Just two ghosts standing in the place of you and me

Mia&Cameron

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    Mia Freeman
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    L’inizio della scuola aveva portato parecchie novità, anche lì dove non se le aspettava. Si aspettava le sue insicurezze, i suoi dubbi circa il percorso che aveva scelto, la paura che qualcosa potesse andare storto, di aver commesso un errore nella sua decisione, ma non pensava che tra tutte le cose di cui avrebbe potuto dubitare una di queste sarebbe stata la sua relazione con Cam. Dopo due anni e più di conoscenza era sicura di aver capito dove sarebbe andato a parare il loro rapporto, era certa di sapere cosa aspettarsi e che cosa sarebbe accaduto, mentre le prime settimane erano trascorse e lei si trovava più confusa che mai.
    Era per questo che, nonostante non mancasse molto all’ora di cena, Mia non si stava rilassando un po’ prima di raggiungere la Sala Grande ma, piuttosto, si era infilata una tuta, aveva pettinato rapidamente i capelli dopo una stancante lezione di Divinazione si stava dirigendo verso il quarto piano, nella zona della Sala Comune Dioptase, con lo sguardo cupo e la schiena leggermente piegata, piuttosto provata ma non solo dallo studio.
    Mia non voleva essere quella pressante, la classica fidanzatina rompi scatole che cominciava ad essere soffocante non appena qualcosa non andava, così gli aveva lasciato del tempo, si era ripetuta che lasciargli i suoi spazi forse avrebbe risolto le cose. Dopotutto non era certo famosa per cercare i conflitti, anzi era più tipo che provava sempre ad evitarli, anche a costo di stare peggio nel mentre. Infondo sapeva quanto poco la scuola piacesse a Cam ed era diventata brava a darsi risposte da sola, giustificandolo anche quando non avrebbe dovuto.
    La sua pazienza l'aveva portata a resistere per parecchio, rimandando sempre di più il confronto, ma era arrivata ad un punto in cui non riusciva più a negare che ci fosse un problema e le sembrava ormai evidente che il silenzio non servisse poi a molto.
    Aveva provato a capire, a buttare lì frasi come "sai che se hai bisogno io ci sono" o "se vuoi parlare sono qui" ma era arrivata ad un punto in cui le sembrava inevitabile un confronto diretto e lei sembrava l'unica interessata ad averlo.
    Forse era quello che, dopotutto, le faceva più male: nonostante fosse evidente che qualcosa non andava, cominciava a sentirsi quella pazza dal momento che Cam non stava facendo niente per risolvere il problema. Si era addirittura chiesta se quello non fosse solo ciò che erano destinati a diventare, dopo una prima fase di entusiasmo e attaccamento, e aveva paura della risposta. Non le piaceva una relazione di quel tipo, aveva impiegato parecchio ad ammetterlo con sé stessa ma aveva capito di non riuscire ad accettare l'idea che ora le cose tra loro sarebbero sempre state così, fredde e distaccate.
    Alle volte si chiedeva se si fosse sognata quel che avevano vissuto, se non fosse tutta colpa sua che si era fatta castelli in aria destinati a crollare, prima o poi. Forse aveva sbagliato qualcosa, perché dopotutto erano due, nella coppia, e la colpa non poteva essere solo di Cam.
    Così alla fine, dopo mille ripensamenti, era arrivata alla conclusione che l'unico modo era parlarne. Immaginava che scrivere a Cameron non avrebbe funzionato, così la sua soluzione fu quella di presentarsi direttamente fuori dalla sua Casata, quando sapeva che avrebbe finito le lezioni e sarebbe dovuto rientrare, prima o poi. Okay, non era il piano meglio pensato della storia, non conoscendo i suoi impegni avrebbe anche potuto essere costretta ad aspettare ore li fuori, ma era difficile distoglierla quando si fissava con qualcosa, ed era arrivata al punto in cui voleva trovare una soluzione.

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    Cameron Cohen
     
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    Cameron Cohen
    Lezioni? No, quel giorno aveva deciso che non ci sarebbe andato, preferendo passare tutto il tempo a strappare fili d'erba in riva del fiumiciattolo presente nella Riserva delle Creature Magiche, pensieroso. Quel giorno stesso, erano un anno e cinque mesi che Mia e Cameron stavano insieme e le cose non potevano andare peggio. L'aveva tradita con Elisabeth, la sua migliore amica ed ora si sentiva... vuoto. Non aveva più nessuno con cui parlare, non aveva amici, evitava la sua ragazza ed evitava Liz -anche se qui la cosa era reciproca- quindi il silenzio nella sua vita si era fatto assordante, priva di quei piccoli momenti che aveva condiviso con Mia, di quelle battute sagaci divise con Elisabeth, dei dolcetti della sua biondina... niente, non aveva più niente. La cosa peggiore era che aveva risucchiato Mia in quella situazione, l'aveva travolta con la sua decisione e lei nemmeno sapeva perchè. Appoggiò la testa alle ginocchia unite al petto, soffiando sulle proprie mani per trovare un po' di calore, visto che le sentiva gelide. Non aveva mai pensato di dire a Mia cos'era successo prima ad Oslo e poi in quel maledetto spogliatoio, troppo vuoto e troppo silenzioso, che aveva portato al consumarsi di un tradimento imperdonabile. Si era macchiato di una delle cose peggiori che un ragazzo potesse fare all'interno della coppia, eppure non era certo che se ne stesse pentendo. Forse lo avrebbe rifatto. Scosse la testa, facendo ballare il ciuffo disordinato che gli ricadeva sull'occhio destro; era da un po' che non tagliava i capelli ed ora stavano crescendo impertinenti, causandogli diversi fastidi quando i sottili fili andavano a disturbarlo durante lo studio -quando studiava, insomma. Non lo faceva più tanto spesso, da quando con Mia non ci passava più quasi tutto il tempo. Lei era uno dei principali motivi per i quali si impegnava ma ora che rischiava di sgretolarsi tutto, non ne trovava più la voglia. Guardò l'ora sul suo magifonino, pensieroso. La lezione di Alchimia doveva essere finita da poco -era l'ultima lezione prima di pranzo- quindi era il momento di tornare in Sala Comune, dove sarebbe stato al sicuro da Mia, dalle sue domande e dai suoi occhioni azzurri.
    Si incamminò, quindi, spensierato e senza aspettarsi ciò che sarebbe successo di lì a poco. Ashura, consapevole forse dello stato d'animo del proprio padrone, non gli si staccava di dosso, così come non faceva Axe, il suo furetto, che ormai fungeva da sciarpa per il dioptasio. Senza nemmeno accorgersene, i tre arrivarono in vista dell'ingresso della Sala Comune ma... in lontananza Cam vide una chioma bionda che avrebbe riconosciuto tra mille: Mia Freeman. Stava per fare dietrofront visto che ancora non sembrava essersi accorta di lui ma purtroppo il castano non era stato l'unico ad adocchiare Mia; l'aveva vista anche Ashura che, non capendo la fonte di disagio del padrone, pur sapendo che ci fosse, corse in contro alla ragazza, anche perché sapeva essere la proprietaria della sua amica Athena e voleva giocarci, quindi con dei kue piuttosto udibili, iniziò a zampettarle attorno. Mia certamente sapeva che il chocobo non girava mai da solo, quindi per forza di cose doveva esserci anche Cohen, ora non poteva più evitarla. Deglutì, sentendosi la gola riarsa.
    A passi incerti, si avvicinò alla ragazza accennando un sorriso. Ehi... ciao Mia la salutò, chinandosi per darle un leggerissimo bacio sulla guancia, sentendosi lo stomaco bloccato in una morsa mortale che quasi gli impediva di respirare. Hai bisogno di qualcosa? Sono stanco dopo la lezione e volevo riposare... provò cercando di convincere soprattutto se stesso.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    SI era illusa di aver costruito la relazione con Cameron su una base di solida fiducia e sincerità reciproca. Era tutto cominciato in un momento in cui Mia si sentiva fragile e vulnerabile, non si era tirata indietro dal rivelare all’altro la sua parte di sé più debole, ed era sicura che anche il Dioptase avesse fatto lo stesso. Le aveva raccontato della sorella, l’aveva portata con sé ad Oslo, le aveva mostrato la sua terra e i suoi demoni ed era sicura che da lì fosse tutto in discesa. Doveva esserlo no? Avevano cominciato in modo così complicato che si era illusa le cose sarebbero state sempre più semplici, sempre più naturali e facili, ma non sembrava più essere così.
    Parlava in quel modo ma la verità era che quella che le sembrava una vita intera era “solo” un anno e cinque mesi, non avrebbe dovuto adagiarsi tanto sugli allori né dare così tante cose per scontate. Perché infondo se lo ripeteva sempre, non c’era un modo per conoscere le persone fino in fondo e lei conosceva Cameron ma mai bene quanto avrebbe dovuto o voluto. C’erano parti del ragazzo che non avrebbe mai visto, la cosa valeva per entrambi, ma in quel momento le sembrava evidente che quelli parti pesassero molto più del solito.
    Si era rimproverata abbastanza, in ogni caso, ed era stanca di starsene chiusa nei suoi pensieri a cercare risposte che non avrebbe potuto mai darsi da sola. Aveva anche ignorato che giorno fosse, o meglio lo sapeva molto bene, ma preferiva fare finta di niente, anche se quella data nello specifico le aveva dato la spinta necessaria a buttarsi e provare davvero a risolvere la situazione.
    Un approccio diretto era all’ultima posizione della lista dei suoi approcci preferiti: per una che preferiva sempre aggirare i conflitti, detestava nel profondo l’idea di metterlo spalle al muro e costringerlo a parlare ma era rimasta a secco di alternative e non aveva più idea di che cosa inventarsi. Che poi, aveva davvero senso inventarsi qualcosa, arrivati a quel punto? Perché le sembrava di essere l’unica tra i due a sforzarsi per cercare una soluzione, cominciava a sentirsi stanca e non aveva più intenzione di lasciare correre.
    Gli aveva lasciato il suo tempo, la possibilità di riprendersi e di parlarle per primo, gli aveva dato milioni di opportunità per fare le cose a suo modo, ma visto che Cameron sembrava intenzionato a non fare niente si ritrovava obbligata a prendere in mano la situazione.
    Non lo vide subito nel corridoio, quando fece la sua comparsa, ma Ashura la raggiunse all’improvviso, scatenandole un leggero sorriso mentre gli accarezzava piano la testa e scuoteva la propria. “Mi spiace, Athena non è con me oggi, Ash…” provò a spiegargli a bassa voce, lasciando che lui le zampettasse intorno mentre gli regalava qualche coccola extra. Avrebbe voluto annullarsi, pensare solo al Chochobo e non anche al padrone, ma appena la voce di Cameron la raggiunse non potè evitare di alzare la testa, sentendo la gola chiudersi quando le labbra di lui le sfiorarono la guancia. Una volta avrebbe sorriso, entusiasta, ora invece le sembrava un gesto così vuoto da fare quasi male. Sospirò piano, cercando di non cedere di fronte alla sua ammissione, di non perdere l’ennesima occasione.
    “Lo immaginavo, ma ho bisogno.” replicò alla fine, mettendo assieme più convinzione possibile, cercando comunque di non apparire troppo aggressiva o rabbiosa, quando non lo era. “Vorrei parlarti. Possiamo farle anche in un posto più tranquillo, non siamo obbligati a stare qui.” propose, lasciandogli comunque la possibilità di rivedere la sua risposta e magari decidere di provarci davvero, almeno questa volta.

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    Cameron Cohen

    Cameron un po' capiva Mia, sapeva di essersi comportato -e di continuare a farlo- come uno stronzo, di star evitandola da settimane, da quando era accaduto ciò che era accaduto con Elisabeth. Sapeva che prima o poi lei si sarebbe decisa a parlargli, aveva giocato anche troppo sul fatto che avrebbe deciso di lasciargli spazio... ed ora quel tempo era abbondantemente finito. E lo capì subito, vedendola ad aspettarlo. Avrebbe veramente voluto evitarla ancora per un po' e cambiare strada, ma fu Ashura a decidere per lui -non aveva colpe, non sapeva dei problemi che stavano passando- ma forse era stata una buona cosa che fosse andata così, non potevano continuare a non vedersi e lui non poteva rimandare di continuo il confronto sperando che la situazione si risolvesse da sola. Di solito Cameron era un ragazzo tremendamente diretto, ma con Mia era tutto troppo diverso. Sospirò e fu costretto ad approcciarla.
    Ashura parve deluso alla notizia che Athena non fosse con lei, tuttavia non ebbe troppo tempo per pronunciare i suoi kuee contrariati, poiché Cam era apparso ed aveva deciso di prendersi per sé tutte le attenzioni della padroncina della sua amica fatina.
    Quando Mia parlò, Cameron capì che era esattamente ciò che temeva, infatti quella frase gli fece rizzare i peli delle braccia, ma non poteva seguitare a tergiversare.
    Non ti preoccupare, va bene qui replicò, posandosi contro il muro e sperando di sbrigarsela in fretta. Via il dente via il dolore, no? Così ripeteva sempre la matrigna babbana e lui aveva finito per crederci, per quanto avesse continuato a perdere tempo fino a quel momento.
    Arriva al dunque, ho molto da studiare in questo periodo. Sai, i GEMMA e tutto il resto! Era sicuramente una blanda scusa, dal momento che non è che Cameron fosse il ragazzo più studioso dell'universo, quindi quello non era certamente un motivo per evitare la sua fidanzata. Nè per trattarla con questa freddezza.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    Mia si sarebbe definita, senza troppa titubanza, una persona paziente. Non significava che non si arrabbiasse mai, ma era abituata a mandare giù anche i rospi più amari, si sforzava sempre di sopportare, di passare oltre, e finiva spesso per stare in silenzio e fare i conti da sola con la rabbia e i suoi demoni. Aveva cercato di essere paziente e comprensiva anche e soprattutto con Cameron, mettendo da parte ogni domanda, inventando scuse su scuse per giustificare i suoi comportamenti anche quando c’era ben poco da giustificare.
    Non voleva attaccarlo, la sua indole pacifica stava ancora provando a prendere il sopravvento e ricordarle che lei, nei conflitti, faceva proprio pena. Non è che non avesse mai litigato con nessuno, ma quando si trovava nel mezzo di una discussione riusciva solo a innervosirsi, perdere le staffe, cominciare a piangere e non riuscire più a mettere in ordine i pensieri come avrebbe voluto.
    Anche in quel momento il suo piano non era quello di discutere, si era illusa che mettendolo spalle al muro l’altro avrebbe ceduto e avrebbe cominciato a parlare, come se non conoscesse abbastanza bene Cameron da sapere che non sarebbe mai stato così facile. Forse sperava che l’amore che provava per lei –si trattava di quello vero? Era innamorato no?- lo avrebbe spronato a sforzarsi un po’ di più, che avrebbe provato a fare uno sforzo per venirle incontro, ma quando vide la sua reazione sentì lo stomaco sprofondarle nel petto e tutte le sue certezze crollare.
    Negli ultimi mesi aveva cominciato a pensare che le cose stessero andando sempre meglio: aveva sempre avuto paura delle relazioni, soprattutto quelle più durature, perché temeva il momento in cui tutto sarebbe diventato più ordinario, meno “nuovo”, o quando non avrebbe avuto più niente da raccontare o da dire. Quello con Cam non era ancora successo, si sentiva ancora come nei primissimi tempi, quando le sembrava tutto un sogno, e non aveva idea di quando le cose avessero cominciato a precipitare in modo così vertiginoso.
    Si sforzò di cacciare indietro le lacrime e la rabbia, di fronte al suo tono, alla sua posa, al modo in cui la stava trattando. Aveva impiegato ad accettare l’idea, ma aveva capito di meritare rispetto e soprattutto risposte, e anche se per un attimo pensò di desistere e lasciar perdere, alla fine concluse che ormai era lì e tanto valeva andare avanti per la sua strada.
    Sospirò profondamente, armandosi di pazienza, e cercò di sostenere il suo sguardo. “Non voglio rubarti troppo tempo, ma penso che anche tu ti sia accorto che le cose ultimamente non stanno funzionando. Hai cominciato ad evitarmi, non mi parli più… ho cercato di lasciarti il tuo spazio, ma non mi dai scelta Cameron. Che cosa sta succedendo?” buttò fuori alla fine, cercando di non girarci troppo intorno, anche perché all’improvviso tutto ciò che voleva era avere le sue risposte e andare avanti, sperava in senso positivo.


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    Era arrivato il momento e Cameron lo sapeva. Non avrebbe avuto più alcun senso proseguire per la sua strada ed ignorarla. Per Mia provava qualcosa quanto più vicino all'amore possibile, anche se non sapeva esattamente definire cosa fosse, per la precisione. Ma l'aveva avvertita. Aveva avvertito chiunque che standogli vicino, sarebbe rimasto distrutto. Lo sapeva lei, lo sapeva Elisabeth... poi non che avesse molti altri amici, però quei pochi erano stati avvisati ed ora stava accadendo proprio ciò da cui lui le aveva sempre messe in guardia. Sbuffò come se fosse lui quello scocciato, come se fosse solo una povera vittima di un enorme complotto... ed in effetti si sentiva proprio così; lui non aveva tutte le colpe! Era colpa di Elisabeth perché lo aveva tentato, era colpa di Mia perché non era riuscita a tenerselo stretto. Era colpa del mondo per ciò che gli succedeva. Questo era ciò che Cameron pensava, osservando lo sguardo bellissimo ma serissimo della sua ragazza. Si passò una mano sul volto tentando in qualche modo di cancellare la stanchezza che sentiva addosso e, al contempo, cercando di trovare le parole.
    Okay Mia. Ascolta. Stava prendendo tempo e nel mentre Ashura cercava di attirare la sua attenzione becchettandogli le gambe coperte dai jeans nel tentativo di ricevere qualche coccola, tuttavia Cam non aveva tempo per lui, non in quel preciso momento. Voleva mettere un punto a quella situazione e voleva farlo in quel momento, magari anche i sensi di colpa sarebbero defluiti dal suo corpo.
    Mi sono scopato Elisabeth pronunciò quelle parole come se le stesse raccontando cos'aveva mangiato a pranzo, le pronunciò senza il minimo tatto, come se non avessero potuto distruggerla, quelle parole. Ma era inutile tentare di indorare la pillola, sarebbe stata un'ulteriore presa per il culo!
    Mi sono scopato Liz negli spogliatoi ed è stato bellissimo, ok? Non ho intenzione di scusarmi per qualcosa che mi è piaciuto. Non era certo un buon inizio per giustificarsi e ferire il meno possibile qualcuno, ma Cameron non era mai stato il tipo che pensasse a piccolezze come quelle.... e di essere preso a botte da chiunque, se lo meritava. Mi dispiace averti ferita, questo sì. Però mettiti nei miei panni! Lei mi capisce... lei sa cosa vuol dire perdere qualcuno a cui tieni. Abbiamo parlato, mi ha capito e... ci siamo baciati quando l'ho portata a casa in Norvegia. Fece una pausa, sospirando quasi spazientito. E quando l'ho rivista allo stadio... beh è scoppiata la scintilla. Non la amo, è solo attrazione fisica. In fondo, quindi, non ti ho tradita no? Propose, abbassandosi ad accarezzare Ashura ed aspettare la sua risposta.
    20 y.oStudenteDioptaseII annoFrom Oslo
     
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    Aveva immaginato una serie quasi infinita di scenari, tra i più disperati, per cercare di prepararsi al momento in cui Cameron le avrebbe detto la verità, consapevole che prima o poi sarebbe successo. Aveva posticipato quel momento per un tempo che le pareva infinito, aveva cercato di tergiversare, di pensare ad altro, di darsi da sola delle risposte che non poteva avere, ma alla fine la resa dei conti era inevitabile.
    Si era data anche della stupida, nel frattempo, per tutte quelle volte in cui si era immaginata scenari apocalittici, perché –si era detta da sola- doveva trattarsi di qualche sciocchezza, o magari solo di un periodo no, magari Cameron non stava bene e non sapeva come parlargliene ma una volta incominciata una conversazione avrebbero trovato il modo di risolvere le cose. Si era illusa che loro due, una soluzione, sarebbero sempre riusciti a trovarla, e fino a quel momento quel ragionamento sembrava sensato e logico.
    Fino a quel momento.
    Ormai pensava di essere destinata ad insistere ancora per un po’, di dovergli cavare le parole di bocca se voleva una confessione, non pensava che si sarebbe arreso così, all’improvviso, buttandole addosso ogni cosa. Per quanto si fosse data della sciocca, per quanto avesse parlato a sé stessa parecchie volte negli ultimi tempi, anche con fin troppa severità, non era comunque così scema da darsi la colpa per tutto, da giustificare ogni scelta di Cameron come se non potesse vedere dell’umanità in lui o la capacità di sbagliare.
    Eppure anche se si era ripetuta mille volte che non era solo colpa sua, che in una coppia le cose si facevano in due, non era sicura di essersi comunque preparata a dovere per la doccia fredda che la travolse così, senza alcun preavviso. La sua prima reazione fu quella di sgranare gli occhi spiazzata, e in quel momento si sentì immersa in un barattolo di miele: il suo cervello rallentò senza alcuna ragione, cominciando ad elaborare sempre meno quello che lo circondava, e le parole di Cameron finirono per rimbombarle nelle orecchie, all’infinito.
    Era crudeli, taglienti, vere ma estremamente dolorose, eppure sul momento non riuscì a fare niente se non fissarlo, immobile. Non si chiese nemmeno se stesse mentendo, aveva parlato con una chiarezza così palese, così diretto e impeccabile, che nessuno avrebbe mai potuto pensare che fosse una menzogna. Doveva essergli grata per essere stato così diretto? Forse ci sarebbe riuscita anche, se solo non avesse continuando a parlare e le cose non si fossero accavallate una sull’altra, stoccate ben assestate, sempre più amare. “E’ stato bellissimo… Mi è piaciuto… Non intendo scusarmi…Mi capisce…Bacio…Casa in Norvegia…”.
    La nausea cominciò a riempirle la gola, mentre lo stomaco si chiudeva e i suoi si facevano più umidi, il respiro più corto. Si ritrovò a osservarlo negli occhi, mentre si faceva più appannato e il mondo sembrava girarle intorno ad una velocità assurda, fuori controllo. Stava davvero succedendo a lei? La sua risposta allo shock fu quella di estraniarsi completamente dal suo corpo, distaccarsi da tutto, e si accorse solo quando sentì il palmo della mano bruciare leggermente di avergli assestato uno schiaffo, proprio lei che poteva dire di non aver mai picchiato nessuno.
    Non sapeva quale fosse stata la reazione di Ashura, non riusciva a sentire niente in quel momento, se non un vuoto che cominciava a mangiarsi tutto quello che incontrava, lei compresa. Quella era la versione reale delle sue paure più grande, il momento in cui quello che aveva da offrire a Cameron non bastava e lui andava altrove. Peccato che avesse continuato a vivere nella menzogna per quanto…? Peccato che fosse stata lei a doverlo cercare. Peccato che quelle paure avesse sempre provato a scacciarle e ignorarle e minimizzarle e non si aspettasse potessero diventare vere, un giorno.
    “Fanculo Cam.” sentì la sua voce lontana, ovattata, la gola secca, le parole che uscivano senza che riuscisse ad elaborarle. “Oslo era speciale vero? Insieme a tutte quelle altre stronzate… ma grazie. Almeno me lo hai detto. Dopo che ti ho inseguito per settimane preoccupandomi per quello che poteva succederti.” continuò, mentre le lacrime rigavano le sue guance. Era sorprendente, non si aspettava di saper parlare in quel modo, pronunciare parole pregne di sarcasmo in un frangente come quello. “Sei stato bravo però. Ci stavo credendo davvero che questa volta fosse diverso.” pronunciò alla fine, per poi muoversi senza sapere come, i piedi che si spostavano rapidi per il corridoio, mentre cercava di tenere insieme gli ultimi pezzi di sé prima di crollare altrove, da sola.


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