Ti spiego perché non devi.

<i>Cameron</i>

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    Stava continuando a mandare messaggi a Cameron, per accertarsi che non facesse un'altra delle stronzate che appartenevano a quel ragazzo.
    Il suo passo era deciso, rapido e anche piuttosto arrabbiato. Era di ronda e anche quella notte Cameron era fuori dall'orario consentito, e anche quella volta avrebbe coperto la cosa. Perché lo faceva? Non era facile da capire perché lo facesse, doveva centrare qualcosa con lo spirito di conservazione, giusto? No, forse con il fatto che sotto la sua giurisdizione ogni Dioptase doveva essere sano e salvo. No, nemmeno questo.
    C'era qualcosa che la spingeva a proteggere Cameron ogni qualvolta era nei guai o agiva in maniera decisamente sbagliata dalle regole imposte. E il dioptase aveva la capacità di violare le regole più di quanto sapesse farlo Blake. Cosa c'era in quei due che non andava? Probabilmente la rabbia repressa che li riempiva per il novanta per cento del loro corpo.
    La cosa più divertente era che lei, Lilith Clarke, che cercava la perfezione in tutto e in tutte le persone che la circondavano, aveva preso a cuore i due casi umani più disastrati della scuola.
    Aveva sentito la necessità di scrivere a Cam quella sera: non lo aveva visto per niente durante i corridoi e sapeva che non se la stava passando troppo bene. Aveva atteso durante i pasti, ma niente; il suo pranzo era stato un tramezzino e a cena lui non era al tavolo dei Dioptase. Aveva sentito una stretta allo stomaco, una di quelle che si hanno quando si è preoccupati per qualcuno. E la cosa strana era che la persona di cui si stava preoccupando non era lei e non era Blake. Era Cameron. Dove diavolo era finito?
    Lo conosceva da ormai tre anni e avevano avuto diversi incontri caratterizzati principalmente dal suo essere rabbioso, ma non aveva dimenticato di quando aveva preparato quella cioccolata calda per lei, quel suo primo anno, a quando le aveva detto che lui non aveva bisogno di nessuno, non aveva bisogno di lei. Ma in quel momento, lui era stato fondamentale per proteggere il suo spazio di tranquillità dopo quella giornata di matricole e Lilith si sarebbe ricordata per sempre quel suo gesto, gentile a modo suo. Prima di arrivare alla torre dell'orologio, Lilith fece una piccola sosta in cucina, cercando uno degli elfi domestici che era di turno «Buonasera, mi dispiace disturbarvi, ma ho bisogno di chiedervi un favore.» - la sua voce cordiale, il suo sguardo dolce e il fatto che quegli elfi la conoscessero da troppo tempo, aiutarono Lilith a spiegare cosa avesse da fare e a ricevere quello che aveva chiesto. Mise tutto in una borsetta espansa e riprese la sua passeggiata verso la torre, continuando a digitare quei tasti per accertarsi che Cohen fosse ancora con i piedi per terra.
    Dopo lo scontro con Mark si erano rivisti di nuovo, e anche quella volta aveva trovato la sua compagnia una combinazione perfetta, mentre entrambi cercavano di tenere Mia lontano da Blake e viceversa. E ora, per quanto Cameron Cohen non avesse bisogno di nessuno, era lei che aveva la necessità di vederlo, di sapere come stesse e di raggiungerlo su quella torre, dove solo l'idea che avesse pensato di buttarsi le aveva fatto salire l'ansia e il panico. Risalì le scale della torre, fino in cima, dove era il vetro del quadrante da cui era possibile vedere un perfetto cielo stellato. «Cam?» - si affaccio dall'ultimo scalino e cercò il concasato. Riprese fiato dalla corsa che aveva fatto lungo le scale, mentre volgeva a destra e sinistra lo sguardo «Cohen?» - continuò a chiamarlo, questa volta un po' più allarmata, quindi lasciò cadere in terra la borsa e iniziò a sentire il fiato mancarle. Prese il magifonino e iniziò a far squillare il telefono di Cameron, sperando che avesse una suoneria da seguire qualora l'avesse sentita.
    Lilith Clarke

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    Cameron Cohen
    Cameron aveva le dita congelate dall'aria gelida di quella sera tarda di novembre, eppure continuava a rispondere ai messaggi di Lilith con il suo solito tono ironico, come se non fosse seduto sul cornicione della torre. Non che avesse realmente intenzione di fare qualcosa di stupido -o almeno così credeva- ma lassù il freddo era tanto intenso da impedirgli di pensare lucidamente, inibiva qualsiasi elucubrazione mentale, lasciandolo libero di non avere pensieri.
    Non riusciva capire perché la prefetta tenesse così tanto a lui visto come si era sempre comportato; forse dopo Blake, si era semplicemente affezionata ad ogni sorta di caso umano le capitasse a tiro, lui compreso. Forse, comunque, da quando aveva lasciato la Freeman -a lui piaceva pensare così, anche se in realtà era stato il contrario-, la Clarke era l'unica che gli era stata veramente vicina, visto che era piuttosto certo che mezza scuola gli avrebbe volentieri spaccato la faccia, mentre Elisabeth non riusciva più a vederla così spesso salvo le lezioni. Per la maggior parte del tempo, si evitavano solamente.
    Sbuffò una boccata di fumo dalla sigaretta che aveva in bocca, lasciando cadere la cenere nel vuoto ed essa si perse librando nel cielo nero della notte. Non c'erano stelle, quel giorno. Solamente una distesa di vuote tenebre, un po' come il suo cuore, non c'era che dire. No, le stelle c'erano. Erano i suoi occhi a vedere tutto nero o forse era il fumo che gli offuscava la vista.
    Stava per lanciare lo stecchetto nel vuoto, quando una voce richiamò la sua attenzione ed il ragazzo ruotò appena il busto, posando la schiena ad una colonna portante, ghignando. Sapeva chi fosse a cercarlo, visto gli ultimi messaggi scambiati con la riccia, tuttavia non le diede subito una risposta, protetto dalla semioscurità.
    Rimase in silenzio senza rivelare la propria posizione almeno finché il proprio magifonino prese a vibrare. Non era niente di che, una canzoncina tranquilla e non troppo forte di quelle preimpostate, ma in quel silenzio che sapeva da morte, sembrava il ruggito di un drago in mezzo all'infuriare di una tempesta. Scoppiò a ridere, facendosi per la prima volta identificare con la voce. Sei venuta davvero, Clarke. Non me lo aspettavo. La salutò non appena fosse arrivata veramente a portata d'orecchio.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    Bingo.
    La suoneria di Cameron iniziò a riempire il silenzio di quella torre, Lilith sentì la morsa allo stomaco allentarsi appena, mentre seguiva quella canzoncina. Non era ancora totalmente rilassata, ma sapeva che una volta che avrebbe trovato il ragazzo, vedendolo, probabilmente avrebbe tirato un sospiro di sollievo. Raggiunse la seduta del ragazzo, che nel frattempo iniziò a parlarle «Non mi conosci ancora bene, Cohen. Se dico una cosa, la faccio.» - il suo tono era tranquillo, mentre si avvicinava al suo fianco, tagliando tutte le distanze e gettandogli le braccia al collo istintivamente e velocemente, come a voler scaricare l'ansia che l'aveva assalita poco prima «Sei uno stupido idiota. Mi hai fatto prendere uno spavento Cohen.» - gli avrebbe detto, qualora non fosse stata gettata giù dalla torre come un sacchetto d'immondizia dai balconi di Napoli (?), con la faccia ficcata nell'incavo del suo collo «Ho pensato davvero che potessi fare stronzate.» - gli disse, staccandosi appena e sedendosi davanti a lui, con le spalle al cielo, mostrando come l'interesse, in quel momento era rivolto solo al concasato «Allora, sei venuto qui per prenderti una bronchite, o semplicemente volevi scappare da me che ti assillo?» - ironizzò appena sulle motivazioni che lo avevano spinto fin lassù. Era strano quanto, nonostante il caratteraccio del ragazzo, Lilith non potesse riuscire a fregarsene di lui. Era come se volesse davvero sapere che per lui la vita andava bene, ma era tutto così difficile.
    Guardò verso la sua borsa, era piuttosto lontana, ma alla fin dei conti non importava, perchè ancora non aveva la certezza che Cam non avrebbe fatto cazzate di alcun tipo «Dici che continueremo ad incontrarci con te che fai cose strane e io che cerco di tranquillizzarci o potremmo, prima o poi, fare le persone normali ed incontrarci ad un bar a bere qualcosa?» - rise appena, calando lo sguardo verso il pavimento.
    «Scherzi a parte, Cam... stavi scherzando prima, vero?» - il suo tono era calato di molto e lei guardava ancora verso i suoi piedi.
    Lilith Clarke

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    Non sapeva che cosa avesse realmente intenzione di fare, tuttavia... Cameron si sentiva perso, senza Mia. Perché l'aveva tradita? Perché le aveva addirittura detto che gli era piaciuto tradirla? Oh, in quel momento si sarebbe volentieri buttato giù dalla torre perché, vittimisticamente, era piuttosto convinto che non sarebbe importato a nessuno e che nessuno avrebbe sentito la sua mancanza. Avrebbe voluto avere tra le mani qualsiasi alcolico in grado di fargli dimenticare tutto, almeno per un po'. Non gli importava cosa, dimenticare e basta era il suo obiettivo.
    Ma la voce di una prefetta saputella, lo distolse da quei suoi pensieri cupi.
    Stava per dire qualcosa, magari una delle sue battute goliardiche, ma non ne ebbe il tempo, perché in men che non si dica, si trovò le braccia di quel fagottino addosso e non seppe esattamente come reagire, infatti sulle prime lasciò che le braccia gli scivolassero lungo il corpo, posandosi mollemente lungo i fianchi. Non è che temesse qualcosa, ma era ancora frastornato. Alla fine, però, andò a serrare la presa, stringendola al proprio corpo, sentendosi un automa che faceva qualcosa solamente per convenzione sociale, non per reale desiderio.
    Le accarezzò i lunghi capelli ricci, mentre parlava, osservandola. Era più alto di lei, quindi il suo corpo si incastrava perfettamente con quello di Cameron. Sorrise appena. Grazie scricciolo, avevo proprio bisogno che qualcuno me lo ricordasse commentò con una mezza risata, lasciandola andare e guardandola, mentre gli si sedeva di fronte. Stai attenta, non vorrai fare un salto nel vuoto la rimproverò, spegnendo finalmente la sigaretta e lasciando che facesse un volo di chissà quanti metri, facendola precipitare nel vuoto. Possibilmente entrambe. Pensaci, una broncopolmonite mi avrebbe fornito la scusa perfetta per non andare a lezione replicò senza togliersi quello stupido sorrisetto ironico. Guardò giù.
    La normalità non fa per me, lo sai disse, reclinando la testa all'indietro e posandola contro quella colonna di cemento. Chiuse gli occhi ed espirò, facendo formare una nuvoletta di condensa appena più in là delle sue labbra. Si riebbe e saltò giù dal cornicione -dalla parte interna- e dopo meno di un metro, i suoi piedi incontrarono il duro suolo. Porse la mano alla sua dama, invitandola a prenderla e scendere anche lei dal cornicione. Non lo so, Lil. Mi sento perso. Come se mi avessero portato via la cosa più importante, per me. E la cosa peggiore è che l'artefice di tutto sono io spiegò, tornando a sedersi ma stavolta con il culo a terra e la schiena posata al muretto, lontano da qualsiasi possibile volo verso l'infinito ed oltre.
    Cameron Cohen


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    Cameron Cohen e Lilith Clarke. Se Blake fosse venuto a sapere, anche solo per sbaglio, che aveva corso per andare a salvare un Cameron in crisi, probabilmente Hidenstone sarebbe finita di esistere il giorno stesso, distrutta fino all'ultimo mattone, con loro dentro. Ma c'erano cose che seppur facevano male a chi era accanto a qualcuno, andavano fatte e tra queste, per Lilith, c'era il ricordare a Cameron che non era da solo. Non era una di quelle che lo avrebbe detto apertamente, celando la verità anche a chi forse - ogni tanto - meritava di sentirla, ma teneva a Cameron e voleva stargli vicino.
    Non gli lasciò il tempo nemmeno di rispondere al suo arrivo che si ritrovò a dover fare i conti con un abbraccio forse non troppo desiderato, ma che Lilith aveva imposto ad entrambi. Non era solita abbracciare gente, non amava essere toccata se non da Blake, soprattutto dopo quell'Halloween che aveva lasciato cicatrici con cui faceva ancora i conti, ma ancor di più, non era mai stata impulsiva come lo era stata in quel momento. Odiava quando la gente l'abbracciava e odiava abbracciare. Eppure, questa regola, per Cameron non valeva e Lilith non si domandava il perché: in fondo, non le importava nemmeno che Cam non stesse ricambiando quell'abbraccio, all'inizio. Voleva solo sentire il suo cuore battere e sentire il suo respiro, come se fosse l'unica prova certa che fosse ancora vivo, almeno biologicamente, seppur immaginava dentro quanta morte ci fosse in lui. Strinse appena la presa quando sentì il tocco di lui reagire a quello slancio inaspettato e impulsivo. Ispirò un po' del suo profumo, tra le braccia del concasato, rilassandosi decisamente quando la stretta passò ad essere una carezza sui ricci. Questa volta non si tinsero di rosso, come allo stadio qualche tempo prima, era come se anche le sue emozioni si fossero abituate a quella testaccia dura di Cameron. Fin quando non si sentì chiamare con quel nomignolo strano. A tingersi, però, non furono solo le punte dei suoi capelli, ma anche le guance. Altra cosa che odiava, i nomignoli. Altra cosa che a lui era stata concessa: dargliene uno. E non le dispiaceva nemmeno per niente. «E' sempre un piacere ricordare cose importanti.» - lo canzonò, facendogli un occhiolino.
    Sentì il suo rimprovero e scosse il capo «Tranquillo, non ti darei mai un dispiacere così grosso.» - il suo tono era sarcastico, come se pensasse che la cosa, a Cameron, interessasse meno di quello che stava mostrando.
    Aggrottò la fronte sentendolo cercare scuse per non andare a lezione «Se vuoi una scusa per non andare a lezione, posso provare a dartene una. Non c'è bisogno davvero di avere l'influenza. Io ne so qualcosa...» - bofonchiò svelando un briciolo di più di quello che riguardava lei.
    Aveva saltato anche lei lezioni, improvvisando un mal di testa, mal di pancia o semplicemente giustificandosi per un tirocinio. Lo avrebbe coperto, qualora glielo avesse chiesto? Sì. Era un'altra delle cose che a Cohen sembrava concesso, senza alcun reale motivo. «Forse ti meriteresti un attimo di stacco, Cam. Intendo proprio da queste mura. Non so, un weekend fuori, una serata attaccato ad una bottiglia a cantare a squarciagola stonato per la strada. Anche questa è normalità...» - scivolò giù, seguendo i movimenti del ragazzo. Lo guardò dall'alto, prima di premere la gonna al suo sedere e prendere posto accanto al dioptase «Il vuoto. Una voragine nel petto che niente può colmare se non quel pezzo di te che l'ha lasciata.» - azzardò, guardandosi le ginocchia, che aveva raggruppato al petto «Sai... ho imparato una cosa, in questi anni: ho sempre voluto essere perfetta, colei che non sbagliava mai, che aveva sempre ragione. Ma ho scoperto a mie spese che nessuno è realmente perfetto. Hai sbagliato, Cam. Ok, è vero. Ma se davvero quella ragazzina è ciò che più ti manca, dovresti riprendertela.» - sembravano frasi fatte, ma era esattamente ciò che lei provava a fare con Blake, dopo averlo lasciato, distruggendo la loro storia.
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    Cingere Lilith tra le braccia fu difficile, all'inizio. Le sembrava un ennesimo smacco a Mia, visto che le due non avevano un bel rapporto e lui aveva già ferito abbastanza la biondina. Tuttavia era certo che non se la sarebbe mai presa per un abbraccio, insomma non stavano limonando né facendo altro di compromettente. Erano solamente due amici al freddo in cima ad un'alta torre che si stavano abbracciando. Quindi la cinse, finalmente, con le braccia magre ma forti.
    In qualche modo, sembravano essere complementari, quei due. Entrambi avevano problemi con i rispettivi partner, anche se di natura diversa.
    Mia era fin troppo permissiva, gli concedeva tutto ciò che voleva e non lo controllava mai, fidandosi all'eccesso, mentre Blake era possessivo, geloso e se fosse venuto a sapere di quell'incontro, avrebbe cercato di spaccargli la faccia. E Cam non era certo che sarebbe riuscito ad opporsi. Non tanto come penitenza per aver sfiorato la sua ragazza, non rispettava così tanto l'opale da stare lontano dalla sua ragazza solo per lui, quanto più per ciò che aveva fatto a Mia. Sì, era certo che avrebbe incassato qualsiasi punizione lui avrebbe deciso.
    Le accarezzò i capelli per un po', nel silenzio, prima che la magia del momento venne spezzata dalle loro parole. Parole sussurrate ma abbastanza forti perché giungessero alle sue orecchie come delle esplosioni.
    Roteò gli occhi al cielo e scosse la testa senza più replicare a quella frase, decidendo che non era il momento ideale per bisticciare, visto che erano ad un passo dal baratro e con una singola spinta verso l'esterno, Cameron avrebbe potuto mettere nei guai entrambi. Ma non fece nulla.
    Ah no? Cosa vorresti dire? Le sussurrò con una risatina, osservando le punte dei suoi capelli nuovamente rosse, così come le guance. Non sapeva cosa le fosse successo circa due anni prima, quindi non poteva immaginare quanto ogni tocco, ogni parola di troppo fosse un tasto dolente per la ricciolina. Quindi si immaginò qualsiasi scenario, tranne che lo stupro. Che poi non era nemmeno certo che fosse quello il motivo, la mentre di questa narratrice e di Cameron potevano solamente fare ipotesi.
    Scese dal muretto, finalmente, per andare a sedersi in un luogo dove non avrebbe rischiato la morte, ascoltando con attenzione le sue parole. Per caso mi stai proponendo un appuntamento, Clarke? Le domandò canzonatorio, ben sapendo che avesse ragione ed avrebbe dovuto evadere, andare altrove. Tanto era maggiorenne lui, come lo era lei. Non che importasse. Lei mica sarebbe andata con lui, no?
    Annuì mentre la ragazzina si sedeva accanto a lui. Hai pienamente centrato il punto, scricciolo. Mi sembra di avere un buco nero nel petto, come mi avessero strappato via il cuore per qualche strano motivo. Una pausa, metabolizzando ciò che lei aveva da dirgli, trovandosi a concordare con lei, in un certo modo. Non è così facile... l'ho tradita e gliel'ho sbattuto in faccia come se non me ne fregasse niente! Non mi perdonerà mai ed ha ragione, nemmeno io mi perdonerei. Si portò le ginocchia al petto e vi posò il mento, godendo del calore dell'altra affianco a lei.
    Cameron Cohen


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    In quel momento, quell'abbraccio valeva più di mille parole, per entrambi, probabilmente e se lo godettero quanto più potevano. Lilith non avrebbe nascosto a Blake quell'incontro, forse qualche particolare sicuramente, ma alla fin dei conti, loro ancora non avevano risolto le loro problematiche e quello non era il momento di buttare altra benzina sul fuoco.
    In quel frangente lei aveva preso una decisione, rincorrere Cameron su quella torre e nessuno avrebbe potuto mettersi in mezzo, era arrivata lì con la sola idea di dedicarsi a lui e così avrebbe fatto. Le carezze di Cameron erano rilassanti, erano la conferma che seppur dentro erano distrutti, entrambi respiravano ancora e questo sarebbe stato importante per risalire a galla, seppur con difficoltà.
    Prese un grosso respiro prima di sciogliere quell'abbraccio, che sembrava così naturale e perfetto che quasi le lasciò il freddo addosso, quando le braccia di Cameron non la cinsero più. Era come se loro vite corressero in parallelo con tutti quei problemi che, seppur diversi, li stavano affossando.
    Scrollò il capo, fregandosene di quelle ciocche rosse e del rossore sulle proprie guance, era ancora troppo difficile fare i conti con le sensazioni che non riusciva a frenare quando c'era Cameron vicino.
    «Voglio dire: se cadessi giù, per te sarebbe una grande perdita. Chi ti verrebbe a rincorrere su una torre in alto sperando di trovarti ancora vivo a quest'ora della notte, infrangendo il coprifuoco e coprendoti anche su questo?» - sollevò un sopracciglio, fingendo una certa sicurezza davanti al ragazzo, mentre incrociava le braccia sotto i seni. Non si aspettava chissà che risposta a riguardo, ma era divertente quel loro passare dalla tenerezza di un abbraccio al punzecchiarsi sarcastico per alleggerire la situazione in cui si trovavano.
    Sbuffò via un ricciolo che le era caduto davanti gli occhi, poi guardò Cameron «Rifiuteresti un appuntamento con la Prefetta dioptase più richiesta dalla popolazione maschile di questa scuola? Saresti da arrestare, sai?» - non gli diede una vera e propria risposta a quella domanda, ma si avvicinò un po' di più a lui «Ah ma se non vuoi venire con me, trovo qualcuno che è disposto a farmi compagnia, Cohen.» - arricciò appena le labbra, con il sopracciglio alzato e l'aria di sfida, come se quello fosse un modo alternativo di invitarlo.
    Conosceva perfettamente quella sensazione che Cameron le stava descrivendo, la sentiva ogni volta che si scontrava con la realtà di non avere Blake accanto «Sì, è massacrante.» - commentò lasciandolo sfogare ancora «Vero, non è facile. Non ti perdonerà mai, è una stronzata.» - ammise, mentre tentò di allungare un braccio ad afferrare le spalle del ragazzo per portarlo un po' più verso di sé, scaldandolo appena. Se avesse voluto lo avrebbe lasciato poggiare sulla sua spalla, sul suo petto o stendere sulle gambe, la sola cosa che interessava a Lilith e che cacciasse fuori quanto più poteva «Almeno ci hai messo meno di quasi un anno a dirglielo.» - sbuffò con asprezza «Non è facile, lo hai detto anche tu. Ma se davvero Mia è colei che desideri a colmare quella voragine che hai qui» - sfiorò il suo petto se glielo avesse permesso «Allora devi fare di tutto per dimostrarle che di lei te ne frega. Qualsiasi cosa, Cam. Quando si ama si è disposti a perdonare... lei deve perdonare solo te e tu devi darle i motivi per farlo. Io sto cercando di perdonare due persone: la mia migliore amica e Blake... Ho perso entrambi nello stesso istante, vivendo nell'inconsapevolezza per mesi interi. In un solo istante ero sola. Persa, senza nessuno con cui poter urlare quanto questo mondo mi faceva schifo. Piangendo... su quei cornicioni dove ti sono venuta a recuperare. Nascondendomi nella mia stanza e notando come intorno a me non avevo altro che il vuoto. Sai, non sono una che ama fare amicizia, credo tu te ne sia accorto.» - rise sarcastica «E' una scalata ripida, nel vuoto. Perdonare e cercare il perdono.» - cercò poi il suo sguardo sorridendogli dolcemente.
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    Nemmeno Cameron sapeva se fosse serio, se avesse realmente intenzione di porre fine al suo supplizio. Nonostante ciò, comunque, non fece nulla se non accoglierla tra le sue braccia. Contrariamente a come si potrebbe pensare di uno come Cameron, in quella stretta non c'era niente di malizioso. Era solamente un'ancora alla quale entrambi si erano aggrappati per non cadere a fondo, risucchiati dai loro problemi.
    Gli adulti facevano presto a sminuire ciò che stavano passando. Sembrava quasi che non fossero mai stati adolescenti. Non riuscivano ad empatizzare, a mettersi nei panni di un ragazzo con il cuore infranto. E Cameron la trovava una cosa terribilmente triste.
    Stai parlando di te, Clarke? Domandò, sbuffando in una risata. Forse era proprio quello di cui aveva bisogno: un'insolita leggerezza che lei era in grado di procurargli. Ti prego, risparmiami la pantomima. Lo sappiamo entrambi che lo hai fatto perché sei segretamente innamorata di me propose con una certa serietà ed un cipiglio scuro e severo, prima di scoppiare a ridere e sospirare, posandosi una mano sulla pancia come se gli facesse male.
    Non essere così sicura di te, rossa la apostrofò con saccenza, scuotendo la testa. Io preferisco un appuntamento con Howard, a dire la verità. Riusciresti a procurarmelo? Rise lui, per l'ennesima volta. Stava ridendo molto più di quanto avesse previsto, quella sera. E la cosa più strana era che non gli stava dispiacendo per niente, anzi.
    Quando furono entrambi seduti, non le rispose, si limitò a fissarla finché non lo attirò a sé. Dapprima rimase leggermente spiazzato per quel gesto, irrigidendosi e non sapendo bene cosa fare, ma ben presto qualsiasi tipo di raziocinio lo abbandonò e si lasciò trascinare. Alla fine, si trovò disteso con la testa sulle sue cosce e gli occhi fissi nei pozzi azzurri dell'altra, leggeri sospiri e scaldarle il volto.
    Io non lo so se riuscirei a perdonare un tradimento, però annunciò Cameron quasi sovrappensiero, venendo sommerso dal fiume in piena che straripò dalle labbra di lei. Immagazzinò ogni parola. Blake Barnes? Il magnifico Blake Barnes che ama tanto puntare il dito su di me, ti ha tradita? Questa sì che è una notizia. Rise. Rise ancora. Ma stavolta senza allegria. Aveva cercato di buttarlo sullo scherzo, quello sicuramente, ma restò stupito nello apprendere quanto potesse essere ipocrita la gente. E ascolta me, la tua migliore amica è una puttana. Lo disse con forza, infastidito da quel comportamento, sebbene lo avesse quasi replicato allo stesso modo, finendo con il fare sesso con Elisabeth.
    Scappiamo propose, guardando il cielo stellato oltre il parapetto. Per una notte, prima che i cancelli vengano chiusi. Andiamo nella foresta, andiamo a Denrise. Facciamo quel cazzo che ci pare senza nessuno a romperci i coglioni dicendoci cosa fare e cosa non fare. Non era uno scherzo, in quell'occasione. Era serio e lo disse guardandola dritta negli occhi, dal basso.
    Cameron Cohen


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