In heart-stopping waves of hurt

pomeriggio, domenica 13 novembre

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    Il triennio era iniziato con una piega un po' diversa. Caricato a molla dal nuovo percorso dedicato alla cura trascorreva buona parte del proprio tempo libero alla riserva delle creature magiche, in particolar modo nella zona riservata alle case di cura. Quella settimana la rotazione che effettuava tra La Casa dell'Acqua e della Terra lo voleva nel cuore della radura a prestare aiuto con alcuni animali che si erano feriti e persi in quella parte dell'isola. In particolare di un piccolo riccio che a causa della zampetta anteriore destra rotta non era riuscito a raggiungere in tempo la sua tana, per il suo meritato letargo. Era così spaventato all'inizio che non faceva che pungere ogni singola persona che provava ad avvicinarsi. Parker, con il bene placito della docente di Magia Verde, iniziò a tentare ogni sorta di escamotage per potergli applicare unguenti e bendaggi che avrebbero velocizzato la guarigione. Il primo era stato con il cibo: aveva provato con la qualità più pregiata di millepiedi essiccati, poi a freschi scarafaggi catturati da lui stesso dopo che quelli nel barattolo erano stati elegantemente rifiutati con un paio di buchetti sul suo avambraccio. Non demorse, giorno dopo giorno tornava a trovarlo e a farlo abituare al suo odore, alla sua voce che canticchiava canzoni abbastanza sconce e cibo freschissimo. Arrivò persino a trasportarlo con lui all'interno di una piccola gabbietta allo Sherlock Holmo, arrampicandosi sui rami fragili al solo scopo di fargli provare il brivido dell'altezza. Scoprì troppo tardi che non vi andava troppo d'accordo: aveva dovuto buttare via una delle camicie della divisa per il misto di insetti che non erano ancora stati processati dal piccolo stomaco. L'aveva soprannominato Bert, il suo amico Bert che ora se ne stava finalmente con una zampetta steccata e la pancia all'aria per ricevere i suoi grattini. «Ti ho abituato troppo bene, caro mio», sorrise l'ametrino, posando la testa contro il tronco dell'olmo -ormai vi si sedeva solo alle sue radici, la lezione l'aveva imparata- e gustandosi i raggi di un sole autunnale stranamente caldo.
    Nathan Parker
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    Era stata un'estate...caotica. Non appena Hidenstone aveva chiuso le porte per la pausa estiva si era ritrovata coinvolta in uno dei mille campus estivi ai quali sua madre l'aveva sempre obbligata a presenziare, una sorta vacanza pagata tra altri ragazzini ricchi che lei aveva sempre amato e odiato assieme. Da un lato adorava l'idea di primeggiare e mettersi in mostra con gli altri suoi coetanei, quelli che condividevano le sue stesse cifre di eredità e che lei non vedeva l'ora di veder affondare. Dall'altra parte però quell'anno era tutto diverso: aveva lasciato la scuola dopo aver passato un anno con Nathan, e non era certo abituata ad avere legami così profondi e importanti per così tanto tempo.
    Non aveva idea di come gestire quel genere di rapporto nel lungo termine, non era nemmeno abituata a chiedersi quel genere di domande, ad avere dubbi su come e quanto tenere i contatti con qualcuno, quindi alla fine aveva agito come faceva sempre, senza cambiare granchè. Non aveva evitato l'altro del tutto, non ne aveva ragione e ogni volta che pensava di dimenticarsene qualcosa di strano le prendeva lo stomaco, ma comunque non si era sforzata di trascinare avanti le cose, non si era fatta sentire granchè e aveva continuato a postare foto della sua vacanza e della sua estate.
    Si era goduta meno il campus estivo di quanto avrebbe voluto, si era isolata più del suo solito e si era ritrovata a godere di più dei momenti di solitudine, finendo per partire da sola per le Highlands per qualche giorno solo per godere di una libertà di cui non pensava nemmeno di avere bisogno. Le era servito, si sentiva molto più connessa a se stessa e cominciava ad accettare anche la sua natura di licantropo, tutto sommato.
    La sua vacanza fuori programma l'aveva portata a saltare i primi giorni di scuola, ritornando ad Hidenstone con un leggero ritardo che le aveva permesso di saltare i giochi di inizio anno, cosa che le era dispiaciuta solo perchè non aveva avuto la possibilità di vincere in ogni gioco possibile.
    Comunque il ritorno a scuola non aveva cambiato granchè le cose tra lei e Nathan, sospettava che entrambi fossero stati abbastanza impegnati da non incrociarsi mai per davvero e non sapeva che cosa pensare. Non si era chiesta che cosa avrebbero fatto una volta tornati sotto lo stesso tetto, non si era domandata cosa volesse davvero da loro due ma, per quanto strano, le mancava e non aveva intenzione di ignorarlo come poteva fare con chiunque altro.
    Così alla fine, contro ogni aspettativa, aveva chiesto in giro dove fosse il ragazzo e si era addentrata nella Riserva solo per raggiungerlo. Le bastò vederlo da lontano per sentire lo stomaco contorcersi e si rese conto di non sapere ancora che cosa dirgli di preciso o che cosa fare. Forse avrebbe dovuto sforzarsi di progettare qualcosa prima di finire lì, ma era troppo tardi perchè non l'avesse vista e lei non era così codarda da tornare sui suoi passi.
    Alla fine optò per uno dei suoi soliti sorrissetti e un cenno leggero della testa, indicando non solo Nathan ma anche all'animaletto - che da lontano non era sicura di saper identificare- che sembravava dormirgli addosso. "Ti sei dato alla vita da eremita?" buttò lì con più leggerezza possibile, cercando di nascondere ogni parvenza di nervosismo.
    Amelia Farley

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    L'estate non era scivolata via come quella dell'anno prima. In tutta realtà se quella piattola della sua migliore amica non si fosse presentata alle Florida Keys e trascinarlo in ogni singola attività proposta dal villaggio vacanze, probabilmente l'avrebbe trascorsa solo a base di marshmellow arrostiti in qualche falò, tanti tentativi di prendere l'onda perfetta dall'altra parte degli States e nulla più. Non era più l'anima della festa.
    Quanto all'inizio del triennio, semplicemente stava facendo la macchietta in tutto tranne che nelle lezioni che lo interessavano davvero, impegnandosi in attività extra curriculari per non pensare. Per non pensare a lei. Come il solito maschio etero medio, ovvero un cretino, aveva rivisto Amelia in Sala Grande ma aveva deciso di non avvicinarsi, di non fare un passetto in più, manifestare la gioia della sua presenza come un cucciolo di cane.
    Decise di giocare al suo stesso gioco: l'attesa.
    Era estenuante fingere di non vederla, infilarsi in pertugi nei corridoi per non farsi vedere e non andare dritto da lei, prenderla per le spalle, scuoterla e poi soffocarla in un abbraccio. Non sapeva come comportarsi perché non si era mai trovato a dover fronteggiare una situazione del genere. Difficile risultava raccapezzarsi in un mondo fatto di sottigliezze e sentimenti, ci aveva provato ed aveva fallito.
    Forse avrebbe dovuto insistere un po' di più, forse non avrebbe dovuto crearsi un profilo fake per vedere ciò he pubblicava sui social dopo averla bloccata. -È stato già detto che un bambinone?- Alla fine, però, sembrava che la sua strategia avesse funzionato, tardi, ma l'aveva condotta da lui.
    A onor del vero credeva di esser stato bravissimo nel fermarsi in un posto in cui lei non avrebbe mai messo piede, almeno non volontariamente. Vederla così vicina, senza nessuno con cui confondersi o qualcosa di più di un olmo in cui nascondersi, fu un colpo, dritto in pieno petto. Bellissima, come sempre. Fredda, come sempre. Altezzosa, come sempre, constatò a quella domanda buttata così, come se lo stesse deridendo. «Buffo che sia tu a chiederlo», aveva arrestato le coccole a Bert, che non prese molto bene la cosa e lo morse al dito. «Ahia!» Scrollò la mano, studiando poi se ci fossero tracce di sangue. Non ce n'erano. Riprese a giocherellare coi polpastrelli sulla parte morbida dell'animale. «Come mai da queste parti?» Tornò a squadrarla coi suoi grandi occhi nocciola, cercando di mantenersi freddo e distaccato, proprio come lei le aveva insegnato.
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    Diversamente da quello che si poteva pensare, la distanza che aveva messo tra se stessa e Nathan non faceva parte di un contorto piano per farlo ingelosire o per permettere al ragazzo di realizzare quanto si potesse sentire perso e solo senza di lei. Una volta, anche solo un anno prima, avrebbe organizzato qualcosa del genere, anche solo per confermare di avere un certo ascendente su di lui e di non essere sostituibile con qualsiasi altra, ma ora non aveva progettato niente, era successo e basta.
    Non aveva mai desiderato davvero prendere le distanze, e aveva pensato al ragazzo molto più di quanto le piacesse ammettere, ma non aveva idea di come fare altrimenti e dal momento che Nathan non era ancora tornato da lei strisciando -come facevano tutti quanti, prima o poi, per le sue esperienze passate- alla fine si era convinta a prendere lei in mano la situazione. C'era qualcosa di piacevole quanto strano in quella decisione, ma aveva dovuto lottare parecchio contro la paura di risultare patetica, sciocca o peggio ancora disperata prima di realizzare che se non lottava per quel che voleva aveva ben poche speranze di ottenerlo, per una volta.
    Una come Amelia non era abituata a cercare nessuno, non lo aveva mai fatto prima, non era stato necessario: erano le persone ad avvicinarla, a cercarla, ad elemosinare il suo sguardo e le sue attenzioni, e malgrado sapesse da sempre che Nathan era diverso da tutti gli altri, fino a quel momento sentiva di non aver realizzato quanto.
    Una parte di lei apprezzava quell'indipendenza, l'idea che l'altro sapesse fare a meno di lei ma scegliesse di volerla al suo fianco perchè lo voleva, non solo per mero bisogno di sentirsi importante con una come lei accanto. Eppure quell'incertezza, quell'essere stata ignorata, bene o male, per un'estate intera l'aveva anche portata a chiedersi se la stesse scegliendo per davvero, dopotutto, o se il loro fosse stato solo un flirt nato per caso, continuato per divertimento, e niente di più.
    Certo, dopo essersi obbligata ad analizzare a ritroso il loro rapporto ammetteva che era sempre stato Nathan a cercarla, e dopo un'altra attenta e lunga analisi aveva convenuto con se stessa che poteva compiere qualche sforzo in più per fargli capire che anche lei lo voleva. Avrebbe dovuto essere scontato, per lei era evidente come lo trattasse sempre diversamente, ma forse non era così.
    Inclinò la testa quindi, osservando la scena a distanza più ravvicinata, fermandosi solo a qualche passo dai due. "Ti sei scelto un nuovo amico esigente." osservò, e già mostrare interesse per quel che stava facendo le sembrava un chiaro segno di quanto potesse essergli mancato. Non abbastanza però, visto che Nathan le rispose con più freddezza di quanto immaginasse.
    Normalmente si sarebbe irrigidita, forse addirittura offesa per quella poca considerazione, ma non era lì per farsi adulare e forse cominciava a intuire di aver davvero sbagliato per una volta.
    "Ti stavo cercando." rispose con leggerezza, come se si trattasse di una ovvietà, inclinando appena la testa. "Non è stato facile trovarti in effetti, comincio a sospettare che mi stessi evitando di proposito." aggiunse con un mezzo sorriso, forse più sicuro di quanto non si sentisse, mentre cercava di mettere da parte l'improvviso bisogno di avvicinarsi di più.
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    Sembrava così lontano il giorno in cui, a zonzo con i suoi amici che dagli States erano venuti a trovarlo nel vecchio continente, vide il riflesso dell'argentea in una vetrina con un abito che la innalzava a divinità. Chissà se la chiesa abbandonata in cui l'aveva portata continuava ad ospitare ragazzi in cerca di fantasmi o nel tentativo di far colpo sulla loro conquista. Tra loro aveva avuto inizio lì la loro storia, anche se si erano scoperti il primo giorno sulla galera che li aveva portati a Denrise. Anche quella era infestata da fantasmi. Forse quello era un'avvisaglia sul tipo di legame che avrebbero avuto poi? La sensazione di vuoto che gli aveva provocato l'indifferenza di Amelia poteva essere paragonata a quella di un arto fantasma, qualcosa che credevi ancora di possedere ma che in realtà non c'era più.
    Immagine dura ma forse più vicina a descrivere quello che aveva provato negli ultimi mesi. A nulla erano valsi i tentativi di Emma di riportarlo a galla in un oceano illuminato dalle stelle che non avevano saputo rispondere -prontamente- alle sue richieste.
    Ma in qualche modo Cassiopea, Andromeda e l'Orsa Maggiore avevano lavorato per portare Amelia Farley a pochi passi da lui. In caso di maledizioni istantanee avrebbe fatto meglio a rivolgersi a qualche pantheon, magari quello norreno visti i legami che avevano con quell'isola.
    All'ombra di Sherlock Holmo, che quel giorno non ospitava curiosoni tra le sue fronde, Nathan accolse in maniera diversa il tentativo di dialogo che l'altra stava tentando di fare. Un vero e proprio rovesciamento delle parti.
    «Le cose semplici mi annoiano». La prima stoccata, forse più auto inferta, venne effettuata. Era proprio perché annoiato che in passato era saltato da un letto ad un bagno per trovare un po' di brio; era quella mancanza di semplicità nella nobile strega ad averlo attirato nella sua trappola.
    «Ah sì?» Un finto stupore fu quello che riuscì a mettere in scena, tastandosi con la mano libera le tasche fino a trovare ciò che cercava: un pacchetto di sigarette. Ne tirò una, afferrandola direttamente con le labbra. «Che strano, sono sempre stato facilmente raggiungibile», il rumore di una rotellina che azionava la fiamma del suo accendino fu l'unico rumore per diverso tempo. Un tiro e lasciò andare il fumo verso l'alto ed in vento contrario rispetto all'animale che continuava a starsene rannicchiato sul suo basso ventre, con un respiro più lento adesso. Sapeva che sarebbero bastati altri cinque minuti per sentirlo russare piano. «Pensa un po', per scoprirlo ti sarebbe bastato rispondere ad una chiamata o un messaggio» chiarì, non senza una vena di sarcasmo, la stessa che gli aveva invidiato quando aveva qualche dissapore con altri studenti. «Ma forse ti prendeva la linea solo per postare foto con i tuoi nuovi pinguini», un altro tiro rabbioso, trattenne più a lungo il fumo prima di liberarlo nell'aria. La testa si reclinò per osservarla al meglio, un sorriso strafottente sulle labbra strette.
    «Comunque, brava, mi hai trovato». Stava giocando sul filo del rasoio, ne era perfettamente consapevole, ma non le avrebbe reso le cose facili. Non era più il Nathan servizievole che aveva messo da parte qualsiasi cosa ogni volta che lo chiamava. Questo non significa che non gli costò nulla, perché per quanto volesse la Dioptase non gli era indifferente seppur avesse cercato di evitarla. Lasciò cadere la sua provocazione nel vuoto, così come non avanzò la proposta di raggiungerlo e sedersi accanto a lui e Bert, semplicemente si ritrovò a porgerle una domanda.
    «Cosa ti serve?»
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    Aveva pensato parecchie volte, negli ultimi mesi, a loro due, a come si erano incontrati, a come avevano finito per costruire qualcosa di concreto nonostante le sue aspettative e il fatto che non avesse mai pensato di trovare un fidanzato o qualsiasi cosa Nathan fosse. Si rifiutava ancora di usare vere e proprie etichette, forse non era ancora pronta per una definizione che rendesse tutto ancora più concreto e reale.
    Le piaceva quello che avevano costruito, si era resa conto da sola di quanto le mancasse quel rapporto quando erano lontani, e forse proprio quella sensazione la spaventava, l'idea di dipendere da qualcuno per essere felice -anche se si trattava comunque di una dipendenza relativa- non la faceva impazzire eppure sospettava di non avere già più scelta. D'altra parte stava con Nathan la faceva sentire bene, e forse quella era la parte peggiore: come poteva rinunciare a qualcosa di positivo, raccontandosi di non averne bisogno?
    Alzò le sopracciglia quando l'altro parlò di come le cose semplici lo annoiassero, non si aspettava una stoccata di quel tipo e quella andò a segno subito, come se lo avesse detto direttamente a lei. "Fortuna allora che sono io ad averti trovato." cercò di difendersi, mostrando però così di essere stata punta nel vivo.
    Sospettava di meritarsi quel genere di risposte, l'acidità, la freddezza, il distacco che lei aveva sempre riservato a chiunque altro e che ora le si ritorceva contro. Dopotutto Nathan era diverso anche per quello, riusciva a farla sentire in modi che non avrebbe mai reputato "suoi" prima di quel momento, sentimenti che non contava di poter provare ed emozioni che non le appartenevano. Anche quel senso di mancanza, il bisogno di avvicinarsi di più, la voglia di abbracciarlo...erano tutte sensazioni profonde e improvvise, che non era sicura di poter controllare e per una che aveva sempre avuto il coltello dalla parte del manico quello equivaleva a mostrare il fianco e combattere bendata contro un nemico imprevedibile. Non certo una situazione che avrebbe ricercato volontariamente, ecco.
    Non aveva comunque intenzione di abbassare le difese del tutto, aveva ancora una dignità e un certo orgoglio e comunque pensava di essere, almeno in parte, nel giusto. Nathan forse si era sentito ignorato, ma non aveva capito niente di lei? Proprio lui, così empatico e attento a tutti non riusciva a capire quanto per lei quella situazione fosse nuova? Non meritava nemmeno un po' di comprensione?
    "Sarebbe bastato quello? In genere è la gente che mi cerca, nessuno mi evita, vedrò di annotarmi questa osservazione." replicò, con un tono che rimaneva comunque sulla difensiva e che suonava come una scusa ma comunque nel suo stile. Sospirò piano, cercando di non irrigidirsi troppo comunque, non era davvero lì per litigare e non aveva fatto lo sforzo di cercarlo per mandare poi tutto all'aria.
    "Pinguini comunque non è male come soprannome, non si discosta molto dalla realtà." gli concesse comunque, accennando un vago sorrisetto. Non aveva tutti i torti, forse lei non li avrebbe definiti così ma quell'osservazione le forniva comunque del materiale: Nathan aveva comunque continuato a seguirla, aveva visto quel che aveva pubblicato, significava che dopotutto provava ancora un certo interesse.
    Non era una cosa scontata, doveva ammettere di essersi immaginata una conversazione ben diversa da quella che stavano avendo, con Nathan che si mostrava molto più disponibile e accondiscendente ma doveva ammettere che quella versione del ragazzo non gli dispiaceva poi così tanto, anzi era eccitante sapere che aveva intenzione di tenerle testa e non darle ragione a priori.
    "Non mi serve nulla, volevo rivederti." replicò, stringendosi appena nelle spalle, cercando comunque di trovare qualcos'altro da aggiungere, e si sorprese nell'avere sincero interesse nel continuare a parlare. "Mi sembra che anche tu ti sia divertito quest'estate, comunque."
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    Amelia era stata un pensiero fisso di Nathan per mesi, anni, sin da quando si erano incontrati sulla Galera al loro primo anno. Se all'inizio aveva pensato solo ad intrufolarsi anche nelle sue mutandine, col passare del tempo si era scoperto davvero interessato a lei, a desiderare di sorprenderla e di vedere quel suo raro sorriso spuntarle sul viso e sapere che era stato merito suo. L'aveva rispettata, mai tradita e amata sempre, anche quando erano stati lontani. Non una ragazza aveva più sfiorato il suo corpo -ad eccezione di Emma, ma lei era come una sorella per lui e quindi non rientrava nell'equazione nonostante i discorsi notturni alle Florida Keys- non un bacio e neanche uno sguardo di troppo. Il Parker dell'Ilvermorny avrebbe deriso e preso a calci il King di Hiddenstone e a lungo non gli era importato. Era andato imperterrito avanti per quella strada fino a quel momento in cui era sbucata nella radura. Ora si dava dell'idiota, perché magari avrebbe fatto meglio a divertirsi anche lui, a lasciarsi andare, a tornare sulla carreggiata del fregarsene e farsi qualsiasi cosa respirasse. Gli aculei di Bert si conficcarono nuovamente nel suo palmo: aveva arrestato le sue carezze. Se lo meritava. Come era convinto di non meritarsi quella replica alle mancate risposte ai suoi segnali di fumo. «Sì, Amelia, sarebbe bastato solo quello» rimarcò, guardandola con disprezzo quando lei stessa si servì del suo nomignolo per i ragazzi del campo estivo che la seguivano come una regina. Aveva avuto anche lui quello sguardo perso ed adorante che vi aveva scorto? Lo aveva anche ora o stava riuscendo a mantenersi freddo e distaccato come desiderava? E poi perché lo stava cercando? Cosa voleva da lui in quel momento, il caro vecchio suddito sembrava essersi ribellato. Si rimise in piedi, portandosi nella risalita Bert ed incamminandosi verso i laboratori per riportarlo al caldo. «L'hai fatto, mi hai rivisto, direi che non serve altro», le dava le spalle, non sapeva neanche se lo stesse seguendo fino a lì. «Scusa?» Voltò dapprima il capo, poi il corpo ruotò di conseguenza fino a trovarsela di fronte. «Quando, esattamente?» Gli occhi ora mandavano dardi di fuoco verso quel ghiaccio, alla ricerca di crepe per riuscire ad appiccare un incendio. «Se pensi davvero che mi sia divertito vuol dire che non hai capito proprio nulla di me e dei miei sentimenti». La lasciò, entrando velocemente nella struttura, lasciare un Bert recalcitrante nella sua gabbietta e riuscendo dopo un breve saluto ai presenti. Non sapeva se l'avrebbe trovata ancora lì, ad aspettarlo, ma se così fosse stato si sarebbe concesso il lusso di avvicinarsi, fino a stordirsi con il suo profumo e guardarla dritto negli occhi nonostante l'enorme differenza di altezza che li divideva. «Temevo di non essere abbastanza per te, abbastanza bravo, intelligente, carino... accettabile per i tuoi standard», scosse il capo non riuscendo a porre un freno, forse perché non voleva davvero metterlo. «Credo che non ti sia mai interessato davvero di me, dei miei sentimenti», la mano corse sul suo braccio avvolgendolo con le dita ma senza stringere troppo. «Perché io ti amavo, Farley, ma credo che per te non sia stato lo stesso».
    Nathan Parker
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    Edited by Nathan Parker King - 30/11/2022, 19:49
     
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    Non si reputava una esperta di quelle cose e odiava abbastanza le commedie romantiche da non avere troppi riferimenti in merito, eppure le poche puntate di “Una mamma per amica” che aveva intravisto nella televisione di Ashley quando era più piccola le suggerivano che quel genere di confessioni, in genere, fossero meno arrabbiate e sofferte e più romantiche. Non che a lei del romanticismo fosse mai importato granché, e non si poteva sentire la mancanza di qualcosa che non si aveva mai avuto, giusto?
    Passata la sorpresa iniziale, che l’aveva lasciata immobile a fissare Nathan senza battere ciglio il suo esordio fu abbastanza prevedibile. “Sei un’idiota, cazzo.” pronunciò senza vergogna, gli occhi più lucidi e le guance che si coloravano di un rosa deciso. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, insultarlo, forse anche morderlo in quel momento e in un modo non troppo sexy. Come in tutte le cose Amelia non era tipo da compromessi, come lei vedeva spesso la vita in bianco o in nero, anche le sue reazioni -ancora di più dopo la trasformazione- erano sempre travolgenti, in positivo come in negativo. Era felice di quel che Nathan le aveva detto? Certo, il cuore le batteva all’impazzata nel petto e sentiva una sensazione allo stomaco che solo quello stupido Ametrin alto due metri poteva causarle, eppure non era quella l’emozione prevalente. Tutto quello che sentì montare fu rabbia, per come si era appena definito per lo più e per l’aver assunto ipotesi basandosi solo sul fatto che lei, proprio lei, con i sentimenti non era così brava come dava a vedere.
    In quel momento non pensò troppo a che cosa si potesse dedurre dalla sua prima frase, e non si trattenne dal dargli un pugno sul petto: Amelia era minuta, non avrebbe potuto fargli troppo male e per quanto lo colpì con decisione non come fa nemmeno ferirlo, dopotutto.
    Gallopin’ gorgons… tu pensi davvero che io avrei scelto di passare del tempo con te se non ti reputassi brillante, affascinante e dannatamente sexy?! Pensi davvero che avrei anche solo pensato di rivederti se non ti avessi ritenuto una delle persone migliori che abbia mai incontrato?!” ringhiò con rabbia, snocciolando una serie di complimenti senza nemmeno rendersene conto. Più parlava, più il nervosismo misto alla paura -innegabile- di averlo davvero perso cominciarono a farla da padrona, togliendole il fiato e anche quella lucidità che cercava sempre di mantenere. Cominciò a prenderlo a pugni più volte, con forza decrescente, mentre il cuore cominciava a rimbombarle nelle orecchie e qualche lacrima -di rabbia avrebbe detto lei- le segnava le guance.
    “Sei arrivato nella mia vita, mi hai incasinato la testa… non riesco a fare altro che pensarti, cazzo, e tu te ne reagisci così?! Solo perché non so come diavolo gestire tutto quel casino che mi invade lo stomaco ogni volta che sei intorno?!” continuò alzando la voce, incurante di spaventare quel cosetto che ora Nathan si portava dietro e che, in ogni caso, lo aveva distratto troppo per i suoi gusti. Se non altro ora erano vicini, una parte di lei gongolava nel poter sentire il suo profumo e il suo calore di nuovo ma per paura che decidesse di allontanarsi di nuovo alla fine lo afferrò per la maglia, per non lasciarlo andare.
    In quel momento non era in grado di pensare davvero e analizzare tutto ma quel “amavo”, al passato, distrusse ogni briciolo di compostezza rimasta, gettandola in quello che per lei poteva definirsi panico, una nuova sensazione ben più spiacevole delle altre.
    “Va all’inferno Nathan Parker King, mi sono innamorata di te al primo sguardo e tu nemmeno te ne sei accorto.” ringhiò alla fine, gli occhi che assumevano ora un nuovo riflesso, il respiro sempre più corto e la sua mente che sembrava farsi meno lucida mentre tremava contro di lui. Era chiaro che non aveva intenzione di lasciarlo andare, così come era chiaro che in quel momento non fosse affatto padrona di se stessa, stava a Nathan decidere se fosse un bene riuscire a farle perdere il controllo fino a quel punto oppure no.
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    L'immagine del Nathan strafottente stava ormai vacillando, tanto che dopo averla accusata di non averlo mai compreso, né dato il giusto peso a ciò che più volte aveva espresso tramite gesti, sguardi e baci, abbozzando qualcosa anche a parole, era scappato a portare al sicuro Bert ma anche per recuperare un attimo la calma. Aveva scrollato le spalle, oscillato le braccia, reindossato la maschera senza neanche controllare che fosse ancora intera.
    La trovò ad aspettarlo e lui non poté evitare di avvicinarsi e continuare il filo conduttore dei pensieri che dalla mente portavano alla bocca, rivelandoli senza neanche curarsi di ferirla o di esporsi davvero così tanto, usando termini importanti ma con tempi verbali che non sapeva fossero giusti o meno. Passato o presente poco cambiava, in fin dei conti, dato che a stravolgere tutto sarebbe stato il futuro. Un futuro ignoto, un futuro prossimo che portò la Farley a usare una “parolaccia“. Doveva essere sconvolta per decidere di usare quelle parole, per le guance colorate e gli occhi lucidi. Per una volta la vide davvero vulnerabile. Non indietreggiò, non oscillò nemmeno e non la fermò quando lo colpì in pieno petto, seppur non facendogli davvero del male. Erano nello stesso stato d'animo rabbioso, rancoroso, ma se lui era famoso per essere un libro aperto vedere l'umanità che si celava dietro quella coltre di ghiaccio lo annientò. Lo annientò al pari di quelle cose che non gli aveva mai detto, che aveva provato a fargli capire con il suo essere meno gelida e caustica rispetto agli altri. Arrivarono le lacrime e trattenersi per allungare una mano a spazzarle via fu davvero difficile, ma si appellò a quelle settimane di silenzio e d'indifferenza. Continuò a farlo persino quando metteva sul piatto d'argento la sua incapacità nel reagire a lui, allo spazio che aveva occupato dentro di lei, a quello che le provocava. Se solo avesse chiesto, se solo lei non fosse così rigida. Si sbilanciò, arrivando a cingerle i fianchi con un braccio per non rovinarle addosso, mentre lei si artigliava alla sua maglia come se stesse per crollare e impalarlo in un colpo solo.
    La verità dei fatti fu che lo fece lui stesso, lasciandosi cadere su una spada immaginaria infilzata nel terreno, perché all'ammissione di lei di essersi innamorata di lui sin dal primo istante non riuscì a trovare altra soluzione che baciarla. Con rabbia, dolore, denti e morsi. Ne tornava a rivendicare il possesso, ne rivelava quanto danno gli avesse fatto, di come aveva finito con il trasformare un galletto come lui in una persona fedele. La baciò, rubandole anche il più piccolo dei respiri, dei sospiri; una mano tra collo e mento, le dita intrappolate dai suoi lunghi capelli bianchi mentre la costringeva a seguirlo fino a mettersi sulle punte.
    L'irruenza del bacio finì, la fronte posata su quella di lei a riprendere il fiato che entrambi avevano perso. «Sono arrivato ad odiarti, Ame». Naso contro naso, occhi nei suoi e le mani che non lasciavano la presa su di lei, ma anzi l'avvicinarono ancora di più. «Non so se riusciremo a tornare quelli di prima», ammise, «tutto quello che posso offrirti, ora, è vedere cosa succederà, nessuna certezza». Le sollevò il mento, con delicatezza, affinché lo guardasse con quei suoi occhi cristallini in cui finalmente riusciva a vedere molte più sfumature. «Ti sta bene?» Le chiedeva tanto: nessuna certezza che sarebbero tornati insieme, nessun Nathan a rispondere presente ad ogni suo capriccio, ma soprattutto tentare di avere una piena fiducia in lui, di buttarsi in qualcosa su cui non avrebbe avuto il controllo. Era impensabile, quasi, per la Farley che aveva imparato a conoscere negli anni e, in qualche modo, gli avrebbe dato il peso reale delle parole che l'altra gli aveva vomitato addosso, cariche di rabbia.
    Nathan Parker
    King

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    The biggest misunderstanding about me is that I'm just a bratty, gobby idiot.
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    Ametrin
    Wampus
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    Non era abituata a sentirsi dire dei "no", e nemmeno dei "forse" se per questo, piuttosto era abituata a vedere tutti ai suoi piedi e ad averla sempre vinta. Non che avesse sfruttato quel privilegio di recente, Nathan aveva nominato i suoi "pinguini" ma poi il discorso era dirottato altrove, così velocemente che non aveva nemmeno avuto il tempo o il modo di fargli sapere che, in ogni caso, non era successo niente, con nessuno, durante quell'estate. Non lo reputava nemmeno importante, non era sicura che tutto quello sfogo derivasse da della stupida gelosia, in genere lei si nutriva di quel tipo di sentimenti e cercava sempre di suscitargli negli altri, non era solita temerli.
    Tutto quello che aveva detto era vero, e in effetti anche il modo in cui aveva dato voce a quel che provava da mesi rispecchiava come si sentiva dentro: scossa, travolta da un mare di emozioni a cui spesso non sapeva dare un nome, e sopratutto fuori controllo.
    Aveva cominciato ad abbracciare quella parte di sè meno glaciale, più istintiva, cominciando dalla sua parte da lupo, giusto per avere un punto di inizio. Quell'estate le era servita anche a quello, ad accettare quella parte di se e cominciare ad abbracciarla, ma non significava che fosse pronta a fare lo stesso con tutto il resto.
    Aveva silenziato quei sentimenti proprio perchè non sapeva da dove partire con l'analizzarli, non aveva idea di dove potessero portarla, che conseguenze potessero avere, e ora che li aveva vomitati in faccia a Nathan si sentiva vuota e ancora più arrabbiata. Era come se ogni sua singola cellula tremasse leggermente, come se sentisse la necessità di muoversi, di fare qualsiasi cosa pur di trovare sollievo.
    Il bacio che li travolse entrambi fu un ottimo modo per cercare sollievo, per provare a grattare quella sensazione via di dosso, e si lasciò trascinare senza opporre resistenza. Ci mise del suo, sfogò la sua rabbia e il suo nervosismo in quello scontro di denti e lingua, senza trattenersi e uscendone senza fiato, gli occhi che inevitabilmente cercavano quelli di Nathan.
    Non avrebbe saputo classificare quel che provava una volta che furono distanti di nuovo, se quello era amore o qualcosa di simile aveva un sapore ben più amaro di quel che avrebbe immaginato. Così come erano amare le parole che Nathan decise di riservarle, provocandole un'altra ondata di nervosismo al centro del petto, mischiato a quella paura di cui si era già stancata. Avrebbe dovuto vivere sempre così adesso? Era arrivato il suo momento di avere paura di perdere qualcuno? I suoi pensieri, per tutta risposta, cominciarono ad accavallarsi in spirali contorte. "Ti ho dato tutta me stessa. Potrei trovare qualcun altro in un battito di ciglia. Sei proprio uno stronzo, perchè non mi hai cercata prima per dirmelo?"
    Eppure, per quanto strano, non diede voce a nessuna di quelle realizzazioni, anzi la voce le sembrò quasi di averla persa almeno fino a che non aprì di nuovo bocca, dopo essersi persa per qualche istante negli occhi dell'altro.
    Non era da lei accettare compromessi, nè tanto meno lanciarsi in qualcosa di così incerto. Sapeva di poter avere di meglio, era cresciuta in quella convinzione, eppure in quel momento non sentiva il bisogno di cercare nessun altro, anzi aveva voglia di capire che cosa intendesse Nathan, aveva bisogno di provare.
    "Dammi quello che hai, Parker." rispose quindi, e per quanto forse poteva non essere la risposta ideale era comunque un sì che valeva parecchio, ancora di più da parte di qualcuno che fino a qualche mese prima non avrebbe mai abbandonato le sue certezze per una promessa come quella. Per sancire la sua risposta si sarebbe tesa verso l'altro, cercando di incontrare di nuovo le sue labbra e ritrovare sollievo in un altro bacio tutt'altro che delicato e dolce.
    Amelia Farley

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