Eppure mi hai cambiato la vita

Emma&Nathan | Contest Sanremo

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    Aveva i lacrimoni agli occhi, la piccola Emma, quando aveva scritto a Nathan.
    Forse lo aveva allarmato, perché il suo messaggio non sprizzava gioia da tutti i pori come al solito, anzi era quasi criptico. Un semplice "Ti prego, ho bisogno di vederti. Facciamo nelle cucine tra 20 minuti"
    Non gliel'aveva posta come domanda perché in effetti non lo era. Aveva bisogno di mettere qualcosa sotto i denti e cercare di metabolizzare quanto era successo e siccome mancava ancora parecchio all'ora di cena e lei non poteva aspettare né per vedere il suo migliore amico, né per mangiare.
    Era passato un po' di tempo da quando Thomas le aveva fatto quella confessione che l'aveva a dir poco destabilizzata. Lui... il gemello che credeva di aver perso per sempre? Era stato un colpo al cuore, una stilettata che lo aveva fatto sanguinare. Inizialmente aveva pensato ad uno stupido e crudele scherzo, ma poi con le sue iridi brillanti, aveva scavato negli occhi del Black Opal e non vi aveva trovato traccia di burla, anzi sembrava piuttosto serio. Inoltre, sebbene lo conoscesse da pochissimo, Thomas non le sembrava il tipo da fare lo stronzo in quel modo e senza alcun motivo, perciò aveva finito per crederci ed aveva sentito una stretta al cuore.
    Da quel pomeriggio si era un po' chiusa in se stessa, aveva iniziato ad andare di rado a lezione e solamente a quelle che lei riteneva più semplici in cui non si sarebbe dovuta sforzare o rischiare la morte, si era isolata da tutti i suoi amici, ignorando i tentativi di Mia, Erik, Aibileen o qualunque altro di conversare. Ma soprattutto, aveva iniziato ad evitare Nathan. Erano nella stessa casata ma fortunatamente o sfortunatamente, non si poteva accedere al dormitorio del sesso opposto, quindi era diventato un luogo dove poteva rifugiarsi senza che King la raggiungesse. Le era davvero dispiaciuto doverlo fare, era il suo migliore amico in assoluto e lo adorava come adorava pochissime altre persone al mondo. Ma sapeva anche che se non lo avesse evitato, l'altro ametrin glielo avrebbe chiaramente letto negli occhi il fatto che stesse soffrendo, che ci fosse qualcosa che non andava. Quindi aveva aspettato di essere pronta, non rispondendo nemmeno ai numerosi messaggi di diversi suoi compagni. Ma ora si sentiva pronta, quindi aveva mandato quel messaggio a Nathan e -in ritardo- si era recata all'appuntamento, con le mani sudate nonostante il freddo ancora pungente dell'inverno. Aveva portato con sé Mirtillo, anche lui adorava Nathan ed essendo che lei lo stava evitando, nemmeno il cane aveva avuto altra occasione di vederlo.
    Quando arrivò in cucina, lo trovò già là. Non si stupì, lei aveva sforato di un po' l'orario che lei stessa gli aveva dato, ma quando lo vide, tutto scomparve, ogni dubbio, ogni paura. Lo osservò con piena adorazione per un solo secondo, prima di spiccare un balzo e lanciarsi tra le sue braccia. Non si era accorta di star piangendo, eppure aveva le guance rigate di lacrime. Non riuscì a proferir parola, ma affondò il viso tra le pieghe della sua maglietta, inspirando il suo profumo maschile..
    Emma Lewis


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    Nathan Parker King
     
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    Rispetto agli anni trascorsi al di là dell'Oceano Atlantico il rapporto che Nathan aveva con l'altro sesso era di gran lunga migliorato. Il merito però non ricadeva solo e soltanto su di lui e ne era perfettamente consapevole; infatti, da quando due bionde avevano fatto il loro ingresso nella loro vita l'avevano stravolta, così tanto da far cambiare il suo personalissimo asse. La prima era stata la ragazza che era andata oltre le apparenze, riuscendo a fargli comprendere come fosse bello essere rammollito per amore proprio come suo papà; l'altra che la gentilezza ripagava sempre, che il cibo era il miglior balsamo per l'anima e che... nell'ultimo periodo lo stava evitando. All'inizio non ci aveva fatto caso, visto che per quanto fosse maturato il miracolo non era ancora avvenuto, poi però aveva notato che l'amica frequentemente saltasse le lezioni o anche trascorrere del tempo insieme nella loro Sala Comune. Nonostante fossero sotto lo stesso tempo sembrava che la Lewis avesse deciso di indossare per ventiquattro ore e sette giorni su sette un dannatissimo mantello dell'invisibilità. Una parte di lui aveva pensato che il suo essere così schiva potesse essere causato da un senso di imbarazzo nel ripetere il secondo anno -zia Vicky di me'- nonostante comunque un rendimento costante e ben più brillante del suo; dall'altra che fosse gelosa delle attenzioni che rivolgeva maggiormente alla Farley. Era così difficile per lui concentrarsi su più persone alla volta, soprattutto con esigenze e comprensione più profonde di un cucchiaino o, comunque, con uno stile di vita ben diverso dalle persone cui era solito accompagnarsi. Per cui quando il suo magifonino suonò per avvisarlo di un messaggio da parte della ragazzina -aveva la suoneria personalizzata con la voce di Stich che ricordava come Ohana significasse famiglia- non rischiò di ammazzarsi per recuperarlo al volo, completamente nudo ed insaponato visto che si stava godendo una meritatissima -per lui lo erano sempre- docce. Un attimo e sono subito da lei, furono le parole che digitò, dopo essersi asciugato le mani alle tende del letto a baldacchino, sfrecciando poi nuovamente sotto la doccia, prendendo però prima in pieno lo stipite della porta sul naso.
    Dieci minuti più tardi, con i capelli bagnati e la pelle ancora umida che lasciava aderire la tuta come un secondo strato di epidermide, Parker si affannò verso le cucine, saltellando per allacciarsi il paio di scarpe sportive ai piedi. Aveva una dannatissima fretta, con la paura di non trovarla lì ad attenderlo. Una fitta di panico lo attraversò quando non trovò nessuno, oltre ai poveri elfi sfruttati dalla vecchia bacucca, con la mano già pronta ad afferrare il dispositivo per chiamarla quando la porta si aprì di nuovo, rivelando una Emma pallida, triste ed accompagnata da Mirtillo. Per la prima volta Nathan ignorò l'esistenza dell'animale, limitandosi ad aprire le braccia proprio quando la ragazzina gli volò addosso, stringendola nell'abbraccio più forte che potesse. La destra a carezzarle i capelli con tenerezza. Non ci furono parole, se non un placido silenzio che sapeva di casa, di intero. La sua Emma era tornata, da lui e... «Chi l'ha fatta piangere?» Era impossibile non sentire le lacrime bagnare del tutto la maglietta della tuta. La sinistra iniziò a tracciare dei cerchi sulla schiena, mentre la destra, in una lenta discesa, arrivò fino al suo mento per sollevarlo e permettere ai loro sguardi di incontrarsi. «Cosa succede, Em-Em?»
    Nathan Parker
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    Sorrise osservando il telefono.
    Aveva sentito la vibrazione farlo tremare sopra il comodino. Era un sorriso triste, tuttavia era anche contenta che finalmente sarebbe tornata a passare del tempo con il suo migliore amico e gli avrebbe spiegato ogni cosa. L'ultima volta che lo aveva ignorato era stato più di un anno prima perché stava organizzando una sorpresa per il suo compleanno e già evitarlo per un giorno, era stato distruttivo. Ora la cosa andava avanti da settimane, ma Emma aveva dovuto trovare il tempo per metabolizzare che il suo gemello fosse a pochi passi da lei, che condividessero lo stesso tetto e studiassero le stesse materie. Era così strano, difficile credere che da Dublino fosse arrivato fin lì per lei. Ora tutte le affermazioni che le aveva fatto, acquistavano un senso. Ora era tutto più chiaro.
    Con nuove consapevolezze, si avviò verso la cucina dove aveva dato appuntamento a Nathan, anche se se la prese con comodo, non rispettando esattamente l'orario dell'appuntamento, ma sapeva che lui avrebbe capito una volta che i loro sguardi si fossero incrociati. Erano fatti per essere migliori amici, senz'altro avrebbe capito.
    Aveva i capelli bagnati, constatò un secondo prima di gettarsi tra le sue braccia. Aveva addosso una tuta e sapeva di buono. Quel contatto così spontaneo, senza secondi fini e pieno di amore le era mancato più di quanto avesse potuto pensare e si ripromise che non sarebbe mai più stata così lontana da lui.
    Si rilassò completamente contro il suo petto, lasciandosi andare a quelle piccole attenzioni che la facevano sentire a casa, era come se non si fosse mai allontanata da lui e gliene fu grata, non sembrava serbare alcun tipo di rancore. Cercò di sorridere contro il suo petto ma con scarsissimi risultati.
    Rimase in silenzio per un po', facendo aleggiare la sua domanda nell'aria tutt'attorno a loro, così come Mirtillo continuava a saltellare circolarmente intorno alle gambe di Nathan sperando di ricevere qualche carezza e magari qualcosa da mangiare.
    Con enorme sforzo e difficoltà, si scostò dall'amico e si passò un braccio sul viso, cercando di scacciare le lacrime che ancora le rigavano le guance. Lo osservò nella penombra della cucina, cadendo di peso sulla panca che campeggiava circa al centro della stanza. Tu lo sai che, da qualche parte, ho un gemello, vero? Gli domandò, prendendogli la mano e tirandolo leggermente perché si mettesse accanto a lei. Se si fosse seduto, comunque, non avrebbe mollato la presa e, anzi, l'avrebbe stretta con maggiore forza, intrecciando le proprie dita a quelle di lui. Era piuttosto sicura di avergli detto di avere un fratello adottivo -Percy- ed un gemello disperso da qualche parte, adottato da un'altra famiglia praticamente diciassette anni prima.
    Non ho mai saputo il suo nome, se effettivamente stesse bene, se fosse vivo... man mano che parlava, la presa sulla mano di Nathan si faceva più salda, quasi incredibile per uno scricciolo come lei. Ebbene, l'ho trovato. Concluse così, con un colpo di scena.
    Emma Lewis


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    Sin da quando i loro cammini si erano incrociati, Nathan aveva provato per Emma un istinto di protezione dalle forti tinte fraterne e che poi si era mischiato ad un affetto sempre più profondo, totalizzante. Non era la prima volta che vedeva il viso di diamante luccicante di lacrime. Prese in giro, cuore spezzato e dolore erano state la causa di quelle gemme preziose. Si era ripromesso di volerle rivedere su di lei, splendenti come potevano esserle in un cielo cosparso di stelle e privo di luna, ma scatenate da un eccesso di risa o per la gioia incontenibile capace di far scoppiare il cuore. Non in quel modo, come se portasse su quelle piccole spalle strette tutto il peso del mondo. Con Mirtillo tra loro a non comprendere l'antifona di quel momento, Nathan aveva stretto a sé quel corpicino minuto la cui testa riusciva a sfiorare i pettorali bassi. Emma era il suo scricciolo, il suo portafortuna, e non riusciva a capacitarsi del perché gli altri ne vedessero un soggetto di cui sbeffeggiarsi continuamente.
    Era cresciuta, maturata, da quel giorno nel labirinto cui Parker l'aveva messa spalle alle siepe dicendole che avrebbe dovuto ritrovare la sua forza primordiale e costruirsi delle armi e non solo una corazza inscalfibile. I primi risultati si erano visti nei momenti di crisi che avevano colpito la scuola negli ultimi mesi, ma poi dopo un apice di tranquillità c'era stato il vuoto dei M.A.G.O. ma che, a quanto sembrava, non avevano fatto altro che deviare i pensieri di Nathan dal nocciolo della questione.
    Soffrì dello stacco fisico cui la ragazzina si era servita per recuperare compostezza, ma lui non era di certo famoso per rispettare lo spazio vitale di una persona, tanto che mentre lei si passò il braccio sul viso per asciugare le lacrime lui vi aggiunse la sua mano, che finì col ricadere mollemente sul suo fianco quando l'altra si allontanò quel tanto che le bastava per crollare sulla panca al centro della stanza. Mirtillo andò a sedersi davanti, dandole la schiena in chiaro assetto di protezione, passandosi una zampina sul muso. La domanda che le aveva posto mentre l'aveva costretta ad incontrare i suoi cerchi marroncini, quasi neri, venne ribattuta con un'altra che lo lasciò frastornato. Si lasciò cadere accanto a lei, chinandosi per afferrare il cagnolino e metterlo a metà tra le loro cosce, passandogli la mano libera sulla testolina che posò sul grembo della padroncina. «Sì...» sussurrò, lasciando che intrecciasse le loro dita e ricambiandone la stretta, il capo chino su di lei come un mantello protettivo. Ma eccola lì, che il fuoco iniziò a divampare in lei, insieme a quelle rivelazioni che fornirono elementi principali al bostoniano per chiudere il cerchio. Il gemello, che non era Percy, era uscito allo scoperto. Come? Com'era successo e perché lui non ne aveva capito nulla? «L'hai...» il pollice sul dorso della sua mano a tracciare piccoli cerchi, quel tanto che la presa ferrea di lei concedeva. «L'hai conosciuto?» Quelle tre parole racchiudevano in seno una moltitudine di domande che, se l'altra avesse voluto, avrebbe potuto rispondere senza neanche pronunciarle una alla volta. Chi era? L'aveva trovato lei o era stato lui? Erano ancora in contatto?
    Nathan Parker
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    Nathan Parker King.
    Lui era la sua forza, la roccia ferma, inamovibile in mezzo alla tempesta.
    Era il suo migliore amico, colui che sarebbe diventato il suo parabatai.
    King era stato l'unico a credere a lei sin dal principio, a non vederla solamente come una stupida ragazzina incapace di badare a sé stessa, non le aveva eretto una cupola di vetro tutt'attorno, non aveva impedito al mondo di farle male, le aveva solamente dato gli strumenti per respingerlo, il mondo. E non poteva fare cosa migliore, perché Emma non avrebbe potuto contare sempre sull'aiuto del suo migliore amico, a volte avrebbe anche dovuto confrontarsi da sola con le conseguenze dettate dalla "legge del più forte" e sentiva che man mano che il tempo passava, giorno dopo giorno, era sempre più pronta a tutto quello.
    Si staccò da lui con difficoltà, bramando ancora quel contatto familiare e rassicurante, ma non avrebbe capito niente se avesse parlato con la voce ovattata dal suo petto. E poi aveva bisogno di un po' di spazio per riordinare le idee e mettere in fila le parole che doveva usare, come se in quel momento fossero solamente una tempesta confusa all'interno della sua mente.
    Sorrise appena quando sentì il suo pollice sulla guancia nel tentativo di asciugarle quelle lacrime che avevano solcato le sue guance come il più temerario dei predoni, solcava le acque del mare.
    Quindi si allontanò, lasciandosi cadere su quella dura panca, percependo l'impatto sotto di lei e quasi mugugnando. Si era lasciata andare troppo forte ed il legno le aveva dato una bella botta, ma non era quello il momento di lamentarsi. Osservò il suo dolcissimo cagnolino sedersi davanti a lei, vigile ad osservare qualsiasi possibile pericolo. Allungò una mano ad accarezzargli il pelo ricciolino.
    Poi incontrò lo sguardo di Nathan mentre gli faceva quella domanda che sarebbe stato il coperchio del loro personale vaso di Pandora. Accolse volentieri la testolina di Mirtillo in grembo dopo che Nathan lo ebbe messo sulla panca, quindi deglutì, pronta ad entrare nel vivo del discorso.
    L'ho conosciuto confermò, accennando a diminuire la stretta per non far male al suo amico, anche se era piuttosto certa che ci volesse ben più che la sua stretta per fargli male ma Emma era così, si preoccupava sempre per tutto e tutti.
    E sono certa che lo conosci anche tu... o almeno, lo hai sicuramente visto... a lezione. Con quell'ultima parola, rivelò che si trovasse proprio sotto il loro stesso tetto e che condividesse la loro routine in quel di Hidenstone. Si chiama... Thomas. Deglutì. Ora che aveva chiaramente detto il suo nome, sentiva che non sarebbe più potuta tornare indietro, ora lo aveva reso reale. Thomas esisteva davvero, Thomas era il suo gemello. Il ragazzino black opal specificò, come se ci fossero tanti con quel nome, al biennio. L'ho scoperto a Dicembre... me lo ha detto lui. Sollevò una mano come a volerlo fermare nell'atto di fare qualsiasi domanda o esprimere qualsiasi perplessità in merito alla veridicità del racconto. Aspetta, anch'io ho avuto dubbi che dicesse la verità. Tuttavia... perché avrebbe dovuto mentirmi senza nemmeno conoscermi? Inoltre l'ho guardato dritto negli occhi. Ho capito fosse sincero ed inoltre c'erano troppe coincidenze, come il fatto che fosse nato a Dublino. Proprio come me. E lui non poteva saperlo prima per farmi uno scherzo. Scrollò le spalle dopo aver riversato quella notizia sull'amico. Nonostante non lo avesse detto chiaramente, quella scoperta la dilaniava, le faceva male. Era come del sale su una ferita aperta.
    Emma Lewis


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    All'improvviso i due non erano più seduti sulla panca dura delle cucine messa a disposizione degli elfi, bensì nel bel mezzo di uno studio televisivo in qualche programma tipo Carramba o C'è posta per te. Nathan si sentiva nel duplice ruolo di spettatore e protagonista tenuto all'oscuro. Il fatto che fosse accanto alla bionda e non dall'altro lato della busta gli permetteva di comprendere come non fosse lui il protagonista assoluto, bensì fosse stato assunto dal destino come figura di supporto per il povero cuore dell'ametrina. «E?» Incalzò con quella vocale cui non sapeva di volere davvero una risposta. Ottenerla avrebbe significato non più fingere che era stato davvero un pessimo amico. E ci si sentì non solo quando ricevette conferma, ma anche che lo conosceva. «In che senso?» Era spaesato, i visi dei ragazzini del primo anno si affollarono nella sua mente, alla ricerca di qualcuno della stessa età della Lewis e non è che fossero in tanti ad avere quel numero sulla carta di identità. Man mano che scartava le possibilità dei biondini, un volto iniziò a delinearsi sempre più con orrore. «Thomas?» Non poteva essere lui. «Come Tom tuono alato Roberts?» Si accertò che fosse proprio lui il parente della Lewis. Sul suo viso si affollavano la sorpresa, lo sgomento, la confusione e un pizzico di disappunto, soprattutto nell'apprendere come lo sapesse da diverse settimane. «In che sens-» ma tacque nel vedere la sua follettina prendere le redini della situazione ed iniziare a raccontargli quanto si fosse tenuta dentro per tutto quel tempo. Lasciò che le parole si adagiassero e sedimentassero, continuando a studiare la figura di lei che aveva Mirtillo a confortarla. «Non vi somigliate per nulla», osservò cauto, indicandola con un ampio gesto della mano. «Hai mai pensato di fare un test del DNA?» Era dannatamente seria quella proposta, come poteva rimanere ancora con il dubbio e una solida base scientifica cui appoggiarsi? Okay, sapeva dell'esistenza di gemelli eterozigoti, ma tutto gli sembrava così surreale. Il ragazzino smilzo famoso per essere stato bocciato diverse volte ad Ilvermorny -andiamo, neanche a lui avevano fatto fuori ed era veramente penoso- e che ora si trovava ad Hiddenstone era il gemello perduto della sua migliore amica, della sua parabatai. «Cioè, non ci credo, te e Tom gemelli», si passò una mano sulla faccia e poi tra i capelli, tirando un paio di ciocche, in un gesto che palesava il suo smarrimento. «Cioè... se fosse davvero lui...», le riprese la mano per stringerla con forza. «Hai ritrovato il tuo gemello, Em-Em» e l'abbracciò, con Mirtillo che provò a dissentire per la mancanza di attenzioni con un paio di guaiti. «Oddio, ma quanto sei sotto shock ancora?» Chiese al suo orecchio, avvicinandosela al petto per non lasciarla andare. «No, perché io tantissimo». Il che era assurdo e da megalomani, ma si amava Nathan anche per quello, vero? «Em-Em e Tom-Tom. Fratelli», le mani sulle spalle a shakerarla un po'. «Gemelli!» La strattonò un paio di volte, poi rendendosi conto di come la stava sballottolando si fermò. «Scusa», cercò di risistemare il disastro dei suoi capelli e poi le prese di nuovo una mano tra le sue, come lei aveva fatto prima con la sua morsa d'acciaio. «E ora... cosa succede? State cercando di creare un rapporto?» Non poteva essere geloso di lui, non poteva farlo perché alla fine lui le era obbligato ma Emma aveva scelto King tra tanti e lui ne sarebbe stato sempre riconoscente, pronto a salvarla con indosso la sua miglior armatura da migliore amico. E fu un lampo: «Non mi dire che ti ha fatto o detto qualcosa che ti ha fatta star male!»
    Nathan Parker
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    Non aveva preventivato che con quella notizia, si sarebbe scontrata con la naturale curiosità di Nathan. Insomma, la sua migliore amica gli stava dando una notizia bomba, anche lei avrebbe voluto subito tutti i dettagli! Peccato che lei non avrebbe potuto darglieli, non tutti.
    Nel senso che è al biennio, deve essere stato bocciato... come me spiegò paziente, sentendosi ancora in difetto per la sua bocciatura, l'anno precedente. Stava andando tutto così bene finché taaac, una viscerale stretta di paura le aveva avvolto le membra, dentro quel labirinto. Aveva provato a lottare, ma alla fine la paura aveva ceduto e dalla sua bacchetta, prima che se ne accorgesse, uscì un provvidenziale Periculum.
    Ehm, suppongo di sì confermò, cercando di ripescare nella memoria il momento in cui Thomas le aveva detto la propria scuola d'origine. Sapeva che Nathan si stava riferendo a quella americana e visto che aveva azzeccato anche il cognome, non le venne nemmeno il dubbio che potessero star parlando di due ragazzi diversi.
    Quindi, prevenendo tutte le altre possibili domande, gli fece un veloce resoconto del gemello che pensava di aver perduto, attenta a non tralasciare niente o quasi, conscia che l'altro avrebbe avuto sicuramente i suoi dubbi e lo dimostrò palesandoli poco dopo. Emma rabbrividì. Nella sua innata bontà, dopo lo smarrimento ed incredulità iniziale, non aveva mai pensato che l'altro avrebbe potuto mentirle davvero, no, non ci aveva fanno nemmeno un pensiero piccino.
    Forse non nell'aspetto, ma... ci ho parlato, Nath. Tom è così dannatamente simile a me nel comportamento. Scartò con il gesto di una mano l'ipotesi di chiedere a Thomas di fare un esame del DNA, anche se nella sua mente non cestinò del tutto quell'idea. Nonostante ciò, comunque, era convinta che gemelli lo fossero davvero. L'altro aveva la stessa dolcezza accorta, la stessa tendenza a straparlare quand'era agitato, lo stesso sguardo profondo, dolce e comprensivo. Non aveva bisogno di altre prove. Stava per replicare a quel mare di parole, quando si trovò nuovamente immersa nel suo profumo e nelle pieghe della sua maglietta e stavolta le lacrime che le scesero dalle guance andando a bagnare la maglietta di lui, erano proprio di gioia. Dicendolo finalmente a voce alta, era riuscita a realizzarlo veramente. Fino a quel momento era stato come un qualcosa di astratto, ma quel pomeriggio si era estremamente concretizzato.
    Ehi, ehi rise Emma quando Nathan decise di trattarla come un milkshake e strattonarla. Non riusciva proprio a quantificare quanto lo adorasse. Si lasciò sfiorare dalle sue grandi mani calde, si lasciò prendere la propria. Ora la parte più dura, quella atta ad interiorizzare la notizia, a metabolizzarla. E quella in cui sarebbe dovuta andare di filato da Thomas.
    Veramente... non proprio. Quando me lo ha detto, io... sono scappata e... ho cercato di evitarlo il più a lungo possibile, Nath. Ero... non sapevo come reagire, era come un'esplosione dentro di me, sai? Il mio amato gemello, quello che desidero rivedere da anni ed anni. Lui ora è qui, cosa dovrei fare? Non mi ha mai abbandonata, ha sempre fatto le sue ricerche per trovarmi, ha sempre continuato a sperare. Ed ora è qui, posso averlo, posso averlo. Ma non so cosa fare. Gli riversò addosso quel fiume in piena di parole, chiedendosi se l'altro sarebbe stato realmente in grado di sbrogliare la matassa che le intorpidiva il cervello.
    Emma Lewis


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    L'eleganza di un elefante era il paragone più verosimile che potesse esser fatto circa il comportamento di Nathan di fronte alla rivelazione che la Lewis avesse trovato il suo gemello e che si trattava di un ragazzo che conosceva da molto più tempo di lei. Per tutti i santi numi! Quante possibilità c'erano che si verificasse una cosa del genere? E sebbene avesse preso male la mancanza di volontà nell'ametrina di fare il test del DNA ripensando alle sue parole e sul fatto che entrambi avessero un comportamento al di sopra delle righe poteva essere quanto di più vicino ad un test scientifico e sicuro al novantanove per cento.
    «In effetti, ora che ci penso, avete quel problema di vomitare le parole», mosse la mano imitando un rigurgito immaginario di parole. «Com'è che si chiama?» Unì medio e pollice facendoli scoccare più volte alla ricerca di quella lampadina che aveva fatto diventare famoso un filosofo babbano che al momento non ricordava. E la sua personalissima eureka arrivò, persino con lo stesso tono dopo centinaia e centinaia di anni. «Gonorrea!» Quando in realtà è la logorrea, ma dettagli quando si tratta di Parker. Bisognava perdonarlo per quelle uscite, così come i suoi gesti fin troppo sentiti, non arrivando a dosare la forza e rendere la sua migliore amica un delizioso milkshake alla fragola. La lasciò andare, ma non lontano, continuando ad esserle vicino ma solo con le sue grandi mani. Voleva capire come stessero le cose tra i due, se lui l'avesse ferita o se dopo la grande rivelazione avesse fatto qualche passo verso di lei. Lei che si era sentita smarrita, schiacciata da una situazione più grande di lei e che nonostante tutto stava cercando di risalire la corrente da cui era spinta lontana. Aveva sul serio paragonato Emma Lewis ad un salmone? Sssh, non diciamolo ad alta voce, ci teneva davvero ai suoi gioielli di famiglia. Già li metteva a rischio ogni volta con la sua ghiacciolina! Ma ora non poteva permettersi di pensare alla sua ragazza, c'era un'altra donna importante nella sua vita che aveva bisogno di tutto il suo aiuto. «Ehi, ehi, Em-Em, calma», cercò di rassicurarla, prendendole una mano tra le sue, notando come fosse così minuta al confronto con la sua. «Potresti iniziare dalle basi», iniziò, sollevando una mano da quella presa per chiederle di lasciarlo finire di parlare prima di ribattere.
    «Tipo uscirci insieme», annuì con convinzione, forse troppa, tanto che poteva essere banalmente fraintesa in amore incestuoso e cose simili. «Non guardarmi così, lo sai cosa intendo, no?» Indicò prima lei, poi se stesso, poi persone immaginarie intorno a loro, dimentico che erano in una cucina, con degli elfi, pronti ad esaudire ogni loro desiderio culinario se solo avessero avuto modo di chiederglielo. «Magari potremmo organizzare un'uscita con gli altri ed andare a bere qualcosa al villaggio, che ne pensi?» Che poi cosa c'era di meglio di un po' di alcol per distendere nervi, qualche chiacchiera e della buona compagnia? Sembrava che quell'anno Ilvermorny fosse stata presa d'assalto dai suoi ex compagni di scuola, per quanti se ne aggiravano tra quelle parti. «Così che se dovessi sentirti in difficoltà o il bisogno di avere una spintarella, potresti contare su di noi» ed indicò di nuovo se stesso, perché anche se non avevano ancora una runa a testimoniarla, i due c'erano sempre stati l'una per l'altra, sia nei momenti bui e tristi, che in quelli felici, soprattutto in quelli felici. «Magari così Foster finalmente la finirà di girare come una trottolina impazzita tra lezioni, allenamenti e tirocini». Non che il loro prefetto fosse l'unico ad essersi dato alla macchia. Nell'ultimo periodo sembrava che gli abitanti nel castello venissero risucchiati in buchi neri per poi ricomparire diversi mesi più tardi, magari in momenti cruciali. «Che ne pensi?» Poi, sollevò una mano, in direzione di un elfo che si trovava a passare vicino a loro. «Ciao Marf!» Avrebbe salutato la creatura magica con il migliore dei suoi sorrisi. «Potresti portarci due cioccolate calde, con della panna montata ed in una una spolverata di cannella?» Chiese con dolcezza, occhieggiando in direzione della sua amica decisamente provata. «Oh e magari anche quei deliziosi biscottini...» In realtà non sapeva se erano al cocco o al burro, erano buoni tutti per lui, ma magari alla Lewis poteva piacere qualcos'altro da accompagnare alla bevanda calda sacra agli dei.
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    Emma era felice di avere un migliore amico come Nathan, tuttavia a volte era proprio strano. Ma era per questo che erano amici, no? Si somigliavano davvero tanto per moltissimi versi, mentre per altri non potevano che essere gli antipodi. Sbuffò alle sue parole, passandosi una mano tra i capelli appena appena arricciati, scuotendo la testa. Non sapeva bene come e se rispondergli, ma gli diede uno schiaffo sulla spalla, sebbene fosse sicura di non avergli fatto proprio un bel niente, era troppo muscoloso e ben piazzato per subire realmente un colpetto del genere.
    Non sembra una bella parola commentò Emma, troppo poco esperta in quel campo per accorgersi che King non aveva detto la parola giusta, quindi si limitò a rabbrividire per come suonava. No, decisamente non le piaceva... ma non erano là per discutere sull'uso e sulla bellezza di una parola, ma lei aveva trovato il suo gemello! Doveva essere un'occasione per festeggiare, ed invece lei si sentiva fin troppo spaventata.
    Si lasciò abbracciare, stritolare da lui, riversandogli addosso tutte le sue preoccupazioni come un fiume che rompe i propri argini. Lui era l'unico con il quale si permettesse di essere se stessa fino in fondo, perché sapeva che non l'avrebbe mai giudicata né allontanata per come si approcciava alla vita. Era stato il primo a credere in lei e sarebbe stato anche l'unico a rimanere sempre. E poi c'era Percy, ovviamente, ma non poteva proprio paragonare i loro rapporti.
    Le basi? Mormorò in un soffio, sentendo il calore della mano di lui invaderla piacevolmente in un alone di calma e tranquillità in cui lei poteva beatamente sguazzare senza che nessuno le dicesse nulla.
    Aspetta io non- ma si bloccò, scoppiando inevitabilmente a ridere alle sue parole, scuotendo con forza la testa. Sì, certo che sì! Scemo. Si lasciò andare ad un ennesimo sospiro, aspettando che aggiungesse altro. Era persa nei suoi pensieri, persa in quello che avrebbe potuto fare o dire.
    Gli altri chi? Domandò ancora, lasciando la presa sulla sua mano ed incrociando le braccia. Certo, non si poteva dire che con il suo carattere dolce, Emma non avesse accumulato amici tra gli Hidenstoniani, ma non era certa di chi avrebbe selezionato e chi scartato per un'uscita. Credo tu ed Erik mi bastiate. Andrete benissimo commentò convinta, pensando a quanto sarebbe stato imbarazzante invitare quacun altro. Sentiva di potersi confidare con Erik e Nath, ma poteva dire la stessa cosa degli altri? Si strinse nelle spalle, annuendo con distrazione.
    Penso che sia un'ottima idea! Allora magari stasera lo chiediamo ad Erik propose, cercando di figurarsi cosa avrebbe risposto a quella rivelazione. Era sempre con la testa tra le nuvole, il loro prefetto. E non avrebbe potuto adorarlo di più. Osservò Nathan mentre fermava un elfo per chiedergli un servigio.
    Nathhh ti ricordo che io sono diabetica! Lo rimproverò senza però essere realmente arrabbiata. Anzi, sorrise. Non portare troppi biscotti Marf, non posso mangiarli asserì, accontentandosi della cioccolata calda.
    Nel frattempo, si accoccolò tra le gambe del suo futuro parabatai, posando la testa contro il suo petto.
    Sono tanto felice ma ho anche molta paura. E se non gli piaccio? E se poi decide di continuare la sua vita senza una gemella? E se... se non è come me lo aspettavo? Riversò ennesime preoccupazioni sull'amico, mentre il diligente elfo domestico portò loro l'ordinazione con una certa discrezione. Ne bevve un sorso molto lentamente, constatando che la cioccolata di Hidenstone fosse la migliore che avesse mai bevuto.
    Le fece pensare che tutto sarebbe potuto andare benissimo, che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
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    Tra gonorrea e logorrea c'era uno scambio di g ed una sostituzione di consonante che poteva cambiare le sorti di una relazione. Per fortuna che la Lewis era così bonaria da non offendersi e da non riprenderlo, ormai abituata alle sue uscite fuori luogo e senza senso. Piccoli sprazzi di gioia nella tristezza che avvolgeva la bionda da quando aveva scoperto l'identità del suo gemello. Il suo grandissimo cervello aveva partorito un piano piuttosto semplice: prendere pochi amici ma buoni e convincerli a supportare la loro mascotte in quel cammino difficile di conoscenza di una persona che ti era sempre mancata. «Pensavo a me, Erik, magari posso chiedere anche ad Amelia», avanzò il bostoniano, dubitando però che la sua dolce metà partecipasse ad una uscita del genere. Però tentare non aveva mai nuociuto, no? Ed il fatto che alla biondina andassero bene le presenze di Erik e la sua forse era meglio così. «Se consideri che anche lui porterà qualcuno direi che per iniziare andrà bene», la supportò per quella scelta prima di chiamare Marf e dimostrare quanto fosse un completo idiota. Non solo aveva ordinato della cioccolata ma aveva aumentato il carico con una cospicua presenza di biscottini iper calorici, il male per Emma. «Lo giuro, non volevo ucciderti!» Cadde ai suoi piedi, mettendosi tra le sue gambe e giungendo le mani in segno di preghiera. «Scusa, scusa, scusa», ripeté velocemente, con un faccino tenerino a cui non avrebbe potuto dir di no. «Mi perdoni?» Chiederlo però non era solo una forma di cortesia, ci credeva in quelle due paroline ed in quel momento erano molto più importanti di un bel bicchiere d'acqua in una giornata con oltre quaranta gradi all'ombra.
    Tornò al suo posto, permettendo che l'altra si accoccolasse a lui in un comportamento che di sensuale aveva nulla. Le carezzò i capelli, ringraziando con un cenno del capo il povero elfo che aveva assistito a tutta quella scena. La sua tazza sarebbe rimasta accanto a lui, le mani impegnate in carezze sulla schiena. «Dubito tu non possa piacergli, Em-Em», ammise con franchezza, perché la nana era difficile da odiare oltre ogni misura. «Ma se dovesse essere così idiota ricorda che io sarà il tuo gemello non di sangue per tutta la vita». Si chinò per lasciarle un bacio sulla fronte. «Non è stato un caso il nostro, ci siamo scelti follettina», cosa che continuavano a fare ormai da due anni, nonostante gli alti e bassi che tutte le amicizie prima o poi si trovavano ad affrontare. Poi richiamò l'elfo domestico con una mano sollevata. «Ehi, Marf, non è che avresti quei biscottini senza zucchero?» Alla fine erano buonissimi bagnati di cioccolata e non avrebbe causato la morte dell'amica. Forse.
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    Emma non poté fare a meno di irrigidirsi visibilmente quando Nathan nominò Amelia.
    Non è che la odiasse, quel sentimento non aveva mai trovato spazio nel cuore della dolce biondina, però... quando aveva conosciuto Nathan, erano solamente loro due.
    Certo, sapeva che il suo migliore amico amava intrattenersi nelle lenzuola delle ragazze, ma lo aveva visto sempre come qualcosa di effimero, passeggero. Il giorno dopo probabilmente non si ricordava nemmeno il loro nome o che aspetto avessero, ma con la platinata era diverso. Una relazione stabile significava continuità, significava ricordarsi il nome dell'altro, vederlo con costanza, passarsi il tempo, sapere il suo nome e soprattutto amarla. Ed Emma temeva che, prima o poi, il bostoniano avrebbe lasciato sempre più spazio nel proprio cuore ad Amelia, accantonando Emma in un angolino, smettendo di vederla con regolarità. Magari non avrebbero nemmeno potuto fare ciò che facevano per non ferire la sua ragazza. Magari non avrebbe più potuto rubargli le magliette e le felpe perché infastidivano l'altra. Rabbrividì al solo pensiero, ma era incapace di dire di no a Nathan. Annuì. Okay. Non aggiunse altro, consapevole che sarebbe sembrata solamente una pazza gelosa ad esternare certi pensieri.
    Venne quasi strappata con la forza ai suoi pensieri, ripresi dopo l'annullamento dell'ordine dei biscotti, quando Nathan si chinò tra le sue gambe come se stesse pregando qualche divinità. Lo osservò con i suoi brillanti occhi azzurri, non riuscendo a trattenere un sorriso intenerito per quello spettacolo. L'irritazione di poco prima defluì completamente, lasciando dietro di sé la solita Emma, quella incapace di provare sentimenti negativi per il prossimo.
    Ehi, lo so che non volevi uccidermi sussurrò, infilandogli le dita tra i capelli distrattamente, chinandosi anche per dargli un bacio sulla guancia. Non doveva essere così gelosa, lo sapeva che per Nathan era una specie di prescelta. Era forse stata la prima persona che non lo aveva attirato con intenti sessuali, che non aveva provato a portarsi a letto e con la quale non flirtava, non con serietà. Forse visto dalla prospettiva di qualcuno meno ingenuo, sarebbe potuta essere una cosa negativa... ma non agli occhi di Emma. Si sentiva intoccabile quando stavano insieme. Lui l'aveva aiutata a sconfiggere le sue paure.
    Finita la scena, dunque, si accoccolò contro il suo petto, il suo porto sicuro durante le notti di tempesta. Lo era stato sempre. Avevano passato un'infinità di notti semplicemente abbracciati sul divano della sala comune davanti al caminetto scoppiettante. Era la sua persona.
    Per tutta la vita, Nat sussurrò in risposta, annuendo con convinzione. No, non credo tanto al destino. Concordò con l'altro, ampliando il proprio sorriso contro di lui. Si sentiva veramente al sicuro, ovunque si trovasse. Sempre.
    Alla fine, arrivò l'elfo con la cioccolata, i biscotti imburrati per Nathan e quelli senza zucchero per lei. E poterono goderseli ridendo e scherzando insieme come avevano sempre fatto.
    Emma Lewis


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