Charismatic encounters

Jess&Kenna (♥)

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    Jessica Whitemore

    La sua mano destra si posò, a palmo aperto, contro la corteccia di un enorme albero secolare. Quella foresta, ogni volta, era sempre più misteriosa, quasi avesse una magia intrinseca che le garantisse questo effetto. Tuttavia, Jess non si stancava mai di esplorarla, sebbene insito in lei vi fosse un timore subdolo. In quello stesso luogo, mesi prima, era stata presa ostaggio dal viscido tentacolo di un Malboro assieme ai suoi amici ed aveva seriamente rischiato di morire come mai aveva rischiato in vita sua. Avrebbe dovuto ascoltare i rimproveri dei suoi docenti, avrebbe dovuto rimanere davvero con Victoria a mangiare pasticcini e bere del thé, lasciando che fossero gli altri a rischiare la vita. Si morse appena il labbro, fermandosi al limitare della radura da dove, pochi metri dopo, si sarebbe inoltrata nel cuore della foresta. Proprio in quel punto aveva avuto l'ultima possibilità di scegliere se scappare al sicuro con suo figlio o se scendere in campo per difendere i suoi amici, la sua scuola con ogni mezzo a sua disposizione. Esattamente in quel punto, Kenna aveva tentato di scoraggiarla, farla desistere, ma Jess era stata fin troppo testarda ed aveva deciso di rimanere sorda ai consigli e ai rimproveri, incurante del rischio che avrebbe potuto comportare. Un secondo prima di superare i primi alberi e seguire il sentiero che l'avrebbe condotta dentro la foresta, si soffermò un'ultima volta a chiedersi che fine avesse fatto la donna. Sapeva che non si sarebbe più svolta la sua materia da quell'anno in poi, quindi si domandò cosa stesse facendo in quel momento. Anche Aritmanzia -per grazia divina- era stata radiata, mentre Cura era stata integrata con Erbologia fino a creare una nuova materia che coniugasse entrambe. Sospirò, muovendo i primi passi stando attenta a non fare troppo rumore, come se volesse nascondersi da qualcuno, sebbene non ci fosse nessuno.
    Camminò per un po' fino ad arrivare nel luogo esatto dove conobbe Sam, un tenero tirocinante auror che aveva anche invitato in Spagna quell'estate. Era un'ampia radura contornata da enormi alberi ottimi per arrampicarsi e così avrebbe fatto, di lì a poco. Però in quel momento si sedette esattamente al centro del piano erboso, incrociando le gambe e chiudendo gli occhi, come volesse meditare, posandosi davanti lo zainetto che conteneva alcune cosette utili: bacchetta, magifonino, una borraccia con del thé verde, una polaroid. Ne aveva una, ma da luglio non la trovava più e non se ne capacitava, ma alla fine ne aveva comprata un'altra. Ma quello la riportava al vuoto di memoria che sentiva di avere da qualche mese. La testa le doleva ogni volta che ci pensava, come se cercasse disperatamente qualcosa di inesistente e non era la prima volta che accadeva: fin dall'estate, ogni tanto sentiva come se mancasse qualcosa nella sua vita, anche se ogni volta liquidava quella sensazione come se non fosse nulla di che, preferendo pensare ad altro. Aveva, però, notato alcune cose strane: come l'assenza della sua polaroid, oppure un tatuaggio sotto il seno destro che recitava "Build a home", circondata dalla costellazione del suo segno zodiacale e, francamente, proprio non riusciva a capire cosa stesse a significare, né perché o quando se lo fosse fatto. Quel vuoto di memoria era talmente stressante e frustrante per la corvina. Decise quindi di abbandonare lì lo zaino e dirigersi verso lo stesso albero che aveva scalato con Sam, allungando le braccia fino al ramo più basso. Facendo un po' di forza, vi si issò sopra, rimanendo a fissare il vuoto, con le gambe che penzolavano nel piccolo vuoto tra lei e il terreno. Che cazzo di giornate sbuffò, parlando forse all'aria. Finalmente la settimana è finita e posso fare un po' quello che mi pare. Aggiunse, alzando lo sguardo al cielo. Era venerdì pomeriggio e le ultime lezioni erano appena finite, così aveva deciso di ritagliarsi del tempo per sé. Chi lo avrebbe mai detto che il percorso per diventare auror fosse così duro? Domandò ad un uccellino che passava di là, senza ovviamente ottenere risposta.
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    Kenna Ivonne MacEwen
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    Cambiare prospettiva a volte serve per riuscire a trovare un senso a ciò che la vita ci presenta. Se prima la Magistorica adoperava tale tecnica nel suo lavoro, nell’ultimo periodo stava adottando lo stesso stratagemma anche nella sua nuova quotidianità. In ogni piccola cosa cercava di trovare un lato positivo per la paura che lasciandosi andare davvero sarebbe stata risucchiata dall’oscuro oblio della depressione. E cambiare punto di vista, talvolta, serviva anche per superare i ricordi legati ad un luogo non troppo felice. Un po' come i suoi tentativi di esorcizzare alcuni luoghi di Denrise, ma non solo, fatto attraverso il silenzio, i ricordi, voler rivivere quelle forti emozioni, lasciarsi attraversare e poi annientarle per non dover avere più incubi. Diverse, ad esempio, erano state le notti insonni seguite alla notte più lunga ed oscura dell'anno, quel 31 ottobre dove la stima che aveva nutrito per Victoria iniziò a vacillare. Il non presentarsi per combattere fianco a fianco ai suoi professori e docenti, la mancanza di personalità dimostrata dalla donna superata di gran lunga da una giovane opale neomamma erano stati piccoli tasselli di un vialetto che l'aveva condotta fino a lì, in quel momento, ad essere non più l'agida Kenna Ivonne MacEwen, docente di Storia e Legislazione Magica, ma semplicemente Kenna, una libraia con la puzza sotto il naso e che ben si distingueva dagli autoctoni dell'isola. Non aveva ancora trovato la chiave di lettura per inserirsi e sentirsi partecipe della vita del villaggio ma di certo non era mai stata una che mollasse così facilmente la spugna, tranne quando si trattava di una causa persa e farlo avrebbe significato perdere la dignità. E quella era una delle poche cose ad esserle rimasta, persino quando aveva affrontato quella druida venuta dal passato per rapire ben due sue studentesse, quattro se voleva includere anche l'ametrina e l'opalina coinvolte. Ricordava ancora i loro volti sofferenti, emaciati, il terrore nelle iridi chiare della Prefetta metamorphomagus che aveva subito quanto di più duro potesse provare una donna. Lei, rigida donna tutta d'un pezzo, si era sentita così smarrita da quegli eventi in una misura così tale da arrivare a perder la ragione e tentare di sedurre, e lasciarsi sedurre, da un denrisiano dallo sguardo eterocromatico. Sotto la suola delle sue scarpe sentiva lo scricchiolare delle prime foglie morte, che si erano staccate dagli alberi, ricoprendo quella radura palcoscenico di una delle notti più lunghe della sua docenza, se non della sua intera vita. Ricordava perfettamente di come, gomito a gomito con sconosciuti prima, con colleghi e denrisiani poi aveva superato diversi ostacoli prima di abbattere definitivamente Naga Berteg. Se solo si impegnava poteva vedere il colore degli incantesimi castati sulla donna, le urla degli studenti, i colpi di testa di alcuni e il dolore di giovani maghi adulti che avevano deciso di combattere per la vita. Se solo si impegnava poteva richiamare alla vista la figura dell'ex collega di cura con cui si era coordinata per gli attacchi, ma l'immagine della lince fu cancellata dal suono di una voce provenire dall'alto, una voce che riconobbe prontamente avendola avuta come studentessa per due anni ma anche per aver cercato di farla ragionare quella stessa notte. L'istinto portò la MacEwen a sguainare la bacchetta mentre le iridi socchiuse si mossero veloci nel perlustrare il perimetro, macinando centimetri e metri non solo in profondità ma anche in altezza. E la individuò quell'opalina caparbia su uno dei rami ad un paio di centinaio di metri di distanza da lei. «Signorina Whitemore, cosa ci fa lì?» Domandò a voce alta, abbassando il catalizzatore e spingendosi a piccoli e lenti passi verso di lei. Non sapeva esattamente identificare lo stato dei sentimenti che la legavano alla giovane madre, poiché se dal profilo accademico era una più che discreta studentessa, d'altro canto era rimasta profondamente delusa dai suoi atteggiamenti. Sebbene non sempre presente nel corso del suo ultimo anno accademico, in quanto Responsabile dei Dioptase e componente del corpo docenti anche la scozzese era stata informata della liason che la giovane aveva avuto con lo stesso collega che si era ritrovata a baciare sulla pista da ballo per colpa di un vischio strombazzante e a cui era stata posta una fine dalla stessa Preside in persona. A quanto era rimasta la giovane era stata privata di qualsiasi ricordo condiviso con l'astronomo per cui nulla avrebbe potuto sapere coscientemente e nulla avrebbe potuto giustificare -se non il suo abituale carattere- la freddezza che la donna parve riservarle. «Vedo che è sempre atta a mettere la sua vita in pericolo e questa volta per futili motivi.» Lo sguardo boscoso si sarebbe soffermato su quel ramo basso, che effettivamente non costituiva un serio pericolo di vita ma qualche frattura sì, cui le membra della giovine ero posate mollemente. «E così ha scelto il percorso Duello ed Agonismo. Non mi sarei aspettata nulla di diverso da lei, anche se la lingua lunga per divenire un'abilissima magiavvocata ce l'ha.» E lo diceva con cognizione di causa dato che quello era stato il suo secondo ramo di studi. La distanza tra le due si era ormai ridotta e da lì la giovane avrebbe potuto osservare meglio come i rigidi completi formali erano stati abbandonati per far spazio ad un paio di pantaloni di lino terra di Siena ed una semplice canotta bianca, con unico accessorio una borsa in cuoio, lo stesso colore dei sandali che portava ai piedi. Dopotutto erano ancora ai primi giorni settembrini ed il tempo sembrava esser clemente con l'isola di Denrise.


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    Jessica Whitemore

    Quel bosco era un posto sacro. Là, a presiedere su tutto, vi era il tempo che i Denrisiani costruirono in onore del dio Freyr, un luogo calmo. Quando, lo scorso anno, aveva varcato quei confini mistici, le era sembrato di venire immersa in un lago composto solo di tranquillità e dolce silenzio. Ma ora era ben lontana da quel luogo, sebbene avrebbe voluto tornarci. Voleva dimenticare per un istante i pensieri che la tormentavano, voleva solo spegnere la mente. Ultimamente aveva strani sogni, sogni ricorrenti e a dir poco incomprensibili; specie di flashback di vita sfocati, come una foto mossa. Inoltre aveva quella frase enigmatica pronunciata da Eva Ivanova al porto. "Recupereremo la tua memoria". Ma cosa voleva dire? Lei ricordava ogni avvenimento della sua vita fino a quel preciso istante, arrampicata su quel ramo basso, con le gambe a penzolare nel vuoto sotto di lei, seppur a poca distanza dal terreno. Forse l'unica cosa a non ricordare era la sera precedente il giorno della cerimonia di fine anno, quando si era ubriacata con Sam, un suo amico tirocinante auror. Ma per il resto era tutto chiarissimo nella sua testa.
    Non furono i raggi del sole, che seppur tenui, le scaldavano la pelle, a destarla dai suoi pensieri, bensì una voce che la fece sobbalzare fino a farle perdere l'equilibrio su quello stretto supporto ricoperto di corteccia. Merd- grazie alle sue gambe allenate, riuscì a mantenere la presa -tramite esse- sul ramo, anche se vi scivolò via, rimanendo appesa a testa in giù come una scimmia. Fu proprio in quella posizione che vide una lugubre e familiare figura. Doveva già capirlo dalla voce. Potrei farle la stessa domanda, professoressa MacEwen. Annunciò, osservando il catalizzatore magico tra le sue dita. Ormai era abituata ad usare quel titolo, sebbene una docente non lo fosse più. Lo sa che non la mangio mica, vero? Domandò, indicando col mento la bacchetta. I lunghi capelli corvini sembravano spaghetti per aria, la sua maglietta le stava scivolando sul viso e il sangue le stava andando al cervello. Avrebbe dovuto scendere o sarebbe presto svenuta. Estrasse il suo legnetto -messo in tasca prima della scalata- e lo puntò verso di sé. Molliate pronunciò, mentre la donna si avvicinava. Così, forte dell'incantesimo, si lanciò giù, atterrando leggiadra sulle punte, quasi come una ballerina. Nella voce della docente, era insita quella freddezza che tanto la caratterizzava e che aveva sempre avuto, quindi non si chiese il perché di un tale trattamento. Solamente una volta con i piedi a terra, si sarebbe concentrata sulle parole della donna. Perché mi tratta così? È ancora arrabbiata perché non le ho dato retta quella notte? Chiese, quasi con noncuranza. Se solo avesse chiuso gli occhi, avrebbe potuto rivedere quell'orribile pianta, sentire il dolore che aveva provato, stritolata tra i suoi tentacoli, la paura di morire. Quell'incubo che l'aveva perseguitata per mesi. Lei in un baratro, senza che nessuna potesse aiutarla. Al pensiero, la paura tornava a farle visita, strisciando nelle sue membra come un serpente, silenziosa, crudele e letale.
    Si riscosse quando una folata d'aria le scompigliò i capelli, carezzandole il viso. Io non ho mai avuto intenzione di attentare alla mia vita e lei lo sa benissimo. Ho solo tentato di proteggere e aiutare i miei amici. Il suo sguardo si posò in quello della magistorica, con sfida. Come a volerle dire: "Provi a contraddirmi". Non la vedeva da tempo, non sapeva quali fossero i sentimenti che la legavano a lei o se permaneva solo il fastidio per quella famosa e dolorosa notte, la peggiore delle vite di tutti loro, che aveva scombussolato la loro realtà per come la conoscevano.
    Una cosa non esclude l'altra annunciò, quasi enigmatica, incrociando le braccia sotto al seno. So di avere la stoffa per diventare un'ottima auror, la migliore dell'accademia. La modestia non era nel suo dna e mai lo era stata, anche se conteneva l'egocentrismo molto di più e molto meglio di quanto sapeva fare Blake. Non me ne frega proprio niente di chi dice che non ne sono tagliata, che dovrei prima imparare a rispettare le regole. Come se loro non fossero mai stati ragazzini. Inoltre lei sa benissimo che non sono una che si fa comandare dagli altri. Disse, sollevando il mento, fiera. Fu solo in quel momento che i suoi occhi scuri poterono studiarla con completezza. Era abituata a vederla tirata a lucido; l'aveva sempre paragonata ad un temibile avvoltoio, con i suoi occhietti pronti ad avventarsi sulla preda. Ora certo, Kenna era decisamente più bella di un avvoltoio, ma il concetto si intendeva perfettamente. Pensavo che non l'avrei mai più rivista. Cambiò argomento, il tono pregno di sincera curiosità, prima di muovere qualche passo verso il centro della radura, dov'era abbandonato il suo zaino. Lo raccolse e se lo issò in spalla, tornando a guardare la donna che tempo addietro, aveva cercato di convincerla a mettere una museruola al suo istinto che le diceva di rischiare il tutto e per tutto. Vuole del the verde? Ho imparato a farlo da un tirocinante auror molto in gamba. Raccontò distrattamente, estraendo la bottiglietta dallo zaino, dopo aver aperto le sottili cinghie.
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    Kenna Ivonne MacEwen
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    Non era ormai un'insegnante da tre mesi e ascoltare, dopo tanto, quell'appellativo fu un dardo dritto al cuore per lei.
    «Non sono più una professoressa, Jessica». Sentiva la bocca secca, la gola bruciare quasi quanto il dolore che le provocava pensare alle cause del mancato rinnovo del suo contratto. «Ciò non toglie che tu debba continuare a darmi del lei», continuò cercando di mantenere un'aria greve fino a sorridere furbescamente. «No, scherzo. Ormai non c'è più alcun legame o vincolo lavorativo, puoi chiamarmi Kenna e darmi del tu», rivelò modulando la voce in tono leggermente più dolce ma non per questo meno rigido. Dopo tutto era ancora lontano il suo cambiamento e forse lì stava ancora mettendo un tassello dietro l'altro. «Però apprezzerei comunque un linguaggio forbito e non quello che sei solita usare coi tuoi compagni». Redarguirla era sempre meglio che trovarsi davanti ad un lessico osceno e intervallato da parole di dubbio gusto. «Ancora non ha compreso come va il mondo» si ritrovò a pensare quando l'altra se ne uscì con una domanda retorica capace di farle sollevare gli occhi al cielo.
    «Vedi Jessica» le indica una roccia da condividere, per poi andare a sedersi su una delle estremità. «Quella notte io volevo proteggere la tua vita e quella di tuo figlio, non darti contro per il mero gusto di farlo». Scioccamente pensava che le sue intenzioni fossero chiare, ma i ricordi di quella notte potevano essere distorti dalle proprie lenti di ingrandimento. I punti di vista, quello che era stato detto ma soprattutto quello che veniva recepito passava sempre sotto il filtro del proprio io, della propria morale e il proprio modus operandi. «E non sono mai stata arrabbiata, neanche per un momento» ci tenne a precisare, aggiungendo poi una chiosa a quel discorso che, per quanto le riguardava, si era concluso l'ultima notte di ottobre dell'anno precedente. «Non con te, almeno». Altre erano le donne che aveva messo nel mirino e se una era riuscita ad abbatterla l'altra dettava ancora legge nel suo castello dorato. Eppure se per lei c'era un punto per l'opale vi era ancora un punto e virgola, ovvero sottolineare come la sua intenzione fosse quella di proteggere ed aiutare i suoi amici. «Solo che sei ancora inesperta» decise di usare il presente proprio a voler sottolineare come la strada da fare fosse ancora lunga, che il margine di crescita non era sottile ma bello grande. «Volevi agira come un auror, ma hai dimenticato che stai ancora studiando per esserlo, che non possiedi ancora tutte le frecce della faretra, che stai ancora strutturando la tua ossatura». Il che era vero: Hidenstone ti preparava al futuro, il presente era ancora in divenire. Figurarsi il passato.
    «L'intento era nobile, ma chi avrebbe salvato te?» Non per nulla era stata salvata da adulti che si trovavano sull'isola per puro caso, non dai suoi stessi compagni impegnati su un altro fronte. Un momento karmatico, significativo, che sperava avesse eliminato i paraocchi che l'altra sfoggiava con grande orgoglio e che, a conti fatti, indossava ancora.
    Eppure la Whitemore aveva le idee ben chiare su quello che sarebbe voluta diventare da grande, il che le rendeva onore, un po' meno però per i modi con cui lo affermò.
    «Vedo che la modestia non ti manca», il tono ironico e tagliente tornò prepotentemente, spazzando quello più morbido, quasi materno, con cui si era interfacciata prima.
    «Tutti hanno le potenzialità Jessica, pochi hanno la perseveranza». E lei avrebbe avuto solo una potenzialità inespressa o sarebbe stata costante e lungimirante?
    «Lo sai che se vorrai entrare davvero a far parte degli auror dovrai seguire protocolli e regolamenti?» E quelli dei ministeriali erano infiniti, checché ne dicessero gli altri, accecati dalla brama del successo e della fama. «Quello che stai tratteggiando è il caos. Freya me ne sia testimone quando dico che è l'ultima cosa di cui ha bisogno il mondo in questo momento». Il caos era affascinante, ammaliatore come lo era la musica prodotta da un flauto per un serpente a sonagli. Se lo lasciavi entrare dentro di te finivi con il non essere padrone di niente, neanche della propria vita.
    Il bello della vita era scegliere, continuamente, porsi nuovi obiettivi e superarli. Un po' come aveva fatto lei scegliendo di rimanere a Denrise, di ridare una possibilità ad una vecchia attività e di costruire un nuovo capitolo su pagine bianche e ancora da scrivere. «E invece credo che ci vedremo spesso se scenderà fino al villaggio», la informò con un lieve sorriso. «Ho rimesso a nuovo la vecchia libreria con l'aggiunta di qualche modifica», la streghetta avrebbe potuto notare negli occhi della donna come fosse comparsa una luce diversa, felice, allegra. «Magari potresti venire con i suoi amici qualche fine settimana ed approfittare dell'aula studio, anche se dubito che vogliate farlo davvero. Ad ogni modo le porte del Leabharlann per te saranno sempre aperte». Come per qualsiasi altro studente avesse deciso di farle visita, anche solo per una chiacchierata. «Vada per il the verde», annuì alla sua proposta, sollevando un sopracciglio dubbioso nel sentire come fosse legato ad una figura di sesso maschile. «Immagino che non sia per lui che hai scelto questo percorso» le scappò senza riuscire a tenere a freno quell'osservazione, tenendo però per sé l'altra parte che completava la frase: «Almeno me lo auguro». Comunque cercò di recuperare allontanando lo spettro del pregiudizio nei confronti di un'allieva che tanto aveva fatto tra le quelle mura. «Piuttosto sono propensa a credere che hai riempito il tirocinante di una sfilza di domande infinite o sbaglio?»


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    Jessica Whitemore

    Non lo faceva per cattiveria, Jessica, ma chiamarla "professoressa" le veniva automatico, dopo che per due anni era stato quello il suo ruolo, anche se da molto non ascoltava una sua lezione.
    Inclinò la testa verso destra, come riflettendo su ciò che la donna le stava dicendo, cercando di studiare una risposta alle sue affermazioni. Alla fine sorrise sorniona e scosse il capo. Non credo che riuscirei facilmente a darle del tu e chiamarla "Kenna", indipendentemente dal suo ruolo ammise stringendosi nelle spalle e captando quanto suonasse strano il nome della donna sulla propria lingua. Non era la prima che le dava il permesso di usare il "tu" e chiamarla per nome, sebbene lei non lo ricordasse minimamente, ma l'effetto di quelle parole era sempre lo stesso: totale confusione. Per quanto fosse impertinente e strafottente nei confronti delle autorità, smettere di usare il "lei" non era mai stato tra i suoi pensieri e non era sicura che avrebbe iniziato ora.
    Mi scusi, egregia signorina McEwen sbuffò quindi, non chiedendosi nemmeno se fosse sposata o se non fosse troppo vecchia per darle della "signorina". Roteò gli occhi al cielo scendendo dall'albero e constatando quanto non fosse per nulla cambiata in quei mesi in cui non si erano viste a causa del di lei licenziamento.
    Quindi, seguendo prima il suo dito e poi l'ex docente stessa, si diresse verso la roccia, sedendosi all'estremità libera ed incrociando le braccia sotto al seno, ascoltando ciò che aveva da dire la donna. Lo so rispose, forse sorprendendo sia se stessa che l'altra, la quale certamente la riteneva ancora una stupida ed immatura ragazzina. In parte lo era, sicuro, ma molto meno di quando l'aveva conosciuta. So che voleva solo fare del bene, anche se ho fatto di testa mia, come sempre. E non è andata proprio bene, insomma stavo per morire... forse avrei dovuto ascoltarla. Insolita confessione per chi era andata avanti per mesi a cazzo duro, credendo di aver ragione su tutta la linea. La verità era che lei capiva perfettamente il punto di vista dell'altra, solo che era sempre stata troppo impulsiva. Ma quel giorno, in quella foresta che era stata teatro di tante cose assurde belle e brutte, poteva abbattere le proprie barriere e risultare più comprensiva. Non replicò subito alla donna, prendendo un profondo respiro per non protrarre all'infinito quella discussione che alla lunga sarebbe diventata sterile. Ha ragione, ho tempo per dimostrare le mie capacità in campo e sono certa che ci riuscirò annunciò con ben poca umiltà, pensando davvero al fatto che sarebbe stata una delle migliori, al Ministero.
    Beh per fortuna è andata bene. Non so esattamente a chi debba la vita, però sono stata salvata. Anche se il professor Salvatore ha tentato di finire il lavoro iniziato dal Malboro commentò con disinvoltura, come se quella fosse stata solo una scampagnata e non un'esperienza mortale. Ma sono qui. Lo devo anche al fratello di Mia e a Skyler con le sue cure, poi non ricordo molto. Il piede destro fu sollevato per appoggiarsi alla dura roccia, il palmo a reggere la testa, lo sguardo perso per quella foresta teatro di atrocità.
    La modestia non ha mai fatto parte di me... comunque lo so benissimo che dovrò seguire delle regole, almeno finché non divento Capo di una squadra mia. Sarebbe un sogno. E la fermo subito prima che possa contestare... lo so che anche in quel caso non potrà regnare l'anarchia fece una pausa, ravviandosi i capelli con la mancina. Ma perché diavolo siete tutti convinti che solo perché uno si comporta in un determinato modo a scuola, non sarà in grado di seguire le regole fuori? Domandò piccata, innervosita da quella costante mancanza di fiducia, sebbene la capisse perfettamente. Lei le regole le sapeva seguire, se esse servivano per uno scopo superiore.
    Solo quando il discorso variò, virando su un qualcosa di più leggero, le iridi della giovane si illuminarono, scoprendo lo stesso riflesso in quelle di lei, quindi si voltò a guardarla. Ma questa è una notizia fantastica ammise con sincerità, incuriosita dalla novità. Verremo senz'altro. Effettivamente non so se studieremo ma... ridacchiò prima di proseguire, iniziando a frugare nello zaino. Sarebbe un piacere passare a trovarla e comprare qualcosina... sono sicura che tutti sarebbero felice di rivederla, le cose non sono molto cambiate da quando se n'è andata aggiunse a mo' di aggiornamento, anche se invero nessuno glielo aveva specificatamente chiesto. Alla fine, tirò fuori la borraccia di thé verde che aveva portato. Glielo porse. Come? No, non ho scelto questo percorso per lui. Si affrettò a confermare, anche se Sam sarebbe stato di sicuro un piacevole input nel proseguire quella carriera che tanto apprezzava. È solo un caso che sia un tirocinante auror, avrei scelto il percorso in ogni caso... solo che così avrò un aiuto in più. Un'altra pausa mentre un calmo silenzio invadeva la piccola radura dove le due si trovavano in quel momento, prima che la chiacchierona corvina, lo spezzasse. Non troppo, in realtà. Mi ha salvata da una caduta che bene non mi avrebbe fatto, vede... ero arrampicata più o meno a quell'altezza e non avevo la bacchetta indicò un ramo di un albero a parecchi metri da terra. Certamente non era lo stesso, ma era giusto perché capisse a quanto si trovasse. Poi l'ho dipinto, so dipingere lo sa? E nel dirlo, tirò fuori il foglio che ormai portava sempre con sé con un'immagine di Samuel così somigliante, che avrebbe quasi potuto sembrare una foto. Ormai non si vergognava più a dire in giro della sua abilità nella pittura, iniziando quasi a vantarsene. Poi ci siamo arrampicati su un albero altissimo, abbiamo mangiato una mela e... conservato i semi con la promessa di piantarlo ognuno nel proprio giardino in segno di promessa di un legame nascente le spiegò senza che lei le avesse chiesto proprio niente, ma come al solito non le importava che le chiedessero le cose, per dirle.
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