farsi davvero del male con tutte quelle sue aspettative.
    Forse avrebbe voluto la compagnia di qualcuno in quel momento, ma non era il tipo che condivideva i propri pensieri e i propri sentimenti e non avrebbe saputo chi chiamare. Non aveva bisogno di sentirsi ancora più debole, e insieme dubitava che le parole di qualcuno avrebbero davvero alleviato quel peso che sentiva premere sul petto e che la portava a fare fatica anche a respirare. Avrebbe dovuto trovare un modo per uscirne da sola, come aveva già fatto in passato, ed era certa che camminare per quei corridoi deserti avrebbe aiutato la sua mente a calmarsi almeno un po’.
    Si stava sforzando per essere silenziosa e leggera, per passare inosservata nel caso qualcuno si fosse trovato nelle vicinanze. Infrangere il coprifuoco non era mai stato il suo principale desiderio ma si rendeva conto di non avere molta scelta e pensava davvero che una passeggiata come quella potesse concludersi senza troppi problemi. Certo, sospettava che anche altri suoi compagni finissero per uscire durante la notte, anche se era vietato, ma chi poteva mai trovare? Nessuno era così sciocco da volersi far beccare e pensava che bene o male tutti avessero trovato il loro modo per passare inosservati.
    Non stava pensando a Cameron Cohen in quel momento, da dopo il ballo non erano parlati particolarmente se non a lezione, qualche volta, e dopo la rana che gli aveva regalato – e che Mia custodiva gelosamente sulla propria libreria, al riparo dalle unghiacce di Zeus- non sapeva nemmeno più che cosa pensare. Aveva trovato quel gesto oltremodo gentile e quasi intimo, c’era qualcosa di affascinante e strano nel fatto che Cam fosse stato capace di fare qualcosa di così bello e delicato e avesse deciso di regalarlo proprio a lei. Non a Gyll o chiunque altra, ma a lei. Forse faceva così con tutte e lei non se ne era accorta, forse era il suo modus operandi e lei era così stupida da esserci cascata un’altra volta, ma quella ranocchia era così carina che non aveva potuto buttarla.
    Di certo non pensava di poterlo incontrare in quel momento, né tanto meno pensava di sentire un rumore così sordo all’improvviso. Drizzò la schiena, bloccandosi per un attimo, confusa se proseguire o meno ma era già nel corridoio, c’era chiaramente qualcuno poco distante da lei e ormai era troppo tardi per andarsene. Sussultò quando lo vide colpire ancora una volta il muro e in quel silenzio tombale non faticò a sentire il suo respiro farsi corto, affannato. Si avvicinò quindi, perché le sembrava che il ragazzo fosse in difficoltà e nonostante tutto sentì, come sempre in quei casi, la necessità di dargli una mano. Aveva avuto un solo attacco di panico nella sua vita, parecchi anni prima, ma era in grado di riconoscerne i sintomi: chiaramente da quella distanza era difficile dirlo, ma sapeva che la persona davanti a sé era in crisi e che lei doveva provare ad aiutarla.
    Di certo non aveva riconosciuto Cameron, con i capelli così rossi e da lontano non aveva capito chi avesse davanti, e nemmeno lei avrebbe saputo dire se riconoscendolo avrebbe cambiato atteggiamento. ” Cameron?” si lasciò sfuggire, ormai ad un passo da lui. Non sapeva della sua natura di metamorfomago, non ne avevano ovviamente mai parlato prima, e si ritrovò a non sapere bene che cosa fare. Conosceva quel tipo di condizione, sapeva che cambiamenti così bruschi ed evidenti potevano essere legati ad uno stato emotivo alterato, ma sapeva anche che tra lei e il ragazzo non scorreva ottimo sangue e avrebbe capito se non l’avesse voluta tra i piedi. Ma poteva davvero lasciarlo da solo in un momento simile? Senza pensarci troppo si azzardò a compiere un altro passo, cercando di mettersi tra lui e il muro, nel tentativo di impedirgli di prenderlo di nuovo a pugni. “Ti farai male.” provò a suggerire, con tono gentile e la voce bassa.


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    Era raro, ultimamente, che Cameron potesse stare solo con se stesso. C'era sempre qualcuno in mezzo che gli impediva di chiudersi nel suo bozzolo, come per esempio Mark. Certo, gli voleva bene e tutto ma a volte desiderava solamente stare da solo, senza che nessuno interferisse con la sua solitudine. Il dioptase era stanco di tutto, stanco di quell'accademia, stanco delle pressioni della madre perché veda qualche strizza cervelli, stanco di continuare a vivere sapendo di non poter mai più rivedere il sorriso contagioso della sorella, la sua dolcezza invidiabile e il suo buonumore che non svaniva mai, nemmeno nelle avversità. Lui e Arya erano come la luna e il sole. Lui più tenebroso, chiuso e taciturno... lei sempre allegra, gentile e dolce... però non avrebbe mai più rivisto tutto ciò. E la cosa lo faceva arrabbiare sempre di più. Aveva passato notti e notti insonni a vagare senza meta per la scuola, picchiare qualche muro o correre in giardino finché i polmoni non gli chiedevano pietà, finché le gambe non gli cedevano ed ogni poro del suo corpo lo supplicava di fermarsi. Finché la fatica avesse cancellato i suoi pensieri, sostituendoli solo con l'impellente bisogno di riposare. Odiava tutto quello, odiava essere così impotente davanti ai suoi mostri che lo divoravano dall'interno giorno dopo giorno, notte dopo notte senza che lui potesse effettivamente liberarsene e sapeva che non sarebbe mai accaduto, non da solo almeno. Ma il ragazzo non aveva nessuna intenzione di rivolgersi a qualcuno, preferendo quindi soffrire da solo. Un altro pugno al muro. Oramai le sue nocche erano sbucciate e sanguinanti, ma lui era sordo al dolore. Le immagini gli vorticavano nella testa feroci, la sorella che si buttava nel lago, il ghigno di liberazione del professore, lui che veniva però portato ad Azkaban, quella zazzera di capelli biondi alla quale non sapeva collegarci un proprietario... sentiva che sarebbe potuto esplodere da un momento all'altro. Poi c'era quella scuola che non aiutava per niente... professori incompetenti, a suo avviso, e professoresse con più tette che cervello... studenti idioti, egocentrici e con troppe manie di protagonismo... lezioni del cazzo... sentiva che avrebbe potuto dar fuoco a tutto in un batter d'occhio, magari con la magia usata da Barnes al porto. Lui l'avrebbe di sicuro saputa controllare meglio. Non era rato che si arrabbiasse così tanto e che facesse quei pensieri distruttivi, ma ogni volta doveva contenerli in qualche modo e soprattutto doveva nascondere quei capelli rossi che ogni volta tradivano il suo stato emotivo alterato. Ovviamente non perché essere un metamorfomago fosse illegale, ma quella particolare condizione diceva troppo di lui. Infatti, proprio in quel momento, anche i suoi capelli sembravano un incendio. Rossi con sfumature gialle e arancioni, ma in quel momento non credeva che sarebbe potuto arrivare qualcuno, quindi non si preoccupò di portare un cappello o chissà cosa, ma si sbagliava di grosso. Doveva mettere in conto che in quella scuola ben poche persone rispettavano il coprifuoco e che quindi avrebbe potuto trovare sicuramente qualcuno. E quel qualcuno, stranamente, era Mia Freeman. Cameron non avrebbe mai detto che una come lei avrebbe mai violato qualcosa di "sacro" come il coprifuoco. Sentì la sua voce gentile prima di vederla fisicamente, quindi non vi badò pensando a qualche strana illusione della sua mente sconvolta. Quindi continuò a picchiare quel povero muro innocente, scorticandosi le nocche. Il respiro sempre più corto, il cuore sempre più veloce che cercava disperatamente di pompare sangue, ma la sua rabbia era superiore a tutto ciò. Stava per tirare un ennesimo pugno, quando quell'angelo biondo si frappose fra lui ed il muro, ormai sporco del suo sangue. Stava per tirare il pugno, incurante di chi vi fosse, ma all'ultimo si fermò, cercando di contenere la rabbia che gli scorreva in tutto il corpo. Lentamente ritirò il braccio, allontanandolo dal suo viso. Quasi non sentì le sue parole, tanto era accecato dalla rabbia, ma ebbe ancora un pizzico di lucidità che gli permise di non colpire quella ragazza che era innocente, capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Dal ballo, tra l'altro, non si erano più visti né sentiti al di fuori delle lezioni.
    Che cazzo... rantolò, il respiro rotto dalla fatica. ...ci fai qui? sibilò, senza che la rabbia abbandonasse il suo corpo. Non sapevo che i teneri ametrini sapessero violare le regole sputò, acido. Era arrabbiato, non sapeva ciò che stava dicendo, forse non lo pensava, forse sì, in fondo loro non erano mai stati amici, non aveva nessun obbligo di trattarla bene. Tuttavia, si scostò quanto bastava per andare dall'altro lato del corridoio. Si appoggiò al muro e cercò di riprendere a respirare regolarmente, cercando anche di ritrovare un contegno. In quel momento, come faceva spesso, si sarebbe volentieri trasformato in un furetto come Axe e sarebbe zampettato via. Puntò le sue iridi nocciola in quelle azzurre di lei.
    Cameron Cohen -Scheda- -Stat.-
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    Di tutte le persone che credeva di poter incontrare in quel momento, non avrebbe mai pensato a Cameron Cohen. Non si era nemmeno resa conto di essersi costruita un’immagine mentale del ragazzo così precisa e definita, non credeva nemmeno di averlo già classificato in una specifica categoria di esseri umani e di aver conseguentemente pensato che fosse davvero un clichè. Non era il tipo a cui piacevano i pregiudizi, si riservava sempre il diritto di conoscere qualcuno prima di esprimere un pensiero o un parere su di lui, ma quella volta aveva seguito un ragionamento istintivo e non aveva fatto altro che andare a colpo sicuro su un’unica conclusione: se Cam era amico di Mark, significava che dovevano essere fatti della stessa pasta. Non ci aveva mai davvero riflettuto, fin dal primo istante aveva lasciato che quella convinzione la permeasse e che la portasse ad agire di conseguenza: quello era il principale motivo per cui lo aveva respinto dal primo istante e per cui aveva continuato quel gioco in cui lei non faceva altro che allontanarlo da sé e punzecchiarlo nella speranza che la lasciasse in pace, salvo poi ritrovarsi a pensarci anche quando non avrebbe dovuto.
    C’era da dire, a sua discolpa, che il ragazzo non si era presentato nel migliore dei modi, che non aveva fatto niente per distruggere l’idea che lei si era fatta di lui e che, anzi, non aveva fatto altro che assecondarla. Le aveva sempre risposto a tono, senza mai smentirsi, e non aveva fatto altro che rafforzare le sue convinzioni. Di certo non pensava che fosse possibile ricredersi sul suo conto, e di certo non pensava che sarebbe successo proprio quella notte.
    Aveva ancora tutti i suoi pensieri per la testa, il peso che sentiva sulle proprie spalle non l’aveva mai abbandonata, eppure, come ogni volta che vedeva qualcuno in difficoltà, non era riuscita ad ignorare la cosa. Avrebbe potuto fare finta di niente, girare i tacchi e andarsene, dopotutto sapeva anche prima di avvicinarsi che Cameron con ogni probabilità non la voleva tra i piedi. Nemmeno lei avrebbe voluto lui intorno, giusto? Quindi la cosa doveva essere reciproca. Eppure si rese conto della gravità della situazione e si mosse senza nemmeno pensarci, cercando di intervenire e di limitare in qualche modo i danni.
    Aveva distrattamente notato la chiazza rossa sul muro ma quando si era messa in mezzo tra Cam e la sua personale valvola di sfogo non ci aveva nemmeno pensato. Per una qualche ragione che nemmeno lei avrebbe saputo spiegarsi, in quel momento non penso al fatto che il ragazzo avrebbe potuto picchiarla, che avrebbe potuto continuare a prendere a pugni qualcosa cambiando bersaglio, o che semplicemente avrebbe potuto non fermarsi in tempo. Era troppo minuta per provare a contrastare la sua forza bruta, ed era chiaro che Cameron in quel momento avesse perso il controllo, non poteva sperare di farlo ragionare o di farlo smettere in qualsiasi altro modo.
    Non aveva mai pensato di trovarlo in quelle condizioni, aveva capito quanto fosse impulsivo e quanto potesse essere irritante, ma vederlo così sconvolto per qualcosa che ovviamente non poteva conoscere cambiò la sua prospettiva. Fino a quel momento lo aveva visto come uno spaccone, qualcuno che cercava in tutti i modi di farle saltare i nervi e di punzecchiarla proprio sui suoi punti deboli. Ora non poteva evitare di vedere il suo lato umano, improvvisamente sembrava anche lui fragile, o comunque pareva che qualcosa lo avesse turbato abbastanza da farlo esporre. Era chiaro che stesse soffrendo, o che qualcosa lo avesse scosso abbastanza da portarlo a reagire in quel modo così istintivo e brutale.
    Si rese conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo quando lo rilasciò, i polmoni che supplicavano un po’ d’aria, mentre Cameron si appoggiava alla parete di fronte. I suoi capelli erano ancora rossi, sembrava avere il fiato corto ma in ogni caso le sue parole non la toccarono come al solito. Non aveva idea se il ragazzo non avesse infierito troppo o se in quel momento niente avrebbe potuto smuoverla, ma non diede peso alla sua frase e si allontanò dal muro per provare ad avvicinarsi. “All’occorrenza…” rispose semplicemente, pacata e tranquilla. “Fammi vedere la mano, ti sei fatto male…” sussurrò piano cercando di essere utile. Non voleva intromettersi, non era da Mia fare domande scomode o cercare di indagare sulla vita degli altri, sapeva quanto potesse essere imbarazzante e scomodo non sapere che cosa dire, o non poter dire niente. Non aveva intenzione di mettere Cameron alla gogna solo per essersi comportato in modo così stupido, recentemente aveva avuto la prova che anche lei era in grado di fare sciocchezze quando perdeva il controllo e dopotutto le dispiaceva, più che altro, non si sentiva di accusarlo di nulla.
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    Mia Freeman. Sì ecco, la ragazza che meno si sarebbe aspettato che potesse violare le regole, per quanto sceme come il coprifuoco. Non lo avrebbe mai ammesso, ma si era immaginato più volte quella che potesse essere la sua routine. Se la figurava, la sera, davanti al caminetto nella sua sala comune con un libro in mano ed una tazza di thè fumante sul tavolino. Non aveva certo le basi per sostenerlo, non era mai entrato dagli ametrini, però era questo che pensava potesse fare una ragazza così rigida e scocciante. Eppure, nonostante pensasse quello, le aveva addirittura regalato una ranocchia di carta a mo di origami, cosa che faceva quand'era nervoso, infatti in quel momento se gli fosse stato dato il pacco babbano da cinquecento fogli, avrebbe fatto una montagna di animaletti di carta. Ma in quel momento tutto ciò che aveva era uno zaino con dentro un thermos di cioccolata calda e la scatolina di biscotti che lei gli aveva regalato. Non ne aveva ancora assaggiato nemmeno uno, non perché credesse che fosse una pessima cuoca -strano che Cam non lo credesse- ma perché li aveva posati sulla libreria e se n'era dimenticato.
    Oltre a tutto, non la vedeva come una ragazza particolarmente coraggiosa, perciò si stupì quando se la vide comparire tra il proprio pugno e il muro. Chissà se aveva pensato che avrebbe potuto ricevere un colpo. Probabilmente sì, visto che sembrava pensare sempre a tutto, anche se non poteva saperlo con certezza non essendo nella sua testa. Fortunatamente per entrambi, Cam riuscì a ritrovare quel minimo di controllo sufficiente a non fare qualcosa di cui con tutta probabilità si sarebbe pentito e che lo avrebbe fatto espellere, deludendo la madre. Ad ogni modo, riuscire a fermare quel pugno la considerava come una piccola vittoria. Si scostò per evitare che altri scatti potessero mietere una vittima bionda quella notte, quindi andò verso l'altro lato del corridoio e si appoggiò al muro, scivolando lentamente a sedere con lo zaino tra le gambe.
    Cercò di far tornare il respiro regolare mentre guardava quella ragazzina dai profondi occhi blu e dai morbidi capelli biondi. Cioè, Cam non lo sapeva, ma era pronto a giurare che fossero morbidi... si maledisse subito per questo pensiero da persone fottutamente deboli. Ascoltando le sue parole, nascose il pugno dietro allo zaino e non rispose subito, prendendosi ancora qualche secondo per regolarizzare il respiro e non inveire contro Mia.
    Sto benissimo, non è necessario che tu faccia mia madre sbuffò, senza però imprimerci tutta la cattiveria che avrebbe voluto. In effetti le nocche gli bruciavano parecchio, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo, quindi dopo quella frase rimase in silenzio con la testa contro il muro e il petto che si alzava e abbassava furiosamente, incapace di riprendere ancora il regolare ritmo, infatti ogni frase gli usciva quasi come un rantolo. Guardò con la coda dell'occhio se la biondina fosse ancora là o si fosse arresa di dover badare ad un caso umano come lui. Capì, comunque, che probabilmente non se ne sarebbe andata tanto facilmente, quindi lentamente -molto lentamente- allungò la mano stretta a pugno nella sua direzione, senza però guardarla. Si vergognava di essersi fatto cogliere in un momento di così intima debolezza, ma non disse nulla. Mia gli ricordava profondamente sua sorella. Anche Arya sarebbe stata un'Ametrin, se avesse avuto la possibilità di vivere... se solo quel figlio di puttana non l'avesse ammazzata. Quel pensiero non fece che alimentare ulteriormente la sua rabbia; aveva bisogno di colpire qualcuno o qualcosa, immediatamente, ma tutto ciò a cui poteva mirare erano un muro ed una ragazza. Avrebbe mai potuto picchiare una donna, diventando come quella merda di suo padre? No, non credeva che l'avrebbe mai fatto, nonostante la rabbia. Afferrò lo zaino con la mano che non stava porgendo alla bionda e la strinse con forza, sperando che quella sensazione passasse il più in fretta possibile senza che facesse male a se stesso o ad altri. Cercò disperatamente di distrarsi, tirando fuori dallo zaino -con difficoltà- il thermos e svitandone il tappo con una mano; versò il contenuto nel bicchierino e lo portò alle labbra. La cioccolata calda riusciva sempre a calmarlo, era la sua bevanda preferita e riusciva per un momento a sedarne la rabbia. Vuoi? chiese quindi a Mia, mantenendo il suo tono freddo, ma comunque di fatto facendo una gentilezza nei confronti della compagna che stava rischiando assieme a lui una punizione.
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    Mia si era sempre considerata una persona ponderata e attenta, una che prima di agire pensava largamente alle conseguenze delle proprie azioni e non di certo una persona capace di agire d’istinto. Da quando era ad Hidenstone invece si era resa conto di agire più spesso senza pensare di quanto non credesse, ultimamente aveva finito per fare prima di ragionare e per questo aveva finito per avere risultati disastrosi.
    Forse non era davvero coraggiosa, ma era il tipo di persona che riusciva a sacrificare sé stessa per le persone a cui teneva e finiva sempre per mettersi nei guai. Faticava ad ammetterlo ma Cameron non le stava così tanto antipatico, certo non era il genere di persona che poteva dire di adorare e in effetti non era il suo soggetto preferito, ma le dispiacque comunque vederlo in quelle condizioni e dopotutto si era abituata alle loro battute e alle sue frecciatine. Forse era più simile a Blake che a Mark, almeno per il rapporto che stava inaspettatamente nascondendo tra i due, mentre con Mark non era in grado nemmeno di parlare normalmente. Ad ogni modo non aveva riflettuto prima di agire ed era sorpresa, col senno di poi, di non essersi presa nemmeno uno schiaffo. Forse se lo sarebbe addirittura meritata, dopotutto si era intromessa in una situazione che non la riguardava affatto, ma lo aveva fatto con le migliori intenzioni.
    Si aspettava una risposta come quella, forse più di una scontata battuta sugli Ametrini e la loro diligenza. Seguì i suoi movimenti verso terra e alla fine si inginocchiò, dopo che il ragazzo dimostrò di accettare le sue cure. Temeva di doverlo convincere o di doverlo pregare per lasciarla fare, quando aveva cercato di aiutare Barnes in battaglia l’aveva ferita sentirlo rispondere in modo così duro, anche se ora poteva riuscire a capire le sue ragioni. Sorrise appena e cercò di esaminare la sua mano: non voleva fare la parte della madre, non era quello il suo obbiettivo, ma sapeva che cosa volesse dire avere dei demoni contro cui combattere e le faceva male l’idea che il ragazzo potesse avere qualcosa di così grande con cui fare i conti da portarlo a perdere il controllo fino a quel punto. Dubitava che fosse la prima volta, una cosa del genere non poteva capitare una volta soltanto e nemmeno per puro caso. Sospirò piano e cercò di assicurarci che non ci fosse niente di rotto: non aveva portato niente con sé a parte il magifonino e qualche fazzoletto, e la prima cosa che le venne da fare fu tamponare piano la ferita.
    Lanciò un’occhiata fugace allo zaino del ragazzo e alzò poi gli occhi su di lui. “Lì dentro hai un pezzo di stoffa, anche solo una maglietta?” domandò con gentilezza. Non voleva accusarlo di nulla, l’ultima cosa che voleva era che il ragazzo si sentisse in qualche modo accusato. Se anche per tutto il resto del tempo Mia si atteggiava da perfettina o poteva sembrare intenzionata ad essere la migliore, a conti fatti non si reputava superiore a nessuno e non pensava nemmeno di poter essere nella posizione di giudicare qualcuno per le sue debolezze. Lei per prima perdeva il controllo, semplicemente ancora nessuno l’aveva vista nei suoi momenti peggiori e forse per questo era difficile sospettare che esistessero.
    Sospirò lentamente ma notò l’altra mano del ragazzo stringersi intorno alla bretella dello zaino. Capiva da sola che non era tranquillo e non potè evitare di sentirsi in colpa perché non aveva idea di come avrebbe potuto farlo stare meglio. Inevitabilmente lanciò un’occhiata alla porta alle sue spalle e cominciò a pensare che forse avrebbero potuto trovare una soluzione. Tornò a guardare Cameron, che ora le stava offrendo qualcosa da un thermos, dall’odore caldo e vagamente speziato: cioccolata calda. Lo guardò sorpresa e accennò un leggero sorriso. “Non ti facevo tipo da cioccolata calda… ti ringrazio comunque, ma al momento non ho molta fame…” ammise piano, comunque gentile e dolce. Non voleva davvero offenderlo ma il suo stomaco era ancora chiuso per colpa dei suoi incubi, poteva anche essersi distratta prendendosi cura di Cam ma non era in grado di eliminarli del tutto, le sembrava che i suoi demoni fossero ancora lì, appoggiati sulla sua spalla, pronti a coglierla quando sarebbe stata di nuovo sola.
    Sapeva che sarebbero anche potuti rimanere lì, ma l’idea di restare in corridoio, in un posto così esposto e così poco tranquillo, non riusciva a piacerle e cominciava anche a pensare che Cam non si sarebbe mai calmato in quel contesto. Credeva abbastanza nel destino e nelle coincidenze, non le sembrava un caso che si trovassero proprio davanti alla stanza delle necessità, forse era un posto più sicuro e sicuramente li avrebbe aiutati. “So che non dovrei proportelo…ma vogliamo entrare? Forse è un posto più tranquillo…” provò a proporre, indicando con un cenno del capo la porta dietro di sé.

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    Esisteva al mondo una persona nella quale convivevano sia una smisurata impulsività sia la capacità di riflettere su ogni dettaglio prima di agire? Beh, Cam incarnava alla perfezione il concetto, dal momento che era entrambe le cose, un po' dipendeva dalla situazione ed in quella particolare, vigeva l'impulsività. Era stata proprio quella a spingerlo a tirare pugni al muro così forte da farsi male, era stata proprio quella a farlo correre per i corridoi in piena notte senza metà. Aveva trovato un posto che riteneva abbastanza tranquillo e silenzioso dove potersela prendere con il muro senza ripensamenti. Come poteva aspettarsi l'arrivo di Mia Freeman? L'ametrina con cui aveva un rapporto tutto particolare, fatto di frecciatine e punzecchiamenti, anche se erano stati al ballo insieme. A distanza di un mese quasi, ancora si chiedeva per quale motivo l'avesse invitata, se poi non aveva rispettato quel patto, sebbene non l'avesse nemmeno tormentata più di tanto, limitandosi ad ignorarla per la maggior parte delle lezioni.
    Tuttavia, nonostante la rabbia e il dolore che provava in quel momento, decise di lasciare che la bionda esaminasse la sua mano, se questo poteva giovane alle sue manie di controllo. Stava così male che difficilmente avrebbe retto una discussione senza prendere a pugni qualcosa o senza prenderla malamente a parole. Preferiva, quindi, assecondarla nella speranza che tutto quello finisse in fretta. Lasciò quindi anche che la ragazzina gli tamponasse il sangue con un fazzoletto, lasciandosi sfuggire ogni tanto qualche smorfia di fastidio. Non che la sua soglia del dolore fosse bassa, però aveva comunque le nocche distrutte! Anche se bene o male riusciva a muoverle, quindi era piuttosto sicuro che oltre le ferite esterne, non vi fosse null'altro. Badò bene a non lamentarsi a voce per non sembrare una cazzo di femminuccia. Ma anche fosse, cosa gli interessava l'opinione che lei si faceva di lui? Si limitò a sbuffare, quando lei gli fece una domanda. Tolse bruscamente la mano dalla presa di Mia e strappò una striscia di stoffa dalla sua maglietta, per poi porgergliela. No, tieni questa. Annunciò, infine. Fortunatamente aveva una neutra maglietta bianca senza nulla di speciale, se lo poteva permettere di romperla.
    Ritrasse la mano che ancora teneva saldamente il thermos ed annuì. Sì, è la mia bevanda preferita si limitò a rispondere, fornendo fin troppe informazioni private. Come se una frase del genere potesse essere privata. Bevve un sorso del liquido bollente e si beò del suo contatto contro la gola. In quel momento avrebbe tanto voluto avere un foglio di carta per fare i suoi amati origami, pratica in grado di calmarlo enormemente. Lo calmava, ma al contempo sentiva ancor più la mancanza della sorella, sua insegnante per quanto riguardasse le costruzioni di carta. Non l'aveva rivelato a nessuno, nemmeno a sua madre... poteva mai rivelarlo a quella ragazzina bionda dagli occhi grandi, che nemmeno conosceva? Non sapeva più nulla in quel momento, stava per chiederle se avesse dei fogli, quando la sua domanda lo spiazzò tanto che non seppe cosa dire per un bel po', lasciando che un silenzio teso cadesse tra i due adolescenti. Entrare con lei dentro la Stanza delle Necessità? Se solo avesse varcato quella soglia, non sarebbero più potuti tornare indietro. Sarebbe successo sicuramente qualcosa che avrebbe cambiato il loro modo di vedersi. Questa convinzione era radicata in Cam. Alzò le spalle ed accettò la richiesta. Si mise in piedi sollevando anche lo zaino e si avviò verso la sala, lasciando che la bionda lo seguisse. Appena aprì la porta, gli si profilò davanti una stanza non eccessivamente grande, piena di graziose librerie ricolme di libri e con al centro un caminetto scoppiettante. Il calore avvolgeva la stanza con dolcezza, senza essere eccessivo ma abbastanza da permettere al corpo di cadere in un piacevole torpore. Vicino ai tavoli sistemati qua e là ordinatamente, invece che le classiche sedie da biblioteca, vi erano delle comode poltrone, tipo quelle presenti nelle sale comuni, mentre vicino al fuoco c'erano anche due pouf azzurri come gli occhi della ragazza che aveva vicino. Fu su quello che si focalizzò l'attenzione del ragazzo. Si lasciò cadere pesantemente su uno di questi e tirò nuovamente fuori il thermos e persino la scatola di biscotti che Mia gli aveva regalato, posando tutto accanto a sé. Non è che per caso avresti dei fogli di carta? chiese, buttando l'occhio un po' in giro come a cercare se ve ne fossero là dentro. Forse era una richiesta inusuale ma non gli interessava molto, in quel momento. Riempì la tazza del thermos e la posò vicino al pouf dove, se avesse voluto, avrebbe potuto prendere posto la bionda. Magari le veniva voglia di berla. Dopodiché aprì la scatola e tirò fuori il primo dei biscotti a forma di cuore con su scritto "cliché" e un piccolo ghigno apparve sulle sue labbra. Era ancora scosso, ma stava lentamente tornando tutto normale. Ti sei superata, Freeman esclamò, addentandone uno. Masticò per un po' in silenzio e con faccia scura, senza quindi far capire alla ragazza se gli piacessero o no. Non male, ragazzina sentenziò alla fine, con un ghigno. In realtà erano davvero buonissimi, ma sia mai che Cameron Cohen le desse questa soddisfazione!
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    Non aveva mai pensato concretamente alla possibilità di infrangere così tante regole tutte insieme. Non aveva progettato di entrare nella Stanza delle Necessità in piena notte, non era qualcosa che da sola avrebbe mai davvero pensato di fare, ma in quel momento le era parsa l’unica soluzione possibile. Le dispiaceva vedeva Cameron in quelle condizioni, stava ancora cercando di trattarla male o di comportarsi come al solito, ma c’era qualcosa di diverso, le sue battute non erano poi così taglienti e non si stava impegnando quanto le altre volte per allontanarla. Se avesse voluto, Mia se ne sarebbe davvero andata, seppur con un quantitativo elevato di rimorsi, eppure non le sembrava che il ragazzo volesse davvero essere lasciato da solo.
    Non potè fare a meno di notare il tremore alla mano, non sapeva se fosse per colpa del dolore o per colpa del suo attuale stato emotivo. Non commentò la sua scelta di sacrificare la propria maglietta per la ferita, lo lasciò fare –ringraziandolo mentalmente per non averla costretta a strappare i propri vestiti davanti a lui, mettendola indubbiamente in imbarazzo- e cercò di improvvisare una fasciatura che potesse se non altro servire nell’immediato. Non aveva gli strumenti necessari per aiutarlo più di così, non era comunque un’infermiera, sapeva solo improvvisare fasciature e poco altro, cose che aveva imparato a fare da quando Charles era diventato un lupo mannaro. Dopotutto, non si poteva mai sapere che cosa poteva succedere, e l’idea di sapersi arrangiare la faceva sentire ben più in pace con sé stessa.
    “Dovresti comunque andare in infermieria…” gli fece notare col tono più gentile e comprensivo possibile, l’ultima cosa che voleva era fargli la predica e non aveva comunque intenzione di assillarlo con i suoi soliti “dovresti”, “dovrei”, “avremmo dovuto”.
    L’idea della Stanza delle Necessità le era balzata in mente all’improvviso, quando si era conto che avrebbero potuto trovare lì tutto ciò di cui avevano bisogno. Quel posto era tutto particolare, non era così semplice entrarci e lei non aveva idea di che cosa stesse pensando Cam. Avevano davvero bisogno di un posto dove rifugiarsi e dove ritrovare la calma perduta, si concentrò su che cosa avrebbero dovuto trovare oltre la porta e cercò di pensare a qualcosa di davvero utile. Quando doveva pensare ad un posto tranquillo, in grado di infonderle calma, raramente riusciva a pensare a qualcosa che non fosse una biblioteca, un posto caldo, possibilmente piccolo, permeato dall’odore di carta e inchiostro, con un caminetto accesso e un posto comodo dove sedersi.
    Non era un caso che quell’immagine fosse così vivida e precisa nella sua mente, tanto che avrebbe potuto anche elencare con una certa sicurezza almeno parte dei libri che si trovavano negli scaffali. Quel posto esisteva davvero, più o meno, era una stanza di Villa Nott, una piccola biblioteca secondaria e ormai in disuso, che la Signora Nott per anni non aveva nemmeno controllata. Avrebbe dovuto essere una biblioteca personale di Charles o qualcosa del genere, dal momento che si trovava sullo stesso piano della sua stanza, ma il ragazzo non passava tutto il suo tempo lì –come forse i suoi genitori, per un po’, si erano augurati- e quando Mia lo aveva scoperto aveva cominciato a rifugiarcisi ogni volta che poteva. La stanza era piuttosto piccola, ma per una bambina come lei appariva enorme e ricchissima, e più di una volta aveva speso lì ore e ore senza rendersene conto. Proprio perché in disuso, la stanza non era quasi mai riscaldata, e lei non si era azzardata a chiedere nessuna modifica per paura che qualcuno potesse scoprirla e impedirle di tornarsi. Aveva quindi finito per rannicchiarsi in una coperta, davanti al camino spento, ai piedi di una delle poltrone, e fantasticare per ore e ore leggendo qualsiasi cosa riuscisse a trovare. Non c’erano moltissimi libri adatti ad una bambina, ma il più delle volte riusciva comunque a trovare immagini interessanti o qualcosa che catturasse la sua attenzione. Nelle sue giornate passate dentro quella stanza si era sentita bene e al sicuro, e quando Charles aveva scoperto dove finiva la sorellina quando lui non c’era, si era impegnato per rendere quel posto più confortevole e piacevole possibile, anche se Mia aveva continuato ad idealizzarlo parecchio.
    Proprio per questo, la Stanza della Necessità mise a loro disposizione l’immagine di calma e serenità che Mia stava formulando –immaginava che Cameron fosse in stato emotivo alterato e di conseguenza non stesse pensando a nulla-, mostrando una stanza piccola ma accogliente, riscaldata dal calore e dal profumo famigliare del legno, con due sedute comode e morbide davanti al caminetto. Gli scaffali dei libri sembravano estendersi all’infinito, tanto il soffitto era alto, e la luce era soffusa, grazie alle piccole lampade sparse in giro e al caminetto stesso. Lì dentro c’erano pubblicazioni di ogni tipo, tutto era impregnato del profumo della carta, dell’inchiostro e della pelle rilegata dei volumi più costosi. Se ci avesse badato, avrebbe ritrovato i titoli dei libri che tanto aveva amato da bambina, compresi titoli sbagliati o distorti dalla sua memoria e dalla sua immaginazione.
    Seguì Cameron verso le poltrone e si sistemò al suo fianco, lasciando che appoggiasse le sue cose dove preferiva. Era ancora preoccupata per lui, e stava cercando di capire come comportarsi per riuscire a non farlo sentire giudicato ma piuttosto compreso e in un posto sicuro. Lei avrebbe voluto sentirsi così tutte le volte in cui era stata male, e occuparsi di qualcuno la faceva sentire nettamente meglio. Alla sua domanda la ragazza si attivò per trovare qualcosa, dopotutto erano in una stanza piena di libri e scartoffie, c’era sicuramente qualcosa di utile! Alla fine recuperò qualche pagina volante –le dispiacque strapparle da un libro ma dopotutto era la Stanza delle Necessità, la prossima volta avrebbe potuto desiderare libri che si rigenerano da soli oppure blocchi di fogli a non finire- e la porse a Cameron con un leggero sorriso. Le si scaldò il cuore nel momento in cui riconobbe la scatola dei propri biscotti: erano ancora intonsi, ma le fece piacere sapeva che non li aveva buttati chissà dove. “So di essere una brava pasticcera, Cohen, è inutile che fingi.” lo punzecchiò tranquillamente per poi lasciarlo mangiare, portandosi le ginocchia al petto e rannicchiandosi sulla poltrona. Non voleva chiedere troppo o dire la cosa sbagliata, e infondo la sua mente era ancora un turbine di pensieri, per cui optò per un silenzio confortevole, lasciando a Cameron la decisione di parlare.

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    Avrebbe mai detto che si sarebbe sentito così rilassato insieme a Mia? No, non credeva che sarebbe mai stato possibile. Lui era Cameron Cohen, uno stronzo, un pezzo di merda che trattava male chiunque indipendentemente da che vi fosse una giusta causa o meno. Eppure quella notte non riusciva a respingerla come voleva, non riusciva a cacciarla per poter rimanere solo. Cosa gli stava succedendo? Si stava fottutamente rammollendo. Ricordava ancora distintamente il loro primo vero incontro in biblioteca, quando era ancora il Cameron che credeva di essere, quando trattarla male gli veniva così facile. Ma ora... seduti sul duro pavimento di pietra di quel corridoio, non riusciva a pronunciare parole odiose, non riusciva a mettere perfettamente su il suo ghigno da schiaffi. Forse non voleva che lei se ne andasse, forse quello era solo un meccanismo di difesa per impedirgli di affezionarsi a qualcuno anche solo minimamente.
    Lasciò quindi che la biondina gli fasciasse la mano lasciandosi sfuggire, di tanto in tanto, qualche smorfia infastidita. Non era certo una fasciatura perfetta, eppure a lui andava benissimo così. Sarebbe sopravvissuto a delle nocche sbucciate, non era mica la fine del mondo. Mosse il capo come in un muto segno di ringraziamento. Non esisteva che dalle sue labbra uscisse un "grazie". Non esisteva nei confronti di nessuno.
    Non ci andrò in infermeria rispose leggermente, scrollando le spalle, tentando di mantenere il suo tono freddo e distaccato -con scarsi risultati. Aveva uno strano istinto. Quello di abbracciarla e stringerla a lungo. Così come faceva con la sorella dopo un qualche scatto d'ira del padre. Ripensare a quell'uomo squallido non l'aiuto per niente, ma cercò di rimanere calmo ed impassibile. Ricordava bene la prima volta che lui le aveva messo le mani addosso. Si era buttato tra loro per difenderla, prendendo pugni e calci al posto della sorella, ma a lui bastava che la ragazzina fosse al sicuro.
    Quindi quando si trovarono davanti quella biblioteca, sicuramente nata dalla mente secchiona della Freeman, si sentiva quasi più rilassato, mentre la rabbia scorreva lentamente abbandonando ogni angolo del suo corpo. Prima di entrare si guardò bene in giro. Non era grande, ma aveva tutto quello che doveva avere per essere confortevole. Il calore del fuoco che scoppiettava allegro nel camino lo colpì con dolcezza, eliminando poco a poco quella sensazione di freddo pungente che aveva provato nel corridoio senza realmente rendersene conto. L'odore di carta nuova, di inchiostro, di legna e di pulito gli invasero le narici. Forse se li stava solo immaginando, ma erano così buoni -per lui- da sembrare reali. E magari lo erano. Camminò verso le poltrone vicino al caminetto a passo lento ma deciso, godendosi ogni metro di quel posto così tranquillo che raramente aveva visto nella sua vita. Lasciò che la morbidezza in cui si era immerso, lo portasse ad un lieve stato di torpore che, comunque, durò giusto un attimo. Per quanto stesse bene là, non doveva abbassare le sue difese.
    Quasi non si accorse nemmeno di averle chiesto dei fogli, infatti fu lievemente sorpreso quando la bionda gli porse dei fogli. E stava davvero per chiederle come mai glieli avesse portati, quando capì che aveva realmente ascoltato la sua domanda... e che lui l'aveva realmente pronunciata a voce alta. Le prese i fogli dalle mani, senza comunque usare l'irruenza che lo caratterizzava, e li posò a terra, piegandosi lievemente verso di essi. Avevano il giusto spessore per diventare degli ottimi origami.
    Prima di tutto, però, assaggiò uno dei biscotti di Mia che ancora non aveva toccato. Erano davvero strepitosi. Ma non glielo avrebbe mai potuto dire. E poi doveva smetterla di pensare quelle cose, quasi come se Mia gli piacesse. E forse era davvero così. No, no... non poteva esserlo. Questo è un po' bruciato, però commentò. Non era vero, erano tutti perfetti, ma Cameron e l'arte del fare complimenti erano due rette parallele. La guardò sedersi affianco a lui e continuò a mangiare per un po', in silenzio. Non sapeva esattamente cosa dire, non voleva rompere quel magico silenzio ma al contempo voleva farlo. Tornò a chinarsi verso gli origami dopo aver posato la scatola e il thermos tra loro. Puoi servirti, se vuoi, eh le disse con ovvietà, mentre le sue mani iniziavano a muoversi rapide tra mille pieghe. Il primo a formarsi era un grazioso scoiattolino. Più tardi avrebbe provato a far cambiare colore ai fogli per renderli più realistici. Poi fu il turno di un Pikachu. Ti piacciono i pokémon? Puoi regalarlo a quel tuo amico Ametrino, sennò, Foster. Commentò, continuando a piegare i fogli. Creò ancora una volpe, un tirannosauro e un gattino prima di finire i fogli. Che cosa ti porta in giro a quest'ora della notte? chiese, di punto in bianco, sovrappensiero, passandosi una mano tra i capelli che, finalmente, tornarono del castano naturale.
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    Non avrebbe mai detto di potersi trovare nella Sala delle Necessità, di notte, con Cameron Cohen, in una situazione così tranquilla e così surreale. Non riusciva ad immaginare davvero che cosa avrebbe potuto dire in merito anche solo qualche ora fa, si era convinta che il ragazzo fosse distaccato e tutt’altro che fragile, lo aveva immaginato come tutto d’un pezzo e in grado di non provare alcun tipo di sentimento, di certo non si era soffermata a ricordarsi che anche lui era un essere umano e che anche lui aveva la sua serie di demoni con cui combattere.
    Era sempre stata brava a trovare citazioni che la rappresentassero, a imporsi dei valori e delle regole ben precise, ma evidentemente non era brava quanto avrebbe voluto a rispettarli: diceva tanto di voler rispettare le battaglie di chiunque, ma la prima cosa che aveva fatto con Cam era considerarlo infallibile e troppo sicuro di sé per avere davvero bisogno di rispetto. Certo, non aveva fatto niente di grave, ma si sentiva comunque in colpa per non essere stata abbastanza attenta e gentile anche con lui fin dal principio. Avrebbe dovuto sicuramente lavorare su quel lato di lei, spesso troppo impulsivo e diretto anche quando forse non avrebbe nemmeno dovuto.
    In ogni caso la Stanza delle Necessità era un ottimo modo per cercare di rimediare ai suoi errori, fu contenta di constatare che anche Cameron trovava quel posto rilassante, non fu difficile evincerlo dalla calma che ora sembrava pervaderlo e dal fatto che sembrava davvero sentirsi a suo agio. Fu contenta di aver evocato quel posto, per lei era importante ma era felice che potesse essere un posto famigliare anche per Cam, in qualche modo.
    Ovviamente sbuffò piano alla sua risposta, scuotendo la testa. “Qualcosa mi diceva che avresti risposto proprio così” borbottò piano. Non si aspettava che il ragazzo accettasse la sua idea di andare in infermiera, ma non aveva intenzione di arrendersi tanto in fretta ed era probabile che cercasse di convincerlo ancora, magari più tardi.
    Lasciò che il ragazzo si sistemasse e gli allungò i fogli con attenzione. Non potè evitare di sorridere quando lui cercò di commentare i suoi biscotti, osservando che uno di questi era bruciato. Normalmente si sarebbe almeno sporta per controllare, ma si era sforzata tantissimo per assicurarsi che fossero tutti perfetti e dubitava che gliene fosse sfuggito uno. “Ah sì?! Eppure lo stai mangiando lo stesso” si limitò a rispondere con leggerezza, per poi annuire piano al suo rinnovato invito. Davanti al calore del fuoco era più facile essere calma, e l’odore di cioccolata calda emanato dal thermos non mancava di solleticarla almeno un po’. “Grazie…” rispose per poi decidersi a prendere almeno un po’ di cioccolata. La Stanza della Necessità aveva quel nome non per niente e l’immagine di Mia era stata così precisa che non mancò di trovare una tazza di ceramica poco distante, come quelle che portava sempre Charles per poter bere assieme il thè davanti al camino. Si versò quindi un po’ di cioccolata e tornò poi a rannicchiarsi sulla poltrona, sorseggiandola piano.
    Si perse a guarda i movimenti sicuri di Cam mentre piegava la carta e si immersa in un’atmosfera rilassante ed estremamente tranquilla. C’era qualcosa di piacevole nell’osservarlo mentre si concentrava su quei fogli, qualcosa che non pensava di poter trovare proprio in lui. Sorrise quando le mostrò Pikachu e annuì piano. “Non siamo proprio amici ma sono sicura che potrebbe piacergli.” ammise con leggerezza, per quanto conoscesse poco Erik non aveva faticato ad intuire il suo amore per i Pokemon. “Il mio preferito rimane Espéon” aggiunse poi, non li conosceva così tanto ma abbastanza da conoscere il nome almeno di alcuni.
    Finita la cioccolata che si era versata appoggiò la tazza sopra ad alcuni libri lì vicino, prendendosi qualche istante prima di rispondere. " Io... Non riuscivo a dormire" rispose banalmente con una certa semplicità. Una mezza verità le era sembrata meglio di una completa bugia, non si sentiva di mentirgli in quel momento, quando tutto sembrava così calmo e tranquillo. Il ragazzo non rappresentava una minaccia lì dentro e non solo perché avrebbe trovato un modo per difendersi, ma anche perché le sembrava indifeso tanto quanto lei. Non si sentiva così bene con qualcuno di sesso maschile da anni, non pensava nemmeno che fosse possibile e le era impossibile evitare che quella sensazione di benessere si insinuasse sotto la sua pelle. Complice il fuoco caldo nel camino e il rumore delicato dei fogli che si piegavano, Mia giocherellò con la sua volpina tenendola tra le dita.


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    Per quanto non lo volesse ammettere, la vita di Cam aveva subito una grande svolta da quando aveva iniziato a frequentare quell'accademia. Diceva sempre di odiarla, che avrebbe preferito tornare a casa... non aveva chissà che amici, togliendo Mark, quindi non avrebbe di sicuro avuto nulla da perdere. Ma in realtà non era poi così sicuro di voler realmente andarsene. Quella ragazza, Mia... ogni volta che incontrava il suo sguardo, vedeva quello di Arya. Vedeva il suo sorriso, i suoi lineamenti dolci, i suoi capelli morbidi e sempre profumati... sì, avrebbe voluto allungare la mano e sfiorare con le dita quei capelli... ma per ovvie ragioni non lo fece. Per la prima volta, pensando alla sorella, non era arrabbiato, non avrebbe voluto spaccare qualcosa... semplicemente si sentiva triste, malinconico, vuoto... spento. Sua sorella non c'era più ed era solamente colpa sua. Se Cameron si fosse buttato nel lago, forse a quest'ora sarebbe viva, Arya. Forse a quest'ora lui non sarebbe così, forse... forse ora starebbe dormendo tranquillo nel proprio letto senza incubi sulla sua morte, senza rivedere nei suoi pensieri -giorno dopo giorno- il volto di quel professore che aveva rovinato la vita di sua sorella e di tutta la famiglia. Insomma, la perdita di qualcuno che amiamo non è certo un bell'evento e ti segna per tutta la vita, come a lui aveva segnato la scomparsa -l'omicidio- della sorella. Ma ora tutto quello non gli faceva provare un moto di rabbia; stare in quel luogo, la Stanza delle Necessità con Mia, lo faceva sentire più tranquillo... e non si capacitava di tutto ciò che stava avvenendo.
    Sono così prevedibile? sbuffò in risposta, guardandosi le nocche ora fasciate dalla stoffa. Sì, forse era davvero così prevedibile... Non era troppo difficile capire che mai avrebbe accettato di andare in infermeria, farsi vedere debole... no, preferiva rimanere con le nocche sbucciate e sanguinanti, non stava mica morendo.
    Perché sono educato replicò, parlando dei biscotti. Non era vero per niente; se fossero stati bruciati non si sarebbe fatto troppi problemi e buttarli, a dirle che facevano schifo e che forse avrebbe dovuto smetterla di cucinare. No, non lo avrebbe fatto. Quei biscotti erano davvero perfetti, nemmeno un angolino era bruciato, per non parlare della scritta così ordinata e formata da bei caratteri. Si era davvero impegnata per lui; normalmente avrebbe fatto qualche battuta, ma in quel momento non se la sentiva proprio di commentare quanto fosse stata premurosa, perché quell'atmosfera rilassante gli faceva persino passare la voglia di dire cattiverie o. comunque, provocarla. La osservò prendere una tazza. Wow, questa stanza è davvero attrezzata commentò non senza un pizzico di ammirazione. La visione di Mia era stata davvero fin troppo precisa, se c'erano pure piccolezze come le tazze.
    Ma ora iniziò a concentrarsi sugli origami, facendo movimenti veloci e precisi proprio come gli aveva insegnato la sorella. Avevano passato ore ed ore chiusi in camera piegando e ripiegando fogli milioni di volte, tanti tentativi falliti ma anche tante risate... era qualcosa di loro, un passatempo che non aveva mai condiviso con nessuno, dalla morte della piccola. E ora... ora lo stava facendo con Mia. Ma non si sentiva a disagio o imbarazzato, le sembrava quasi di conoscerla da sempre. Oh, se vuoi posso fartelo commentò in risposta a quale fosse il suo pokemon preferito. A sua sorella piacevano molto, quindi lo aveva tartassato -non che a lui dispiacesse- per settimane, mesi, perché lui imparasse a fare qualsiasi pokemon le venisse in mente. Ma lui lo aveva fatto con piacere, perché l'adorava, perché era una parte di lui.
    Sembri turbata commentò poco dopo, quando l'argomento si fece più serio. Anche lui, in fondo, era turbato. Quel sogno non faceva che disturbarlo, farlo soffrire... Facciamo un gioco, vuoi? non sapeva perché stesse proponendo una cosa del genere, non ne aveva idea, il Cameron Cohen di quella stanza, non era il Cameron Cohen di ogni giorno, era un ragazzo quasi umano. Fuori da quel luogo, di giorno, sarebbe probabilmente tornato come prima. In caso di assenso, avrebbe continuato. Io ti racconto un'esperienza bella e felice della mia vita, tu me ne racconti una della tua, ci stai? esplicitò così la proposta, per poi -sempre in caso di assenso- iniziare lui a rompere il ghiaccio. Quando avevo due anni, mio padre mi ha fatto il regalo più bello del mondo. Provò una fitta al cuore al pensiero del padre che aveva reso invalida la madre ed era finito in prigione, ma cercò di concentrarsi sulla parte piacevole. È tornato a casa con una donna, una donna incinta. L'ha trovata senzatetto in un angolo di una strada, l'ha aiutata e si sono innamorati... poi lei è rimasta incinta e lui ha finalmente deciso di presentarmela. Poco dopo è nata Arya, la ragazza più bella e dolce dell'universo. Un'altra fitta al cuore al pensiero della sua morte. Cosa che comunque non aveva intenzione di accennare; voleva pensare solo all'accezione positiva della cosa. Tocca a te disse poi.
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    Aveva avuto ragione se non altro, quel posto riusciva davvero a tranquillizzarla e farla sentire al sicuro come sperava, di certo non si aspettava che anche a Cameron quel posto potesse piacere così tanto, eppure era chiaro dalla sua posizione e dal suo atteggiamento quanto si sentisse bene in quel posto. Non pensava che sarebbe riuscita a calmarlo, aveva temuto davvero per i suoi nervi e la sua incolumità, aveva paura che potesse farsi davvero del male.
    Non si aspettava nemmeno che il ragazzo la seguisse lì dentro senza lamentarsi troppo, certo Cameron aveva provato comunque ad opporre resistenza alle sue idee, ma forse non si aspettava nemmeno che le desse ragione sulla questione infermeria, si aspettava che avrebbe cercato di andare contro alla sua idea fosse anche solo per una questione di orgoglio. Se non altro non si era ferito in modo troppo grave, se non altro avrebbe potuto fare a meno di grandi medicazioni ma avrebbe provato comunque a proporgli di passare a recuperare qualche benda per provare ad evitare che si infettasse o che peggiorasse la situazione.
    Forse non si aspettava nemmeno così tanta gentilezza, di certo non pensava che sarebbe stata in grado di sentirsi così tanto a suo agio quando era con lui. Mia era solita sentirsi alquanto a disagio quando aveva a che fare con i ragazzi, non era mai riuscita ad entrare a fare parte di quelle ragazze che parlavano sempre delle loro cotte e di quanto gli piaceva stare con i ragazzi, tanto che aveva passato parte della sua adolescenza a sentirsi sbagliata e diversa. Quando aveva superato tutti quei suoi ostacoli “mentali” aveva finito per vivere quella terribile esperienza con Mark, e quella era stata la battuta d’arresto definitiva per la sua vita sentimentale con l’altro sesso. Non negava di aver provato interesse verso altre ragazze, forse proprio per rispondere allo shock che aveva subito quando era solo una ragazzina.
    Non era solita, quindi, sentirsi al sicuro quando aveva a che fare con qualcuno dell’altro sesso, si sentiva sempre a disagio, in minoranza e piuttosto esposta. Era sorpresa di non sentirsi così anche con lui, Cameron avrebbe potuto farle male senza nemmeno bisogno di impegnarsi più di tanto, era ben più forte di lei, sotto diversi punti di vista, e non avrebbe faticato a metterla spalle al muro e sovrastarla, in qualunque modo volesse. In quella stanza erano isolati, sospettava che nessuno li avrebbe sentiti, e quello avrebbe dovuto farla sentire terrorizzata. Che cosa le stava succedendo? Non si sentiva minacciata da Blake, era venuta a patti con quella realizzazione, ma pensava che si trattasse di un’eccezione, stava forse diventando una regola?
    Sorrise appena di fronte al suo tentativo di nascondere quanto apprezzasse i suoi biscotti, capiva da sola che gli avevano fatto piacere e Mia non aveva un orgoglio tale da necessitare di complimenti o grandi conferme. Prese comunque la sua osservazione su quanto quel posto fosse attrezzato come un apprezzamento poco velato e sorride in modo gentile. “La mia mente sa essere molto dettagliata.” replicò con leggerezza, stringendosi appena nelle spalle.
    Di certo non si aspettava che Cameron ricambiasse la sua cortesia: Mia non agiva nella speranza di avere in cambio ciò che dava, agiva in modo disinteressato e sincero e lo faceva perché lo voleva davvero, si trattava di un atteggiamento naturale e innato. Non si aspettava quindi che il ragazzo si offrisse di farle un origami del suo Pokemon preferito, poteva sembrare una cosa strana ma lei lo reputava comunque un pensiero carino e inaspettato. “Solo se ne hai voglia…” ammise piano, arrossendo leggermente e non sapendo bene come comportarsi in una situazione come quella.
    Di certo non si aspettava nemmeno che quell’interesse proseguisse, e che Cameron si spingesse così oltre da finire per confidare qualcosa di così personale pur di farla parlare. Si ritrovò ad ascoltarlo incantata mentre parlava di qualcosa che lei non aveva mai sentito prima ma che riusciva a figurarsi davanti agli occhi con una certa precisione. Si rese conto da sola di quanto quello fosse un ricordo personale e intimo, e Cam aveva deciso di condividerlo proprio con lei. Non apprezzava quel genere di giochi, non si sentiva a suo agio a condividere i suoi pensieri e dubitava che il ragazzo avrebbe potuto capire, temeva anzi che potesse addirittura non credere alla sua storia con Mark. Ma aveva altri ricordi da poter rispolverare e si sentiva colpevole all’idea di rifiutare, dopo che lui si era esposto così tanto. Si rannicchiò meglio sulla poltrona e osservò il fuoco per qualche istante, sorridendo appena. “Questa stanza… è uguale alla piccola biblioteca al secondo piano della villa Nott, la casa dove ho vissuto quando ero bambina. O almeno è molto simile. Me la ricordo così bene… era il posto segreto mio e del mio fratellastro, Charles, ci rintavamo lì nelle notti d’inverno e lui mi leggeva qualche storia da questi enormi tomi, per lo più mitologia classica. Non ci capivo molto, non sempre almeno, ero solo una bambina, ma quelle storie mi affascinavano, penso di ricordarne ancora molte a memoria.” raccontò per poi rivolgergli un sorriso dolce e vagamente malinconico.


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    Era iniziato tutto con un incubo che lo aveva fatto svegliare di soprassalto in preda ad una rabbia cieca che gli stava divorando lo stomaco. Aveva preso a pugni al muro fino a sentirsi male, fino a sbucciarsi le nocche ed imbrattarsele di sangue. Ma poi era arrivata lei... un raggio di sole a spezzare la cortina d'oscurità che lo aveva avvolto, stringendolo sempre di più in una morsa dolorosa. Mia Freeman. Quella ragazzina che così tanto gli ricordava la piccola Arya! La sua dolcissima sorellina che era stata trattata in quella maniera, che era stata uccisa da un insegnante, un uomo che avrebbe dovuto proteggerla. Proteggere lei e tutti gli studenti. Oltre a tutto, quell'insegnante aveva persino fatto innamorare la sorella e l'aveva messa incinta... ancora quelle immagini che gli vorticavano in testa, lo turbavano da morire. Ma ora forse quella Mia... forse sarebbe riuscita a fargli spuntare nuovamente il sorriso sulle labbra... ma che cazzo stava pensando? Nessuna ragazza avrebbe potuto cancellare quello che era successo ad Arya, nessuna ragazza avrebbe potuto riempire quel vuoto...
    Non lo nego, piccoletta commentò, con un sorriso Probabilmente passi talmente tanto tempo sui libri a memorizzare, che oramai la tua mente è perfettamente allenata a memorizzare ogni sciocchezza, chissà da dove viene questa stanza replicò il castano, concedendole però un sorriso. Forse non era un sorriso completamente vero e sincero, ma era decisamente un passo avanti rispetto al solito. Non voleva ammettere, comunque, che quella stanza era parecchio suggestiva e rilassante, tanto che ci sarebbe stato tutta la notte. Avrebbe potuto leggere libri su libri, bere la cioccolata calda e rilassarsi su quei pouf tanto morbidi.
    Se te l'ho chiesto, vuol dire che mi va, non credi? le chiese retoricamente, mentre le sue mani si muovevano leggere, veloci e agili sul foglio, facendo una piega dopo l'altra fino a creare un perfetto Espeon, proprio quello che piaceva a lei. Glielo porse distogliendo il suo sguardo nocciola da quello blu intenso di lei.
    Dopo quel quadretto all'apparenza felice, Cameron propose un gioco per sciogliere la tensione e indurla a parlare, a dirle che cosa la turbasse. Inarcò un sopracciglio al suo racconto. Nott? chiese, perplesso. Chi sono? Non hai il loro cognome chiese, prendendo un sorso della sua cioccolata. Insomma, il suo cognome era Freeman e, per quanto ne sapesse, anche quello di suo fratello Charles era Freeman. Comunque, ragazzina... credo sia meglio tornare a letto, per quanto mi piacerebbe continuare a chiacchierare con te ancora e ancora, che ne dici? domandò, stiracchiandosi e alzandosi.
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    Non pensava nemmeno che fosse possibile riuscire ad instaurare un legame simile con una persona come Cameron, fino a poco tempo prima non aveva mai potuto fare a meno di pensare che fosse impossibile parlarci in modo tranquillo e pacifico, senza tirarsi nessuna frecciatina. La stanza delle Necessità si era dimostrata un’ottima occasione per riuscire a conoscerlo meglio, per rimanere rilassata in un posto che le trasmetteva calma e serenità. Sapeva che una volta fuori di lì i suoi incubi sarebbero tornati, aveva smesso di pensare che potessero sparire da un momento all’altro o che potessero davvero scomparire nel nulla. C’erano stati periodi nella sua vita nei quali si era illusa di aver davvero superato ogni cosa nel momento in cui si ritrovava a non pensarci ogni giorno, poi aveva invece capito che non poteva dire di aver superato nulla fino a che quegli stessi demoni tornavano a tormentarla, e aveva anche capito che non c’era spesso via di fuga dalla propria mente.
    Quella serata passata lì dentro era stata una piacevole parentesi però, questo non poteva negarlo, e un po’ le dispiaceva uscire di lì e dover tornare nella sua camera, che in quel momento le sembrava ben più buia e fredda di quell’accogliente biblioteca. Ma non poteva davvero rifiutarsi, e temeva anche che Cameron potesse prenderla in giro a vita se avesse davvero provato a dire che le piaceva stare lì.
    Stava ancora provando a convincersi che non avesse niente a che fare con il ragazzo, che a prescindere di tutto sarebbe stata bene lì anche con qualcun altro, Cameron aveva solo migliorato la situazione e l’aveva aiutata a sentirsi meglio ma se si fosse trattato di Jessica o Blake sarebbe stata la stessa cosa, anzi probabilmente sarebbe stato ancora meglio. No?
    Sorrise appena e scosse la testa di fronte alla sua osservazione. ” Beh sì, ammetto di avere una memoria piuttosto buona, ma non memorizzo ogni cosa…solo quelle importanti” ci tenne a precisare per poi lasciarsi invadere dalla sensazione piacevole che si prova quando si constata che qualcuno tiene davvero a quello che hai da dire.
    Certo, non si aspettava che Cameron fosse così attento, non pensava che avrebbe notato subito che Nott non era il suo cognome –sì, lo stava decisamente sottovalutando- e cercò di non lasciarsi prendere dalla domanda, scrollando le spalle. “No, io e mio fratello abbiamo cambiato cognome…una storia lunga.” provò a minimizzare e per quanto le piacesse stare lì annuì comunque alla sua proposta e si alzò riponendo la tazza dove l’aveva trovata. “Direi di sì, domani abbiamo lezione presto, è molto meglio andare.” concordò, recuperando le proprie cose e aspettandolo per avviarsi all’uscita. “Non è stata male come serata, Cohen.” si lasciò sfuggire, insieme ad un leggero sorriso gentile.

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