This is me trying

Cam&Mia - Special Contest Merry Christmas #2

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    Ci stava provando, quello ed un dato di fatto. Stava davvero cercando di non perdersi, di rimanere diligente e razionale, di non perdersi troppo nei propri pensieri eppure non le sembrava di esserci riuscita, anzi ogni giorno sentiva la sua attenzione e la sua buona volontà scivolarle via dalle dita, inesorabili.
    Era stanca, stanca di pensare, di sentire sempre lo stomaco chiuso, di non riuscire a concentrarsi, di avere sempre gli stessi pensieri, sempre uguali, sempre soffocanti. Si sentiva vuota, come se il suo potenziale fosse finito chissà dove, da qualche parte sepolto sotto i sensi di colpa, la rabbia e il senso di impotenza, e non volesse più ritornare in superficie.
    All’inizio le sembrava di essere in grado di fare tutto, la rabbia l’aveva convinta che avrebbe saputo come rispondere, ma era stata una questione di pochi istanti prima di comprendere che, nonostante tutto, non sarebbe mai stata pronta a tutto quello. Non era sicura che a Cameron importasse, che si fosse davvero chiesto quanto male le avesse fatto, quanto tutto quello andasse ben oltre quello che sembrava, ben oltre un “semplice” tradimento, sempre che esistessero tradimenti semplici. Sospettava che fosse doloroso per tutti, non lo metteva in dubbio, ma le sembrava che tutto quello, nella loro storia, facesse ancora più male: come se Cameron non sapesse dei suoi problemi di fiducia, come se non sapesse quanto le fosse costato lasciarsi andare, come se non si fosse sentita dire da tutti quanti che sarebbe finita così, e non avesse ascoltato nessuno. Era davvero uno scherzo del destino, e cominciava a pensare che Fato avesse uno strano senso dell’umorismo: era abbastanza certa che Jessica o Blake o chiunque altro non avrebbe mancato di propinarle un, più che onesto, “ti avevo avvisata”, e così alla fine non aveva parlato nemmeno con lei. Non che fosse difficile intuire che qualcosa non andava, non da quando Mia aveva cominciato a sfoggiare notevoli occhiaie, a non presentarsi a lezione e a rifugiarsi nei posti meno affollati dell’Accademia per sfuggire agli occhi di chiunque.
    Aveva provato anche a scrivergli, aveva ancora un biglietto - scritto in inchiostro di un Lilla spento, bluastro -un semplice “E’ difficile pensare di voltare pagina quando l’unica cosa che voglio sei tu”, ma alla fine non lo aveva mai inviato, codarda o forse ancora con un briciolo di dignità dalla sua parte. Continuava a detestare le scenate, non aveva cambiato idea in merito, ed era abbastanza sicura che urlare o picchiare quando non l’avrebbe aiutata affatto e alla fine aveva finito per soffocare tutto e cercare di fare finta di niente. Ed eccola che, cercando di ignorare ogni cosa, aveva finito per infilarsi nel ripostiglio, scivolando rapida e tirandosi dietro la porta, proprio mentre un singhiozzo più forti degli altri lasciava le sue labbra. Si ritrovò tremante, senza fiato, avvolta nel buio profondo della piccola stanza, e senza nemmeno preoccuparsi dei danni che avrebbe potuto provocare finì per rannicchiarsi in un angolo, stringendosi le ginocchia al petto e lasciando che le lacrime le rigassero le guance, che i suoi intorno a lei si facessero distanti e ovattati mentre i suoi respiri erano sempre più rapidi e brevi. Non era la prima volta che si sentiva così, non nelle ultime settimane di certo, e avrebbe dovuto fare l’abitudine anche a quello, come al suo stomaco che si chiudeva in una mossa ferrea, o la gola che si faceva più stretta e secca, eppure non riusciva mai a uscirne viva da quei momenti.
    Non faceva altro che ricordarsi di quando Cameron era stato così, di come le erano sembrati vicini, di quanto avrebbe voluto… un altro singhiozzo la scosse da capo a piedi, portandola ad affondare la fronte contro le ginocchia al pensiero di chi avrebbe voluto in quel momento, nonostante tutto, e non era nemmeno sicura che a lui un pensiero simile sarebbe importato. Per quel che ne sapeva lui forse stava anche bene, era quasi felice di non doverlo vedere ogni giorni anche se alle volte gli sembrava di vederlo sempre al suo fianco, almeno nella sua testa. Un altro singhiozzo, soffocato questa volta, mentre cercava di prendere aria e aveva la sensazione che i suoi polmoni non riuscissero a conservarne più di qualche briciola, insufficiente a farla respirare decentemente.


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    Prompt utilizzati:
    Canzone: This is me trying - Taylor Swift
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    Era passato forse un mese da quando aveva detto a Mia, senza il minimo tatto, di averla tradita. Certo, secondo Cameron non si trattava di tradimento, eppure ciò non cambia la realtà dei fatti.
    Quel giorno di inizio dicembre pioveva a dirotto e le grosse gocce scrosciavano contro le pesanti vetrate, ticchettando e producendo un effetto a dir poco triste all'interno del dormitorio. Cameron era da solo, poiché i suoi compagni erano andati chissà dove, forse a lezione. Lui, da quel giorno con Mia, aveva iniziato ad andarci sempre meno sia perché non aveva più la motivazione, sia per non vedere Elisabeth. Si stavano evitando ormai da quella sera agli spogliatoi, salvo le lezioni dove si erano parlati davvero per poco tempo. Fortunatamente erano stati aiutati da lezioni dinamiche e che davano poche possibilità di fermarsi a chiacchierare, come quella congiunta tra DCAO e Astronomia. Scosse la testa, cercando di fare una piega che non gli riusciva da circa un'ora e mezza. Quel pomeriggio si era rinchiuso dentro il suo letto -aveva tirato le tende del baldacchino-, cercando di concentrarsi sugli origami che tanto amava, ricordo della sua piccola Arya. Ma quel giorno non riusciva a fare nemmeno un banalissimo cigno, cosa che di solito gli riusciva anche ad occhi chiusi. Aveva tra le dita un sottile foglio di carta bianca, ma ben presto venne fatto in brandelli dalla furia di Cam, tanto che Axe -il suo furetto- fece un balzo e gli piantò le unghie nella caviglia, spaventato dal movimento improvviso del suo padrone, visto che era accoccolato lungo la sua gamba. Persino Ashura, appallottolato vicino al cuscino, sollevò la testa bordeaux per capire cosa stesse succedendo. Kueee kueee si avvicinò a Cameron, iniziando a sfregare la testolina contro il suo braccio, provando a consolarlo, qualsiasi cosa avesse.
    Cameron cercò di regolarizzare il respiro, poi ignorando i famigli, si alzò di scatto ed infilò in fretta le scarpe, afferrò un pacchetto di sigarette che aveva nascosto sotto il materasso, quindi uscì seguito dal chocobo che non aveva alcuna intenzione di lasciarlo solo.
    I suoi passi -seguiti dallo zampettare di Ashura- lo portarono a perdersi per il castello, ma non gli importava dove andasse, voleva solamente allontanarsi da tutto e tutti.
    Camminò così tanto e così velocemente che ben presto si trovò dinanzi l'aula in disuso, chiedendosi come fosse arrivato là dal suo dormitorio, ma non vi si soffermò troppo, sebbene le lasciò una lunga occhiata: sarebbe stato il posto perfetto per perdersi e non pensare proprio a niente, forse avrebbe addirittura ritrovato la concentrazione per fare gli origami. Ma alla fine non si fermò, decidendo di proseguire poiché i suoi occhi castani avevano visto qualcosa, ovvero quella che doveva essere la porta del ripostiglio. Incredibilmente, in due anni e mezzo non ci era mai stato ed era incuriosito di ciò che ci avrebbe trovato, perciò si avvicinò curioso e spalancò la prima porta, trovandosi dinanzi ad un corridoio non troppo lungo che portava ad un'altra stanza. Camminò circospetto, finché dei rumori non attirarono la sua attenzione. Sembrava che qualcuno stesse piangendo, Cameron ne era abbastanza certo. Aveva fatto piangere abbastanza ragazze per riconoscerne una quando lo faceva.
    Si decise ad entrare. Non era bravo a consolare, ma sicuramente avrebbe potuto tirarla su con qualche sparata... o prenderla in giro, in caso si fosse trattato ancora di quella stupida di Gyll.
    Lumos sussurrò per illuminare la stanza, visto che dalle finestrelle arrivava luce troppo tenue, dato il tempaccio che c'era fuori. Si avvicinò, ma quello che vide, lo bloccò. M-Mia? Sussurrò nella semioscurità, osservando la biondina accasciata sul pavimento con le ginocchia strette al petto e la fronte su di esse. L'avrebbe riconosciuta ovunque. Non sembrava stare bene e non solo perché stava piangendo, sembrava quasi che non riuscisse a respirare... o questa era l'impressione del ragazzo, per quello che percepiva e vedeva al buio.
    Calmati esclamò allarmato, cercando di prenderla in braccio per depositarla su una cassa al centro della stanza, dopo averla spolverata un po'. Si erano lasciati, lui l'aveva tradita e glielo aveva detto nel peggiore dei modi, tuttavia non voleva dire che della ragazzina non gliene fregasse più niente, infatti in quel momento si dimenticò di tutto quanto pur di aiutarla.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    Era sicura che nessuno sarebbe mai andato a cercarla lì, non era pronta a sentire la voce di qualcuno raggiungerla ed era comunque abbastanza provata e stravolta da non riuscire a cogliere le parole di Cameron prima che si avvicinasse a lei.
    La presa era salda, le mani famigliari, e riuscì a riconoscere il profumo e la voce prima ancora che riuscire a calmarsi. Cameron non poteva saperlo – o forse sì?- di quanto fosse lui stesso la causa di tutto quello, non poteva immaginare quanto quel contatto fosse quello che desiderava di più al mondo e, assieme, l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Non era lucida, non era abbastanza presente da avere controllo sui propri pensieri, e non appena le sue mani la toccarono non potè fare a meno di pensare a quelle stessi mani su un’altra persona. “E’ stato bellissimo… mi è piaciuto…lei mi capisce…sa cosa vuole dire…”. Un conato di vomito la travolse, come succedeva ogni volta che quelle parole le ritornavano in mente, il che succedeva fin troppo spesso. Aveva sperato di rivederlo, voleva fargli sapere quanto gli mancasse ma ora che era lì era come se il suo tocco fosse diventato fuoco e la stesse ardendo viva, dando solo più ossigeno alle fiamme che la stavano già divorando.
    Provò a dimenarsi, seppur fosse in una posizione di svantaggio, seppur una parte di lei non volesse davvero tornare sola, circondata solo dal freddo, e forse quella parte era abbastanza masochista da accettarlo lo stesso, nonostante tutto. Scosse la testa comunque, cercando di prendere abbastanza aria da riuscire a formulare una frase tra i singhiozzi, o anche solo una parola, qualsiasi cosa sarebbe andata bene. “Vattene” esalò alla fine, cercando di mettere distanza tra loro due per quanto il fatto che stesse tremando e la posizione nella quale si trovava non le concedessero troppe vie di fuga.
    Si ritrovò a prendere qualche respiro più profondo, o almeno a provarci, per riuscire a racimolare il controllo necessario ad affermare un flebile. “Sto bene” e cercare di finire tutto quello il prima possibile. Sapeva anche lei che non aveva alcun senso, fino a qualche minuto prima Cameron era tutto ciò che avrebbe voluto, si era chiesta più volte se davvero fosse da stupida tornare da lui e cercare di fare finta di niente, di cominciare da zero, e anche se ancora c’erano alcune cose che facevano troppo male per riprovarci davvero, comunque ci aveva pensato. Era arrivata alla conclusione che il tradimento in sé era solo l’ultimo dei suoi problemi: non era sicura di cosa avrebbe fatto se le cose fossero andate diversamente, ma quel dettaglio le risultava quasi facile da accettare, quasi scontato. Sapeva di non aver soddisfatto Cameron, sotto certi aspetti, per parecchio, e forse non era nemmeno così tanto gelosa da pretendere che le fosse fedele sempre, per sempre. Poteva accettare che andasse a letto con Elizabeth? Forse, non era quello il problema. Quello che l’aveva distrutta era il resto: il fatto che Cameron lo avesse reputato bellissimo, un momento così intimo che non stava condividendo con lei, il fatto che gli fosse piaciuto abbastanza da non sentirsi nemmeno in colpa, come se fosse normale dover cercare quel piacere altrove perché con lei non lo avrebbe mai trovato. E poi…La Norvegia. Quando l’aveva portata ad Oslo si era sentita speciale, ricordava quel momento con estrema chiarezza, non solo per come erano finite le cose, ma anche per il peso delle confessioni che le aveva fatto, le era sembrato di aver raggiunto un altro livello del loro rapporto. Si era convinta che Cameron non fosse solito portare tutte le sue ragazze dove era cresciuto, le era sembrato qualcosa di speciale, intimo e unico, e per un po’ si era sentita meritevole di quel rapporto, sicura che ci fosse davvero qualcosa di importante nel loro legame. Sapere che aveva portato anche Elizabeth nello stesso posto, che l’aveva baciata, probabilmente come aveva fatto con lei, e che aveva condiviso tutta la sua storia come se niente fosse. E ora quel momento non era più loro, non era più così speciale e importante e sembrava solo frutto delle sue illusioni e della sua stupidità.
    Si era inventata tutto, forse, aveva visto un rapporto profondo e intimo dove non c’era, non sapeva nemmeno come avesse fatto ad illudersi fino a quel punto.
    E ora cosa ci faceva lì? Perché stava cercando di…aiutarla? Aveva senso?
    “Sto bene.” riprovò poco dopo, con più convinzione, agognando ora di tornare di nuovo da sola. Forse stava impazzendo.


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    Cameron aveva ferito Mia e questo era evidente a tutti, forse persino a lui. La differenza era che Cam non fosse realmente consapevole di quanto in fondo avesse piantato il pugnale, nel cuore della biondina. Quel suo stato alterato non aveva idea che dipendesse da lui, però ciò non diminuiva la sua preoccupazione per la ragazza che forse aveva amato davvero e che forse amava tutt'ora. E allora, se la amava come sosteneva, perché aveva fatto sesso con la propria migliore amica, l'aveva portata con sé in Norvegia -sebbene non fosse stato preventivato- e l'aveva baciata? Il dioptasio aveva un vortice di idee e pensieri nella testa che difficilmente riusciva a mettere a tacere, ma ci provò quando venne il momento di aiutare Mia.
    La Freeman, tuttavia, non sembrava volersi far aiutare, perché quando tentò di sollevarsi, iniziò a dimenare il corpo rendendogli difficile quella manovra ma Cameron, per quanto paresse molto magro e non troppo muscoloso, aveva abbastanza forza da resistere alla debole furia avversaria e persistere nel suo intento, per farla sedere in un posto più accogliente che un gelido pavimento, per quanto di accogliente lì non ci fosse poi così tanto.
    Smettila di fare la bambina! La rimproverò al suo continuo dimenarsi e cercare di scacciarlo. Se non fosse stata lei, avrebbe già dichiarato la resa, ma con la bionda provava una specie di contorto affetto, tanto che alla fine le bloccò le braccia per poterla sollevare e posarla dove lui decideva, ovvero sulla cassa al centro della stanza.
    Cameron proruppe in una risata falsamente divertita, scuotendo la testa ed osservando la ragazza con uno sguardo misto tra pietà e compassione. A me non sembra che tu stia bene, te ne stai qua rannicchiata come una stupida. Per cosa, poi? Hai preso un brutto voto? Il tuo amichetto Barnes ti ha dato buca per andarsi a scopare quella puttanella di Lilith? Sbuffò con malcelata rabbia, sebbene non ne avesse nessun motivo, anzi era la ragazzina quella che doveva essere arrabbiata. Quindi adesso ti alzi e lasci che io ti aiuti protestò, tirandola per il polso senza la grazia di prima, quasi fosse scattato qualcosa di strano in lui. La verità era che Cameron non era mai stato un ragazzo equilibrato mentalmente, era un attimo che passasse dall'essere il ragazzo migliore del mondo, ad eccessi di rabbia o, ancora, attacchi di panico. Era normale, per lui, e Mia lo sapeva benissimo. Come sapeva che nonostante i suoi modi bruschi ed aggressivi, non avrebbe mai alzato veramente un dito su di lei, non l'avrebbe mai picchiata né violata in alcun modo. Il problema era semplicemente che non riusciva a dare un nome ai propri sentimenti, figuriamoci esprimerli.
    Quindi, se finalmente fosse riuscito nel proprio intento, si sarebbe chinato per guardarla dritta in quegli occhioni color oceano, sbuffando. Continui a ripetere di stare bene ma non mi sembra la ammonì, agitandole la bacchetta sotto il naso, quasi fosse una mamma che regalava una ramanzina alla figlia sregolata. A me non interessa quello che fai, ma se ti ritrovo qui a piangere a terra... boh mi preoccupo, suppongo aggiunse, incerto delle sue stesse parole.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    Non avrebbe saputo dire che cosa facesse più male, se sentirsi dare della bambina e della stupida nel mezzo di una crisi di pianto, se gli insulti fatti ai suoi amici o il tono che stava usando con lei, che non sembrava affatto gentile o accomodante o pronto ad aiutarla, quanto piuttosto un tono troppo incisivo per risultare piacevole. Non era gentile, non era dolce, stava provando ad aiutarla ma non era sicura che anche solo qualche mese prima lo avrebbe fatto in quel modo. Lo sapeva anche lei che starsene rannicchiata in quel buco di posto non era sinonimo di buon umore, ancora meno se lo faceva piangendo, ma sentirsi insultare in quel modo di certo non migliorava le cose. Si chiese distrattamente se se ne rendesse conto, se lo stesse facendo apposta o se semplicemente avesse aspettato l’istante giusto in cui le cose tra loro sarebbero finite per smettere di fingere. Perché quel Cameron non sembrava per niente lo stesso che l’aveva portata a Oslo o che l’aveva trattata con cura e attenzione ogni volta che ne aveva avuto bisogno.
    Non sapeva nemmeno cosa dire, per la prima volta sentì l’impulso di picchiarlo di nuovo, più forte, e non i sensi di colpa che quell’unico, misero schiaffo, le avevano provocato fin dal primo istante. In realtà sapeva che Cameron era anche quello, che il suo modo di fare non era sempre delicato e accomodante, che alle volte sapeva essere rude e deciso anche con lei, ma se fino a quel momento lo aveva sempre assecondato e giustificato, ora non sembrava così semplice.
    Riuscì a smettere di singhiozzare però, o almeno si obbligò a farlo perché non tollerava la possibilità di apparire così fragile e, come aveva detto anche lui, stupida ai suoi occhi, quello poteva ancora risparmiarselo. Non riuscì a parlare, non subito almeno, ma si scrollò di dosso il suo polso e gli gettò i suoi occhi blu, feriti, addosso, guardandolo dal basso trasmettendo con quello sguardo molto più che con mille parole: le aveva fatto male, anche se non fisicamente mentalmente, e lei non se lo meritava. Poteva essere stupida, cieca e innamorata ma sapeva di non meritarsi tutto quello, non quando lei era sempre stata lì per le sue crisi, pronta a farsi in quattro per aiutarlo.
    Stava provando a consolarla ma tutto quello che riuscì a fare fu provocarle nuove fitte allo stomaco, nuova voglia di vomitare e un pulsante mal di testa, causato probabilmente dai troppi pensieri. Era sua madre a dirle che il mal di testa veniva sempre a chi pensava troppo? Forse era stato Charles, in quella che sembrava una vita precedente, o chissà chi altri, ma sospettava potesse avere senso, a lei sembrava proprio che i suoi pensieri stessero facendo di tutto per uscire dalla sua testa e riversarsi nel mondo esterno. Ma perché lasciarglielo fare? Cameron lo aveva appena detto ad alta voce, rendendo ogni suo gesto ancora più chiaro e trasparente: a lui non importava di quel che faceva, figurarsi di quel che pensava.
    Cercò di schiarirsi la voce e mettere assieme i cocci della sua dignità, sforzandosi di darsi un contegno e provare a risultare più convincente, questa volta. “So badare a me stessa, grazie per il pensiero. Non serve che ti preoccupi.” provò a tagliare conto, distogliendo lo sguardo perché non riusciva proprio a respirare normalmente mentre incrociava i suoi occhi, e non riuscì ad aggiungere altro. Si scoprì incapace di aggiungere altro, come se non avesse niente da dire, anche perché che cosa avrebbe potuto obiettare? Qualsiasi convinzione sulla loro relazione sembrava sempre più inconsistente: Cameron non era interessato a quel che lei faceva, non era lì per consolarla, l’aveva vista lì e si era preoccupato supponeva… di certo non sembrava uno che stava soffrendo granchè, il che era l’ennesima conferma che tra i due solo Mia avesse reputato importante quel che avevano condiviso.
    Era stato così facile liberarsi di lei? Perché lui sembrava stare bene mentre lei non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia? Serrò la mascella e i pugni, facendosi sbiancare le nocche e prendendo un profondo respiro, seppur irregolare, provando a mascherare tutto quello che stava provando in quel momento, soffocante e totalizzante abbastanza da farla piombare in una crisi che stava solo soffocando ma non certo superando. Era sicura che quella conversazione l’avrebbe perseguitata per un bel po’ e forse anche per quello stava cercando di tagliare corto, per avere meno cose da rivivere una volta ritornata sola.


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    Mia era stata la cosa più bella che Cameron avesse mai avuto in tutta la sua vita, ma lui l'aveva distrutta.
    Era quella la continua giustificazione che si costruiva per sfuggire a qualsiasi sentimento che non fosse la rabbia: lui l'aveva avvertita che sarebbe andata a finire così, le aveva detto che distruggeva qualsiasi cosa toccasse. Lei non gli aveva creduto, gli aveva voluto dare una possibilità ed era finita in quel modo... ma Cameron non c'entrava! Non aveva chiesto lui di trovarsi Elisabeth davanti, la ragazza lo aveva trascinato sotto la doccia, fregandosene del fatto che fosse fidanzato. Ovviamente non era andata proprio così, ma il cervello di Cameron proprio non riusciva a processare tutta quella mole di informazioni, né il fatto che lui avesse rovinato tutto. Il suo cervello era fermo alla rabbia che provava per se stesso, di conseguenza proiettandola verso gli altri.
    Il modo in cui lei lo guardò dopo aver smesso di piangere, gli comunicò qualcosa che non seppe bene interpretare, ma gli sembrò quasi di sentire il proprio cuore che si incrinata, come se al posto di uno sguardo, gli avesse tirato addosso mille coltelli. Si passò una mano sul viso non per necessità ma per far sì che i due sguardi si distaccassero l'uno dall'altro, sperando che quella sensazione sparisse. Ovviamente non andò così e Cameron sentiva ancora gli occhi di Mia sulla pelle, incisivi come delle spade.
    Cameron rise. Rise di gusto e scosse la testa, rinunciando all'idea di aiutarla ad alzarsi, andando lui stesso a sedersi su quella cassa, incrociando le gambe e guardandola dall'alto, trovandola patetica ma anche... no, non avrebbe saputo definire nessun'altra situazione, fatto era che non realizzava fosse tutta colpa sua.
    Sai badare a te stessa commentò con ironia, incrociando anche le braccia al petto e puntando i suoi occhi nocciola, sui suoi capelli biondi. Se sai badare a te stessa, perché sei qui a piangerti addosso come fossi all'asilo? Alzati. Esci. Divertiti e scopa. Sei un'adolescente o una vecchia frignona? Le domandò, ferendosi da solo con quelle parole. Non sapeva perché le avesse dette! Se avesse notato Mia anche solo a guardare un altro, avrebbe raso al suolo quella merda di Accademia assieme ai suoi abitanti. La biondina era di sua proprietà e basta, nessuno poteva sfiorarla, guardarla, avvicinarsi o anche solo pensare a lei.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    [QUOTE=Mia Freeman,7/12/2021, 13:49 ?t=78841952&st=0#entry654374830]
    Mia Freeman
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    Era la prima a sapere bene che le parole spesso non erano necessarie, bastava un gesto a rendere tutto palese e, in quel caso, la risata e l’occhiata che Cameron le riservò la fecero sentire infima, piccola e inutile. Compassione? Imbarazzo? Forse addirittura patetismo... doveva vederla in mille modi, tutti terribili, se la guardava così e le rideva in faccia quando lei si sentiva morire dentro, le sembrava di soffocare e stava solo cercando un po’ per riprendersi e sentirsi meglio. Incrociò le braccia al petto, cercando di tenersi insieme e sforzandosi di ingoiare il rospo, distogliendo ,lo sguardo da lui mentre sentiva tutto dentro di lei raggelarsi.
    Non si sarebbe mai definita una persona forte, eppure non era nemmeno così sciocca da mostrare le sue debolezze a chiunque: sapeva fingere, forse non come Cameron ma sapeva farlo per la propria sopravvivenza, e se fino a quel momento non aveva mai sentito la necessità di farlo con lui, cominciò ad irrigidirsi, fosse anche solo per proteggersi.
    Si bloccò alle sue parole e rimase a fissarlo immobile, incredula, perché non aveva alcun senso quel che le aveva appena detto. Non era stato carino o delicato fino a quel momento, che Cameron parlasse senza pensare alle conseguenze delle sue parole e senza darsi freni non era una novità, ma spingersi fino a quel punto era troppo anche per lui. Conosceva il suo passato, l’aveva aiutata ad uscire dalla “storia” con Mark, aveva visto i suoi sforzi e le sue difficoltà… non poteva aver appena detto una cosa simile. Sentì gli occhi pizzicare di nuovo, nuove lacrime pronte a rigarle le guance, questa volta però accompagnata da una rabbia viscerale, bollente, che le bruciò la gola mentre la risaliva, inarrestabile. “Mi dispiace.” disse alla fine, con molta più sicurezza di quanta se ne sentisse addosso. “Mi dispiace perché io ci ho creduto davvero. Perché pensavo che avessi capito. E invece Cam non hai capito un cazzo.” continuò poco dopo, le orecchie che cominciavano a fischiare e le guance che si facevano rosse mentre cercava di scendere da dove l’aveva fatta sedere e mettere più distanza tra di loro. “Preferisco essere una vecchia frignona che illudere le persone e pugnalarle alle spalle, sai? Tu puoi continuare ad andare in giro, fare il giovane e scoparti chi vuoi, nessuno te lo impedirà.” aggiunse poco dopo e si sentì inarrestabile per una volta, fu costretta a mordersi la lingua per impedire ad un mare di insulti e di parole di travolgere entrambi. Si sentiva incontrollabile, le sembrava di essere fragile e assieme abbastanza forte da distruggere chiunque e ferire anche lui, anche se sapeva bene che non poteva succedere.
    Perché in tutto quello era sempre più palese che fosse lei quella che ci stava male, lui propinava consigli alla leggera anche sapendo quando per lei fosse difficile concedere certe parti di sé, o quanto tempo avesse impiegato anche solo a lasciarsi toccare. Quanto doveva aver finto se ora era ancora così tranquillo, così padrone di sé, come se non fosse davanti a quella che era stata la sua ragazza per così tanto tempo?



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    Cameron stava tirando troppo la corda anche per una come Mia. Sapeva che la sua ex? fosse buona, lasciasse passare tante cose, si lasciasse scivolare il più delle volte tutto addosso, ma quella volta sembrava diverso. Vide una determinazione mista a rabbia nei suoi occhioni blu e, segretamente, ne fu ammirato, ma non riuscì a far cadere la sua corazza da cattivo. Era come se fosse intrappolato in un involucro che gli impedisse di mostrare i suoi veri sentimenti, una camicia di forza di emozioni. Ma la cosa peggiore, era che lui vi si fosse adagiato con troppa facilità senza mai veramente lottare per qualcosa a cui teneva, né tantomeno per qualcuno.
    Forse era la consapevolezza di voler far sì che lei gli rimanesse lontano, non la voleva distruggere ulteriormente se mai fossero tornati insieme, quindi dentro di sé forse voleva evitare che accadesse, tenendola quindi lontana e trattandola di merda. Si aggrappò saldamente a quella convinzione, mentre l'altra iniziava a parlare, forse rigettandogli addosso tutta la sua rabbia.
    Parola dopo parola, la ragazza gli gettò addosso i suoi pensieri taglienti come lame di rasoio. Cameron rimase immobile davanti alla sua implacabilità, limitandosi a stringere le mani in pugni così forte che le nocche sbiancarono e le sue unghie, per quanto corte, si piantarono sul palmo della sua mano, ma non vi diede nessun genere di peso, rimanendo in piedi di fronte a lei ed aspettando smettesse di parlare.
    Lei ci aveva creduto davvero.
    Mia era stata l'unica ragazza al mondo a dargli fiducia.
    Mia lo aveva tirato fuori da quel Protego mentale che aveva eretto per non far avvicinare nessuno.
    Mia lo aveva salvato. Lo aveva salvato e lui come la stava ricambiando? Tradendola e trattandola di merda?
    Per un secondo, nacque in lui una rabbia cieca nei confronti di Liz, per quanto fosse ben consapevole che la ragazza non avesse nessuna colpa. Lei e Mia non erano nemmeno amiche, Liz non poteva essere imputata del tradimento, era single e poteva fare ciò che voleva. La colpa era solo ed esclusivamente di Cameron. Fece un respiro profondo.
    Sai cosa ti dico, Mia? Iniziò, quando il silenzio era tornato ad avvolgere lo sgabuzzino. Hai ragione. Sei l'unica ad averci sempre creduto. Questa relazione non doveva nemmeno iniziare, è stato un errore. Ti avevo avvisata, cazzo. Ti avevo detto che distruggevo tutto ciò che toccavo. E adesso? Adesso ne stai pagando le conseguenze! Ma a questo punto non me ne frega più un cazzo, veditela da sola. Anche gli occhi di Cameron pizzicavano, infatti dovette imboccare la porta ed allontanarsi prima di perdere la sua maschera da duro dopo tutto ciò che aveva detto.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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