Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò.

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    Domenica, Vath non aveva neanche lontanamente intenzione l’idea di chiudersi per otto ore nel suo ufficio al quinto livello. Il giovane amava il suo lavoro, sì, ma non a tal punto da trascorrere sette giorni su sette a londra. Così, quella mattina, anziché compiere la solita corsa mattutina si era fatto preparare un rapido pranzo al sacco, dei panini imbottiti e delle bottigliette d'acqua. La meta era un'isola di soli maghi, tanto bella quanto arretrata, annessa allo statuto internazionale sulla segretezza magica Denrise faceva da "guardia costiera" magica per la Gran Bretagna, controllando il confine e limitando il traffico di creature magiche marine. Vath non aveva mai esplorato a fondo la cultura Denrisiana, ma a sua discolpa si era ripromesso che quello stesso lunedì avrebbe fatto ricerche più approfondite, le sue informazioni si limitavano a ciò che si diceva sui giornali e ciò, per uno che aveva fatto della Conoscenza la sua arma, era inaccettabile. Come recitava l'arte della Guerra di Sun Tzu, letto assieme a suo nonno Charles, “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.” Per quella giornata di natura si era vestito in maniera comoda ed informale, un paio di scarponi, un paio di jeans, una maglietta a girocollo e un giacchettino di pelle. Aveva scelto di portarsi uno zainetto, in cui riporre il pranzo, prese una manciata di Metropolvere e, avvicinandosi al camino, la gettò declamando la propria destinazione. Un villaggio vicino, dall'altra parte della costa su suolo britannico, abitato da maghi e babbani mescolati in parti uguali. Vath avrebbe potuto usare la Metropolvere per raggiungere direttamente il villaggio, ma a suo parere, le locande di quei posti non erano adatti a gente rispettabile. Prostituzione, gioco d'azzardo, figurarsi che, fino a cinquant'anni prima, si praticava ancora lo schiavismo, no, il villaggio di Denrise decisamente non era posto per Vath. La natura selvaggia ed incontaminata di quell'isola tuttavia era un qualcosa che meritava di esser visto e vissuto, il ministeriale non se la sarebbe persa per nulla al mondo. Arrivato a destinazione andò verso i moli, cercando un traghetto per maghi che volevano raggiungere Denrise, il porto era animato, molti pescherecci facevano ritorno con il loro carico di pescato, l’aria frizzantina aveva l’odore di salsedine e Vath si coprì leggermente di più alzando la zip della giacchetta. Aveva dietro anche contanti babbani, stupidi fogli su cui era impressa l’effige di vari esponenti storici babbani tra cui il primo ministro Babbano Winston Churcill, tuttavia non sarebbe andato ad usarli, era solo una precauzione che Vath aveva in caso avesse avuto bisogno di qualcosa, ma cosa, in effetti? Grazie alla magia il ministeriale non aveva bisogno di nulla, solo del proprio catalizzatore magico, il cibo era al sicuro nello zainetto che si portava dietro e se aveva sete poteva sempre eseguire un aguamenti. Ripensando alla valuta del mondo non magico Vath non si stupiva di come, per un falsario babbano fosse semplice falsificare del denaro, una stampante, carta e filigrana e inchiostri giusti. Nel mondo magico erano i folletti della Gringotts a controllare le riserve auree dei maghi e, Galeoni, Falci e Zellini, erano in oro, argento e rame, difficilmente falsificabili. Il viaggio in traghetto fu abbastanza tranquillo, il mare non era troppo mosso e fu solo dopo circa una mezz’ora che il ministeriale poté sbarcare. Il percorso di trekking era qualcosa di faticoso, per un mago di città che pur tuttavia si allenava con regolarità fu difficoltoso raggiungere il lago e le sue cascate. Dovette ammettere che, la vista, si godeva il paesaggio. Asciugandosi il sudore sul collo e la fronte Vath si sedette a terra, contemplando il luogo. Essere lì gli dava un senso di pace che, in città solo nel suo parco preferito provava. Aprì lo zaino e stese il telo sull’erba e, una volta che si sdraiò su di esso, chiuse gli occhi. Il respiro andò a calmarsi, immediatamente si regolarizzò e lasciandosi trasportare dal rumore della cascata, l’uomo si rilassò. Aria pura, una vista mozzafiato e la pace della solitudine, ciò gli bastava per poter staccare la spina e ricaricare le forze per un’altra settimana al lavoro.

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    Kenna Ivonne MacEwen



    Basta, devo fare una pausa. Le dita affusolate a compiere movimenti circolari sulle palpebre chiuse. La scrivania, solitamente ordinata a livelli maniacali, sembrava aver ricevuto la visita di uno snaso alla ricerca di oggetti preziosi e luccicanti. Libri aperti ed accatastati, vecchi rotoli di pergamena malamente impilati, dizionari dalle pagine fragili, per quanto li aveva usati. Amava il suo lavoro, soprattutto quando trovava qualcosa che ad altri studiosi era sfuggito, ma erano giorni che era rinchiusa nel suo studio a cercare di tradurre un frammento che era risultato più ostico del previsto.
    Lasciò che le spalle affondassero nello schiena della sua poltrona, voltando il capo verso una delle finestre dalla strana forma circolare. Da lì non poteva vedere il sole, ma percepire il suo calore sì, visto che era trasportato da un piacevole venticello che aveva reso il cielo privo di nuvole.
    Era un giorno da passare all'aria aperta e non a starsene rintanata nel suo studio tra vecchi tomi impolverati. Da quanto non usciva di lì, tre o quattro giorni? Con la stanza personale comunicante con lo studio e la piccola scorta di cibo spazzatura era riuscita a sopravvivere.
    Gli occhi cerulei si posarono sul posacenere strabortante di cicche. Aveva esagerato anche con quel vizio segno che lo stress e l'ansia avevano raggiunto picchi elevati. Lo afferrò e con stizza lo svuotò nel cestino sotto la scrivania, alzandosi poi per aprire tutte le finestre e far cambiare aria alla stanza. Rimase ferma, dietro una di esse, ad osservare quel cielo limpido che profumava di libertà, estate e salsedine. Un'idea malsana cominciò a risuonarle nella testa.
    Un paio di passi e fu nella sua stanza, diretta verso l'armadio.
    Un abito bianco dalle spalline sottili e lungo fino alle caviglie finì sul letto, seguito da un costume intero rigorosamente nero. In una borsa a forma di sacco mise un telo azzurro, leggermente consunto, insieme alla sua agenda e ad una penna di manifattura babbana. Una di quelle a scatto con cui piaceva giocherellare. Si cambiò velocemente, infilando ai piedi un paio di sandali bassi, recuperando la sua dieci pollici e tre quarti, in legno d'acero, sotto le pergamene sgualcite.

    Il vento le scompigliava i capelli. lasciati liberi sulle spalle, mentre il rumore delle cascate si faceva sempre più nitido ad ogni passo. Aveva scelto le cascate perché sapeva di come le coste sarebbero state prese d'assalto dagli abitanti di Denrise e da turisti richiamati dal fascino dell'isola. Lì, invece, avrebbe potuto avere una maggiore privacy, senza però perdere la possibilità di farsi una nuotata in solitaria. Magari dopo un tuffo da una rientranza della cascata che aveva scoperto durante il suo primo anno di docenza ad Hidenstone.
    Si sfilò il vestito, lungo le spalline, lasciando cadere ai suoi piedi, lasciando anche i sandali e la borsa, ricacciandoli sotto un masso, nascondiglio segreto che usava da anni.
    La sensazione piacevole dell'erba sotto i piedi, che l'accompagnò per metà di quel sentiero che l'avrebbe portata ad un'altezza di una decina di metri. L'altra parte del percorso consisteva nell'arrampicarsi sulla costa rocciosa, aiutandosi con le rientranze naturali e quelle del passaggio di tanti uomini prima di lei. Aveva rischiato un paio di volte di scivolare, trattenendo l'istinto primordiale di guardare verso il basso, puntandolo invece dritto davanti a sé. Quando arrivò a quella sporgenza, uno spazio semicircolare, ma frastagliato, non troppo distante dal getto d'acqua che scorreva imperterrito. Il suo respiro era accelerato, come i battiti del cuore. Sentiva l'adrenalina scorrerle nelle vene, mentre si avvicinava allo strapiombo. Da lì poteva godersi il panorama maestoso della Foresta Eterea, e ancora più in lontananza le torri dell'Accademia. E se solo avesse lasciato prendere piede all'immaginazione avrebbe potuto vedere la finestrella del suo studio, la scrivania e ciò che ancora c'era da fare.
    Un senso d'ansia e il piede che per poco perse la stabilità della roccia, facendo precipitare alcune piccole pietre nel vuoto.
    Smettila di pensare. Per una volta, smettila di farlo. Si rimproverò, tirando indietro le spalle, allungando le braccia al cielo. Le tese da una parte all'altra e poi si sporse, stando ben attenta a che le dita dei piedi avessero una solida presa.
    Allargò le braccia, dandosi la spinta con le gambe e si tuffò.
    Il vento, l'acqua che si avvinava sempre più veloce e poi l'impatto, finendo con il tentativo di una capriola subacquea.
    Riemerse qualche istante dopo, tirandosi indietro i capelli, dando un paio di bracciate verso la riva. Solo che c'era qualcosa di diverso, rispetto a quando aveva iniziato la scalata.
    Ad un paio di metri di distanza dal masso c'era un uomo, steso su un telo. Sembrava innocuo, per cui si crogiolò ancora per un paio di minuti nell'acqua fresca, prima di guadagnare definitivamente la riva.
    Recuperata la borsa, la aprì, ricacciando il telo chiaro stendendolo accuratamente, con la borsa da usare a mo' di cuscino. I lunghi capelli li portò di lato, attorcigliandoli, fino a lasciar cadere sull'erba le gocce in eccesso. E poi si stese supina, inforcando gli occhiali da sole e piegando un braccio sotto il capo. Sarebbe stato il venticello caldo e i raggi del sole che filtravano tra gli alberi ad asciugarla del tutto.



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    La fresca brezza, il rumore della natura incontaminata, ebbero un potere magico su di lui che, rilassando, si addormentò su quel telo. Il cinguettio degli uccelli, lo scorrere dell'acqua e il rombo della cascata crearono un sottofondo unico, non molto dissimile da quello a cui era abituato a Canterbury. Quella cittadina lo aveva visto nascere, crescere e diventare uomo, tra le sue strade Vath aveva passeggiato più di una volta, la comunità magica di Canterbury era unita e compatta, molti maghi e streghe avevano figli e figlie con cui il ventottenne da ragazzo aveva giocato, scherzato insieme e, con alcuni, aveva addirittura condiviso gli anni ad Hogwarts. Sognò quel periodo lì, della sua infanzia, dove il giovane si affacciava con curiosità ad esplorare ogni angolo della cittadina. Aveva visitato la cattedrale rimanendo affascinato dagli affreschi e le vetrate e, insieme alla sua "banda“ si divertiva a scorrazzare in lungo e in largo. Non seppe quanto tempo era passato, ma qualcosa lo aveva svegliato, ancora intorpidito dal sonno aveva avvertito un tonfo, come di qualcosa di grosso che era caduto nell'acqua e, alzandosi sui gomiti, guardò in direzione del lago, sembrava tutto tranquillo. In maniera del tutto inconscia la mano destra andò subito a cercare il proprio bastone da passeggio dove, incastonato nel magnifico pomolo d'argento a forma di serpente, era nascosto il proprio catalizzatore magico. La prudenza non era mai stata nemica di Vath, il suo intervento lo aveva salvato molte volte da punizioni e altre ripercussioni negative su di lui. I suoi occhi attenti scrutarono la superficie del lago e Vath che era sempre stato un attento osservatore notò solo alcune increspature nell'acqua, sembrava come se qualcosa di grosso fosse caduto nel lago e Vath si aspettò di tutto. In quel lasso di tempo rimembrò tutte le creature acquatiche che aveva studiato ed osservato durante i tre anni di Cura delle Creature magiche, ma alla fine, si decise che quelle ondine erano dovute probabilmente all'effetto della cascata. Come in un racconto fantastico la donna emerse dalle acque, in una scena che tanto ricordava quella descritta nel poema di Beowulf, la madre di Grendel che lentamente si avvicina all'eroe, mostrandosi in tutta la sua bellezza. Se nel poema la madre dei mostri era completamente nuda, la "dama del lago" indossava un costume intero nero, nessuna spada leggendaria tra le sue mani, solo se stessa che, accortasi di Vath, lo studiò per un attimo. Non era una fiera, né un drago pronto a mangiarla in un sol boccone appena arrivata a riva, Vath ricambiò lo sguardo, sorridendo appena ed alzò il braccio in saluto. La donna si godette l'acqua, che sicuramente era splendida e rinfrescante, poi iniziò una rapida nuotata verso terra a stile libero. Il ministeriale, si sedette definitivamente facendo perno sulle mani, poggiando la pianta del piede destro a terra sul telo, l'altra gamba ancora stesa. Chissà da quanto la giovane si trovava in quel posto, Vath non l'aveva minimamente notata, che fosse arrivata mentre lui dormiva? Possibile, di fatto Vath si rilassava sempre quando si trovava immerso nella natura, lo aveva notato anche a Londra, spesso anziché passare la pausa al bar aziendale usciva dal Ministero e si recava nei parchi londinesi lì vicini. Tra i suoi parchi preferiti c'erano senza dubbio il Kyoto Gardens e Regents Park, in ognuno di essi Vath aveva un posto prediletto, un roseto, una fontana o dei laghetti artificiali circondati da un giardino zen. Era certo che anche i paesaggi di Denrise sarebbero rimasti impressi nella sua mente e nel suo cuore, da quel poco che aveva visto quell'isola era ancora un piccolo paradiso terrestre, dove l'influenza dell'uomo non aveva ancora intaccato la sua bellezza. Quei pensieri però vennero interrotti dalla dama del lago che, avvicinandosi alla roccia vicino a dove si era posizionato Vath come un prestigiatore estrasse da sotto la roccia una borsa, da cui estrasse un telo per asciugarsi i capelli e poi potersi stendere sopra di esso. Un sorriso e schiarendosi la voce cercò di attaccare bottone con l'unico essere umano che, al momento, era lì con lui. «Buongiorno. È una bellissima giornata da trascorrere in riva al lago, non trova? Mi perdoni se non l'ho sentita arrivare, spero che non sia un disturbo la mia presenza qui.» Un sorriso e un lieve cenno del capo accompagnarono quell'esordio. «Io sono Vath Remar, molto lieto.»
    Avrebbe colmato la distanza tra loro, solo per tendere la mano e presentarsi come si conveniva ad un mago della propria levatura.

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    Kenna Ivonne MacEwen



    Il fatto che fossero gli unici essere umani al cospetto di quell'angolo di paradiso a suo parere non legittimava l'altro nell'interrompere quella quiete e quella pace, che doveva essere interrotta solo dal getto d'acqua che si infrangeva sullo specchio di quel lago. Aveva scelto appositamente quella parte dell'isola per evitare la presenza di turisti curiosi o abitanti del posto.
    Ricambiò il gesto di saluto con un cenno del capo, guadagnando subito il suo nascondiglio per accertarsi che fossero ancora lì le sue cose. Non tanto per il vestito o le scarpe, quanto per la sua agenda contente il suo mondo e il suo fido catalizzatore.
    Il fatto che avesse evitato un contatto di sguardi, gli occhiali da sole a mascherarle il viso e la posizione che aveva assunto una volta stesa sul telo sperava che fossero un forte deterrente, segnali che avevano un solo significato: non voglio essere disturbata.
    Che fosse un uomo distinto l'aveva notato con una rapida occhiata, mentre usciva dal lago, studiandone la manifattura degli abiti -costosi, nonostante fossero semplici- e tremendamente inadeguati al clima dell'isola. O l'uomo era semplicemente freddoloso. Non erano neanche in quel periodo, che capitava un paio di volte l'anno, dove le persone solevano vestirsi in base alla temperatura percepita. Tra autunno e primavera le era capitato di vedere pesanti mantelli di panno e camice a mezze maniche dalle più strambe fantasie. Ma lì erano in piena estate e, per quanto le temperature erano ben lontane dai paesi del Sud Europa, indossare qualcosa che le faceva provare calore al solo vederlo era da pazzi.
    Le palpebre socchiuse, sotto le pesanti lenti scure, si sollevarono quando sentì l'altro tentare di schiarirsi la voce. Non sarebbe passato molto tempo prima di udire la sua voce. Non rimase sorpresa nel sentirla impostata e formale. Il capo seguì la fonte di quella voce, finendo con il posare metà del viso sul palmo aperto della mano il cui braccio fungeva da cuscino. Anche perché aveva avvertito altri rumori, che indicavano di come l'uomo avesse cercato di ridurre la distanza tra loro.
    Kenna MacEwen. Si issò sui gomiti, ricambiando la stretta di mano con una forte e decisa. Dubito che potesse sentirmi arrivare. Ero qui ben prima di lei. Ritornò alla posizione di partenza, indicando con il dito indice libero il punto dove più o meno si era gettata. Avrebbe potuto smaterializzarsi direttamente sulla sporgenza da dove si era tuffata, ma la scalata le era servita per schiarire la mente affollate da tempistiche, doveri e prossime scadenze.
    Le consiglio di togliersi la giacca di pelle. Non vorrei essere costretta a portarla in Infermeria. Skyler Mave, il maginfermiere di Hidenstone, per quel che sapeva era rimasto nel castello per qualsiasi evenienza. Possibile che chi lavorava in quel castello non riuscisse ad allontanarsi nei periodi in cui le sue porte erano chiuse agli studenti? Con la coda dell'occhio poteva osservarlo senza essere plateale. Biondo e occhi chiari, più sull'azzurro del mare quando il cielo era privo di nuvole. Era più piccolo di lei, più di un paio d'anni, dato che non aveva neanche una ruga se non quelle tipiche di espressione. Sarebbe rientrato nei suoi gusti, almeno quelli estetici, ma non era una di quelle donne che diventavano civettuole al vedere un bel corpo, oltre al fatto che erano anni che non si interessava neanche fisicamente a qualcuno. Donna o uomo che fosse. Certo, aveva ancora gli occhi per apprezzare la bellezza, ma non riusciva a squarciare quel velo di frigidità che la divideva nel provare almeno ad allentare la tensione con qualcosa che non fossero alcol e nicotina. Con il carattere che si ritrovava, forgiato da anni di solitudine, con la sola compagnia dei suoi libri e delle sue ricerche, era riuscita a far terra bruciata intorno a sé. Era un percorso che iniziava agli ultimi anni hogwartsiani, con cui aveva imparato a convivere per più di metà della sua vita. I trentatré anni erano prossimi al compimento e, se solo si sforzava, poteva udire il ticchettio dell'orologio biologico. Un conto alla rovescia per qualcosa che per anni aveva cercato di non udire, ma che non avrebbe potuto ignorare ancora a lungo. Non che avesse mai avuto istinti materni -era convinta che fosse un costrutto sociale da abbattere- ma voleva lasciare il segno della sua esistenza e non solo all'interno di vecchi e polverosi manuali che pochi avrebbero avuto l'ardire di aprire.
    Sospirò, chiudendo gli occhi, lasciandosi cullare dal rumore dell'acqua. E dai fruscii dei movimenti del signor Remar. Per quanto cercasse di ignorare la presenza dell'uomo, il suo udito si rifiutava di farlo. Fingere che non fosse lì, a neanche un paio di metri da lei, sarebbe stata un'impresa ardua e porlo in condizioni di mettersi ulteriormente in imbarazzo per attaccare bottone non era sua intenzione. Non era uno dei bifolchi dell'isola, ma qualche rappresentante di una vecchia stirpe purosangue.
    Immagino che sia la prima volta che viene a Denrise. Non l'ho mai vista al castello e non mi sembra il tipo che ha affari sull'isola. Da quando la Burke aveva deciso di aprire lì la sua accademia la popolazione autoctona si era aperta all'aria di innovazione e cambiamenti del ventunesimo secolo. All'inizio era stato difficile, tanti erano stati gli abitanti che si erano opposti alla presenza massiccia di stranieri nelle loro terre, ma con il passare del tempo, persino i più stolti riuscirono a vederne i profitti.



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    Edited by Kenna MacEwen - 8/8/2019, 22:46
     
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    Fu un'impressione di Vath, ma quando tentò di conversare con la donna sul telo di fianco al suo quella rispose il minimo indispensabile. Kenna McEwen in quella breve Interazione sembrò come se fosse scocciata di un altro essere umano in quell'angolo di paradiso. "Ragazza mia se finisci all'inferno corri il serio rischio di congelarlo con la tua sola presenza." Si ritrovò a pensare osservando il comportamento algido della donna. Poco importava a Vath, era lì per del semplice e puro relax e non gli serviva interagire con lei per poterlo ottenere. Si massaggiò il collo, ruoto verso sinistra il capo, poi verso destra e decise di restare seduto. Lo sguardo perso verso il lago, osservando lo è ricordando un'altro specchio d'acqua con cascata che aveva visitato in Italia, poco fuori la capitale, durante un week end dedicato alla capitale. Quel periodo di viaggi gli mancava, aveva conosciuto molte persone, legato con esse e poi mantenuto costantemente un rapporto epistolare con ognuna di loro. Gianni e Sarah, in Italia, avevano reso il soggiorno indimenticabile ma il viaggio che aveva preferito di più era stato quello in Russia. Lì aveva avuto modo di visitare molti luoghi, tra cui anche San Pietroburgo. Il giovane aveva visitato l’Ermitage, aveva visto spettacoli di balli russi, apprezzando il ballo del cosacco e la danza Prisyadka. La donna aggiunse anche che era in quel luogo ben prima di lui e vath ritenne l’informazione attendibile poiché non aveva badato molto ad un eventuale presenza umana rapito com’era dalla vista. La donna indicò un punto e il ministeriale comprese che, il tonfo che lo aveva svegliato, doveva esser stato prodotto dal suo tuffo. «Oh, capisco.» Un sorriso avrebbe accompagnato quelle parole. «Un bel tuffo, indubbiamente.» Vath si sarebbe poi steso nuovamente, poggiando la testa sullo zaino che gli faceva da cuscino, la Regina dei Ghiacci fece udire nuovamente la sua voce, questa volta rivolgendogli un consiglio sul vestiario. Da quelle poche parole capì che era qualcuno dell’accademia di Denrise, una professoressa a giudicare dagli anni. Vath si alzò con il busto e, accogliendo l’invito della donna, si levò il giacchettino. «In effetti mi aspettavo un clima più freddo. Siete professoressa a Hidenstone mi pare di capire, cosa insegnate?» Il ventottenne decise anche di levarsi la maglietta, scarponi, calze e pantaloni restando in boxer. Prendere un po’ di melanina non gli avrebbe fatto altro che bene, così presa la propria bacchetta, eseguì un vestis non verbale per trasfigurare i boxer in un costume estivo. «Mademoiselle, sì. Si nota così tanto? Non sono solito fare affari con certa gente anche se, di affari, il mio lavoro tratta. Cooperazione Magica Internazionale, presso il Ministero della Magia Britannico.» Si alzò e, poggiando i piedi nudi sull’erba fresca, uscì dal rettangolo del telo. «Io vado a farmi un tuffo, che ne dice?» Un cenno del capo verso il lago, un sorriso e la mano destra che andava ad indicare il laghetto.

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    Il suo essere scostante, a tratti fredda, era il suo tratto distintivo. Lo sapeva ormai da anni, soprattutto quando era negli States. Lì tutti avevano quell'assurda pretesa di toccare e baciare gli altri anche solo per un saluto. Un paradosso per una come lei che rifuggiva il contatto umano, cedendovi solo quando non aveva modo di fuggire.
    E quella mano tesa dal biondo era rimasta sospesa qualche frazione di secondo di troppo e fu solo la buona educazione che la portò a stringergliela e a presentarsi al signor Remar. Quello che però non era riuscita a limare fu il suo essere lapidaria nelle risposte. Tendente all'acido del limone. Se solo qualcuno fosse stato un po' più temerario avrebbe potuto cospargerla di zucchero e farci una bella limonata, no? Che poi fosse manchevole di qualche arto o con problemi di memoria erano rischi da tenere bene in considerazione, prima di gettarsi nell'ardua impresa. E quell'uomo avrebbe fatto meglio a non intentarla.
    Lo guarda con sufficienza, così come il tatto con cui si rivolgeva a lui. Un tono di derisione era nascosto nelle sue parole lapidarie.
    Gli aveva dato dello stupido turista, per aver scelto un vestiario del genere, standosene per di più spaparanzato nella posa di un adone sotto ai raggi del sole che filtravano nella radura. Almeno aveva avuto l'arguzia di sfilarsi il giacchetto che indossava, che la faceva sudare e soffocare al sol pensiero.
    Storia e Legislazione Magica. La dicitura del dipartimento di cui si occupava, con le relative classi, fu enunciato con lo stesso tono con cui uno chiamava il numero successivo al banco dei salumi: entusiasmo pari a zero.
    Voleva solo starsene stesa su quel prato a gustarsi dell'aria piacevole e fresca, oltre che in solitaria. Alzarsi e prendere le sue cose per spostarsi in un altro posto, magari nella vegetazione più fitta, stava divenendo un'idea sempre più concreta, ma non avrebbe affatto preso il tutto e dargliela vinta in quella non sfida. Magari sarebbe venuto presto a noia e se ne sarebbe andato ad esplorare qualche grotta, con quel vestiario più idoneo per quel tipo di escursione.
    Eppure la docente della materia più noiosa, secondo la maggior parte degli studenti, aveva continuato a dare un seguito a quella conversazione, con una scelta di vocaboli affatto neutrali. Non che provasse ripudio o disgusto per i Denrisiani, sia chiaro, ma quell'uomo -o meglio, il pomposo ministeriale- era di tutt'altra stoffa, più vicino al mondo bene dei Maghi che a quello puro e rozzo dei nativi dell'isola. Li trovava interessanti, così tanto che una volta finito il filone di ricerca che la vedeva impegnata nella penisola balcanica, si sarebbe lasciata affascinare dalle leggende e dalle storie di quel popolo di predatori.
    La sua bocca si lasciò sfuggire un'espressione di disgusto a quell'appellativo francese con cui le si era rivolta: era piacevole come quando qualcuno faceva stridere il gesso contro la lavagna. Come anche quel sottinteso ricco di significato nel distanziarsi dai Denrisiani etichettandoli come certa gente, solo perché non avevano vestiti freschi di bucato, appena stirati da qualche elfo domestico o inserviente -se appartenente ad una famiglia più progressista- e ben lontani dai tessuti rozzi e grezzi, nonché più idonei di chi lì era nato e cresciuto.
    Con ancora gli occhi chiusi, mascherati dalle pesanti lenti scure, registrò un'informazione che le sarebbe tornata utile se voleva continuare a saltare l'infinita fila dopo che il signor Pike era andato in pensione. Quell'uomo era stato un ricettacolo di documenti, informazioni, relazioni internazionali che non sempre erano legali, ma che le avevano permesso di mettere mani su materiali che altrimenti le sarebbero stati proibiti.
    Con quali paesi si interfaccia maggiormente? Quale area del mondo le hanno assegnato i suoi capi? Probabilmente, data l'età, era ancora un funzionario junior, ma era sempre meglio di nulla. Avere relazioni solide con il Quinto livello del Ministero, per il suo lavoro, era di fondamentale importanza.
    I fruscii che precedentemente aveva avvertito furono sostituiti da quelli che le ricordarono... rumore di passi? Riaprì le palpebre, sollevando il viso quel tanto per notare come il funzionario non fosse più steso come una dama rinascimentale, bensì in piedi e con un costume. Cambiarsi prima no? A maggior ragione se aveva un costume sotto tutti quei vestiti! Si ritrovò a pensare con lo sguardo che scivolò velocemente sulla sua figura: era asciutto e tonico, ma di muscoli non ne riusciva a vedere.
    Vada pure. E faccia attenzione agli Avvincini! L'avrebbe invitato a prestare attenzione, anche se non era certa che gli Avvincini fossero presenti su Denrise. Ma mai dire mai con piccoli demoni acquatici dispettosi. Sperava solo che l'altro facesse ben più di qualche bracciata e, magari, al suo ritorno non l'avrebbe trovata, decisamente piena di noia per quella tarda mattinata e con lo stomaco che presto avrebbe reclamato del cibo solido che non fossero cracker stantii.



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    Dipendente Ministeriale ~ C.M.I. ~ 28 anni ~ Inglese
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    La prima volta che si era affacciato sulla Storia era ancora un bambino, Albert Charles Remar era stato un veterano della guerra magica che Gellert Grindelwald aveva provocato. Il mago di Canterbury era allineato ai pensieri di dominazione dei maghi sui Babbani, ma quando era giunto il momento di schierarsi, il dipendente del terzo livello del ministero della magia non aveva esitato a schierarsi con forza al fianco della propria nazione. Friedrich Von Weizsäcker era stato uno dei maggiori sostenitori di Gellert Grindelwald, infiltrato in Gran Bretagna aveva lavorato come spia per gran parte degli anni dal '39 al '42 anno in cui, dopo una rocambolesca avventura Albert Charles Remar era entrato in contatto con lui. Il ventottenne ancora si ricordava dei pomeriggi in cui suo nonno gli raccontava quelle storie di guerra e, la sua curiosità insaziabile, non aveva mai fine. Se molti studenti di Hogwarts accoglievano la lezione di Storia della Magia con noia, Vath aveva sempre trovato rifugio tra quelle date ed eventi storici. Come granitica memoria del passato il ragazzo vedeva come ancora di salvezza quegli avvenimenti, un'occasione per imparare dal passato ed evitare errori futuri. Quando la donna condivise con lui il suo ramo d'insegnamento il suo viso si illuminò e, fermandosi per un momento, si voltò verso di lei. Avere una professoressa di Storia e Legislazione magica a propria disposizione era per lui una fortuna. L'accademia di Hidenstone era stata aperta dopo che lui aveva terminato i propri studi e, una preparazione avanzata in storia e legislazione della Magia gli avrebbe fatto comodo per il suo lavoro. «Mio nonno era solito raccontarmi da bambino alcuni fatti storici che lui aveva vissuto, eventi oscuri degli anni d'ascesa di Grindelwald fino alla sua sconfitta nel '45, molte famiglie magiche hanno sofferto, sangue magico versato per cosa? Il nulla più assoluto, interi rami di purosangue si sono estinti e il nostro numero è sempre più esiguo. Molti maghi rifuggono la storia come un licantropo fa con l'argento, io credo che avere coscienza del passato sia di vitale importanza per sapere quale strada percorrere per il futuro. La via oscura è quella immemore, come un serpente che si morde la coda la poca comprensione del passato inevitabilmente porta a commettere gli stessi errori in un circolo vizioso e perpetuo. E così è stato, un'altra mago si è elevato al di sopra di altri, proclamando ciò che più di una volta è stato ripetuto anche se con parole più dolci e allettanti. La superiorità dei maghi sui Babbani. Non mi fraintenda, non sono affatto a favore di queste baggianate sulla superiorità di uno rispetto all'altro. Ognuno ha i suoi punti di forza, e ognuno potrebbe imparare l'uno dall'altro. Posso affermare con sicurezza che è stata davvero una fortuita coincidenza se, un dipendente del quinto livello e una professoressa di Storia e Legislazione Magica, si siano trovati ad essere nello stesso luogo. Quasi come se il Fato, o le Moire, avesse fatto di tutto per farci incontrare qui questa mattina. Avete qualche periodo storico preferito, qualche ricerca all'attivo? Da come puoi aver intuito io sono molto interessato all'epoca contemporanea, anche se il medioevo è un periodo storico davvero affascinante.» Nonostante il poco entusiasmo espresso dalla donna per il suo lavoro Vath non poté fare in modo di notare come l'intera figura della donna stonasse con la professione appena dichiarata, un lavoro simile richiedeva a suo parere ore e ore chini su polverosi ed antichi volumi, chiusi in stanze buie e scarsamente illuminate per non intaccare la già compromessa fragilità di quegli stessi antichi volumi. Ciò avrebbe dovuto comportare in Kenna un evidente pallore, sintomo di chi stava sempre lontano dal sole e, soprattutto, una miopia avanzata. Non si aspettava certo una donna che avrebbe potuto benissimo posare sulla copertina del Settimanale delle Streghe. Una domanda arrivò alle sue orecchie e ci mise qualche secondo di più a registrarla, perso in quelle considerazioni. «Anche se ultimamente ho avuto alcuni grattacapi con alcune merci importate illegalmente dalla Cina, non nego che la mia area d'influenza è l'Europa soprattutto, forse i migliori partner che si potrebbe avere alla Confederazione Internazionale dei Maghi, quelli con cui abbiamo più cose in comune e con cui culturalmente siamo più vicini.» Cuocersi al sole non era sua intenzione, tuttavia la conversazione aveva toccato importanti argomenti, cari al Cooperatore Magico e la nuotata poté attendere, specialmente dopo l'avvertimento della donna. «Avvincini dici?» Una lieve smorfia apparve sul volto dell'uomo che, prudente per natura, rifuggiva qualsiasi situazione che avrebbe potuto metterlo in difficoltà in situazioni non richieste. Si sedette nuovamente, incrociando le proprie gambe e puntellandosi con le mani al terreno.

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    "C’è la storia, poi c’è la vera storia, poi c’è la storia di come è stata raccontata la storia. Poi c’è quello che lasci fuori dalla storia. Anche questo fa parte della storia." M.A.


    Kenna Ivonne MacEwen



    E quindi? Fu l'interrogativo che le venne spontaneo dopo il turpiloquio del signor Remar. Interessante che l'uomo avesse potuto ascoltare con le sue orecchie racconti di una delle epoche più oscure del secolo passato, ma lo stesso tipo di informazioni l'avrebbe potuto ricavare intervistando antiche famiglie purosangue dalla Siberia agli Stati Uniti. E, per quanto interessante fosse, non era quello al momento il suo interesse. Neanche la storia, a voler esser sinceri. Voleva solo starsene sdraiata a svuotare la mente e non pensare a nulla, almeno per un po'. Eppure, il quesito posto circa le sue ricerche fecero crucciare la sua fronte, creando piccole linee parallele e un po' asimmetriche, segno del tempo che comunque stava passando, oltre alle famose rughe di espressione. Rughe che iniziavano a farsi sentire, insieme al peso di una vita trascorsa in solitaria.
    Lo potrà leggere nel mio prossimo contributo, qualora le interessassero vecchi clan slavi. Proprio non riusciva ad essere più accomodante, con una risposta acida che voleva comunicare al visitatore che non aveva intenzione di dilungarsi ulteriormente su quanto stava lavorando ormai da tempo. Dovrebbe sapere che gli studiosi prima di parlar di qualcosa con certezza cerchino prove e controprove per sostenere una tesi. Non si offenda, signor Remar, ma sono appartenente alla vecchia scuola, dove prima di affermare qualcosa bisogna accertarsene. Il tono fu piatto, anche se un po' meno acido rispetto alla risposta precedente.
    Per quanto riguarda le gesta di Grindelwald non è altro che un deja-vu per la storia dell'uomo. Una ciclicità che non avrà mai fine, con profili borderline che si autoalimentano di megalomania per poi sfociare o nella depressione o nella figura autoritaria di un dittatore, o di una dittatrice... Le donne, salvo alcune rare eccezioni, erano state messe da parte nella storia dell'umanità, con profili sconosciuti o confluiti in leggenda, se non trasformate in uomini -genitalmente parlando- pur di non ammettere la loro forza ed instabilità. Dovrà concordare con me, però, in quanto amante della storia, che non esiste fato o destino, ma azioni e reazioni. Mi creda, quest'incontro non è affatto dovuto al caso. Anche perché, se così fosse, dovrei fargli un discorsetto. Continuò piccata nella sua mente, lasciandosi andare ad uno sbuffo, sistemandosi meglio su quel telo ancora un po' umido. E per il medioevo sì, interessante, ma mai quanto il periodo precedente l'anno zero, dove la magia non era vista con la stessa repulsione del periodo buio.
    Come volevasi dimostrare il funzionario era dedito più agli affari Europei, con qualche visita nel paese del riso e del fritto, aree che un domani le sarebbero potute tornare utili, anche perché credeva che con Europa intendesse per lo più la sua parte occidentale, di mira liberale e non nei vecchi paesi satelliti russi, su cui invece stava indagando. Conferma che ebbe con riferimenti circa la cultura ed i punti in comune che venivano condivisi in nome del libero scambio e del libero commercio, con la globalizzazione a farla da padrone, persino nella comunità magica.
    Interessante. Con molta probabilità verrò a trovarla in ufficio, qualche volta, per avere autorizzazioni ed informazioni sugli accordi tra gli stati. Una eventualità che sapeva non troppo distante dalla sua effettiva realizzazione. Sapeva che nel giro di poco si sarebbe recata a Londra, presso il Ministero, per bussare a qualche porta per avere o riscuotere favori.
    Un sorrisetto ironico delineò le sue labbra quando, voltatasi a guardarlo, non l'aveva messo in guardia dalla presenza dei piccoli demoni acquatici nelle acque di quella cascata. Era borioso, pomposo e pieno di sé che non aveva affatto ragionato su come lei fosse uscita da poco da una breve nuotata e che non aveva corso nessun pericolo, se non tuffarsi da una sporgenza sulla parete rocciosa. Non dovrebbe credere a tutto ciò che le viene detto, Remar. Sollevò il busto, mettendosi a sedere, spingendo con il dito sul nasello quegli occhiali scuri che le proteggevano gli occhi dal sole oltre che dall'essere letti e decifrati dall'uomo. Con il braccio, portato dietro le sue spalle, recuperò la borsa usata fino a quel momento come cuscino per portarlo sotto il suo naso e tirar fuori la veste leggera che aveva indossato e che non si sarebbe attaccata al suo corpo, in un effetto vedo non vedo, dato che anche l'ultimo residuo d'acqua si era asciutto, ad eccezione della sua lunga chioma che, anche se arrotolata in uno chignon senza elastico, era finita con lo sciogliersi e adagiarsi sulle spalle. Non pensò di asciugarle con un colpo di bacchetta, ci avrebbe pensato la camminata di ritorno all'accademia ad asciugarglieli. Infilò le mani nella stoffa leggera, facendola scivolare prima sulle braccia e poi sul capo, fino a distenderla sul busto, lasciando che poi il riassumere una posizione eretta andasse a coprirle le gambe lasciate scoperte. Accertatasi che tutto fosse nella sua borsa si rialzò, sistemandosela sulla sua spalla, chinandosi per afferrare il telo che sbatté un paio di volte, dando momentaneamente le spalle al funzionario, per poi ripiegarlo più volte su se stesso ed adagiarlo sulla patta chiusa della tracolla.
    Le consiglio comunque di farsi una nuotata, merita. Indicò con un cenno del capo il laghetto, per poi tornare con il volto su di lui. La mia pausa è finita, devo tornare ai miei doveri. Spero di rivederla presto, signor Remar, magari a Londra. Sollevò la mano in un gesto di saluto e poi lo superò, incamminandosi verso la strada che l'aveva condotta fin lì. Parlare di ricerca aveva fatto riaccendere il senso di colpa della storica, osservando come tanto era il tempo che aveva perso arrivando fino a lì e sottratto ai suoi studi. Ciò avrebbe comportato solo una cosa: fare le ore piccole, anche per quella sera.



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