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.Mia Freeman
Prefetto AmetrinCi stava provando, quello ed un dato di fatto. Stava davvero cercando di non perdersi, di rimanere diligente e razionale, di non perdersi troppo nei propri pensieri eppure non le sembrava di esserci riuscita, anzi ogni giorno sentiva la sua attenzione e la sua buona volontà scivolarle via dalle dita, inesorabili.
Era stanca, stanca di pensare, di sentire sempre lo stomaco chiuso, di non riuscire a concentrarsi, di avere sempre gli stessi pensieri, sempre uguali, sempre soffocanti. Si sentiva vuota, come se il suo potenziale fosse finito chissà dove, da qualche parte sepolto sotto i sensi di colpa, la rabbia e il senso di impotenza, e non volesse più ritornare in superficie.
All’inizio le sembrava di essere in grado di fare tutto, la rabbia l’aveva convinta che avrebbe saputo come rispondere, ma era stata una questione di pochi istanti prima di comprendere che, nonostante tutto, non sarebbe mai stata pronta a tutto quello. Non era sicura che a Cameron importasse, che si fosse davvero chiesto quanto male le avesse fatto, quanto tutto quello andasse ben oltre quello che sembrava, ben oltre un “semplice” tradimento, sempre che esistessero tradimenti semplici. Sospettava che fosse doloroso per tutti, non lo metteva in dubbio, ma le sembrava che tutto quello, nella loro storia, facesse ancora più male: come se Cameron non sapesse dei suoi problemi di fiducia, come se non sapesse quanto le fosse costato lasciarsi andare, come se non si fosse sentita dire da tutti quanti che sarebbe finita così, e non avesse ascoltato nessuno. Era davvero uno scherzo del destino, e cominciava a pensare che Fato avesse uno strano senso dell’umorismo: era abbastanza certa che Jessica o Blake o chiunque altro non avrebbe mancato di propinarle un, più che onesto, “ti avevo avvisata”, e così alla fine non aveva parlato nemmeno con lei. Non che fosse difficile intuire che qualcosa non andava, non da quando Mia aveva cominciato a sfoggiare notevoli occhiaie, a non presentarsi a lezione e a rifugiarsi nei posti meno affollati dell’Accademia per sfuggire agli occhi di chiunque.
Aveva provato anche a scrivergli, aveva ancora un biglietto - scritto in inchiostro di un Lilla spento, bluastro -un semplice “E’ difficile pensare di voltare pagina quando l’unica cosa che voglio sei tu”, ma alla fine non lo aveva mai inviato, codarda o forse ancora con un briciolo di dignità dalla sua parte. Continuava a detestare le scenate, non aveva cambiato idea in merito, ed era abbastanza sicura che urlare o picchiare quando non l’avrebbe aiutata affatto e alla fine aveva finito per soffocare tutto e cercare di fare finta di niente. Ed eccola che, cercando di ignorare ogni cosa, aveva finito per infilarsi nel ripostiglio, scivolando rapida e tirandosi dietro la porta, proprio mentre un singhiozzo più forti degli altri lasciava le sue labbra. Si ritrovò tremante, senza fiato, avvolta nel buio profondo della piccola stanza, e senza nemmeno preoccuparsi dei danni che avrebbe potuto provocare finì per rannicchiarsi in un angolo, stringendosi le ginocchia al petto e lasciando che le lacrime le rigassero le guance, che i suoi intorno a lei si facessero distanti e ovattati mentre i suoi respiri erano sempre più rapidi e brevi. Non era la prima volta che si sentiva così, non nelle ultime settimane di certo, e avrebbe dovuto fare l’abitudine anche a quello, come al suo stomaco che si chiudeva in una mossa ferrea, o la gola che si faceva più stretta e secca, eppure non riusciva mai a uscirne viva da quei momenti.
Non faceva altro che ricordarsi di quando Cameron era stato così, di come le erano sembrati vicini, di quanto avrebbe voluto… un altro singhiozzo la scosse da capo a piedi, portandola ad affondare la fronte contro le ginocchia al pensiero di chi avrebbe voluto in quel momento, nonostante tutto, e non era nemmeno sicura che a lui un pensiero simile sarebbe importato. Per quel che ne sapeva lui forse stava anche bene, era quasi felice di non doverlo vedere ogni giorni anche se alle volte gli sembrava di vederlo sempre al suo fianco, almeno nella sua testa. Un altro singhiozzo, soffocato questa volta, mentre cercava di prendere aria e aveva la sensazione che i suoi polmoni non riuscissero a conservarne più di qualche briciola, insufficiente a farla respirare decentemente.code made by ginSPOILER (clicca per visualizzare)Prompt utilizzati:
Canzone: This is me trying - Taylor Swift
Colore: Bluebell #a2a2d0. -
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.Mia Freeman
Prefetto AmetrinEra sicura che nessuno sarebbe mai andato a cercarla lì, non era pronta a sentire la voce di qualcuno raggiungerla ed era comunque abbastanza provata e stravolta da non riuscire a cogliere le parole di Cameron prima che si avvicinasse a lei.
La presa era salda, le mani famigliari, e riuscì a riconoscere il profumo e la voce prima ancora che riuscire a calmarsi. Cameron non poteva saperlo – o forse sì?- di quanto fosse lui stesso la causa di tutto quello, non poteva immaginare quanto quel contatto fosse quello che desiderava di più al mondo e, assieme, l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Non era lucida, non era abbastanza presente da avere controllo sui propri pensieri, e non appena le sue mani la toccarono non potè fare a meno di pensare a quelle stessi mani su un’altra persona. “E’ stato bellissimo… mi è piaciuto…lei mi capisce…sa cosa vuole dire…”. Un conato di vomito la travolse, come succedeva ogni volta che quelle parole le ritornavano in mente, il che succedeva fin troppo spesso. Aveva sperato di rivederlo, voleva fargli sapere quanto gli mancasse ma ora che era lì era come se il suo tocco fosse diventato fuoco e la stesse ardendo viva, dando solo più ossigeno alle fiamme che la stavano già divorando.
Provò a dimenarsi, seppur fosse in una posizione di svantaggio, seppur una parte di lei non volesse davvero tornare sola, circondata solo dal freddo, e forse quella parte era abbastanza masochista da accettarlo lo stesso, nonostante tutto. Scosse la testa comunque, cercando di prendere abbastanza aria da riuscire a formulare una frase tra i singhiozzi, o anche solo una parola, qualsiasi cosa sarebbe andata bene. “Vattene” esalò alla fine, cercando di mettere distanza tra loro due per quanto il fatto che stesse tremando e la posizione nella quale si trovava non le concedessero troppe vie di fuga.
Si ritrovò a prendere qualche respiro più profondo, o almeno a provarci, per riuscire a racimolare il controllo necessario ad affermare un flebile. “Sto bene” e cercare di finire tutto quello il prima possibile. Sapeva anche lei che non aveva alcun senso, fino a qualche minuto prima Cameron era tutto ciò che avrebbe voluto, si era chiesta più volte se davvero fosse da stupida tornare da lui e cercare di fare finta di niente, di cominciare da zero, e anche se ancora c’erano alcune cose che facevano troppo male per riprovarci davvero, comunque ci aveva pensato. Era arrivata alla conclusione che il tradimento in sé era solo l’ultimo dei suoi problemi: non era sicura di cosa avrebbe fatto se le cose fossero andate diversamente, ma quel dettaglio le risultava quasi facile da accettare, quasi scontato. Sapeva di non aver soddisfatto Cameron, sotto certi aspetti, per parecchio, e forse non era nemmeno così tanto gelosa da pretendere che le fosse fedele sempre, per sempre. Poteva accettare che andasse a letto con Elizabeth? Forse, non era quello il problema. Quello che l’aveva distrutta era il resto: il fatto che Cameron lo avesse reputato bellissimo, un momento così intimo che non stava condividendo con lei, il fatto che gli fosse piaciuto abbastanza da non sentirsi nemmeno in colpa, come se fosse normale dover cercare quel piacere altrove perché con lei non lo avrebbe mai trovato. E poi…La Norvegia. Quando l’aveva portata ad Oslo si era sentita speciale, ricordava quel momento con estrema chiarezza, non solo per come erano finite le cose, ma anche per il peso delle confessioni che le aveva fatto, le era sembrato di aver raggiunto un altro livello del loro rapporto. Si era convinta che Cameron non fosse solito portare tutte le sue ragazze dove era cresciuto, le era sembrato qualcosa di speciale, intimo e unico, e per un po’ si era sentita meritevole di quel rapporto, sicura che ci fosse davvero qualcosa di importante nel loro legame. Sapere che aveva portato anche Elizabeth nello stesso posto, che l’aveva baciata, probabilmente come aveva fatto con lei, e che aveva condiviso tutta la sua storia come se niente fosse. E ora quel momento non era più loro, non era più così speciale e importante e sembrava solo frutto delle sue illusioni e della sua stupidità.
Si era inventata tutto, forse, aveva visto un rapporto profondo e intimo dove non c’era, non sapeva nemmeno come avesse fatto ad illudersi fino a quel punto.
E ora cosa ci faceva lì? Perché stava cercando di…aiutarla? Aveva senso?
“Sto bene.” riprovò poco dopo, con più convinzione, agognando ora di tornare di nuovo da sola. Forse stava impazzendo.code made by gin. -
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.Mia Freeman
Prefetto AmetrinNon avrebbe saputo dire che cosa facesse più male, se sentirsi dare della bambina e della stupida nel mezzo di una crisi di pianto, se gli insulti fatti ai suoi amici o il tono che stava usando con lei, che non sembrava affatto gentile o accomodante o pronto ad aiutarla, quanto piuttosto un tono troppo incisivo per risultare piacevole. Non era gentile, non era dolce, stava provando ad aiutarla ma non era sicura che anche solo qualche mese prima lo avrebbe fatto in quel modo. Lo sapeva anche lei che starsene rannicchiata in quel buco di posto non era sinonimo di buon umore, ancora meno se lo faceva piangendo, ma sentirsi insultare in quel modo di certo non migliorava le cose. Si chiese distrattamente se se ne rendesse conto, se lo stesse facendo apposta o se semplicemente avesse aspettato l’istante giusto in cui le cose tra loro sarebbero finite per smettere di fingere. Perché quel Cameron non sembrava per niente lo stesso che l’aveva portata a Oslo o che l’aveva trattata con cura e attenzione ogni volta che ne aveva avuto bisogno.
Non sapeva nemmeno cosa dire, per la prima volta sentì l’impulso di picchiarlo di nuovo, più forte, e non i sensi di colpa che quell’unico, misero schiaffo, le avevano provocato fin dal primo istante. In realtà sapeva che Cameron era anche quello, che il suo modo di fare non era sempre delicato e accomodante, che alle volte sapeva essere rude e deciso anche con lei, ma se fino a quel momento lo aveva sempre assecondato e giustificato, ora non sembrava così semplice.
Riuscì a smettere di singhiozzare però, o almeno si obbligò a farlo perché non tollerava la possibilità di apparire così fragile e, come aveva detto anche lui, stupida ai suoi occhi, quello poteva ancora risparmiarselo. Non riuscì a parlare, non subito almeno, ma si scrollò di dosso il suo polso e gli gettò i suoi occhi blu, feriti, addosso, guardandolo dal basso trasmettendo con quello sguardo molto più che con mille parole: le aveva fatto male, anche se non fisicamente mentalmente, e lei non se lo meritava. Poteva essere stupida, cieca e innamorata ma sapeva di non meritarsi tutto quello, non quando lei era sempre stata lì per le sue crisi, pronta a farsi in quattro per aiutarlo.
Stava provando a consolarla ma tutto quello che riuscì a fare fu provocarle nuove fitte allo stomaco, nuova voglia di vomitare e un pulsante mal di testa, causato probabilmente dai troppi pensieri. Era sua madre a dirle che il mal di testa veniva sempre a chi pensava troppo? Forse era stato Charles, in quella che sembrava una vita precedente, o chissà chi altri, ma sospettava potesse avere senso, a lei sembrava proprio che i suoi pensieri stessero facendo di tutto per uscire dalla sua testa e riversarsi nel mondo esterno. Ma perché lasciarglielo fare? Cameron lo aveva appena detto ad alta voce, rendendo ogni suo gesto ancora più chiaro e trasparente: a lui non importava di quel che faceva, figurarsi di quel che pensava.
Cercò di schiarirsi la voce e mettere assieme i cocci della sua dignità, sforzandosi di darsi un contegno e provare a risultare più convincente, questa volta. “So badare a me stessa, grazie per il pensiero. Non serve che ti preoccupi.” provò a tagliare conto, distogliendo lo sguardo perché non riusciva proprio a respirare normalmente mentre incrociava i suoi occhi, e non riuscì ad aggiungere altro. Si scoprì incapace di aggiungere altro, come se non avesse niente da dire, anche perché che cosa avrebbe potuto obiettare? Qualsiasi convinzione sulla loro relazione sembrava sempre più inconsistente: Cameron non era interessato a quel che lei faceva, non era lì per consolarla, l’aveva vista lì e si era preoccupato supponeva… di certo non sembrava uno che stava soffrendo granchè, il che era l’ennesima conferma che tra i due solo Mia avesse reputato importante quel che avevano condiviso.
Era stato così facile liberarsi di lei? Perché lui sembrava stare bene mentre lei non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia? Serrò la mascella e i pugni, facendosi sbiancare le nocche e prendendo un profondo respiro, seppur irregolare, provando a mascherare tutto quello che stava provando in quel momento, soffocante e totalizzante abbastanza da farla piombare in una crisi che stava solo soffocando ma non certo superando. Era sicura che quella conversazione l’avrebbe perseguitata per un bel po’ e forse anche per quello stava cercando di tagliare corto, per avere meno cose da rivivere una volta ritornata sola.code made by gin. -
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[QUOTE=Mia Freeman,7/12/2021, 13:49 ?t=78841952&st=0#entry654374830] Mia Freeman
Prefetto AmetrinEra la prima a sapere bene che le parole spesso non erano necessarie, bastava un gesto a rendere tutto palese e, in quel caso, la risata e l’occhiata che Cameron le riservò la fecero sentire infima, piccola e inutile. Compassione? Imbarazzo? Forse addirittura patetismo... doveva vederla in mille modi, tutti terribili, se la guardava così e le rideva in faccia quando lei si sentiva morire dentro, le sembrava di soffocare e stava solo cercando un po’ per riprendersi e sentirsi meglio. Incrociò le braccia al petto, cercando di tenersi insieme e sforzandosi di ingoiare il rospo, distogliendo ,lo sguardo da lui mentre sentiva tutto dentro di lei raggelarsi.
Non si sarebbe mai definita una persona forte, eppure non era nemmeno così sciocca da mostrare le sue debolezze a chiunque: sapeva fingere, forse non come Cameron ma sapeva farlo per la propria sopravvivenza, e se fino a quel momento non aveva mai sentito la necessità di farlo con lui, cominciò ad irrigidirsi, fosse anche solo per proteggersi.
Si bloccò alle sue parole e rimase a fissarlo immobile, incredula, perché non aveva alcun senso quel che le aveva appena detto. Non era stato carino o delicato fino a quel momento, che Cameron parlasse senza pensare alle conseguenze delle sue parole e senza darsi freni non era una novità, ma spingersi fino a quel punto era troppo anche per lui. Conosceva il suo passato, l’aveva aiutata ad uscire dalla “storia” con Mark, aveva visto i suoi sforzi e le sue difficoltà… non poteva aver appena detto una cosa simile. Sentì gli occhi pizzicare di nuovo, nuove lacrime pronte a rigarle le guance, questa volta però accompagnata da una rabbia viscerale, bollente, che le bruciò la gola mentre la risaliva, inarrestabile. “Mi dispiace.” disse alla fine, con molta più sicurezza di quanta se ne sentisse addosso. “Mi dispiace perché io ci ho creduto davvero. Perché pensavo che avessi capito. E invece Cam non hai capito un cazzo.” continuò poco dopo, le orecchie che cominciavano a fischiare e le guance che si facevano rosse mentre cercava di scendere da dove l’aveva fatta sedere e mettere più distanza tra di loro. “Preferisco essere una vecchia frignona che illudere le persone e pugnalarle alle spalle, sai? Tu puoi continuare ad andare in giro, fare il giovane e scoparti chi vuoi, nessuno te lo impedirà.” aggiunse poco dopo e si sentì inarrestabile per una volta, fu costretta a mordersi la lingua per impedire ad un mare di insulti e di parole di travolgere entrambi. Si sentiva incontrollabile, le sembrava di essere fragile e assieme abbastanza forte da distruggere chiunque e ferire anche lui, anche se sapeva bene che non poteva succedere.
Perché in tutto quello era sempre più palese che fosse lei quella che ci stava male, lui propinava consigli alla leggera anche sapendo quando per lei fosse difficile concedere certe parti di sé, o quanto tempo avesse impiegato anche solo a lasciarsi toccare. Quanto doveva aver finto se ora era ancora così tranquillo, così padrone di sé, come se non fosse davanti a quella che era stata la sua ragazza per così tanto tempo?code made by gin. -
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