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Sabato, 12 novembre

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    Odiava quel lavoro, odiava quando sulla sua scrivania venivano impilati faldoni su faldoni di casi stupidi come utilizzo della magia da parte di minori, pazzi che avevano venduto intere serie di servizi da te maledetti o qualsiasi altra diavoleria del genere.
    Aveva scelto quell'ufficio perché voleva trovare i casi più succulenti, quelli avvolti dalla nebbia, quelli dove era impossibile stabilire cosa fosse bianco e cosa nero. Voleva trovare alleati, voleva trovare uno scopo.
    Ed invece no. Era ancora alla fine di quella dannata piramide. La scalata più lenta di quella che avrebbe voluto.
    «Dannazione!» sbottò, provando la voglia di incendiare quella serie di carte sparpagliate sulla sua postazione, con l'ultima che risultava così tanto illeggibile da provare la voglia di bruciarla con un solo schiocco delle dita. «Perché non sanno fare il loro dannatissimo lavoro?!» imprecò. Sembrava che gli auror, una volta lasciata l'accademia, dimenticassero come si facesse a tenere una dannatissima penna tra le dita, un po' come coi medimaghi ed i loro scarabocchi comprensibili solo dalla categoria. «Cazzo di fretta hanno per non scrivere decentemente un rapporto?» Ad esempio salvare il mondo?
    Oh, ma il suo lo stavano mettendo sotto sopra, soprattutto quando le rendevano impossibile preparare tutti gli incartamenti utili per la condanna del crimine commesso.
    Riabbassò lo sguardo sul pezzo di carta e poi sul fascicolo. K. Thunderbolt.
    Un foglio dieci centimetri per dieci venne preso dalla sua pila, con una banalissima biro segno in caratteri stampati e perfettamente leggibili, poche e semplici parole.

    L'Auror K. Thunderbolt è immediatamente convocato presso l'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia.

    M. Wade
    Stanza 13

    Con un gesto pigro della bacchetta -odiava non poter usare le dita come aveva appresso ad Uagadou quando era al Ministero- puntò in direzione del foglio. «Chartanimus». La carta venne ripiegata più volte su se stessa fino ad assumere la forma di un drago. Un altro svolazzo di bacchetta e questo venne spedito all'ufficio dell'interessato che, qualora assente, avrebbe occupato un posto di rialzo sulla sua scrivania, svolazzando qualora il destinatario fosse stato presente.
    Nel mentre si alzò dalla sedia, concedendosi un piccolo stiracchiamento visto che le altre scrivanie erano vuote ed incamminandosi verso il mobile bar per servirsi di una tazza di caffè, con l'aggiunta di una spruzzata di cannella ed un goccio di panna, pregustandosi già il miscuglio di odori e sapori. Ne aveva bisogno dato che, a dispetto dell'ora, la sua giornata lavorativa non era ancora finita.

    Maya Wade

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    Revenge, the sweetest morsel to the mouth that ever was cooked in hell.
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    Uagadou
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    Krasus <3
     
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    Stardust Bringer

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    Krasus Thunderbolt
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    Un tonfo sordo e la porta dell'Ufficio misteri si richiuse alle sue spalle, che appoggiò proprio su di essa.

    Uff...

    Il doppio lavoro era sfiancante, ma quantomeno appagante, sia economicamente che personalmente. Voleva crescere, scoprire, creare e distruggere, e li poteva. Si sentiva gli occhi del Ministero addosso, ogni giorno, e ciò si aggiungeva al già gravoso carico che aveva sulle spalle.

    Sì, ma al contempo le settimane era moooolto interessanti. Guardò l'ora, più che deciso a staccare un'ora prima, e si diresse al suo ufficio, per posare due documenti, recuperare i suoi appunti e, soprattutto, il suo borsone.

    [...]

    Entrando nel suo ufficio un feroce svolazzamento attirò la sua attenzione. Un simpatico draghetto origami lottava con la gravità del Sole sul soffitto. Era titubante: fare finta di niente e andare a casa o prenderlo e affrontare potenziali problemi? Si avvicinò con estrema calma alla scrivania e vi posò i documenti. Attese qualche secondo e si volse nuovamente verso il draghetto.

    Sospirò e, forse mosso a compassione vedendo il suo sforzo titanico di consegnare il suo messaggio, forse per senso del dovere, lo prese e lesse il messaggio. Fu subito tentato di gettarlo nel Sole. O nel buco nero nell'angolo... cioè sì insomma, che aveva fatto in quella vita per dover sempre avere qualcosa da fare?

    Perchè? No davvero, che c'è ora? Dai suu...

    Chiese al nulla con voce lamentosa.
    Si passò le dita sugli occhi e prese il suo borsone, ove mise anche lo spadone e il suo quadernino degli appunti. E si avviò verso l'ufficio della ministeriale. Per quale motivo l'ufficio dell'applicazione della legge magica l'aveva convocato, e soprattutto con così tanta urgenza? Altro che uscire prima.

    M. Wade, stanza 13
    Prese un bel respiro e bussò, sperando in qualcosa di veloce.
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    Le maniche del blazer, un micro pied de poule nei toni del beige, marrone e panna, erano tirate al di sopra del gomito insieme alle maniche della camicia bianca cui aveva slacciato i primi due bottoni. Il jeans, in un lavaggio blu notte, metteva in evidenza il suo sedere a mandolino, accarezzando cosce e gambe come una seconda pelle.
    Aveva appena versato il caffè bollente nella tazza, calibrandone gli altri ingredienti e girando leziosamente il cucchiaino al suo interno. Un tocco ritmato alla porta la fece sobbalzare. «Però, rapido st'auror», pensò schiarendosi la gola. «Avanti». Girata verso la porta di tre quarti l'uomo avrebbe potuto vederla portarsi il cucchiaino alle labbra per poi posarlo su un tovagliolo. «Immagino che lei sia K. Thunderbolt», la mancina si allargò per indicare una delle poltroncine in pelle scura davanti la sua postazione. «Vuole un caffè? Non credo sarà roba di poco» lo invitò, sfoggiando il migliore dei suoi sorrisi a dentatura piena, andandosi ad accomodare al suo, di posto. «Può servirsi da solo», continuò, studiandone l'intera figura per poi soffermarsi sugli occhi. «Particolari davvero». Ma non era lì per studiare quel bel faccino. Riaprì il fascicolo, allungandogli il rapporto incriminato. «Non so chi sia l'autore di questo obbrobrio, ma, come può vedere, sotto c'è la sua firma». Scritta in modo ordinato, azzardava quasi elegante, nulla a che vedere con il resto che sembrava più simile ad impronte di zampe di gallina. «Avrei bisogno che lei, se presente sulla scena del crimine, mi raccontasse come sono andate le cose», continuò, sorseggiando il suo caffè e leccandosi le labbra per eliminarne l'eccesso. «Tutto quello che sono riuscita a comprendere è che il signor Dicker sia stato fermato, lo scorso quattro novembre, a Piccaddilly con una partita non meglio identificata». Le mani, ora, erano intrecciate l'una con l'altra, l'intera attenzione verso Thunderbolt.

    Maya Wade

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