Midnight and fifty-five

Mia&Cameron

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    Quando aveva scritto il suo biglietto, con la sua grafia ordinata e delicata, non aveva nemmeno avuto bisogno di pensarci, quelle semplici parole erano comparse quasi magicamente sul foglio, senza che avesse bisogno di alcuno sforzo. “Ti amo”.
    Si rendeva conto di quanto fosse una frase importante, forse prematura o magari più grande di lei, che certe volte si sentiva ancora una bambina, ma sentiva che era il modo migliore che aveva per riuscire a definire quel che provava per Cameron. Ora, forse qualcuno avrebbe potuto pensare fosse esagerata, ma dopotutto lui l’aveva aiutata con Mark, a suo modo, la stava facendo sentire importante e speciale, aveva il fascino del cattivo ragazzo e si stava davvero impegnando a migliorare per lei. Mia, che aveva sempre avuto un po’ la sindrome della crocerossina, non poteva fare a meno di sentirsi finalmente utile e orgogliosa quando vedeva quanto fosse migliorato, quando notava i suoi sforzi per non rispondere male a un docente o per presentarsi a lezione.
    Sperava davvero di avere un’influenza positiva su di lui, che non si trattasse solo della sua visione annebbiata da quel che provava, ma sapeva che anche Cameron la stava aiutando. Si sentiva più libera, forte, indipendente in un certo senso, sicura di sé stessa, delle sue capacità e della sua forza interiore, tutte cose che il ragazzo la stava aiutando a coltivare.
    Era felice con lui, e il modo migliore per esprimerlo le era sembrato scrivere quel biglietto e inserirlo in una delle palline, con cui ora stava nervosamente giocherellando. La sua mente, dopo aver fatto “il danno”, aveva cominciato ad assillarla di dubbi e cominciava davvero a temere di aver fatto una cavolata: e se avesse spaventato Cameron? Se il ragazzo non fosse stato pronto a parole come quello? Aveva intenzione di fargli sapere che non voleva ricevere risposta, che non voleva forzarlo a dire o fare niente, ma che quello per lei era il momento giusto per dirlo. Ma se non fosse bastato? Aveva davvero paura che quello, unita al regalo davvero personale che gli aveva fatto, potesse essere troppo e rovinare ogni cosa.
    “Va bene, calmati. Andrà tutto bene. Troverai una soluzione sul momento, inutile fasciarsi la testa prima di rompersela.” avrebbe provato a ricordarsi, lanciando un’occhiata all’orologio e rendendosi conto di aver già ammazzato abbastanza il tempo, era ora di arrivare davanti al Paiolo. Cameron l’aveva sorpresa poco prima, annunciandole della sorpresa e lasciandole una fetta di torta, senza darle il tempo di dirgli niente e sparendo con aria misteriosa: da quel momento Mia aveva cercato di fare di tutto per non sembrare troppo impaziente, per non arrivare troppo presto al posto concordato, e si era persa un po’ tra la folla, incapace però di distrarsi quanto avrebbe voluto.
    Alla fine era riuscita se non altro a non arrivare lì mezz’ora prima, e avrebbe raggiunto il Paiolo Magico, almeno il lato immerso nella Londra Babbana, allo scoccare della mezzanotte e cinquantacinque minuti, lo stomaco chiuso e il respiro accelerato, in attesa.


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    Ci aveva messo molto a preparare la sorpresa per la sua principessa e proprio per questo le aveva dato l'appuntamento così tardi quando il nuovo anno era scoccato ormai da quasi un'ora. Doveva essere tutto perfetto fin nei minimi dettagli. Tra le mani stringeva una pietra color zaffiro che avrebbe funto da passaporta verso la la sua casa in Norvegia, dentro la sua fredda Oslo. Aveva programmato tutto ed era parecchio nervoso nonché eccitato e sperava che la ragazzina avrebbe apprezzato quanto lui si era impegnato per lei, per farla sentire speciale in ogni cosa. In uno zaino aveva il suo regalo per lei e non vedeva l'ora di darglielo, anche se era un po' intimorito dalla cosa, temendo che potesse non piacerle, che credesse di star correndo troppo, che lui non le lasciasse i suoi tempi. Era un tripudio di pensieri quello che gli procurava quel pacchetto che aveva ben incartato e depositato nello zaino affianco al peluche comprato allo stand di Magie Sinister.
    Ora era lì, davanti al Paiolo dal lato della Londra babbana, la neve che non sembrava voler cadere, sebbene un leggero strato bianco coprisse le strade, rendendole più ghiacciate che altro. Beh non c'era problema, in Norvegia ci sarebbe stata neve da vendere, doveva solo attendere l'una meno cinque. Ormai la festa a Diagon Alley doveva essere bella che conclusa e sperò che la sua ragazza non avesse troppo dovuto attendere al freddo, sebbene fosse per una buona causa e di lì a poco non avrebbe nemmeno più sofferto le basse temperature ma, forse, sarebbe stata avvolta da un caldo piacevole. O almeno, lui ci sperava. Le aveva lasciato una fetta di torta di mele vegetariana ed una raccomandazione: farsi trovare là davanti all'ora indicata. Sapeva quanto fosse in anticipo solitamente, ma sperava che almeno quella volta rispettasse l'orario che lui le aveva indicato. Sospirò e si sedette su una panchina. Là in Norvegia si sarebbero trovati un'ora avanti rispetto alla caotica Londra, infatti sarebbe stata l'una e cinquantacinque, circa. Alzò lo sguardo quando la vide arrivare, gli occhi nocciola che brillavano di felicità. Si sollevò da quella panca che lo aveva gelato e le andò in contro, stringendola subito in un abbraccio atto a trasmetterle tutto il calore di cui era capace. Sei arrivata, piccola. Le sussurrò all'orecchio, prima di catturare la sua bocca in un dolce e casto bacio, mentre le sue mani vagano con gentilezza sulla sua schiena, carezzandola e facendola a sentire quanto più al sicuro possibile. Mi dispiace per prima e mi dispiace averti lasciata sola. Le baciò la fronte e le prese entrambi le mani. Ma era per una buona causa, lo giuro! E quindi le allungò la pietra. Toccala, è una passaporta. Ammiccò ed aspettò che anche la ragazza posasse la sua mano su quel piccolo oggetto. Se lo avesse fatto, entrambi i ragazzi sarebbero stati trascinati per pochi secondi in un buio oblio, mentre la sensazione di una caduta infinita si faceva strada in loro. Certo, sembrava infinita ma non lo era, visto che durò pochissimi secondi. Poco dopo, entrambi piombarono seduti su qualcosa di morbido e questo qualcosa si rivelò essere un letto. Benvenuta ad Oslo, babe. Annunciò semplicemente, stendendosi sul letto come se si trovasse a casa sua... ed in effetti era così e Mia lo avrebbe potuto capire da diversi fattori: c'erano diverse mensole ricolme di origami e lei sapeva quanto lo calmassero e gli piacessero, nonché il suo nome scritto con lettere di legno dipinte di verde e posate sopra la scrivania, oltre che molte foto appesa alle pareti... foto di lui e di una ragazza misteriosa o, almeno, sconosciuta a Mia, siccome non la aveva mai vista. In queste foto, Cameron e la ragazza sembravano molto affiatati ed il dioptase sembrava non essere mai stato così felice, in quegli scatti. Inoltre, dall'altro lato della stanza, c'era un letto identico a quello di Cameron, solo con le lenzuola azzurro chiaro, mentre le sue erano cremisi. Sopra la scrivania, una sveglia digitale segnava esattamente l'una e cinquantasette minuti.
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    Non si era fatta poi così tante domande, Mia non era così affezionata alle tradizioni da non accettare le variabili, e l’idea di incontrarsi anche dopo lo scoccare della mezzanotte non l’aveva infastidita. Forse qualcuno avrebbe potuto farle notare che lei e Cam avrebbero dovuto stare assieme a mezzanotte precisa –immaginava Blake più che contento di usare anche quella come prova che Cameron fosse un pessimo fidanzato- per iniziare al meglio l’anno, ma a lei non importava poi così tanto. Infondo le bastava l’idea che ci fosse, che loro due stessero assieme e che l’anno appena passato fosse stato meraviglioso anche per merito del ragazzo. Non sapeva comunque cosa aspettarsi dalla sua sorpresa, non sapeva nemmeno che ci fosse una sorpresa…!
    Visto?! Ha pensato anche a te alla fine.” le fece notare la stessa vocina che poco prima l’aveva fatta sentire in colpa per quella fitta di gelosia non giustificata. Infondo Cam l’aveva sempre viziata, l’aveva portata a Venezia, le aveva sempre fatto dei regali e tutti i giorni non mancava di farla sentire speciale, non c’era davvero bisogno che le facesse un regalo anche a Natale. Certo, era tradizione, ma lei si reputava poco legata e interessata a quelle cose, no? Lei aveva preso il regalo a Cameron perché lo aveva visto e aveva pensato a lui, ma se anche glielo avesse dato in un altro momento non avrebbe fatto differenza, non era il giorno ad essere importante.
    Quando vide Cameron da lontano non potè fare a meno di sentirsi invasa da un profondo calore, capace di cancellare l’ultima ora passata piena di agitazione a camminare per Diagon Alley, per lo più da sola e senza una meta. Non che le desse fastidio stare da sola, sembrava assurdo ma fino ad un anno prima quella era la norma e infondo Diagon Alley era bellissima quella sera, ma per qualche ragione il tempo sembrava scorrere molto più lentamente del solito e dopo il primo quarto d’ora aveva già esaurito tutto quello che avrebbe voluto fare. Ma nel momento in cui si scontrò con il suo sorriso e si ritrovò tra le sue braccia le sembrò che il freddo, l’ansia e qualsiasi altra preoccupazione fossero improvvisamente scomparsi. “Ehi, non preoccuparti…” lo avrebbe confortato con un sorriso dolce, stringendolo in quell’abbraccio e appoggiandosi appena al suo petto, lasciandosi avvolgere dal suo profumo.
    Corrucciò le sopracciglia alla vista della pietra, confusa dalla sua spiegazione. “Una…passaporta?” avrebbe domandato quindi con tono confuso, per poi avvicinare le dita e sfiorarla piano. Sarebbe bastato quel tocco delicato per trascinarli in caduta libera nel buio, una sensazione non troppo piacevole che durò fortunatamente ben poco, sostituita da sensazioni molto più piacevoli. Mia riaprì gli occhi –che aveva chiuso con prontezza, pronta a quella caduta nel buio- e si ritrovò avvolta dal calore di una stanza che non conosceva, seduta su un soffice letto. Avrebbe sbattuto le palpebre diverse volte, sia per adattarsi alla nuova luce che perché incredula di fronte a quel che vedeva e quando Cameron le avesse detto che si trovavano ad Oslo non avrebbe potuto fare a meno di sentirsi ancora più spiazzata. “Ad…Oslo?!” avrebbe quindi domandato, guardandosi poi nuovamente intorno. Ora che si era adattata alla luce e a quel cambio di atmosfera, non poteva negare che la stanza gridasse Cameron da ogni poro: c’erano origami sulle mensole, simili a quelli che aveva regalato anche a lei e alcuni se possibile ancora più complessi, e lui sembrava sentirsi così a suo agio, come se fosse a casa sua. Si aprì quindi in un sorriso spontaneo e stupido, gli occhi lucidi. “Mi hai portata, ad Oslo?! A casa tua?!” avrebbe quindi chiesto di nuovo, carica di entusiasmo e incredulità. Si sarebbe quindi alzata, guardandosi intorno,anche solo per capire meglio dove si trovasse e avrebbe quindi notato per forza di cose tutte quelle foto di Cameron, in compagnia di una ragazza che non aveva mai visto. Impiegò qualche istante–e una nuova fitta di gelosia- per collegare le cose –il secondo letto, il fatto che Cameron sembrasse più giovane e i due si somigliassero- e capire che forse non avrebbe dovuto trarre conclusioni affrettate. “E’ tua…sorella?” avrebbe quindi sussurrato, sapendo che non ne parlava quasi mai e cercando di non appesantire l’atmosfera, guardandolo poi con dolcezza e tornando sul letto. “Portarmi qui… è bellissimo, grazie.” sussurrò quindi, avvicinandosi a lui.


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    Guardava Mia e pensava ad Arya. Erano praticamente identiche sia come carattere, che come passione. Anche la sua adorata sorellina era appassionata di cose assolutamente noiose come lo studio, i musei ed il seguire le regole. Tranne quando aveva deciso di intraprendere una relazione con un professore, andarci a letto e rimanere incinta. No, quello non era stato un buon piano e Cam ancora rimpiangeva di non essere intervenuto prima, di non aver fatto qualcosa di concreto. Guardava Mia e pensava a quanto sarebbe potuta diventare popolare la sua Arya ad Hidenstone, guardava Mia e vedeva... tutto ciò che sua sorella avrebbe potuto essere.
    Ma ora aveva davanti Mia Freeman, non Arya Cohen. La sua meravigliosa ragazza che gli stava andando incontro con quegli occhi che lo facevano impazzire, con quel viso dai lineamenti morbidi che avrebbe passato ore ed ore ad accarezzare. Non si era mai ritenuto all'altezza delle sue attenzioni e mai sarebbe successo, probabilmente. Provenivano da due mondi e da due esperienze familiari completamente diverse, almeno per quanto ne sapeva lui. Nel senso, sapeva di come suo fratello fosse un licantropo -lo aveva detto lui stesso ad una delle lezioni di Antiche Rune- ma non sapeva cosa ci fosse davvero dietro, non glielo aveva mai detto, come lui non le aveva mai detto tutto riguardo sua sorella.
    Ma quando lo raggiunse e lui la prese tra le braccia, c'erano solo loro due, nessun problema e nessun ostacolo a dividerli. Erano solamente due adolescenti. Due normalissimi ragazzini.
    Alla fine comunque, annuì alla sua domanda e le porse la passaporta, pronta a trasportarla all'inizio di una piccola vacanza che aveva pensato per loro e che li avrebbe riportati a casa poco prima della ripresa della scuola, forse addirittura la sera prima. Sì chica, ti ho portata in quella che è stata, è e sarà per sempre la mia unica vera casa. Dal suo tono, si evinceva chiaramente l'astio per quella che era la sua abitazione di Londra e, forse, anche per sua madre adottiva. La verità era che da quando sua sorella era morta, il rapporto con la donna non si era mai veramente saldato; Cameron sapeva che in fondo al suo cuore, la madre attribuisse a lui la colpa, ma aveva almeno cercato di non farglielo mai pesare.
    Era mia sorella, sì. Le rispose, guardando con estrema malinconia quelle foto scattate in tempi decisamente più felici. La mia piccola Arya... sussurrò, quasi dimentico della presenza della biondina nella stanza, salvo riprendersi poco dopo e sfoggiare un sorriso che comunque non riuscì a nascondere il suo vero dolore. Ti ho portata qui perché sei davvero importante per me, Freeman. Annunciò, prendendola per un polso con infinita delicatezza e tirandola a sé, una volta che lei fosse tornata sul letto. L'avrebbe fatta sistemare tra le sue gambe con la schiena di lei contro il proprio petto. Quindi avrebbe chiuso le braccia attorno al suo ventre in un abbraccio che forse diceva più di mille parole, anche se quel gesto non poteva certo dirle cos'era successo. Forse è giunto il momento che io condivida con te una cosa che davvero pochissime persone sanno. Fece una pausa per raccogliere i cocci di quello che era un cuore ancora infranto e solo Mia con il suo arrivo, stava iniziando a metterne insieme i pezzi per ricomporlo. Credo fosse il mio quarto anno ad Hogwarts, lei era al secondo. Eravamo così piccoli ed ingenui e lei... lei si è innamorata di un dannato professore. Nella sua voce era chiaro l'odio per quella categoria, per tutti i professori di sesso maschile. Un dannato professore che l'ha messa incinta! La voce di Cameron risultò lievemente stridula, mentre si alzava di un'ottava. Calde lacrime iniziarono a scorrere lungo le sue guance senza che ci potesse fare molto e comunque, poco gli interessava. Quando lei glielo ha detto, quel bastardo ha... le ha fatto la maledizione Imperius e... l'ha costretta a buttarsi nel lago. Ad annegare, Mia. L'HA FATTA ANNEGARE. Capisci?! Invece di aiutarla! L'HA UCCISA! Il suo urlo risuonò tra quelle quattro pareti e sembrò rimbalzare, mentre Mia vedeva un lato di lui estremamente fragile che proprio nessuno aveva mai visto a tal punto, nessuno lo aveva visto piangere così, nessuno lo aveva mai visto in quello stato.
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    Non si aspettava niente del genere, nemmeno nel migliore dei suoi prognostici era riuscita a prevedere che l’avrebbe portata proprio lì, ad Oslo. Mia sapeva bene di conoscere molto poco del passato del suo ragazzo, così come lui non sapeva tutto di quel che aveva vissuto lei: sapeva che la sua situazione famigliare era un disastro, si era aperta con lui su qualche dettaglio, ma non si era dilungata molto e non sapeva nemmeno leri perché. Forse lo aveva fatto perché temeva che conoscendola a menadito si sarebbe annoiato, o forse perché non aveva mai superato del tutto alcuni traumi. Forse era solo perché anche Cameron non si era mai lasciato andare, lei non voleva toccare tasti dolenti o farlo sentire in colpa e quindi aveva lasciato perdere.
    C’erano stati giorni però, dopo la notte di Halloween e i suoi mostri per esempio, in cui avrebbe avuto bisogno di parlargli dei Nott, di quel che le avevano fatto, ma una parte di lei ancora non riusciva a capire quanto di quel che era successo fosse colpa sua, e quanto potesse davvero non fare la vittima quando parlava di queste cose. Non voleva annoiarlo né regalargli altri pensieri con cui struggersi perché conosceva i suoi incubi, ormai, e aveva paura che i suoi scheletri nell’armadio non gli avrebbero fatto bene.
    La verità era che lei aveva capito quanto Cameron fosse fragile sotto la sua corazza e aveva così tanto paura di mandarlo in mille pezzi, alle volte, che le sembrava di muoversi all’interno di una cristalleria: tutto era meraviglioso ma doveva stare attenta a non compiere passi falsi e mandare tutto in frantumi. Non si aspettava Oslo in quel momento –mai a dire il vero- e avrebbe voluto riempirlo di domande ma l’astio mal nascosto per Londra e i suoi occhi vagamente cupi bastarono a convincerla a non insistere troppo e lasciargli il suo tempo.
    Aveva intuito che qualcosa del suo passato gli facesse ancora male, molto, e che lo tormentasse almeno tanto quanto i Nott facevano con lei, se non di più, e si impose di non rovinare tutti gli sforzi per non farlo sentire sotto pressione in tutti quei mesi. Cameron aveva chiaramente bisogno di comprensione, quando punto le iridi ancora più malinconiche su di lei ne fu ancora più sicura, ormai certa che il ragazzo nascondesse segreti fin troppo pesanti.
    Si sentì in colpa per aver anche solo pensato che potesse trattarsi di qualcun'altra e avrebbe voluto picchiarsi da sola per quella punta di gelosia che aveva avvertito. In quel momento le parole di Cameron sembrarono ancora più forti, come se avessero un peso specifico e reale in quella stanza, e percepì la forza di ogni singola lettera. “Grazie….” avrebbe sussurato senza sapere che altro dire per poi seguire sul letto. Si limitò ad assecondare i suoi movimenti, sistemandosi contro il suo petto e accarezzando piano il dorso della sua mano con movimenti circolari, in punta di dita, avvertendo il peso della sua confessione prima ancora che arrivasse.
    Se anche avesse provato a prepararsi a quel racconto non sarebbe stata comunque in grado di prevedere quel che le stava per dire, non sarebbe mai riuscita ad anticipare la brutalità di quel racconto. SI era chiesta raramente che cosa potesse essere successo a quella sorella che nominava raramente, aveva intuito che le cose non fossero andate per il meglio ma mai e poi mai avrebbe pensato a qualcosa del genere. Man mano che il racconto di Cameron proseguiva Mia sentì anche il proprio cuore rompersi insieme al suo, si sentì impotente perché incapace di aiutarlo, di porre fine al suo dolore, di riparare le cose. Sapeva che certe cose non si potevano aggiustare ma aveva sperato fino all’ultimo istante che si trattasse di un brutto litigio, di una separazione, di un distanziamento…la morte era qualcosa che non avrebbe potuto riparare nemmeno volendolo.
    Sussultò sentendolo urlare in quel momento e si sforzò per rimanere integra, per non scoppiare a piangere e crollare proprio ora che lui aveva bisogno di lei. Avrebbe cercato quindi voltarsi tra le sue braccia per prendere il suo volto tra le mani e cercare di incrociare i suoi occhi. “Cam, Cam. Fa male, lo so. Ma sono qui, ci sono io…” sussurrò piano, rendendosi conto di quanto quella fosse una magra consolazione. Lo avrebbe quindi poi abbracciato con trasporto, stringendolo a se e affondando il viso nella sua spalla. “Mi dispiace…mi dispiace così tanto…” sussurrò piano contro il suo orecchio e per un solo istante desiderò potergliela riportare indietro –chissà in che modo poi-, lenire quel vuoto di cui ora sapeva l’origine e che era ben consapevole di non poter riempire.

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    Quella casa era il suo rifugio, lo era sempre stato. Era lì che si nascondeva quando tutto andava male, quando i suoi genitori litigavano, era lì che andava quando il mondo sembrava crollargli addosso. Difficilmente lo avrebbe mostrato a qualcuno e, qualora lo avesse fatto, doveva vedere nell'altro una grande potenzialità ed una persona in cui porre estrema fiducia. Finora ci era riuscito solo con Liz e Mia; entrambe le ragazze avevano un posto speciale nel suo cuore, anche se in maniera nettamente differente. La bionda era la sua ragazza, colei per la quale avrebbe fatto di tutto, colei della quale... forse era innamorato. Non era mai stato bravo a catalogare i suoi sentimenti, invero. Forse per quello non ci aveva pensato mai fino a quel momento, non aveva mai dato a nessuna la possibilità di capire cosa nascondesse nel profondo del cuore, ma nessuno era Mia. Nessun'altra era mai riuscita ad abbassargli le difese a tal punto da farsi raccontare qualcosa di così intimo, da far materializzare addirittura direttamente in camera sua, nel suo posto. In Norvegia aveva altri posti che considerava "suoi", ma la casa era il più intimo, il più segreto ed impenetrabile. Eppure aveva fatto un'eccezione per quella biondina che era entrata a gamba tesa nella sua vita, instaurando da subito con lui un rapporto misto di attrazione e fastidio che ora stava sfociando in qualcosa di più, molto di più. Per tutte queste ragioni, lei era la ragazza perfetta da portare in quel luogo così privato e segreto.
    La fece sedere tra le sue gambe, la schiena posata contro il proprio petto, le braccia di lui allacciate attorno alla sua vita. Si rilassò appena, sentendo quei movimenti circolari sul dorso della mano e... vuotò il sacco. Fece fuoriuscire tutti i suoi demoni, scoperchiò il vaso di pandora. E Mia fu travolta da tutto il dolore, la rabbia ed il rancore che provava nei confronti di un sistema così fallato che aveva permesso un tale avvicinamento di un'alunna ed un professore, che aveva permesso che... venisse uccisa. La morte faceva paura. La morte era definitiva, impossibile sarebbe stato tornare indietro.
    Ora le sue braccia erano abbandonate contro di lei stringendola senza forza, tanto che fu facile per lei girarsi, visto che non incontrò nessuna resistenza. Ora i palmi di Cam erano più saldamente appoggiati sui fianchi di Mia, mentre il suo sguardo nocciola si scontrava con il mare di lei, mentre le mani della biondina, contenevano le guance di Cam. Le sue parole gli arrivarono come ovattate, anche se capì ciò che aveva detto. Forse lei non si rendeva conto di quanto bene gli stesse facendo in realtà, di quanto fosse un balsamo sulle sue ferite. Era tutto ciò di cui aveva bisogno in un momento così estremamente drammatico. Si godette appieno quell'abbraccio, annuendo distrattamente alle sue parole, il viso di lei contro la propria spalla. Inspirò il suo profumo, si beò di quella fragranza così buona. Mi fai stare così bene. Le sussurrò all'orecchio, mentre le sue lunghe dita iniziarono a spostare il tessuto della maglietta, tanto da poter entrare in contatto con quella pelle così liscia e morbida. Sentiva un bisogno vitale di lei, di sentirsi realmente completo, di averla. Sì, quella notte la voleva, voleva che fossero una cosa sola. Le sue labbra catturarono quelle di lei in un bacio che di casto, ormai aveva ben poco. Avrebbe premuto la lingua contro le sue labbra, chiedendole il permesso di entrare ed una volta fatto ciò, avrebbe iniziato con lei un valzer sulle note della musica dell'amore, di un suono percepibile solo da loro. Allargò appena le gambe per permettere alla ragazza di stare comoda, mentre le sue dita alzavano la maglietta sempre di più, senza mai toglierla però. La sua bocca si spostò, lasciando una scia di dolci baci che scendeva lungo il mento e la mandibola fino al suo morbido collo, andando così a succhiarne una porzione di pelle, con calma. La mancina, andò a posarsi sul sedere di Mia con estrema delicatezza per farla stare tranquilla. Lui non era Mark. Lui la voleva perché l'amava -ora ne era convinto- e non per vincere una stupida scommessa o chissà cos'altro. Dimmi se vuoi che mi fermi... sussurrò, il fiato caldo di lui ad accarezzarle il collo.
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    Mia riusciva bene a capire il valore di una casa, di un posto in cui stare, e tutte le emozioni che poteva portare con sé. Per lei la casa dei Nott rappresentava ancora un incubo, l’aveva rivista più e più volte nei suoi sogni, ed aveva sempre un’accezione negativa: rappresentava il suo passato, la parte buia che avrebbe volentieri dimenticato, e non sarebbe mai riuscita a separare quei ricordi da quell’edificio. Allo stesso modo la casa di suo zio rappresentava un po’ la riconquista della libertà: non era il posto migliore del pianeta Terra, a dire il vero non aveva niente di speciale, ma per lei era comunque un posto particolare, dove tornava con piacere e si sentiva sempre a casa.
    Allo stesso modo poteva immaginare come potesse sentirsi Cam e comprendeva l’emozione che vedeva nei suoi occhi: poteva capire bene l’attaccamento ad un posto, per quanto strano potesse sembrare, e aveva quasi paura di toccare troppo di quel posto, di rovinarlo in qualche modo. Non si aspettava che Cameron provasse per lei qualcosa di così forte da accettare di portarla addirittura nella sua stanza, in un posto così intimo e personale che sapeva essere importante per lui.
    Non avevano mai parlato a fondo del loro passato, Mia l’aveva interpretata anche come una decisione silenziosa di basare la loro relazione sulla loro “nuova” vita e non su quello che stavano cercando di lasciarsi alle spalle. Eppure sapeva che anche quel passato era parte di loro e non potevano davvero fare finta di niente: era felice che Cameron avesse fatto quel passo avanti, ne comprendeva le difficoltà ma purtroppo da qualche parte avrebbero dovuto partire. E non si aspettava che sarebbero partiti in quel modo, che il ragazzo le avrebbe raccontato subito qualcosa di così importante e doloroso.
    Poteva solo immaginare che cosa stesse provando in quel momento, se qualcuno avesse osato fare del male a Charles lei ne sarebbe morta, non avrebbe sopportato l’idea di perderlo. Ammirava Cam per essere arrivato fino a lì con sulle spalle una storia così pesante con cui convivere, e allo stesso tempo comprendeva meglio certi suoi comportamenti. Si era sempre sentita protetta con lui, anche quando non era pronta ad ammetterlo, e ora intuiva che il ragazzo stesse proteggendo lei come non aveva potuto fare con la sorella. Quel pensiero era dolce e terribile assieme, avrebbe voluto riportare quella ragazza indietro, ridare a Cam anche solo qualche istante di quella persona che aveva perso per sempre, per quanto fosse magica sapeva di non poterlo fare.
    Si ritrovò quindi ad accarezzargli il volto con delicatezza, cercando di ricordargli che lei era lì, era viva, in carne ed ossa, e che potava usarla come appiglio alla realtà se voleva. Avrebbe mentito se avesse detto di non averlo mai visto così distrutto: aveva avuto un altro crollo nervoso, ben diverso da quello e sicuramente più gestibile. In quel momento non sapeva cosa dirgli, le sembrava che nessuna parola avrebbe potuto aiutarlo e lenire davvero quel dolore, una perdita così grande come poteva pensare di riempirla?
    Non si aspettava che se ne uscisse con una frase come quella, così vera –soprattutto detta con quel tono- ma anche così grande per lei. Si sentiva piccola e impotente e Cam invece le aveva appena detto che in qualche modo migliorava la situazione. Voleva davvero farlo stare bene, lenire le sue ferite, aiutarlo il più possibile, ma non credeva di esserne in grado. Si ritrovò a sussultare quando le sue dita sfiorarono la sua pelle, sia perché erano più fredde della sua temperatura in quel momento, sia perché non se lo aspettava. Si erano già toccati, certo, ma in quel momento quel gesto assunse un significato del tutto diverso, le sembrò qualcosa di ancora più intimo del solito. Si ritrovò a socchiudere gli occhi, imponendosi la calma e ricordandosi che Cam non le avrebbe mai fatto del male.
    Avrebbe potuto opporsi, lo sapeva, ma una parte di lei non voleva farlo, non ora, non quando sapeva che avrebbe potuto migliorare la situazione di Cam, non ora che cominciava a dare un nome a quel che provava per lui.
    Si sarebbe appigliata solo un po’ di più a lui, lasciandosi trasportare da quel bacio che non era di certo puro e casto e che un po’ le diede alla testa. Si sentì più leggera, per quanto lo stomaco continuò ad annodarsi in una morsa e una minuscola vocina nella sua testa cercava di ricordarle che in passato non era andato così bene. Avrebbe scoperto comunque la gola, ansimando appena e lasciando che Cameron la viziasse, scuotendo poi la testa alle sue parole. “Sto bene…davvero…” si ritrovò a sussurrare e lo pensava davvero: se anche aveva paura, se anche il suo corpo ricordava chi prima di lui non era stato così attento, lei ora sapeva per certo che Cameron non avrebbe mai fatto niente per ferirla, nemmeno per sbaglio.
    Avrebbe cercato comunque di ricambiare il qualche modo, infilando le mani ancora raffreddate dall’aria gelida di Diagon Alley sotto al suo maglione, scivolando sulla sua palle per poi cercare di toglierlo.


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    La morte era la cosa più definitiva che potesse esistere, una condizione irreversibile che chiunque spera che non tocchi a lui o a qualcuno che ama, non prima di aver vissuto felicemente almeno ottant'anni.
    Qualcosa che, però, aveva toccato Cameron e la sua famiglia. Qualcosa che aveva portato via per sempre la sua amata sorellina, senza possibilità di ritorno. Con il tempo aveva provato ad abituarsi ad un'assenza così dolorosa, ma senza reale successo. Certo, ora aveva capito che non sarebbe mai più tornata -dopo almeno un anno passato a negare la realtà- ma ciò non lo rendeva meno insopportabile, non lo rendeva meno doloroso. A volte gli sembrava di sostenere il peso del mondo un po' come faceva Atlante con il cielo. Ma una nuova presenza, forse due, nella sua vita avevano contribuito a rendere il tutto più sopportabile, più vivibile. Mia ed Elisabeth erano stati due fulmini a ciel sereno entrambe a modo loro; la prima era la sua ragazza, la persona di cui si stava innamorando, colei che aveva ferito troppe volte per essere ricordate, ma che era riuscita a dargli un'altra possibilità che aveva portato a quel giorno. La seconda, era un'emarginata come lui, quasi nessuno in quella scuola pareva sopportarla, volerle bene o considerarla come un'amica. E poi c'era Cam, anch'esso emarginato, odiato da tutti per via del suo comportamento. Si erano ritrovati, erano diventati quanto di più simile a due migliori amici, potesse esserci per ragazzi come loro.
    Socchiuse gli occhi alle sue carezze sul viso, ricordando una sensazione così bella solo in tempi lontani, quando ancora era un ragazzino spensierato, con una famiglia che gli voleva bene. Mio padre è in prigione. Disse di getto, anche se apparentemente non c'entrava assolutamente niente con il discorso, ma alla fine era tutto collegato. Era un'altra parte dolorosa della sua vita. L'uomo che fino a poco tempo prima lo aveva amato, era il suo unico figlio -o almeno così credeva Cameron- in un battito di ciglia, era diventato un violento che aveva quasi ammazzato sua madre adottiva. Rabbrividiva ogni volta che ci pensava.
    L'unica cosa che lo teneva realmente ancorato a quel mondo, erano le dolci carezze di Mia, il suo profumo, i suoi occhi colore dell'oceano infinito, la sua presenza così leggera eppure così solida. Era una delle pochissime certezze del ragazzo, una delle pochissime persone a cui teneva senza condizioni.
    Poi ci fu il bacio. Non più uno dei baci sfuggenti che si davano di solito, non più un bacio simile a quello che avrebbero potuto darsi due ragazzini, bensì un bacio pieno di passione che trasportò Cam in un mondo tutto loro, dove nessuno avrebbe mai potuto disturbarli, un mondo impenetrabile a presenze esterne. Un brivido gli percorse la schiena quando le fredde mani di Mia gli si posarono sotto il maglione, sulla pelle. Continuò a baciarle con dolcezza il collo, a giocare con quella sua pelle così candida. Si sollevò appena, aiutandola a togliersi il maglione, che si sfilò senza problemi dal corpo insieme alla t-shirt che aveva sotto, lasciandolo completamente a petto nudo. Ecco, qui giungeva un altro problema: la bruciatura che aveva sul lato basso della schiena e che non aveva mai mostrato a nessuno. Ma in quel momento, nemmeno ci pensò, stava troppo bene. Le proprie mani si posarono ai lati della maglia di Mia, sfilandola con gentilezza, se lei non si fosse opposta, osservando poi quella pelle così candida che gli faceva venire voglia di baciarla ancora e ancora, con lentezza e dolcezza al contempo. Fece lo stesso con la gonna della ragazza, fintantoché non sarebbe rimasta solo in intimo, a quel punto con un colpo di reni avrebbe ribaltato le posizioni, trovandosi quindi a sovrastarla, reggendosi con i gomiti per non schiacciarla sotto il suo peso. Le sue labbra avrebbero accarezzato il suo corpo, partendo dal suo collo, fino a scendere tra i seni, mentre la sua mano dominante andò a giocare con l'elastico delle mutandine della sua bella, senza però entrare. Non ancora. La sua prima volta era stata con quel mostro di Mark, ora lui voleva darle una vera prima volta, come nei libri. Indimenticabile in senso positivo.
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    Sapeva quanto la morte fosse definitiva, e in parte si sentiva fortunata nel non averla ancora sperimentata in prima persona. Poteva anche considerare sua madre come una persona assente ma lei era viva, ancora, solo molto lontana da lei, indifferente per certi versi, distante. E anche la famiglia Nott, che lei tanto odiava, era ancora viva: sapeva di non tollerarli, erano stati i suoi incubi per anni e lo erano ancora ma temeva comunque che la loro dipartita in qualche modo l’avrebbe segnata.
    Avrebbe voluto per Cameron e sua sorella un finale diverso, avrebbe voluto scoprire che avevano litigato, che si erano allontanati, forse anche che la sorella era finita ad Azkaban o in qualche posto lontano, ma che forse un giorno avrebbero potuto rincontrarsi: avrebbe potuto aiutarlo a riparare una situazione simile, ma non poteva fare niente ora che sapeva che la sorella non c’era più. Si sentiva inutile e impotente, e al contempo le pareva che si trattasse di un dolore troppo radicato per provare anche solo a lenirlo, almeno un po’: non sapeva come prenderlo, come aiutarlo a stare meglio, e anche se il ragazzo le stava facendo sapere quanto riuscisse ad aiutarlo aveva comunque paura che non fosse abbastanza.
    Era felice che sembrasse stare meglio, certo, ma temeva di non poter davvero competere con una perdita così grande. Provò comunque a mettere da parte le proprie insicurezze e fidarsi unicamente di lui e delle sue parole: sapeva quanto la fiducia fosse fondamentale, e se le aveva appena detto che lei riusciva ad aiutarlo doveva per forza essere così. Non pensava di essere l’unica, certo, ma se anche riusciva a migliorare la sua situazione di un briciolo, tanto le bastava per sentirsi un po’ meglio.
    Avrebbe continuato ad accarezzarlo, per confortare sia lui che sé stessa: toccarlo, ricordarsi che era lì, provare a fare qualcosa di concreto per sollevarlo, erano tutte cose che la facevano sentire almeno un po’ meglio, più presente e attiva. Non si aspettava un’altra rivelazione, non di quel calibro e non così presto: immaginava in realtà che le cose fossero collegate, anche se Cam non glielo aveva specificato, perché sospettava non avesse appena parlato senza ragione. “Possiamo parlarne se vuoi…” avrebbe sussurrato, senza però imporgli nulla.
    Non era abituata a baci del genere, e anche se si era sentita spesso in colpa per non essersi mai spinta troppo oltre una parte di lei stava ancora cercando di metterla in guardia … solo che a differenza delle altre volte, in quel caso decise di ignorarla. Era stanca di trattenersi, e in quel momento sentiva che Cameron si era esposto così tanto che gli doveva qualcosa di più. Non era comunque mossa solo da senso del dovere, le sembrava la cosa giusta e migliore da fare e si sentiva anche così coinvolta da non potersi più tirare indietro.
    Mia non aveva molto da nascondere, non era nemmeno sicura di essere così bella e arrossì una volta rimasta in intimo di fronte a lui. Avrebbe cominciato a passare la punta delle dita lungo la sua schiena, scivolando sulla sua pelle nel modo più delicato che conosceva, cercando di distrarsi e di concentrarsi solo su quanto fosse bello e caldo il suo corpo, su quanto fosse piacevole essere lì con lui. Voleva davvero lasciarsi andare con Cameron, voleva essere sua, voleva che ogni cosa andasse al proprio posto.
    Si sarebbe fatta scappare un gridolino, seguito poi da una risata appena accennata, quando Cameron avesse invertito le posizioni, allungando una mano per togliergli un ciuffo di capelli da davanti agli occhi. Avrebbe tremato, involontariamente, sotto alle carezze, irrigidendosi appena quando la sua mano arrivò a sfiorare l’elastico degli slip. “Sto bene…puoi andare avanti…” avrebbe poi provato a rassicurarlo poco dopo, cercando di regolarizzare i battiti del proprio cuore e contenere l’agitazione. Non voleva che pensasse che aveva paura di lui, era il suo corpo a decidere certe cose e sospettava che non sarebbe stato tutto in discesa, ma si fidava di lui, sapeva che non le avrebbe mai fatto volontariamente del male e voleva davvero essere sua. Avrebbe allungato quindi una mano ad accarezzargli un fianco e se mai avesse visto la sua cicatrice avrebbe finito per accarezzare anche quella, con devozione e delicatezza. “Sono già tua Cam…” gli avrebbe quindi ricordato, la voce leggermente roca, le guance arrossate e gli occhi lucidi.

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