Votes taken by Nathan Parker King

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    Panco & Pinco, Tom & Jerry, Stanlio & Onlio, Batman & Robin e poi c'erano loro: Nathan & Cameron. Anche ad un semplice sguardo superficiale bisognava comprendere come ci fosse qualcosa di magico in quello strano duo e non per forza dell'erba miracolosa o un pizzico di noce moscata, che di questi tempi sembrava esser tornata alla ribalta. Aspettava con ansia il ritorno della salvia e del rosmarino, ma questa era un'altra storia. Dopo un risveglio brusco, un arrivo assonnato frammentato da un panino imbottito recuperato al volo e dall'amico che sembrava volesse andarsele a cercare le difficoltà, visto che senza alcuna ombra di dubbio aveva scelto l'acqua come loro elemento per quella giornata, King si limitava a sopravvivere prima di iniziare davvero a far carburare l'unico neurone sano che possedeva. Neurone che sballottolò nell'acqua che occupava il suo cranio a causa del brusco movimento dell'altro elemento che aveva trasformato il duo in un trio. «Elegante, sarai elegante, ma un sistema di frenata controllata no? Anche uno di virata magari», si massaggiò lo sterno che era andato a sbattere contro la spalla dell'amico. Non sembravano essersi allontanati troppo, continuavano a sostare nella zona porto con giusto un pizzico di fondali che aveva rivelato loro bruciature e distruzione. Insomma, nulla di interessante ai suoi occhi, a differenza di quel galleggiante davvero interessante. «Ehi, ma è Sambuco quello! Dovremmo prenderlo, senza prestito!» Ma in realtà il suo buon cuore mentre l'amico recuperava il manufatto lo portò ad eseguire rapidamente con la bacchetta un semicerchio in senso orario toccando poi con la punta la boa. «Gemino!». Non solo la capacità di studiarlo velocemente fu cercata con l'incanto di duplicazione materiale, ma anche di lasciarlo momentaneamente al posto di quello afferrato da Cohen. «Su, in fretta, andiamo, il Ponente ci aspetta», disse ridendo apertamente a cavalcione dell'automa, stringendo con le cosce quelle dell'amico per non farsi prendere in fallo dai nuovi cambiamenti di virata dell'oggetto made in Sorrah.
    Nathan Parker
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    Azione 1: gemino sulla boa che ha preso Cameron, la copia la mette al posto dell'originale
    PP: Tecnica, 13
    Incantesimo: Nome: Incantesimo di Duplicazione Materiale.
    Classe: Trasfigurazione
    Formula: Gemino
    Movimento: eseguire velocemente con la bacchetta un semicerchio in senso orario, poi toccare l'oggetto da duplicare, muovere il catalizzatore verso di sé, lentamente ed infine fare una stoccata verso una posizione libera.
    Effetto: Dopo aver toccato l'oggetto il vertice della bacchetta si illumina d'argento, luce che poi si riverserà nella posizione indicata dalla stoccata e lì andrà a comporre il duplicato dell'oggetto toccato in precedenza.
    In sintesi, prima si estraggono le informazioni riguardanti l'oggetto da duplicare e poi lo si duplica tramite il macro-gruppo dell'evocazione.
    Note: Date le informazioni estratte con questo incanto, si otterrà un bonus di +2, per tutta la role, nel trasfigurare od evocare l'oggetto bersaglio. Se sul bersaglio è stato già effettuato un Detector, Gemino non darà alcun bonus.

    Oggetti:
    1. Felpa con cappuccio:
    Felpa trasfigurata da Nathan che non è svanita col tempo e che per influsso di Elisa si è fuso con la sua corda, che ora costituisce inquietantemente il laccio che tende il cappuccio.
    Chi la indossa difficilmente risente delle temperature esterne, visto che fornisce -1 danni da fuoco e ghiaccio.
    2. Pendente in zaffiro dei Mari: quando indossato -1 ai danni subiti, +1 Tecnica
  2. .
    Il feed di instagram, con attivo il filtro per i contenuti magici, era pieno zeppo di foto, video e balletti di chi si era preparato o era già nel vivo dello Yule Ball. Scorgendo lustrini, sete e tulle Nathan sentì per un attimo la mancanza degli States e di quelle feste -festini, a voler essere puntigliosi- dove l'alcol non era proibito come in quelle mura. Possibile che nessuno avesse pensato di correggere il ponch degli studenti? Mpfh, avrebbe potuto coinvolgere un paio di studenti, magari suoi ex compagni di scuola più fidati, metter su una colletta e procurarsi un paio di casse. O, perché no, quelle mini bottigline che di solito trovavi sull'aereo o nei mercatini più impensabili da smistare con strette di mano o scivolamenti in borsette opportunamente lasciate aperte. Stava delirando troppo. Fece per mettere via il cellulare e fare il suo ingresso solitario quando la tendina di un messaggio appena arrivato non occupò la parte superiore dello schermo. Jessico Calcetto Jess BO le aveva scritto.
    CITAZIONE
    Se vuoi riavere indietro il tuo amico devi salire sul tavolo e dire a tutti i presenti che tuo figlio è di Olwen

    Non riusciva a credere di aver pensato sul serio che il suo Responsabile fosse il papà del piccolo della corvina -un po' ancora lo pensava- finendo col passare gran parte del primo anno in punizione col runista per averlo aggredito in merito dopo una lezione con lui.
    CITAZIONE
    Scherzo, sono qui fuori, sto per entrare. Riservami un ballo, splendore.

    Il rumore di passi affrettati gli fece distogliere l'attenzione dal magifonino, bloccandolo e riponendolo in tasca come un automa mentre lo sguardo carezzava i pochi metri di seta verde che cingevano il corpo di Amelia Farley. Semplice, elegante, ipnotica. Deglutì. Un paio di volte, la gola asciutta ed il cuore che batteva all'impazzata. Amelia ne avrebbe sempre avuto un antro come dimora, qualsiasi cosa sarebbe successa tra loro da quel momento in poi. Il fatto che l'avesse cercato lei, andando a sporcarsi le sue preziose e costosissime scarpine nella riserva pur di parlargli avevano ridato spinta ad una relazione che aveva definito morente. Era lui che si era ostinato di soffiare sulle braci affinché venisse prodotta qualche scintilla a volare ad intaccare i ceppi asciutti e per niente avvolti dalle fiamme. Poi era arrivata lei, con un accendino, e aveva acceso un piccolo fuocherello che, a turno, cercavano di alimentare. Molto più lei, a voler essere sinceri. Le puntò il catalizzatore contro, indicando con la punta la stola pellicciosa che occultava le sue spalle, effettuando il classico movimento che accompagnava la formula. «Evanesco». Gli occhi a scivolare dal viso, passando per la gola, fino alle spalline sottili dell'abito. «Se mai dovessi avere freddo farò in modo di rendertelo», non si era accorto di esserle avvicinato, le dita a sfiorare l'avambraccio nudo in una morbida carezza. «L'importante è esser consapevoli di trovarsi poi i piedi a panzerotto per tutti i pestoni che ti darò». Dunque le offrì il braccio, invitandola a superare insieme quegli oscuri battenti, lanciando forse un messaggio o forse no. Il sorriso imbronciato, lo sguardo a cercare visi familiari e la mano libera a sventolare spasmodica quando riconosceva qualcuno. Notò qualche assenza, come quella di una delle rosse che aveva baciato per via di un gioco, così come la presenza di Evans, l'altra ragazza cui aveva fatto fare il casqué e persino quei piccioncini di Benjamin e Giada. Troppa magia nell'aria. Avrebbe infettato anche lui?
    Per ultima notò la Whitemore intenta a ballare un lento con un suo compagno di dormitorio. «Può dire tutto quello che vuole, ma gli Ametrin sono i migliori di tutti», un pensiero ad accompagnare la sua dama al centro della pista dicendosi pronto a seguire la melodia del lento. La mano sulla bassa schiena di lei, l'altra rimasta intrecciata ma molto più vicina ai loro corpi che tornarono a scontrarsi. Non era una bachata, una salsa o una rumba, ma un lento di quelli dove bastava stringersi e dondolare un po'. «Ti ho mentito», le sussurrò all'orecchio superando l'intreccio complicato della sua pettinatura. Poi senza darle alcun tipo di preavviso, esercitò una serie di pressioni e comandi al suo corpo che la portarono ad allontanarsi da lui, uniti solo dalle mani legate. Mani che la tirarono di nuovo a sé, compiendo dei giri fino a ritrovarsi di nuovo fronte contro fronte. «I tuoi piedi, con me, sono al sicuro» e no, non era uno di quei feticisti. Anzi, ne provava una forma strana di repulsione, meno li vedeva meglio si sentiva. Che fosse per quello che avesse imparato come prima cosa a non lasciare pestoni? «Quanti inviti hai rifiutato?» Perché era comunque un dannatissimo masochista, ma voleva sapere se aveva rifiutato perché aspettava solo il suo invito o se l'avesse sottratta a qualcun altro. O se, semplicemente, nessuno aveva azzardato a gestire davvero una ghiacciolina come lei.
    Nathan Parker
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    Risponde a Jessico. Interagisce principalmente con Amelia Farley.
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    Quando Em inviò una foto del vestito che aveva scelto per lei si domandò se quando diede il suo consiglio di moda fosse fatto di qualche erbetta magica di quel tizio strano di Denrise che la spacciava come tè. Per carità la Lewis era sempre bellissima ma quel vestito stravolgeva l'immagine che aveva di lei e non le donava come aveva pensato.

    Vedi di non spezzare troppi cuori stasera, il mio non reggerebbe.

    Digitò in fretta infilando poi il magifonino nella tasca del vestito blu notte che aveva scelto tra quelli che aveva perché in un taglio molto più sportivo e che gli permetteva di indossarlo senza cravatta. Non per nulla era ancora impegnato ad abbottonare i polsini della camicia bianco ghiaccio, lasciando gli ultimi due della fila principale aperti sul principio del suo petto. Ai piedi un paio di scarpe bianche sportive ma prive di ulteriori dettagli. Si passò una mano tra i capelli, cercando di ammorbidire il ciuffo che non sembrava volersi modellare senza l'uso di gel o lacche, che aborriva, preferendo lasciarli al naturale. La bacchetta fu l'ultima cosa che prese, i regali li avrebbe consegnati in un altro momento, magari proprio la notte di Natale, prima di dirigersi verso l'ingresso della Sala Grande.
    Non aveva una dama da attendere o da ripescare, sebbene il suo rapporto con la Farley fosse attaccato ad un filo non se l'era sentito di invitarla al ballo, forse perché non voleva sentire i vari paletti che la sua migliore amica gli avrebbe lanciato alle spalle una volta scoperto che avesse ripreso a vederla. A vederla, non a starci insieme. Una precisazione da vero idiota visto che, nonostante provasse ad essere indifferente, nonostante un paio di baci con alcune delle sue consorelle, continuava ad avere un debole per Amelia.
    Lo dimostrò il fatto che non le inviò nessun messaggio ma attese, con le spalle al muro e le gambe incrociate, il suo arrivo fingendo di mandare messaggi mentre in realtà con la coda dell'occhio monitorava la scalinata principale da cui avrebbe dovuto far la sua apparizione. «Solo cinque minuti, se non verrà entro» si disse, inviando un ultimo messaggio alla follettina che aveva molti centimetri di pelle esposta in più di quello che aveva previsto.

    Qualsiasi cosa accadrà questa sera ne parleremo domani, alla luce del sole.
    Ti voglio bene
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    Nathan Parker
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    Manda un paio di messaggi ad Emma Lewis, aspetta Amelia Farley vicino all'ingresso della Sala Grande.
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    L'estate non era scivolata via come quella dell'anno prima. In tutta realtà se quella piattola della sua migliore amica non si fosse presentata alle Florida Keys e trascinarlo in ogni singola attività proposta dal villaggio vacanze, probabilmente l'avrebbe trascorsa solo a base di marshmellow arrostiti in qualche falò, tanti tentativi di prendere l'onda perfetta dall'altra parte degli States e nulla più. Non era più l'anima della festa.
    Quanto all'inizio del triennio, semplicemente stava facendo la macchietta in tutto tranne che nelle lezioni che lo interessavano davvero, impegnandosi in attività extra curriculari per non pensare. Per non pensare a lei. Come il solito maschio etero medio, ovvero un cretino, aveva rivisto Amelia in Sala Grande ma aveva deciso di non avvicinarsi, di non fare un passetto in più, manifestare la gioia della sua presenza come un cucciolo di cane.
    Decise di giocare al suo stesso gioco: l'attesa.
    Era estenuante fingere di non vederla, infilarsi in pertugi nei corridoi per non farsi vedere e non andare dritto da lei, prenderla per le spalle, scuoterla e poi soffocarla in un abbraccio. Non sapeva come comportarsi perché non si era mai trovato a dover fronteggiare una situazione del genere. Difficile risultava raccapezzarsi in un mondo fatto di sottigliezze e sentimenti, ci aveva provato ed aveva fallito.
    Forse avrebbe dovuto insistere un po' di più, forse non avrebbe dovuto crearsi un profilo fake per vedere ciò he pubblicava sui social dopo averla bloccata. -È stato già detto che un bambinone?- Alla fine, però, sembrava che la sua strategia avesse funzionato, tardi, ma l'aveva condotta da lui.
    A onor del vero credeva di esser stato bravissimo nel fermarsi in un posto in cui lei non avrebbe mai messo piede, almeno non volontariamente. Vederla così vicina, senza nessuno con cui confondersi o qualcosa di più di un olmo in cui nascondersi, fu un colpo, dritto in pieno petto. Bellissima, come sempre. Fredda, come sempre. Altezzosa, come sempre, constatò a quella domanda buttata così, come se lo stesse deridendo. «Buffo che sia tu a chiederlo», aveva arrestato le coccole a Bert, che non prese molto bene la cosa e lo morse al dito. «Ahia!» Scrollò la mano, studiando poi se ci fossero tracce di sangue. Non ce n'erano. Riprese a giocherellare coi polpastrelli sulla parte morbida dell'animale. «Come mai da queste parti?» Tornò a squadrarla coi suoi grandi occhi nocciola, cercando di mantenersi freddo e distaccato, proprio come lei le aveva insegnato.
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    Il triennio era iniziato con una piega un po' diversa. Caricato a molla dal nuovo percorso dedicato alla cura trascorreva buona parte del proprio tempo libero alla riserva delle creature magiche, in particolar modo nella zona riservata alle case di cura. Quella settimana la rotazione che effettuava tra La Casa dell'Acqua e della Terra lo voleva nel cuore della radura a prestare aiuto con alcuni animali che si erano feriti e persi in quella parte dell'isola. In particolare di un piccolo riccio che a causa della zampetta anteriore destra rotta non era riuscito a raggiungere in tempo la sua tana, per il suo meritato letargo. Era così spaventato all'inizio che non faceva che pungere ogni singola persona che provava ad avvicinarsi. Parker, con il bene placito della docente di Magia Verde, iniziò a tentare ogni sorta di escamotage per potergli applicare unguenti e bendaggi che avrebbero velocizzato la guarigione. Il primo era stato con il cibo: aveva provato con la qualità più pregiata di millepiedi essiccati, poi a freschi scarafaggi catturati da lui stesso dopo che quelli nel barattolo erano stati elegantemente rifiutati con un paio di buchetti sul suo avambraccio. Non demorse, giorno dopo giorno tornava a trovarlo e a farlo abituare al suo odore, alla sua voce che canticchiava canzoni abbastanza sconce e cibo freschissimo. Arrivò persino a trasportarlo con lui all'interno di una piccola gabbietta allo Sherlock Holmo, arrampicandosi sui rami fragili al solo scopo di fargli provare il brivido dell'altezza. Scoprì troppo tardi che non vi andava troppo d'accordo: aveva dovuto buttare via una delle camicie della divisa per il misto di insetti che non erano ancora stati processati dal piccolo stomaco. L'aveva soprannominato Bert, il suo amico Bert che ora se ne stava finalmente con una zampetta steccata e la pancia all'aria per ricevere i suoi grattini. «Ti ho abituato troppo bene, caro mio», sorrise l'ametrino, posando la testa contro il tronco dell'olmo -ormai vi si sedeva solo alle sue radici, la lezione l'aveva imparata- e gustandosi i raggi di un sole autunnale stranamente caldo.
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    Con Emma Nathan si sentiva libero di esprimere ogni suo lato, anche quello che non pensava di avere come l'istinto di protezione. La sua mascotte, sorellina, e tanti altri diminutivi con cui era solita chiamarla, quindi proprio non capiva il perché di quella sua espressione stralunata ai difetti che aveva elencato di Jones o al perché avrebbe fatto meglio a tenersi distante o, per lo meno, a stare attenta al suo Thomas. Non conosceva il soggetto in questione ma la risma dei penedotati sì. Avrebbe voluto prenderla per quelle sue spalle esili e scuoterla fino a farle ritrovare la ragione ma si trattenne. Ovvio che l'avesse fatta sentire una principessa se quello significava l'accesso alle sue mutandine! Insomma, era l'A-B-C delle tecniche d'approccio. Avrebbe potuto distruggerle anche quel ricordo e proprio per quello preferì tacere per virare il discorso su quello che lo feriva ancora: l'allontanamento di Amelia. Sebbene non avesse più rapporti comunicativi con lei il ragazzo le era rimasto fedele, di fatto aspettandola, aspettando un evento che sembrava sempre più lontano dal verificarsi. E sentirsi dire che non si meritava chi non era capace di star con lui, un po' crollò. Perché aveva creduto che la sua ghiacciolina incarnasse la perfezione, dopotutto era stata la prima e sospettava ultima persona a farlo crollare in quel modo.
    Solo che non aveva pensato ad Emma. Non in quella veste.
    In realtà non ci stava pensando neanche in quel momento: il suo scopo era tirarle un tiro mancino, uno scherzo per farle capire però che lui era meglio di Lucas, Thomas e qualsiasi altro sbarbatello messi insieme. La vicinanza insopportabile, il tocco strategico, la voce roca e sensuale erano tutti stratagemmi e la Lewis sembrava esserci cascata con tutte le scarpe. «Penso che tu sia più che abbastanza per me», sebbene stesse scherzando con il corpo le sue parole erano serie. Ci credeva davvero nella superiorità di lei, che fosse troppo per lui, soprattutto per il Nathan che aveva conosciuto agli inizi di Hidenstone. «E no, non ti lascerei mai andare, te l'ho detto che gli altri sono stati dei folli a farlo». Quel gioco, quella vicinanza però rischiava di ritorcersi loro contro. Per una volta King ragionò con l'unico neurone che gli era rimasto e permise alla ragazza di allontanarsi da lui, solo dopo un bacio che lasciò sulla sua fronte. «Andiamo, farfallina, c'è un letto che ci aspetta». Il guadagnare riva, l'incamminarsi nuovamente verso la casa di quell'estate avevano dato il peso di quanto potesse tenerci alla consorella, da non voler rovinare quello che avevano per nulla al mondo. Una parabatai. Le allungò un telo mare. «Prima di fregarmi l'ennesima maglietta» le spiegò, mentre ne usava uno più piccolo per togliere l'umidità lasciata dall'acqua salata e dalla sabbia. Gambe e piedi erano un disastro, ma non aveva la forza di andare a sciacquarsi. «Se ti freghi tutto il letto ti spedisco a dormire fuori sull'amaca». Amica avvisata mezza salvata.
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    Avrebbe voluto dirle che quella faccia era nulla in confronto a quelle che aveva fatto in direzione del confratello, ma preferì tacere e gongolare alla rassicurazione della biondina. «Vorrei ben vedere», gongolò, arruffando piume immaginarie. Si chiamava pur King per un motivo, no?! Purtroppo per lui, però, Emma sembrava non voler mollare l'osso -leggasi Lucas- continuando ad insistere sul perché di tanta acrimonia verso il moro. «Oh, da dove vuoi che inizi?» Non gli aveva fatto nulla, personalmente, per quello che sapeva, ma ciò non significava che non avesse creato problemi a qualcuno che voleva bene. «Sembrava più una tua stampella che un fidanzato. Così in ansia che era un no praticamente a tutto», sembrava fosse il solo a ricordarsi il momento in cui Emma non credeva in se stessa, tanto da avere paura della sua stessa ombra. Non che le cose siano diametralmente opposte ora ma un netto miglioramento c'era stato. «E poi non mi sopporta neanche lui», mise il broncio come il migliore dei bambini, sbuffando nel sentire la sua affermazione successiva. «Sbagliato», si agitò facendo increspare l'acqua.
    «Sba»
    «glia»
    «to».
    L'indice paragonabile ai tergicristalli di un auto babbana. «Semplicemente per la mia migliore amica desidero il meglio e non smidollati o tipi che non sanno tenerselo nei pantaloni!» Che l'auror con cui era stata rientrasse nell'ultima categoria era poco ma sicuro. Rientrava in quella categoria in cui anche lui aveva militato, fino a quando una ghiacciolina non l'aveva fottuto alla grande.
    «Sai perfettamente qual è il suo nome», tutto il calore era sparito dalla sua voce, lo sguardo a volgere ovunque tranne che sulla sua amica. «Già, sparita, così e», prese un respiro, continuando a tenerla stretta a sé, «mi chiedo solo se valga la pena aspettarla ancora». Ormai erano mesi che non sapeva più nulla di lei, di dove fosse e come stesse. Non una risposta ad un messaggio, gufo o chiamata. Nulla di nulla. L'aveva lasciato senza avere neanche il coraggio di dirglielo.
    Se la sua mente vagava alla Dioptase, quella dell'Ametrina era tutta diretta a tutt'altro tipo di pensiero. «Eh?!» Fu la prima reazione istintiva. «Io e te?» Sembrava avesse appena avuto una botta in testa così forte da stordirlo, ma la studentessa sembrò quasi fare marcia indietro. «Mi stai davvero dando picche prima che possa provarci con te, Lewis?»
    Decise di vendicarsi. Se si fosse allontanata l'avrebbe ripresa per il polso e, delicatamente, l'avrebbe riavvicinata a lui, una mano a salire lungo il suo collo per scostare i capelli e fermarli dietro l'orecchio. «Proprio sicura?» Il tono di voce basso, roco, lo sguardo agganciato al suo mentre si avvicinava a lei, alla sua guancia, a quell'orecchio. «Non è che vorresti ripensarci?» Le mani salde sui fianchi, al di sotto di quella maglietta che gli aveva rubato, che sollevò per impartire l'ordine di allacciare le gambe attorno ai suoi. «Sai» si allontanò con deliberata lentezza per ritrovarsi vicini, a distanza di bacio, «noi due insieme, non sarebbe male come idea». Un bluff o forse no. Non restava altro che scoprirlo.
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    Suggestione o meno,serial killer o meno, peperonata -oh, esiste una pizza ananas e prosciutto, vuoi vedere che non esiste una alla peperonata?!- o meno, Nathan Paker King accompagnò Emma Lewis al bagno da buon cavaliera qual era. E che cavaliere! Nessuna mano sul sedere, nessuna sbirciatina sotto la sua maglia che le aveva fregato per usarla come pigiama. Insomma, oltre ad una strusciata non tattica non c'era stato nulla. E che dire del suo essere cavalier servente, in ginocchio da lei per farla salire sulle spalle e poi buttarla nell'oceano?
    Il mood della paura e del sospetto avevano lasciato spazio a quello del relax e delle domande profonde che ogni tanto si sottoponeva. Sebbene poste in maniera saggia Nathan voleva sapere solo una cosa: per uno che si professa innamorato di una persona dopo quanto può riprendere a battere chiodo?
    C'era da dire che però lui fino. quelle vacanze alle Florida Falks non aveva più pensato al sesso, ma... le vacanze stavano finendo e quella rischiava di essere l'estate più triste sin dalla notte dei tempi.
    E chi, meglio della sua migliore amica che aveva amato uno stronzo, avrebbe potuto darle una risposta? Come due lontre nell'oceano, Nathan teneva vicino a sé Emma che però sembrò non voler assumere la sua stessa posizione. Forse perché voleva vedere meglio la sua smorfia di disgusto al sentirle dire di aver amato Jones. Ed una ola parte da lui, che torna a muovere le gambe per rimanere a galla, quando ripete che è stata lei a lasciarlo. Lo credeva quasi impossibile. Eppure si era liberata da qualcuno che le faceva solo del male, a suo modo di vedere. «Spero non amici come noi due, eh, se no mi offendo!» Ma il sorriso si spense al suono del suo nome per intero, in un tono che raramente aveva sentito da lei. Annuì all'accenno di Berlino, ben comprendendo dove il suo racconto stesse andando a parare. «Non c'è neanche bisogno di chiedermi se ti credo. Ovvio che sì!» La riprese bonariamente, circondandola con le braccia e stringendosela di più al petto. Probabilmente avrebbe sentito anche nascere la sua risata profonda prima ancora di sgorgare. «Forse dovrei costruirgli una statua, a questo Thomas, visto che ti ha fatto lasciarle Lucas». Le posò il mento sulla testa, continuando a cingerla e a lavorare per far rimanere entrambi a galla. «Però di una cosa mi spiace: è stato uno stupido, questo Thomas, a non cercarti più, dopo». Perché per lui era incomprensibile lasciare una come Emma dopo che aveva donato un momento così importante per lei. Perché se aveva bisogno di inzuppare il suo cazzo di biscottino avrebbe fatto meglio a cercare un'altra tazza. «No, ci ho ripensato. La statua la voglio solo per me». Per lui, il re dei migliori amici.
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    Nathan era uno di quelli che prima agiva e poi ci pensava.
    Secondo voi, uno come lui, avrebbe mai potuto pensare che la sua migliore amica si potesse imbarazzare o sentire incomoda ad essere posata sulla sua erezione mattutina? Che risposte, ovvio che no! Soprattutto se il suo risveglio era stato brusco ma anche un po' provvidenziale a causa del soggetto del suo sogno. Del suo incubo.
    Ma Emma Lewis, che arrossiva e lui non poteva vederlo -al più avrebbe potuto percepirlo se le avesse toccato il viso- si mosse fino a trovare una posizione più congeniale strappandogli comunque un gemito. Dannazione, era un ragazzino nel pieno della sua fase eccitativa(?) e che non andava a letto con qualcuno da mesi, cosa ci si poteva aspettare?
    Il tempo delle scuse non arrivò visto che, in barba ad eventuali intrusi, iniziarono una lotta di solletico perché in due non facevano un cervello. No, okay, Emma era più sveglia di lui ma sembrava perdere i suoi pochi neuroni sani quando era con lui.
    Lui che comunque riprese la situazione in mano -no, non quella che pensate voi- sollevando la puffetta fino a condurla verso il bagno esterno al loro bungalow. Sballottando un po', giusto per fare scena e farla ridere nella remota ipotesi che lui la lasciasse cadere togliendo le mani che si trovavano sotto le sue cosce, giunsero a destinazione dove King l'adagiò a terra, chiamò un lumos e perlustrò il bagno alla ricerca di eventuali intrusi. «Em, non mi ricordo neanche cosa ho mangiato per cena, vuoi che mi ricordi di come abbia lasciato la finestra?» Chiese, aprendo ogni singola anta ci fosse alla ricerca di eventuali mostri, facendo un po' scena. Come c'era da aspettarsi, non trovò nulla di interessante, tranne quella finestra che chiuse. Probabilmente l'aveva aperto lui stesso dopo la sua ultima visita.
    «Via libera, fifona» comunicò ridendo, chiudendosi poi la porta dietro ed appoggiandosi ad essa mentre scrutava l'oscurità illuminata debolmente dal suo lumos. Non vedeva nulla di preoccupante, così spense quel puntino luminoso e incrociò le braccia fino a quando non avrebbe udito un lieve bussare alla porta, segno che Emma fosse pronta a rientrare.
    «Cavalluccio o manina?» la prese in giro, accovacciandosi comunque perché, conoscendola, sapeva che avrebbe optato per la prima opzione. «Se mi prometti di non scalciare o russare ti concedo di dormire con me» annunciò, anche se ormai il sonno per lui era passato. «Oppure...» lasciò in sospeso, prendendo a correre non in direzione della sua stanza, bensì verso l'oceano in cui si buttò con la biondina ancora sulle sue spalle. Tutto quello che avrebbero potuto vedere, ora, era grazie al riflesso della luna piena di quell'acqua stranamente calda per essere quasi l'alba.
    Una volta riemerso sul pelo dell'acqua, mettendosi davanti a lei, iniziò a sollevare schizzi d'acqua col solo scopo di infastidirla.

    Ora era come una stella marina, che si lasciava cullare dal moto delle onde, legato ad Emma solo dalle loro mani intrecciate. No, non erano due stelle marine, ma due lontre. Avete visto quanto sono carine? «Dopo che è finita con Lucas, per quanto tempo ti sei sentita persa?» Era la prima volta che accennava al suo ex, ma anche la prima a voler parlare di Amelia. Le mancava, ma non sapeva cosa fare. L'avrebbe cercata? L'avrebbe rivista? Sarebbero tornati insieme o tra loro era tutto finito? Era convinto che lui non si sarebbe più fatto fregare da una ragazza, dai sentimenti e dal suo cuore. L'aveva fatto una volta e gli era bastato. C'era però da dire che non era tornato alla sua vecchia vita, come se il suo volare di fiore in fiore avesse stancato persino lui. «Dopo quanto ti sei avvicinata ad un altro ragazzo?» Prese una pausa, chiudendo gli occhi. «L'hai cercato o è capitato per caso?» Ora era lui ad arrossire, perché con Emma avevano sempre parlato di empowerment e non di relazioni se non la loro amicizia e quella che li legava alla loro famiglia. Non avevano mai parlato di Amelia, se non per tranquillizzarla del fatto che non l'avrebbe mai messa in secondo piano, perché lei era la sua migliore amica e sarebbe venuta sempre prima di tutto. Eppure, qualche volta, l'aveva lasciata indietro, troppo preso dalla Dioptase.
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  10. .
    Correva. Era sul limitare di una foresta, ma più correva verso la radura più questa si allontanava. I muscoli gli dolevano, il respiro era così corto che le formule degli incantesimi erano spezzate così come i movimenti rigidi della bacchetta. Sapeva che doveva fare in fretta, che lei lo stava aspettando nella radura in cui erano finiti in una calda serata londinese. Sentiva i suoi lamenti, come se qualcuno le stesse facendo del male, il rumore dei rami secchi che si spezzavano sotto i suoi piedi. E poi un colpo. Ne seguì un'altro ed una manciata di altri più piccoli, ma ravvicinati. Il fastidio era ancora più reale della foresta in cui era. A quello si aggiunse il suo nome, abbreviato, poi una supplica. La voce era femminile ma non era la sua.
    Sgranò gli occhi ed invece del cielo scuro punteggiato dalle cime degli alberi Parker vide solo buio, immaginando però di trovarvi le travi a vista che producevano ombre allungate dal chiarore che sapeva venire dalla porta finestra lasciata aperta.
    Era nel suo letto nel bungalow che anche quell'anno i suoi genitori avevano affittato per l'estate e al suo fianco c'era Emma che lo scuoteva.
    Un sogno. Un incubo. Lo stesso che lo perseguitava da un po' di tempo. Non ne aveva fatto parola con la sua migliore amica perché non voleva affrontare la questione ad esso legato. Non voleva parlare di lei. Non poteva. Si stiracchiò, sperando che non l'avesse svegliata con le sue urla, incurante di essere solo con i boxer. Dopotutto non cambiava poi tanto visto che passavano quasi ventiquattro ore su ventiquattro in costume. «Che succede?» La voce roca, impasta dal sonno, la mano a passare sul viso per riscuotersi un po'. «Vuoi che ti tenga la manina, Lewis?» Scherzò, prima di sentirle dire di aver udito dei rumori sinistri. Non riusciva a vedere il suo viso ma chiaro fu il suo movimento che dal suo fianco, su quel microscopico letto singolo, la fece sedere su di lui, in particolare su una zona particolarmente presente nel momento del risveglio. «Em-» si interruppe, il corpo che iniziò a contorcersi per il solletico che l'altra finì con lo scatenare su di lui. «Guerra?» Erano due idioti, perché invece di partire subito in quarta alla ricerca di chi avesse prodotto suoni che avevano spaventato la bionda, si erano lanciati in una lotta all'ultimo solletico. Le braccia cinsero il corpo esile della sua consorella, i muscoli dell'addome vennero chiamati agli straordinari così come quelli della schiena per sollevare entrambi dal letto, permettendo di fatto alla ragazzina di cingergli i fianchi con le gambe.
    Una mano si staccò da lei per passare in rassegna, a tentoni, il comodino fino a trovare la bacchetta. «Non dovevi andare in bagno?» La prese in giro, iniziando a pensare che fosse tutto uno scherzo e che l'avesse svegliato appositamente perché magari aveva avuto un brutto incubo. In caso di equivoci le avrebbe pizzicato il fianco, giusto per divertirsi un po', pronto a sollevarsi dal letto con lei in braccio per scortarla verso il luogo designato al minimo cenno di assenso dell'Ametrina.
    Nathan Parker
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  11. .
    Ultimamente la sua vita era segnata dall'addio delle donne della sua vita. All'inizio era stata la sua Amelia che sin da quando erano andati a Boston per trascorrere l'inizio del nuovo anno insieme sembrava aver preso la via del "ne ho le palle piene di te, King", il che gli sarebbe stato anche bene se non fosse il fatto che era lei. Si era innamorato poco a poco, scoprendo di avere un lato fortemente romantico. Era stato persino perculato alla grande dai suoi amici per le intere vacanze estive, nel vederlo rispondere ogni tre secondi quando compariva il suo nome sullo schermo e con tanto di occhi a cuoricino e bavetta da ebete.
    Neanche il tempo di iniziare a realizzare -figurarsi razionalizzare- la perdita che anche la sua futura parabatai aveva finito col tirare i remi in barca e seguire Tom dall'altra parte del mondo. Per carità, era felice che la Lewis avesse ritrovato il gemello perduto, ma quanto dannazione poteva far male il pensiero di non essere abbastanza?
    Per fortuna che aveva due spalle così, ancor meglio se c'era la possibilità di darsi un po' da fare, sciogliere la bacchetta e vedere un po' di sangue, il tutto avvallato da un arbitro. Un sogno, la perfezione! Figurarsi quando di mezzo c'era uno come Maverick.
    Certo, però, neanche il tempo di abituarsi alla sabbia, con tanto di inchino al magitecnico e al suo avversario -«Che vinca chi ha il miglior durello- che ecco star su su una grande ninfea. L'acqua non è quel bel verde piacevole da paradiso terrestre, bensì qualcosa di stagnante, non il top. E li vede: pesci comuni e tra quelli dei piranha. «Meglio cercare di non diventare mangime per pesci», sebbene avesse un pendente made in Morrigan capace di limitare parzialmente i danni, da lì, a sentirsi al sicuro era un altro paio di maniche. Alle sue spalle aveva delle imponenti radici, ma il tempo passava e doveva agire in fretta. Puntò la bacchetta verso Harry, cercando di guadagnare tempo. «Reducto», per poi puntare al tronco dell'albero sperando che la linea bianca uscisse da lì per trascinarlo fino a lui. Il tutto senza dare le spalle al nemico. «Carpe Retractum!» Se il master lo permette, Nathan rimase sorpreso di sentire il legno come se non fosse proprio legno, ma qualcosa di vivo, pulsante, tanto da concentrarsi e tastarlo con la mano libera per cercare di ricordare qualcosa in più delle lezioni della professoressa Onfroy.
    Nathan Parker
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    Azione 1: Reducto su Harry
    PP di riferimento: Coraggio, 16
    Incantesimo: Nome: Sortilegio Defenestrante
    Classe: Offensivo
    Formula: Reducto
    Movimento: Puntare il bersaglio
    Effetto: Scaraventa violentemente l'avversario o l'oggetto in aria. L'oggetto, se colpisce qualcuno, causa danno. Se scaglia un essere vivente, esso subirà danni in funzione della violenza della caduta (non danno pieno)

    Azione 2: carpe retractum per abbracciare l'albero
    PP di riferimento: intelligenza, 8
    Incantesimo: Nome: Incantesimo Aggrappante
    Classe: Generico
    Formula: Carpe Retractum
    Movimento: puntare l’oggetto a cui aggrapparsi, una linea bianca si aggrapperà ad esso e si verrà trascinati in quella direzione o viceversa.
    Effetto: permette di aggrapparsi agli oggetti, raggiungendo posti inaccessibili
    Note: con Tecnica > 25 è possibile modificarne la consistenza della linea bianca

    Mezza Azione: cerca di riconoscere la pianta, trovare info etc


    CITAZIONE
    PP
    Coraggio: 13+3 di conversione
    Empatia: 13
    Intelligenza: 08
    Resistenza: 15
    Tecnica: 12 +1 del pendente indossato
    Intuito: 07
    Destrezza: 05
    Carisma: 09

    CITAZIONE
    Oggetto
    Pendente in zaffiro dei Mari: quando indossato -1 ai danni subiti, +1 Tecnica
  12. .
    Tra gonorrea e logorrea c'era uno scambio di g ed una sostituzione di consonante che poteva cambiare le sorti di una relazione. Per fortuna che la Lewis era così bonaria da non offendersi e da non riprenderlo, ormai abituata alle sue uscite fuori luogo e senza senso. Piccoli sprazzi di gioia nella tristezza che avvolgeva la bionda da quando aveva scoperto l'identità del suo gemello. Il suo grandissimo cervello aveva partorito un piano piuttosto semplice: prendere pochi amici ma buoni e convincerli a supportare la loro mascotte in quel cammino difficile di conoscenza di una persona che ti era sempre mancata. «Pensavo a me, Erik, magari posso chiedere anche ad Amelia», avanzò il bostoniano, dubitando però che la sua dolce metà partecipasse ad una uscita del genere. Però tentare non aveva mai nuociuto, no? Ed il fatto che alla biondina andassero bene le presenze di Erik e la sua forse era meglio così. «Se consideri che anche lui porterà qualcuno direi che per iniziare andrà bene», la supportò per quella scelta prima di chiamare Marf e dimostrare quanto fosse un completo idiota. Non solo aveva ordinato della cioccolata ma aveva aumentato il carico con una cospicua presenza di biscottini iper calorici, il male per Emma. «Lo giuro, non volevo ucciderti!» Cadde ai suoi piedi, mettendosi tra le sue gambe e giungendo le mani in segno di preghiera. «Scusa, scusa, scusa», ripeté velocemente, con un faccino tenerino a cui non avrebbe potuto dir di no. «Mi perdoni?» Chiederlo però non era solo una forma di cortesia, ci credeva in quelle due paroline ed in quel momento erano molto più importanti di un bel bicchiere d'acqua in una giornata con oltre quaranta gradi all'ombra.
    Tornò al suo posto, permettendo che l'altra si accoccolasse a lui in un comportamento che di sensuale aveva nulla. Le carezzò i capelli, ringraziando con un cenno del capo il povero elfo che aveva assistito a tutta quella scena. La sua tazza sarebbe rimasta accanto a lui, le mani impegnate in carezze sulla schiena. «Dubito tu non possa piacergli, Em-Em», ammise con franchezza, perché la nana era difficile da odiare oltre ogni misura. «Ma se dovesse essere così idiota ricorda che io sarà il tuo gemello non di sangue per tutta la vita». Si chinò per lasciarle un bacio sulla fronte. «Non è stato un caso il nostro, ci siamo scelti follettina», cosa che continuavano a fare ormai da due anni, nonostante gli alti e bassi che tutte le amicizie prima o poi si trovavano ad affrontare. Poi richiamò l'elfo domestico con una mano sollevata. «Ehi, Marf, non è che avresti quei biscottini senza zucchero?» Alla fine erano buonissimi bagnati di cioccolata e non avrebbe causato la morte dell'amica. Forse.
    Nathan Parker
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    L'eleganza di un elefante era il paragone più verosimile che potesse esser fatto circa il comportamento di Nathan di fronte alla rivelazione che la Lewis avesse trovato il suo gemello e che si trattava di un ragazzo che conosceva da molto più tempo di lei. Per tutti i santi numi! Quante possibilità c'erano che si verificasse una cosa del genere? E sebbene avesse preso male la mancanza di volontà nell'ametrina di fare il test del DNA ripensando alle sue parole e sul fatto che entrambi avessero un comportamento al di sopra delle righe poteva essere quanto di più vicino ad un test scientifico e sicuro al novantanove per cento.
    «In effetti, ora che ci penso, avete quel problema di vomitare le parole», mosse la mano imitando un rigurgito immaginario di parole. «Com'è che si chiama?» Unì medio e pollice facendoli scoccare più volte alla ricerca di quella lampadina che aveva fatto diventare famoso un filosofo babbano che al momento non ricordava. E la sua personalissima eureka arrivò, persino con lo stesso tono dopo centinaia e centinaia di anni. «Gonorrea!» Quando in realtà è la logorrea, ma dettagli quando si tratta di Parker. Bisognava perdonarlo per quelle uscite, così come i suoi gesti fin troppo sentiti, non arrivando a dosare la forza e rendere la sua migliore amica un delizioso milkshake alla fragola. La lasciò andare, ma non lontano, continuando ad esserle vicino ma solo con le sue grandi mani. Voleva capire come stessero le cose tra i due, se lui l'avesse ferita o se dopo la grande rivelazione avesse fatto qualche passo verso di lei. Lei che si era sentita smarrita, schiacciata da una situazione più grande di lei e che nonostante tutto stava cercando di risalire la corrente da cui era spinta lontana. Aveva sul serio paragonato Emma Lewis ad un salmone? Sssh, non diciamolo ad alta voce, ci teneva davvero ai suoi gioielli di famiglia. Già li metteva a rischio ogni volta con la sua ghiacciolina! Ma ora non poteva permettersi di pensare alla sua ragazza, c'era un'altra donna importante nella sua vita che aveva bisogno di tutto il suo aiuto. «Ehi, ehi, Em-Em, calma», cercò di rassicurarla, prendendole una mano tra le sue, notando come fosse così minuta al confronto con la sua. «Potresti iniziare dalle basi», iniziò, sollevando una mano da quella presa per chiederle di lasciarlo finire di parlare prima di ribattere.
    «Tipo uscirci insieme», annuì con convinzione, forse troppa, tanto che poteva essere banalmente fraintesa in amore incestuoso e cose simili. «Non guardarmi così, lo sai cosa intendo, no?» Indicò prima lei, poi se stesso, poi persone immaginarie intorno a loro, dimentico che erano in una cucina, con degli elfi, pronti ad esaudire ogni loro desiderio culinario se solo avessero avuto modo di chiederglielo. «Magari potremmo organizzare un'uscita con gli altri ed andare a bere qualcosa al villaggio, che ne pensi?» Che poi cosa c'era di meglio di un po' di alcol per distendere nervi, qualche chiacchiera e della buona compagnia? Sembrava che quell'anno Ilvermorny fosse stata presa d'assalto dai suoi ex compagni di scuola, per quanti se ne aggiravano tra quelle parti. «Così che se dovessi sentirti in difficoltà o il bisogno di avere una spintarella, potresti contare su di noi» ed indicò di nuovo se stesso, perché anche se non avevano ancora una runa a testimoniarla, i due c'erano sempre stati l'una per l'altra, sia nei momenti bui e tristi, che in quelli felici, soprattutto in quelli felici. «Magari così Foster finalmente la finirà di girare come una trottolina impazzita tra lezioni, allenamenti e tirocini». Non che il loro prefetto fosse l'unico ad essersi dato alla macchia. Nell'ultimo periodo sembrava che gli abitanti nel castello venissero risucchiati in buchi neri per poi ricomparire diversi mesi più tardi, magari in momenti cruciali. «Che ne pensi?» Poi, sollevò una mano, in direzione di un elfo che si trovava a passare vicino a loro. «Ciao Marf!» Avrebbe salutato la creatura magica con il migliore dei suoi sorrisi. «Potresti portarci due cioccolate calde, con della panna montata ed in una una spolverata di cannella?» Chiese con dolcezza, occhieggiando in direzione della sua amica decisamente provata. «Oh e magari anche quei deliziosi biscottini...» In realtà non sapeva se erano al cocco o al burro, erano buoni tutti per lui, ma magari alla Lewis poteva piacere qualcos'altro da accompagnare alla bevanda calda sacra agli dei.
    Nathan Parker
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    All'improvviso i due non erano più seduti sulla panca dura delle cucine messa a disposizione degli elfi, bensì nel bel mezzo di uno studio televisivo in qualche programma tipo Carramba o C'è posta per te. Nathan si sentiva nel duplice ruolo di spettatore e protagonista tenuto all'oscuro. Il fatto che fosse accanto alla bionda e non dall'altro lato della busta gli permetteva di comprendere come non fosse lui il protagonista assoluto, bensì fosse stato assunto dal destino come figura di supporto per il povero cuore dell'ametrina. «E?» Incalzò con quella vocale cui non sapeva di volere davvero una risposta. Ottenerla avrebbe significato non più fingere che era stato davvero un pessimo amico. E ci si sentì non solo quando ricevette conferma, ma anche che lo conosceva. «In che senso?» Era spaesato, i visi dei ragazzini del primo anno si affollarono nella sua mente, alla ricerca di qualcuno della stessa età della Lewis e non è che fossero in tanti ad avere quel numero sulla carta di identità. Man mano che scartava le possibilità dei biondini, un volto iniziò a delinearsi sempre più con orrore. «Thomas?» Non poteva essere lui. «Come Tom tuono alato Roberts?» Si accertò che fosse proprio lui il parente della Lewis. Sul suo viso si affollavano la sorpresa, lo sgomento, la confusione e un pizzico di disappunto, soprattutto nell'apprendere come lo sapesse da diverse settimane. «In che sens-» ma tacque nel vedere la sua follettina prendere le redini della situazione ed iniziare a raccontargli quanto si fosse tenuta dentro per tutto quel tempo. Lasciò che le parole si adagiassero e sedimentassero, continuando a studiare la figura di lei che aveva Mirtillo a confortarla. «Non vi somigliate per nulla», osservò cauto, indicandola con un ampio gesto della mano. «Hai mai pensato di fare un test del DNA?» Era dannatamente seria quella proposta, come poteva rimanere ancora con il dubbio e una solida base scientifica cui appoggiarsi? Okay, sapeva dell'esistenza di gemelli eterozigoti, ma tutto gli sembrava così surreale. Il ragazzino smilzo famoso per essere stato bocciato diverse volte ad Ilvermorny -andiamo, neanche a lui avevano fatto fuori ed era veramente penoso- e che ora si trovava ad Hiddenstone era il gemello perduto della sua migliore amica, della sua parabatai. «Cioè, non ci credo, te e Tom gemelli», si passò una mano sulla faccia e poi tra i capelli, tirando un paio di ciocche, in un gesto che palesava il suo smarrimento. «Cioè... se fosse davvero lui...», le riprese la mano per stringerla con forza. «Hai ritrovato il tuo gemello, Em-Em» e l'abbracciò, con Mirtillo che provò a dissentire per la mancanza di attenzioni con un paio di guaiti. «Oddio, ma quanto sei sotto shock ancora?» Chiese al suo orecchio, avvicinandosela al petto per non lasciarla andare. «No, perché io tantissimo». Il che era assurdo e da megalomani, ma si amava Nathan anche per quello, vero? «Em-Em e Tom-Tom. Fratelli», le mani sulle spalle a shakerarla un po'. «Gemelli!» La strattonò un paio di volte, poi rendendosi conto di come la stava sballottolando si fermò. «Scusa», cercò di risistemare il disastro dei suoi capelli e poi le prese di nuovo una mano tra le sue, come lei aveva fatto prima con la sua morsa d'acciaio. «E ora... cosa succede? State cercando di creare un rapporto?» Non poteva essere geloso di lui, non poteva farlo perché alla fine lui le era obbligato ma Emma aveva scelto King tra tanti e lui ne sarebbe stato sempre riconoscente, pronto a salvarla con indosso la sua miglior armatura da migliore amico. E fu un lampo: «Non mi dire che ti ha fatto o detto qualcosa che ti ha fatta star male!»
    Nathan Parker
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    Sin da quando i loro cammini si erano incrociati, Nathan aveva provato per Emma un istinto di protezione dalle forti tinte fraterne e che poi si era mischiato ad un affetto sempre più profondo, totalizzante. Non era la prima volta che vedeva il viso di diamante luccicante di lacrime. Prese in giro, cuore spezzato e dolore erano state la causa di quelle gemme preziose. Si era ripromesso di volerle rivedere su di lei, splendenti come potevano esserle in un cielo cosparso di stelle e privo di luna, ma scatenate da un eccesso di risa o per la gioia incontenibile capace di far scoppiare il cuore. Non in quel modo, come se portasse su quelle piccole spalle strette tutto il peso del mondo. Con Mirtillo tra loro a non comprendere l'antifona di quel momento, Nathan aveva stretto a sé quel corpicino minuto la cui testa riusciva a sfiorare i pettorali bassi. Emma era il suo scricciolo, il suo portafortuna, e non riusciva a capacitarsi del perché gli altri ne vedessero un soggetto di cui sbeffeggiarsi continuamente.
    Era cresciuta, maturata, da quel giorno nel labirinto cui Parker l'aveva messa spalle alle siepe dicendole che avrebbe dovuto ritrovare la sua forza primordiale e costruirsi delle armi e non solo una corazza inscalfibile. I primi risultati si erano visti nei momenti di crisi che avevano colpito la scuola negli ultimi mesi, ma poi dopo un apice di tranquillità c'era stato il vuoto dei M.A.G.O. ma che, a quanto sembrava, non avevano fatto altro che deviare i pensieri di Nathan dal nocciolo della questione.
    Soffrì dello stacco fisico cui la ragazzina si era servita per recuperare compostezza, ma lui non era di certo famoso per rispettare lo spazio vitale di una persona, tanto che mentre lei si passò il braccio sul viso per asciugare le lacrime lui vi aggiunse la sua mano, che finì col ricadere mollemente sul suo fianco quando l'altra si allontanò quel tanto che le bastava per crollare sulla panca al centro della stanza. Mirtillo andò a sedersi davanti, dandole la schiena in chiaro assetto di protezione, passandosi una zampina sul muso. La domanda che le aveva posto mentre l'aveva costretta ad incontrare i suoi cerchi marroncini, quasi neri, venne ribattuta con un'altra che lo lasciò frastornato. Si lasciò cadere accanto a lei, chinandosi per afferrare il cagnolino e metterlo a metà tra le loro cosce, passandogli la mano libera sulla testolina che posò sul grembo della padroncina. «Sì...» sussurrò, lasciando che intrecciasse le loro dita e ricambiandone la stretta, il capo chino su di lei come un mantello protettivo. Ma eccola lì, che il fuoco iniziò a divampare in lei, insieme a quelle rivelazioni che fornirono elementi principali al bostoniano per chiudere il cerchio. Il gemello, che non era Percy, era uscito allo scoperto. Come? Com'era successo e perché lui non ne aveva capito nulla? «L'hai...» il pollice sul dorso della sua mano a tracciare piccoli cerchi, quel tanto che la presa ferrea di lei concedeva. «L'hai conosciuto?» Quelle tre parole racchiudevano in seno una moltitudine di domande che, se l'altra avesse voluto, avrebbe potuto rispondere senza neanche pronunciarle una alla volta. Chi era? L'aveva trovato lei o era stato lui? Erano ancora in contatto?
    Nathan Parker
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