But what I want I can't demand

C.C. | sabato 12 novembre

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    Fu la settimana più lunga della sua vita.
    Una volta chiusasi alle spalle la porta dell'aula in disuso l'istinto fu quello di andare a cercare Cameron Cohen. Non lo fece mai.
    Per cinque lunghi giorni l'aveva evitato in ogni modo possibile, ad iniziare dalle lezioni di Olwen dove c'era anche lui. Le saltò scusandosi con il docente per una salute così ferrea.
    In realtà era stata solo una codarda: non sapeva ancora come affrontare la mina di Evans e non voleva che il Dioptase potesse subodorare qualcosa. E così adottò la stessa tattica che lui aveva adoperato per settimane: l'isolamento.
    Alternava momenti di apatia ad una riserva di energia infinita che neanche gli allenamenti sul campo di quidditch riuscivano ad esaurire del tutto, con gli incantesimi offensivi, che provava in aula di difesa, di una potenza e precisione che non aveva mai avuto. Sapeva però che continuare in quel modo avrebbe portato solo alla disfatta. E non voleva quello.

    Quel sabato mattina, libera da impegni istituzionali, preparò uno zaino con un cambio, la tenda che le aveva procurato Hinds anni prima, un sacco a pelo e dell'alcol. Voleva tornare ad una delle cascate sui monti che scoprì in una delle perlustrazioni dell'isola quando la scuola era chiusa. A Cameron avrebbe inviato un messaggio sul magifonino -ti aspetto qui- con allegato lo schizzo di una mappa da seguire sia a piedi che sul dorso del suo choboco.
    La scalata fu lunga e silenziosa, con i soli pensieri, ricordi e i suoni della natura a farle compagnia. C'era voluto diverso tempo prima di riuscire ad attraversare la foresta, un lavoro lungo che l'aveva portata a tenere sempre la bacchetta stretta tra le dita e a sobbalzare al minimo rumore. La bacchetta era ancora nella mancina ma la paura di essere rapita di nuovo era finalmente riuscita a scrollarsela. Fino alla prossima volta che le sarebbe ricapitata.
    Il vapore, il rumore assordante dell'acqua che cadeva dai ghiacciai dei picchi di Odino, le diedero il segnale di essere arrivata a destinazione. Trovò una parte di terreno asciutto in quella radura, ergendo la tenda con un tocco di bacchetta e con un altro il fuoco dopo aver raccolto dei rami più secchi. Si sedette a gambe incrociate con al centro una delle bottiglie che aveva portato. L'aveva pescata a caso. Abbassò lo sguardo: vodka. Era stata proprio quella in Norvegia a dare l'inizio a tutto. E forse anche a mettere un punto.
    Elisabeth
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    Sembrava di essere tornati all'anno prima, quando lui la evitava, ancora confuso sui sentimenti che provava per Elisabeth e per Mia. Ma adesso, dopo mesi, era riuscito a fare un poco di chiarezza in più e quindi non capiva perché stesse succedendo. Non gli sembrava di averle fatto nulla di male, anzi, tutte le volte che adduceva qualche scusa, come lo stare male, Cameron le faceva portare in camera (ovviamente da un Black Opal) una brioche al cioccolato. Si sentiva così dannatamente smielato da far schifo. Ovviamente, non è che lei glielo avesse chiaramente detto, ma quando domandava ai docenti, quella era la risposta... poi che dicessero il vero o meno, non ne aveva idea. Insomma, che lo stava evitando, lo aveva capito benissimo, visto che non rispondeva nemmeno ai suoi messaggi.
    Nonostante tutto, Cameron restava Cameron, perciò di sicuro non si sarebbe inginocchiato davanti alla sala comune Black Opal nella speranza che la ragazzina uscisse e non l'avrebbe pregata di spiegargli il perché del suo comportamento, quindi i suoi messaggi avevano smesso via via di essere inviati e la brioche veniva recapitata sempre meno spesso, finché decise di rispondere con la stessa moneta e smettere di cercarla.

    Era sabato mattina e si stava gustando il suo dolce far niente, steso sul proprio letto, una mano infilata tra il morbido piumaggio di Ashura e l'altra nella candida pelliccia di Axe, il corpo scivolato in un sonno profondo e popolato dai suoi soliti incubi. C'erano notti intere in cui cercava in tutti i modi di rimanere sveglio, ma spesso Morfeo aveva la meglio e con sé portava orribili sogni.
    Rivedeva a ripetizione la scena in cui sua sorella si immergeva in quel lago, con l'insegnante che la guardava senza fare nulla e, anzi, sogghignava soddisfatto.

    Si svegliò in un bagno di sudore solamente quando sentì il trillo del telefono. Socchiuse gli occhi nella penombra della stanza e si girò su un fianco per afferrare l'apparecchio, abbandonato sul comodino.
    Era un messaggio criptico di Elisabeth con allegata una mappa.
    Inizialmente, fin troppo orgoglioso, aveva deciso di ignorare il suo messaggio e di tornare a coccolare i suoi famigli. Beh, il suo proposito durò circa un'ora. Era ricaduto in un torpore, quando i sensi di colpa iniziarono a fare capolino nel suo cervello. E se avesse tentato di fare qualche sciocchezza come l'anno precedente? E se un nuovo precipizio l'avesse tentata? Si sarebbe fatta del male per colpa sua. Bastò quel pensiero a farlo scattare come una molla, tanto da spaventare le due povere creature.
    Ashura, dobbiamo uscire.
    Non aveva idea di dove la ragazza lo volesse condurre, ma ad occhio e croce sembrava in montagna o qualcosa del genere, perciò si mise per prima cosa dei vestiti termici, seguiti da un paio di pantaloni mimetici ed un maglioncino. Infilò un paio di scarponi da trekking e si avviò fuori dalla sala assieme al suo chocobo, che lo avrebbe accompagnato in quell'avventura.

    Per prima cosa dovette superare il bosco, ma sul dorso di Ashura non fu troppo difficile, schivava alberi e tronchi caduti come se lo facesse da tutta la vita. Cameron si occupò di tenere gli occhi aperti, sobbalzando al minimo rumore nella speranza che si trattasse della sua Liz, seduta da qualche parte... ma restava puntualmente deluso ogni volta.
    Finalmente, dopo una quantità del tempo considerevole, uscì dal bosco. Camminò ancor un po' finché il profondo scrociare dell'acqua, non lo convinse di essere ormai giunto a destinazione. Osservò la mappa e constatò che effettivamente doveva trovarsi nei pressi dei picchi di Odino.
    Ed infatti eccola là, in mezzo alla radura erbosa.
    Era seduta affianco ad una tenda e ad un fuoco che scoppiettava molto più allegro dell'espressione che aveva la giovane in volto.
    Alcol alla mattina? Andiamo, non sei un cinquantenne con problemi di dipendenza la redarguì senza salutare, avvicinandosi e cadendo seduto a terra affianco al falò, lasciando che Ashura becchettasse l'erbetta fresca là attorno e cercasse qualche frutto più a lui congeniale. Allungò le mani intorpidite, sperando che il fuoco gli ravviasse la circolazione.
    Se sei venuta fin quassù per evitarmi, non avresti dovuto mandarmi la mappa. Stava scherzando, ma c'era anche un evidente dolore nel suo tono, nonché un leggero accenno di accusa.
    Cameron Cohen


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    Per quanto l'aura di mistero che la seguiva la volesse anche come autolesionista nulla era quanto più lontano dalla realtà. Aveva avuto un paio sbronze colossali -ed a ragion veduta- ma mai un vero problema con l'alcol. Trattava il suo corpo come un tempio, lo rispettava come tale, lo amava per com'era ma questo non voleva dire che ogni tanto si concedesse qualche sgarro. Un po' come quella mattina con una bottiglia di vodka liscia, priva di quegli aromi stucchevoli. Nel tempo di attesa era arrivata a berne un terzo, giocherellando con l'etichetta fino a strapparla e farne un piccolo rotolo. Se in quel liquido ambrato in occasione della morte della madre e nel giorno della sua ricorrenza aveva cercato di dimenticare, quella mattina tutti i suoi sforzi erano per tentare di trovare le parole giuste. Se mai ce ne sarebbero state. Le preoccupazioni non risiedevano solo nel fatto di dirgli che Josh fosse tornato -aveva degli occhi anche lui, l'avrebbe notato da solo- e neanche che avessero scopato; le preoccupazioni erano per una sua eventuale reazione. Avrebbe fatto finta di niente, al massimo qualche battuta e nulla più? Avrebbe piantato un casino e se ne sarebbe andato via? Avrebbe cercato di capire cosa l'avesse spinta -oltre al desiderio e alla rabbia- a cedergli nuovamente? Ma soprattutto, lei, perché si stava preoccupando così tanto che neanche quando aveva rivelato a Jones di aver baciato il suo compagno di stanza era stata così in ansia? Il verso di Ashura segnò la fine, momentanea, dei suoi viaggi mentali mettendo su la migliore espressione neutra che possedeva. Probabile che risultò inquietante. Non per un'altra volta. «Ne vorrai una personale», fu il suo benvenuto osservando il chocobo che se ne stava in disparte, forse consapevole che lei non fosse in vena di attenzioni. «Hai ragione, avrei dovuto mandarti un indovinello» magari uno di quelli per chiedere scusa. Forse Mia ne avrebbe trovato uno adatto. «No», si disse, «lo avrebbe scritto direttamente lei per scusarsi di aver bruciato un'infornata di biscotti». Non fu un attacco, stava semplicemente affermando il massimo della pena capitale per cui la bionda potesse essere condannata.
    Con gesti lenti ed esasperanti sollevò lo zaino per metterlo tra di loro, aprendolo e rivelandogli la scorta alcolica -e non solo- che stava offrendogli; quanto alla sua bottiglia ne bevve un sorso. Aveva pensato a diversi modi di dirglielo, se prenderlo alla lontana e spiegargli prima cosa si erano detti, cosa lui le avesse rivelato e solo dopo cosa avevano fatto. Ma quel modo di agire non sarebbe stato il suo.
    Altro sorso e poi posò la bottiglia nello spazio che le gambe intrecciate creavano tra esse ed il bacino. «Sono andata a letto con Josh». Via il dente, via il dolore, no? E così dopo aver strappato quel cerotto immaginario proseguì. «Dopo la lezione di Olwen non stavo scappando solo da te, ma anche da lui. Non volevo che tu ti preoccupassi di come avessi reagito e al suo ritorno, e poi dopo non avrei voluto che» -dovette fermarsi, sapeva che stava puntando dopo un anno verso un terreno cosparso di mine cui avevano sempre girato attorno senza mai addentrarsi- «lo leggessi sulla mia faccia prima che fossi pronta a parlarne». Non erano una coppia, non stavano insieme, non erano un noi. E allora perché sentiva come se l'avesse tradito? Il loro rapporto era così dannatamente contorto, lei era contorta, quello che provava per i due era altrettanto confuso. Era consapevole che una parte di lei avrebbe sempre amato Evans, profondamente, che sarebbe stato sempre la sua croce, la sua delizia, anche se lei non più la sua. Così com'era consapevole che per Cameron non provava solo amicizia. Lo aveva difeso a spada tratta con l'ametrino, rabbiosa quando aveva provato a carpire cosa fosse lui per lei, aveva cercato di proteggerlo.
    Eppure aveva scopato con Evans.
    Elisabeth
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    Accolse il dolore della caduta, come un vecchio amico. Si era buttato in terra senza alcuna grazia e senza interessarsi al fatto che il suolo non fosse propriamente un cuscino, però non gli importava altro che non fosse sapere cosa avesse preso alla ragazza, perché avesse cominciato ad evitarlo come se fosse contagioso.
    Ne gradirei una, sì. Ho l'impressione che sarà una conversazione difficile ammise senza filtri, stringendosi nelle spalle. Era consapevole del fatto che per arrivare ad evitarlo, dovesse essere successo qualcosa di grave e probabilmente non era un suo errore, sennò non avrebbe esitato a bloccarlo per i corridoi e chiedergli qualche spiegazione.
    Non essere ridicola si irritò, afferrando rudemente lo zaino ed estraendo un'altra delle bottiglie di vodka, con il desiderio sempre più prorompente, di scolarsi l'intera bottiglia. Ma era solo mattina, non poteva esagerare già da subito... inoltre doveva essere lucido per ascoltare che cosa avesse da dire. Quindi svitò il tappo e ne mandò giù un lungo sorso, lasciando che il liquido gli bruciasse completamente la gola e lo stomaco, strappandogli un mugolio soddisfatto. Era pronto, forse, ad ascoltarla. Nel frattempo, Ashura se ne stava in disparte, forse consapevole del dramma che di lì a poco si sarebbe abbattuto sui due ragazzi.
    Sapeva perfettamente che i giochi di parole non facessero per Elisabeth, ma persino lui si stupì quando glielo disse così diretta, senza un minimo di preparazione. Si bloccò solo per un secondo, irrigidendo solamente i muscoli, ma gli occhi rimanevano fissi sul falò, le parole congelate in gola.
    Aveva notato eccome il ritorno di Evans, così come sapeva essere stato il primo tutto di Elisabeth, quanto avesse significato per lei... ed aveva sollevato le orecchie, in attesa di una catastrofe. Beh, non si era fatta poi così tanto attendere, visto che la scuola non era iniziata nemmeno da tre mesi.
    Lo dici come se mi importasse qualcosa di chi ti scopi fu la sua risposta. Il tono di voce era più gelido del ghiaccio antartico. Probabilmente sarebbe stato meglio se si fosse incazzato, se le avesse urlato contro, se fosse fuggito via ed avesse spaccato qualcosa, ma in quel momento non sentiva altro che una morsa d'acciaio attorno al cuore. Ed allo stomaco. Gli veniva da vomitare. Probabilmente, era il karma che lo stava punendo per aver tradito la sua bella biondina, così devota a lui e che non avrebbe mai fatto nulla per ferirlo.
    Solo dopo interminabili secondi, si voltò verso di lei, lo sguardo imperscrutabile. Abbiamo solo fatto del buon sesso, Liz. Tu puoi fare quello che vuoi. Vuoi tornare con quel codardo di Evans? A me non interessa, spero solo che sappia soddisfarti. Cosa non facile, a quanto vedo. Scrollò le spalle con noncuranza, afferrando un'altra bottiglia e scolandosi tutto il restate in un sorso così lungo che per poco non si soffocò. Sentì subito il calore fluire al volto fino a farglielo infiammare, ma non durò che pochi secondi, perché poi evaporò dal suo corpo lasciandogli solamente il ghiaccio addosso. Puttana pensò, senza riuscire ad evitarlo. Ma fortunatamente, l'alcol non era arrivato ancora così a fondo da fargli pronunciare quella parola ad alta voce. Tornò a fissare il fuoco. Hai portato anche dei marshmallow, per caso? Ho fame ed in questo cazzo di posto di merda, non c'è nulla.
    Cameron Cohen


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    Lei non era andata per il sottile. Aveva semplicemente sganciato la bomba. Non era nuova a queste cose, in effetti si poteva considerarlo il suo marchio di fabbrica al pari del flipendo per quanto riguarda gli incantesimi, e per Cohen non ci furono sconti. Dritta, rapida e veloce, con un solo colpo andò a segno.
    Il suo appropriarsi della bottiglia prima ancora della rivelazione le avevano dato la conferma che quella conversazione non sarebbe stata facile per entrambi.
    Non le servì voltarsi a guardarlo per avere la certezza di vedere i suoi tratti rigidi, una maschera di inespressività che celava ben altro al di sotto; lo aveva percepito del respiro a metà che aveva preso, l'unico rumore insieme al crepitio del fuoco che le arrivò nitido. Cameron era una delle poche persone che conosceva la realtà dei fatti, come si erano svolte le cose, cosa e quanto Evans aveva rappresentato per lei e sentirlo reagire in quel modo la spezzò. La spezzò prima ancora di sentire la glacialità delle sue parole. Era stata una delle eventualità che aveva ipotizzato in uno dei suoi possibili scenari, ma sentirle fu destabilizzante. «Non gli importa, visto? Cosa ti aspettavi?» Tante volte si erano detti che era stato solo sesso, una scopata e che avevano ottenuto solo danni che giovamento momentaneo.
    I baci erano stati solo baci, gli abbracci solo un modo per sentirsi meno soli, il desiderio di averlo solo ormoni.
    Strinse i denti. La mandibola iniziò a dolerle, lo stomaco a rivoltarsi ed una patina di sudore freddo le ricoprì il corpo. Ma il dolore ancora tardava ad arrivare.
    Anestetizzata da quello sguardo vuoto, dalle parole piatte, dall'insinuazione che volesse tornare con Evans -non poteva tornare se non erano mai stati una coppia, una precisazione dolorosa che tenne per sé- e dell'essere insoddisfatta. Tutto con un minimo comune denominatore: non mi interessa.
    Si riscosse nel vederlo attaccarsi alla bottiglia come se ne valesse della sua vita.
    Agì d'istinto, d'astuzia come se fosse un avversario da placcare. Si buttò su di lui, sfilandogliela di mano e lanciandola più avanti, incurante di quanto prezioso alcol stesse perdendo. «Cosa cazzo stai facendo!» Le bottiglie all'interno dello zaino le premevano su parte del fianco e della coscia, l'altra parte del corpo mezza stesa su di lui. Non ci fu bisogno di chiedergli cosa stesse pensando in quel momento, glielo leggeva in quelle iridi in cui aveva specchiato la sua rincorsa al piacere. «Cazzo, Cohen, quella è vodka, non acqua!» Non aveva alcuna intenzione di vederlo vomitare, di vederlo stare male per colpa sua. Gli afferrò i vestiti con la mano, resistendo al desiderio di dargli un pugno in faccia, portandolo con sé mentre provava a sedersi. Il respiro ancora accelerato mentre si tendeva per recuperare lo zaino, frugarci dentro e trovare dei pacchetti di cracker ormai sbriciolati. Gliene allungò uno. «Mangia questi, prima», un atteggiamento di cura, perché in fondo era masochista. «Mi conosci» si sforzò nel mantenere piatta e costante la sua voce mentre le pozze cerulee continuavano a cercare le sue, o quanto meno il suo viso. «E tu dovresti sapere che non voglio tornare con Evans», più volte era rimasta ferma su quel punto. Bisognava capire ora se avesse perso stabilità o se avrebbe continuato a mantenersi stabile. «Non lo so perché ci sono stata di nuovo, okay? Non lo so!» Riprese possesso della sua bottiglia, prendendone un piccolo sorso. «Non lo vedevo da tre anni e poi eccolo lì, che mi dice che gli sono sempre piaciuta, che gli ero mancata, che preferiva bruciare con me». Prese un altro sorso più grande, allungandogli la sua bottiglia e intimandogli con lo sguardo di non esagerare a questo giro, l'amido dei cracker ad aiutare parzialmente. «Se c'era qualcuno che potesse capirlo perché non ha contattato nessuno, per cui è sparito in quel modo, sono io», una risata amara. «Ha agito nel mio stesso modo, per lo stesso motivo», non portare a fondo nessuno. Un atto di bontà scambiato per egoismo. «Non sto cercando di fornigli alibi, non è mia intenzione né, tantomeno, il mio compito». Lo anticipò, perché sapeva che era quello che pensava. Lo avrebbe fatto anche lei nei suoi panni.
    Quello però, che non poteva più rimandare, era però una piccola ammissione. Non mi interessa con chi scopi.
    Se aveva trattenuto le lacrime con Evans questa volta non lo fece. Consapevole di essere vulnerabile non alzò protezioni in sua difesa.
    Perché non poteva continuare a rimandare qualcosa che era finito con l'essere un tarlo nella sua mente. Nel suo cuore.
    «Lo so che non ti interessa con chi scopi, Cam», il fuoco ora aveva tutta la sua attenzione, «l'ho sempre saputo, anche se non riuscivi a dirmelo».
    Non mi interessa con chi scopi.
    «Non mi interessa davvero di te, Liz, era questa la vera risposta che dovevi dire».
    Elisabeth
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    Faceva così tanto male. Solo che ancora non riusciva a prenderne completamente atto. L'idea di essere stato solamente un rimpiazzo in attesa che tornasse Evans, era stata una lacerazione al cuore, che stava minacciando di strapparsi a metà. Lui aveva tradito il suo porto sicuro, per lei, era andato contro tutta la scuola ancor più di quanto non fosse già, per lei. E come lo aveva ripagato? Ritornando con quello che era scomparso senza spiegazioni. Cameron non credeva nei famigerati "atti di bontà scambiati per egoismo". Era egoismo pure e semplice, perché lui aveva sempre sostenuto che ci fosse una scelta, immancabilmente, per fare qualcosa di migliore, per essere migliori. Lui ci stava provando davvero e ci aveva sempre provato e sentire quelle parole, gli spense l'anima. L'unica soluzione che conosceva, era l'alcol, nonostante non fosse nemmeno mezzogiorno. Si attaccò alla bottiglia di vodka e ne buttò giù una grande quantità, forse troppa perché il suo organismo riuscisse a metabolizzarla tutta assieme.
    Non sapeva cosa provava per Liz, ma di sicuro non tutto quel disinteresse che le aveva manifestato... tuttavia, quello era il miglior modo che conosceva per difendere se stesso dall'ennesimo dolore. L'indifferenza passivo-aggressiva e l'alcol. Una combinazione potenzialmente mortale ed Elisabeth fu l'unica a rendersene conto, tra loro due. Infatti, scattò verso di lui e lo atterrò, quindi lui mollò la presa dalla bottiglia colto alla sprovvista, ma non si spaccò al suolo come aveva immaginato, bensì la afferrò lei.
    Beh, si infranse contro l'erba solo pochi attimi dopo, quando lei ben decise di lanciarla a terra.
    Cosa cazzo stai facendo tu! La rimbeccò e nonostante il discorso fosse rivolto alla preziosa vodka andata perduta, sotto sotto, la frase era rivolta a tutto ciò che stava succedendo, solo che era troppo orgoglioso per dirglielo.
    La prese per i fianchi con le mani giusto il tempo per spingerla via da sopra di lei, sbuffando infastidito. Non era mai stato infastidito nell'avercela sopra. Tu mi vieni a fare la morale? Che sei qui a bere da sola alle dieci del mattino? L'orario era buttato lì, del tutto casuale, ma il concetto risuonava chiaro e forte, tra loro. La spinta che aveva esercitato su di lei, comunque, non era abbastanza forte perché le si togliesse di dosso, quindi riuscì ad afferrargli i vestiti e rialzarlo assieme a lei, senza che opponesse la benché minima resistenza.
    Afferrò i suoi cracker, osservandoli come se gli avesse dato un topo radioattivo. Non attese che un secondo prima di buttare l'intero pacchetto nel fuoco, senza degnarli di un secondo sguardo. Non aveva bisogno di quei trucchetti da femminuccia. Sentiva che lo stava guardando, quindi i suoi occhi rimasero fissi sulle fiamme, riflettendo il loro colorito arancione, tanto da far sembrare ardenti le sue iridi nocciola.
    Non te l'ho chiesto il perché tu ci sia stata di nuovo, Lynch. Pronunciò il suo cognome con una freddezza che non aveva usato mai, nei suoi confronti.
    E tu sei caduta nella sua rete come una cogliona, complimenti. Si limitò a dire, spazzolandosi la terra di dosso e senza smettere di tenere fisso lo sguardo davanti a sé per evitare quello ceruleo della coetanea. Probabilmente avrebbe visto riflesso tutto il dolore che lui si rifiutava di mostrarle per amor proprio. Non voleva essere umiliato da lei.
    Resta un codardo. Sai benissimo che c'è sempre una scelta. Sibilò, ripetendo il suo pensiero di poco prima. Evans nemmeno lo conosceva e non aveva niente contro di lui, non aveva colpe se non mettersi tra lui e la ragazza che... boh, non avrebbe saputo come definire quello che provava per Liz, ma era senza dubbio più forte di quanto avrebbe mai voluto.
    Cristo, non piangere! Urlò la sua mente. Non era mai stato empatico verso chi frignava, ma le lacrime di Elisabeth proprio non riusciva a farle scorrere senza avvicinare il pollice e raccoglierle dalle sue guance. Si fece una violenza incredibile per non farlo e per fingere che non stesse piangendo. Muovendosi, avrebbe mandato all'aria tutti i suoi sforzi.
    Non riuscivo a dirtelo?! L'aggredì, prendendo un rabbioso sorso di vodka e lanciandole contro la bottiglia, come se quello potesse risolvere qualcosa. Ovviamente, era abbastanza lucido da mancare apposta la mira, che andò quindi ad infrangersi innocua, a pochi centimetri da lei. Fai la vittima, adesso? Ti scopi mezzo castello e piangi? Pensavo ti piacesse fare la... cercò la parola giusta, quella che l'avrebbe ferita di più ma che non fosse il banale "puttana". Non ci riuscì. Apri le gambe troppo facilmente, Lynch. Io sono stato chiaro con te fin da principio. Ma qualcuno potrebbe approfittarsi del tuo buon cuore. Forse, tra tutto il resto, era anche l'alcol a farlo comportare così.
    Cameron Cohen


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    Cameron aveva perso il senno. Per lui era la preziosa bottiglia di vodka che gli aveva sfilato via, ma il succo era quello. L'atteggiamento fintamente calmo, l'aggressività in ogni parola piatta, la stava uccidendo. Non il fatto che la spinse lontana da lui - per quello si servì degli addominali per non cadere e farsi male- neanche per quello snack che gli aveva dato con il solo scopo di lenire gli effetti di quel comportamento sconsiderato, fu l'indifferenza con cui le si rivolse. Un leggero olezzo di plastica bruciata stuzzicò le sue narici, per poi sparire rimpiazzata da una vampata che spezzò uno dei rami più grandi in due. Il norvegese era in piedi, privandola della possibilità di guardarlo, di avvicinarsi o di qualsiasi altra cosa. Subì, perché sapeva che quello era il momento di raccogliersi e non sprecare energie, non l'avrebbe ascoltata, le sarebbe andato solo contro. Si prese della cogliona, si costrinse a non difenderlo come aveva fatto con lui quando l'ametrino l'aveva in un certo senso attaccato, solo per crollare quando ripetè le sue parole. E quelle scatenarono la rabbia che fino a quel momento Cohen aveva cercato di contenere tra un atteggiamento da puro stronzo e l'alcol. Si spostò quando vide la bottiglia volare verso di lei, andando ad infrangersi non poi così lontano. Rimettersi in piedi dopo aver bevuto una discreta dose di vodka non fu così facile come aveva previsto: barcollò ma non tese alcuna mano in muta richiesta d'aiuto. Non l'avrebbe neanche avuta. Si irrigidì vedendolo cercare una parola che entrambi sapevano quale fosse. Si avvicinò a lui, lenta, le lacrime a seccarsi sulle sue guance, le fiamme ad incendiare le sue iridi ormai un mare in tempesta. E con quella forza la mancina si abbatté con forza sulla sua guancia. «Puttana, Cohen, non giriamoci attorno, sono una puttana per te», la destra si strinse in un pugno sul suo petto. «Però non ero una puttana quando ho aperto le gambe per te, vero?» Un altro colpo sordo, sempre nello stesso punto. «Sai perfettamente con quanti sono stata, sai perfettamente che non ho aperto le gambe a caso, stronzo». Entrambe le mani sul petto, la pressione nelle braccia per spintonarlo all'indietro. «Sai che ho amato Evans, sai come mi ha ridotta e a cosa ero disposta a cedere pur di averlo con me», non esitava nel continuare a spingere, lontano dal fuoco, ma ferma nel suo proposito. «Sai che l'unico con cui ho fatto sesso è stato Hinds», sperava solo che il continuo pronunciare nome o cognome non divenisse pari ad una sua invocazione. «E veniamo a noi, ora, Cohen», si era trasformata, era divenuta dura, algida, la Lynch che tutti avevano imparato a conoscere, ad odiare. «Mi hai solo scopato nei bagni, è vero, ma dopo no», lo tenne fermo con lo sguardo, le mani piegate ad artigliare i vestiti. «Se fossi stata solo uno svuotamento di palle non l'avresti ammesso con Mia», si odiò nello sminuire quell'atto in qualcosa di così basso, primordiale. «Se fossi stata un semplice orgasmo non mi avresti riversato parole con lo scopo di ferirmi», stava cercando di rimanere lucida, di aggrapparsi ad un senso celato che aveva intravisto in quei gesti, sospiri e reazioni spropositate. «E fino ad oggi l'ho creduto, Cameron, che non ti interessasse di me e della mia vita sessuale». Lasciò andare la presa su di lui, guardandolo dal basso verso l'alto. «Ed avrei continuato a farlo se solo non mi avessi lanciato contro una bottiglia». Si fermò, guardando oltre le sue spalle una Ashura confusa che alternava tra lei e il suo padrone la sua preoccupazione. «Ma se mi sbaglio ancora una volta Ashura potrà riportarti indietro». La concessione di un attimo per un ultimo sguardo e poi gli avrebbe dato le spalle, tornando al suo giaciglio, consapevole che non sarebbe tornata al castello prima dell'imbrunire della domenica.
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    Edited by Elisabeth Lynch - 18/11/2022, 22:52
     
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    Era l'alcol che accentuava le sue reazioni, poco ma sicuro, tuttavia Cameron aveva sempre avuto problemi a gestire le emozioni, quindi in quella occasione, era impossibile prevedere come si sarebbe comportato. E la sua passivo-aggressività esplose in vera e propria aggressività con quella bottiglia che per fortuna non la colpì o si sarebbe sentito in colpa per sempre. Aveva un'ottima mira, un punto in più per lui.
    Si fece violenza anche per non porgerle una mano in aiuto alla sua difficoltà a rimettersi in piedi. Rimase semplicemente rigido, senza guardarla, masticando la propria rabbia fredda finché non esplose in parole che non avrebbe mai detto, se fosse stato sobrio ed in una situazione normale. Non pensava davvero che Liz fosse una puttana, era convinto che ognuno potesse fare ciò che voleva, ma quando quel qualcuno andava a giocare con i suoi sentimenti, ecco che le cose cambiavano. Ma non cambiava il fatto che non pensasse quelle cose di lei. La bocca si era aperta e quelle parole erano semplicemente defluite come un fiume.

    Non rimase troppo stupito nel vedere e soprattutto sentire la sua mano, come un'onda in tempesta, abbattersi con forza contro la sua guancia, arrossandosi. Non si mosse, non si portò la mano alla guancia. Rimase solo a guardarla con le iridi nocciola avvolte da una patina di ghiaccio apparentemente invalicabile.
    Non pensavo te la facessi con tutti mentre ti facevi me. Lui le era stato fedele nonostante non stessero insieme. Okay, forse si era dimenticato di quanto successo da ubriaco con Howard, ma lui non contava. Era un maschio, no? E poi non era mica successo giorni prima ma addirittura l'anno precedente.
    Ed ecco che arrivò il secondo schiaffo, seguito da parole affilate come lame. Se le subì tutte senza batter ciglio.
    Le afferrò i polsi per evitare che lo spingesse ulteriormente indietro, esercitando forza affinché rimanessero fermi in quel punto, ora così lontani dal calore del falò. Per me avresti anche potuto strisciare per implorare un briciolo di attenzione da chi non si merita nemmeno un secondo del tuo tempo. Non mi importa. Sei stata una cogliona e basta. In quella frase, comunque, c'era una piccola ammissione, un consiglio, un tentativo velato di riconciliazione. Che comunque Cameron non avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso, infatti un secondo dopo la rabbia lo incendiò di nuovo.
    E cosa avrei dovuto dirti, Lynch? Eh? Cosa?! Stavolta fu lui ad artigliarla sulle spalle, spingendola indietro con forza. Non gli interessava se sarebbe caduta o meno, tutto quello che voleva, era riversarle addosso la sua frustrazione.
    Avrei dovuto essere contento? Avrei dovuto dire "ma che brava, Liz! Sei tornata da lui. Ora sicuramente non ti ferirà più!"? Avresti voluto sentire questo? Una pausa, le mani di nuovo lungo i fianchi ed i pugni chiusi con forza, talmente tanta da conficcarsi le corte unghie nei palmi. La guancia che pulsava furiosamente, sempre più rossa. Oppure avresti voluto sentirti dire che quando ci sei tu, mandi a puttane tutto quello per cui sto lavorando? Il mio autocontrollo? Che ogni volta che ti vedo, penso che questo mondo sia un po' meno una merda? Questo, avrei dovuto dirti? Era un tornado implacabile, ormai. La lingua era stata sciolta dall'alcol ed aveva intenzione di arrivare fino in fondo ancor prima che il suo buon senso avesse il tempo di fermarlo.
    Avresti voluto sentirti dire che ti amo, Elisabeth Lynch? Forse avrebbe appagato il tuo ego così fragile da dover tornare da chi ti ha messa da parte per pensare a sé stesso! Stava urlando così tanto che la sua voce rimbombava tra gli alberi che circondavano quella radura, rendendo le sue frasi più minacciose ed autoritarie. Ma così si percepiva ancor di più il dolore che ne colorava ogni sillaba. Si allontanò da Liz indietreggiando, fino a fermarsi da lei di qualche metro, prendendo pian piano coscienza di ciò che aveva appena detto.
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    Edited by Giadì - 18/11/2022, 01:27
     
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    Cameron non si spostò, sebbene vide arrivare il suo schiaffo non fece nulla per evitarlo, così come le sue spinte, le sue parole rabbiose e ferite. L'aveva detto lei per lui quel termine orribile, denigrante, offensivo. Non la fece stare meglio. Non fece stare meglio neanche lui che però sembrò non volerla davvero sentire, non capire che da quando era iniziata quella cosa tra di loro non era stata con nessun altro. Almeno fino all'inizio di quella settimana quando aveva ceduto ad un antico richiamo. Non era così ipocrita da incolpare Joshua per le sue azioni. Era lei ad essersi cacciata nell'ennesimo dramma della sua vita; toccava a lei ora tirarsene fuori in qualche modo. Il desiderio però di strozzare il Dioptase cozzava con il buon proposito che l'animava. Fece parlare un altro schiaffo, un altro spintone fino a quando lui non l'afferrò per i polsi. Stringeva così forte da farle male, sebbene non gli stesse opponendo più resistenza. Tentò di divincolarsi. Stava perdendo la sua chiave di lettura, non riusciva più a decifrare le sue parole troppo impegnata a farlo cedere e lasciarla andare. Ci riuscì, a fatica, massaggiandosi i polsi che andavano arrossandosi.
    La prima spinta l'aveva fatta ondeggiare, costringendo gli arti inferiori agli straordinari per mantenerla in piedi.
    La seconda la fece incazzare. L'odio iniziava a serpeggiare.
    «No, dannazione, no! Non volevo una pacca sulla spalla, neanche la tua approvazione, cazzo Scuoteva la testa, l'unica parte del corpo che lasciò libera di muoversi, indice anche che non sapeva più cos'altro aggiungere. Perché lei non doveva giustificarsi, perché lui non avrebbe dovuto reagire in quel modo.
    Fino a quando le disse che la sua presenza rendeva il mondo un posto meno peggio di quello cui erano abituati, riportandole alla mente quanto aveva detto pochi prima. Il suo meno male. Perché da quando c'erano l'uno per l'altra tutto faceva meno male.
    Quanto alte erano le possibilità che fosse ora tutto un male?
    Si irrigidì.
    Ti amo era stato urlato insieme al suo nome e cognome.
    Non aveva mai pensato potessero uscire da lui, per lei.
    «E infatti ti ha chiesto se avresti volute sentirle». Boccheggiò, mentre lui si era allontanato come stralunato dalle sue stesse parole. «No», non era possibile. Non voleva crederci. Non poteva crederci. Un po' come tutto quello che le stava capitando da una decina di giorni a quella parte.
    Non lo raggiunse.
    Il suo movimento finì fino al fuoco, a pochi passi di distanza, allungando le mani per scaldarsi, per sciogliere il gelo che sembrava averla coperta con le più pesanti delle sue mante.
    «Non ho bisogno di false parole d'amore, non sono i falsi sentimenti quelli che sto cercando», perché nel vissero e felici e contenti ci aveva creduto prima di sperimentare la crudeltà della sorte, le difficoltà di una vita vera. Una vita in cui, forse, avrebbe dovuto iniziare a pensarsi senza il suo meno male, quel qualcuno che era riuscito a scuoterla un po', a donarle tempo non solo quantitativamente parlando, soprattutto qualitativamente. Avevano scherzato, giocato, cantato, ballato e viaggiato. Erano stati l'altra bacchetta in più nei momenti di difficoltà, il primo tifoso, il motivo per cui la lezione più soporifera fosse accettabile. «Se fino a qualche tempo fa mi avessero chiesto chi fossi per me avrei risposto, senza esitazione, il mio migliore amico», continuò ad infrangere il silenzio che avvolgeva la radura. «Me l'hanno chiesto di nuovo, Cam, me l'ha chiesto ed io non ho saputo rispondere», tirò via le mani dal calore delle fiamme che ora si limitavano a riflettere nei suoi occhi. «Ogni volta che provavo a spiegarlo mi sembrava di sminuire quello che siamo, perché non sei solo un amico, non sei di certo un fratello non nel senso comune almeno e, dopo...» Un nodo alla bocca dello stomaco che stringeva al solo pensiero di quella possibilità che sembrava divenire reale secondo dopo secondo. «Non vorrei mai che tu divenissi uno sconosciuto», anche perché non lo era mai stato.
    Raddrizzò le spalle, il piede a guidare la rotazione del suo corpo verso quello del norvegese. Aveva bisogno di guardarlo per riuscire a dirgli qualcosa di criptico, sì, ma di facile lettura se solo avesse voluto. «Non riesco più a trovare il posto giusto per te, perché hai preso posto ovunque».
    Elisabeth
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    Non voleva darle della puttana. Non voleva farle male. Eppure stringeva, stringeva e stringeva, lasciando che tutta la sua frustrazione venisse canalizzata in quel violento gesto fisico, cosa che comunque non lo fece stare per nulla meglio, così come non lo fece il suo sfogo. Elisabeth Lynch era il suo dannato punto debole e non riusciva proprio a fare a meno di cercarla ogni volta che stava male ma era anche la prima persona alla quale pensava quand'era felice.
    Ma in quel momento non riusciva a pensare ad altro che alle mani di Evans che la toccavano come l'aveva toccata lui, che le labbra di Evans che la baciavano e le sussurravano all'orecchio cose che le aveva sussurrato lui. E la gelosia lo aveva accecato, sebbene non fosse per nulla capace di esternarla. Si odiava per come si stava comportando con lei perché sapeva che Evans era ed era stato importante per lei, quanto Mia Freeman lo era per lui. Non aveva nessun diritto di giudicarla o criticarla. Ma proprio non riusciva ad agire in maniera diversa, era come se il suo cervello si fosse spento e l'impulsività avesse iniziato a muovere le sue azioni.
    Non riuscì nemmeno a lasciarla andare quando lei iniziò a divincolarsi, anzi se possibile aumentò ulteriormente la presa, in cuor suo sperando non la denunciasse per violenza o qualcosa del genere. Ma alla fine, come se di colpo avesse perso tutta la sua forza, le sue falangi si spalancarono e l'opalina fu libera di indietreggiare. Lanciò solo un'occhiata veloce al rossore dei suoi polsi. Nonostante tutto, non avrebbe ceduto nemmeno lui.
    Quando le urlò di amarla, il suo cuore perse un battito ed avrebbe voluto fare marcia indietro, ma così avrebbe confermato ciò che l'altra aveva sentito... ma... non poteva amarla, erano solamente amici. Amanti. Qualcosa. Non erano fatti per stare insieme e non lo sarebbero mai stati.
    Per fortuna, lei non capì il senso del suo discorso e non pensò che le avesse veramente detto di amarla. Trattenne a stento un sospiro di sollievo.
    La osservò allontanarsi e ritornare verso il fuoco, mentre lui raggiunse un albero e ci si abbatté con la schiena, incapace anche solo di parlare, le intere forze prosciugate dal suo organismo.
    Falsi sentimenti? Non ce la fece proprio a non ribattere a quelle parole, sentendosi ferito nel profondo molto di più di quanto era disposto ad ammettere, soprattutto se a dirle, era proprio la battitrice.
    Non puoi averlo detto davvero concluse solo, per non rischiare di compromettersi ulteriormente. Alzò un braccio per richiamare Ashura, che zampettò da lui in pochi attimi.
    E' di questo che hai paura? Sussurrò, un filo di voce talmente poco udibile, che avrebbe benissimo potuto perdersi nel vento che aveva iniziato ad alzarsi in quella mattina novembrina. Noi non potremo mai essere degli sconosciuti. Scrollò le spalle, allungando una mano ad accarezzare il piumaggio bordeaux di Ashura. Ma non potremo mai essere nemmeno amici, Elisabeth. Un'ammissione che gli faceva male, ma era la pura e semplice verità. Il loro rapporto ed i loro sentimenti avevano un'intensità che non avrebbe permesso loro di essere semplicemente amici.
    Un respiro acuto tra i denti, gli occhi nocciola fissi in quelli cerulei di lei e le parole congelate sulla lingua. Avrebbe voluto dirle così tante cose, correre da lei e scusarsi, dirle che potevano provarci davvero ad essere qualcosa di buono. Noi siamo due fiamme, distruggiamo tutto quello che abbiamo intorno. Noi distruggiamo gli altri. Li portiamo ad evitarci, ad odiarci, a sperare che spariamo. Però insieme... un'altra pausa, mentre si portava una mano al lato sinistro del petto, in corrispondenza del cuore. Insieme siamo meno male che il peso del mondo è diviso. Non è che avesse molto senso, tuttavia Cameron sapeva benissimo che lei avesse colto ogni sfumatura delle sue parole, perché parlavano la stessa lingua, erano in un universo parallelo che nessuno avrebbe mai potuto scorgere. Sei il mio Wonderland. Rimarcò quella parola, presa dalla fiaba babbana che Arya preferiva. Un'altra persona gli avrebbe dato del pazzo, ma sapeva che Elisabeth non rientrava in quella categoria di persone, perché era una delle poche che sapeva davvero cosa provasse per sua sorella e che ogni cosa che la riguardava, fosse estremamente importante.
    Lo stesso vale per me, in ogni caso. Ti sei impossessata di tutto ciò che sono. Non era una cattiveria né un rinfacciarle ciò che erano, anzi... voleva farle capire che, nonostante tutto, era importante.
    Cameron Cohen


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    Travisare il significato delle parole in contesti pacifici, tranquilli, da casa della Mulino Bianco era facile, figurarsi in un momento come quello dove la rabbia, la gelosia, la violenza si alternavano per avere il comando. Nel processare quel ti amo la Lynch non mise agli atti la possibilità che quello rivelasse ciò che il norvegese provasse per lei. L'ago della bilancia aveva decretato vincente l'ipotesi dello sbeffeggio, come se le sarebbe bastato sentirsi quelle due paroline per non cedere alla prima persona con cui era stata. L'aveva preso come un pugnale, l'ennesimo, lanciatole addosso al solo scopo di ferirla, di accecarla con emozioni non provate, di illuderla.
    Il non volere dei falsi sentimenti non era un discorso legato strettamente al ragazzo presente, quanto più un monito per se stessa e le persone che facevano parte nella sua vita. Non sentì la sua delusione ed incredulità, procedendo dritta verso nella rimarcazione di una cosa che già si erano detti tempo prima: aveva paura di perderlo, che divenisse l'ennesima schiena da guardare, un volto sbiadito nella nebbia dei ricordi.
    E stava, forse, per succedere visto che Ashura si era avvicinata a Cohen, emettendo versi striduli, quasi sofferenti che sfumarono quando lui prese a passare le dita tra le sue piume.
    Il senso di sollievo durò la frazione di un secondo venendo scaraventata violentemente nel vuoto. Non potremo mai essere amici. Il nodo alla bocca dello stomaco si strinse ancora di più, tirando verso direzioni opposte e provocando sofferenza pura, costante, distruttiva. I muscoli tesi, il respiro trattenuto, persino le palpebre sembrarono non abbassarsi più. Rimarcare quello che erano non aiutò alla sua incapacità di riprendere possesso del suo corpo, se non di quelle iridi che si abbassarono per seguire la mano non intrappolata dal chocobo per vederla posarsi sul petto, all'altezza del cuore.
    La presa sulla corda in cui era stato trasformato il suo stomaco venne meno, l'intreccio a sciogliersi e il respiro a tornare. Wonderland, il paese delle meraviglie, quel luogo incantato in cui Arya si era rifugiata spesso grazie alle pagine di un libro sgualcito. Libro che era ancora sul comodino della sua cameretta su cui però non vi era più posato il cigno-origami. Quello lo aveva lei, in dormitorio, in bella vista.
    Riavvicinarsi le sembrò la scelta più facile da prendere ma la più difficile da attuare. Aveva paura di un eventuale ulteriore scatto di rabbia. Sentiva ancora gli arti freddi stringerla e scuoterla per i polsi. Ashura sembrò venirle incontro, allungando il collo verso di lei affinché potesse carezzarle la testa.
    Anacampserote, una pianta di origine africana usata in alcune pozioni d'amore ma qualcosa che può riportare indietro un amore perduto: era la parola che poteva associare ad Evans.
    E se lei, per lui, era legata all'opera di Carrol...
    «Wonderwall», sussurrò, nominando non solo il titolo di una canzona di una delle band babbane che amava di più, quanto più il concetto che vi ruotava attorno: qualcuno a cui ti ritrovi a pensare da tempo, la persona di cui sei completamente infatuato. «Lo pensi davvero?» E prima che potesse chiedere "cosa" lo anticipò. «Non siamo più gli amici degli inizi, è vero, ma in qualche modo lo saremo sempre» non sapeva neanche lei dove stesse andando pur di non porgli le vere domande che stavano martellando dentro di lei. «Perché hai reagito così?» E invece tutto ciò che disse fu: «c'è qualcosa che non mi dici?»
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    Non potevano essere amici non perché lui non lo volesse o non sentisse la necessità di avere qualche rapporto con lei, ma perché era stato dimostrato, che non ci sarebbero riusciti nemmeno per errore, viste tutte le volte che erano finiti a litigare oppure a baciarsi. Non c'era una via di mezzo, per loro. Odio o amore, nient'altro. Non amicizia, non affetto fraterno. Una passione che bruciava con intensità e che avrebbe consumato tutto e tutti coloro che gravitavano attorno ai due reietti della società che, in quel momento, erano troppo orgogliosi, troppo ciechi e forse anche un po' ingenui, per accorgersi di quanto in realtà si amassero.
    Le sorrise. Un sorriso triste, amaro, mentre osservava il suo chocobo, chinare il collo per farsi carezzare dalla ragazza. Non lo richiamò, lasciò che si prendesse le sue dosi di coccole, aspettando paziente che tornasse da lui, pronto a riportarlo in Accademia. Buttò un solo sguardo alla tenda che lei aveva montato e per un attimo, pensò che avrebbero potuto rifugiarsi lì e, fino alla mattina successiva, dimenticarsi di chi fossero e vivere felici. Solamente ventiquattro ore e poi sarebbero tornati alla dolorosa realtà.
    Ma la vita non è così semplice, lei non ti permette di discostarti dalla realtà nemmeno per un attimo e, quindi, come una doccia fredda, tutto gli rimpiombò addosso. Non erano in un film dove potevano vivere felici e contenti, era la vita reale e dovevano andare avanti. Da soli oppure insieme.
    Che cos'è che non le diceva? C'era qualcosa che doveva dirle? Sicuramente avrebbe potuto dirle così tante cose da lasciarla senza fiato ed avrebbe potuto benissimo dirle anche di Howard, del fatto che avesse fatto sesso con lui, cosa piuttosto insensata, ma avevano bevuto fin troppo e lui aveva bisogno del famoso distaccamento dalla realtà.
    Avrebbe potuto scansare il proprio orgoglio e dirle quanto fottutamente tenesse a lei, quanto le sue parole fossero dettate dalla gelosia e quanto avrebbe voluto che tutto fosse più facile, però la strada più semplice non è mai quella migliore. Avrebbe potuto chiederle di rimanere e di rifugiarsi in quella tenda come aveva pensato.
    Ci vediamo a lezione disse invece, facendo cenno ad Ashura di seguirlo. I primi passi non li mosse sulla sua groppa ma calpestando il terreno reso duro dalla mancanza di precipitazioni.
    Aveva messo fine a quel travagliato capitolo, forse, ma una volta girata la pagina, ce ne sarebbe stato subito un altro.
    Cameron Cohen


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