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24 marzo - Mia&Lancelot

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    Era da ore che sentiva lo stomaco accartocciato e la sua mente non riusciva a focalizzarsi per più di qualche istante su qualcosa. Sapeva che Lancelot era, tra i suoi professori, probabilmente uno dei più gentili e alla mano che avesse avuto modo di conoscere, eppure sapere che doveva parlarle l’aveva agitata probabilmente più del dovuto. Sapeva che la storia di Mark stava avendo una risonanza anche peggiore di quanto si aspettasse, la sua espulsione era solo l’ultima fase di un processo che si era rivelato inarrestabile. Quando quella storia era cominciata non pensava certo che sarebbe finita così, si era resa conto troppo tardi di non avere alcun controllo, alcun potere per frenare lo scorrere degli eventi. Troppe persone coinvolte, troppi eventi tutti assieme… Sapeva che non era solamente colpa sua, Mark si era impegnato per provocare quell’uragano che si era abbattuto direttamente su di lui, sapeva che per lo più era stato lui la causa dei suoi guai ma non poteva non pensare che se fosse stata zitta tutto quello non sarebbe successo.
    Sapeva di aver parlato per necessità, non certo capriccio, eppure non poteva fare a meno di domandarsi se non avesse potuto continuare a stare zitta, se avesse potuto far passare in sordina anche quella parte di sé probabilmente sarebbe stato meglio per tutti. Aveva paura che la storia di Mark avesse in qualche modo indisposto i docenti anche nei suoi confronti, non aveva idea di che cosa sapessero di preciso ma sospettava che bastasse qualche voce o qualche dettaglio superficiale per sospendere uno studente. Si rendeva conto da sola che non avrebbero potuto ignorare la faccenda, e sapeva anche che Blake non era uno che sapeva stare in silenzio in quei casi e ne aveva avuto una prova anche con Cameron e quel che l’amico gli aveva detto senza troppi problemi.
    Ormai si rendeva conto da sola che era troppo tardi per tornare indietro, infondo era meglio Lancelot che qualcun altro no? O forse voleva dirle qualcos’altro? Oddio, poteva anche aver fatto male qualche compito o risposto male a lezione, nel’ultimo periodo era abbastanza distratta ma aveva provato davvero ad essere presente a sé stessa, a non perdersi troppo nonostante stesse vivendo un periodo della sua vita davvero complicato. Era più stanca e meno concretata del solito, si sentiva provata da tutta quella situazione e come se non bastasse anche evitare Cameron era difficile. Si era davvero fidata di lui, e se ne era accorta solo quando era stato ormai troppo tardi. Ora continuava a chiedersi quanto si fosse illusa davvero e paga lo scotto di tutta quella fiducia mal riposta.
    Lancelot l’aveva avvicinata a colazione, chiedendole di poterle parlare, e da quel momento aveva provato a trovare una qualsiasi scusa per posticipare quel momento il più possibile. Era agitata, molto probabilmente anche più del dovuto: non si trattava del Professor Ensor, lui le metteva angoscia con una sola occhiata. Il professor Olwen era sempre stato molto più gentile e accomodante, la metteva a suo agio e faticava a comprendere da dove venisse quell’angoscia. Era chiaramente una questione per lo più mentale, si rendeva conto che tutta quella situazione la stava davvero distruggendo su tutti i piani.
    Alla fine non riuscì a trovare nessuna altra scusa valida e alla fine si arrese, decidendosi a raggiungere Lancelot e tagliare la testa al torto. Le sarebbe dispiaciuto deluderlo oppure ricevere da lui chissà quale punizione, Mia tendeva ad essere sempre attenta all’opinione che le persone avevano di lei e soprattutto in ambito scolastico non si era mai perdonata nessun genere di sgarro. Forse era per questo che era preoccupata, perché ormai le sembrava che la scuola fosse l’unica cosa che le era rimasta e non poteva rovinare anche quello: aveva promesso a sé stessa ma anche al fratello di impegnarsi e non voleva che quella faccenda, oltre alla sua salute mentale, ledesse anche il suo rendimento, non se lo sarebbe mai perdonata.
    Dopo aver preso un profondo respiro ed essersi sistemata l’uniforme alla fine si decise a bussare alla porta, trattenendo il respiro per qualche istante.
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    'Oh... così... no, così...'
    Era stato lui a fare il primo passo, eppure era anche quello più allarmato, anzi, direttamente nel panico 'Forse il tè è scortese? Magari era meglio una tisana? O forse metto le bustine e faccio scegliere a lei? Ma le volevo far provare qualche mix carino sfuso...' era stato lui quella mattina ad avvicinare la giovane, a metterle una mano sulla spalla e chiederle col suo sorriso più gentile di raggiungerlo nel suo studio nel pomeriggio; lo aveva fatto dopo giorni - settimane! - di dubbi e ansie, di ripensamenti e sensi di colpa, perché, in fondo, nonostante tutto, nonostante sé stesso e quanto ci tenesse, non sapeva davvero come fare e come non sbagliare. E peggio, non voleva parlarne con nessuno, per conservare un diritto alla discrezione per la giovane, diritto quantomeno leso, se non proprio sbrindellato.
    'Magari è meglio se sceglie leì: sì!' decise lui perentorio, posando sulla sua scrivania una teiera bollente e poi una ciotolina in porcellana con sopra incise alcune rune, ove posò molte bustine di té e tisane Gli uomini hanno deciso fin troppe cose per lei: oggi è giusto che scelga tutto lei'
    Posizionò su un vassoio in argento dei pasticcini e dei biscottini ordinati appositamente da un pasticcere francese per la giovane, poi, alla fine, bene o male, si acquietò al proprio posto, iniziando a correggere dei compiti, salvo poi balzare in piedi per sistemare quella cosa, rimettere a posto il violino che ora non lo convinceva più se esposto, oppure controllare morbosamente se l'acqua fosse bella bollente.
    Ci volle un po', quindi il ragazzo ebbe ampio modo di disagiare liberamente, del resto non aveva forzato Mia ad un orario, aveva lasciato a lei libertà, sperando che alla fine non si negasse al suo capocasata 'E se lo fa... cosa faccio, la richiamo?' la sola idea lo fece raggelare, sicché, su quella sedia, paralizzato dalla paura, pregò vivamente di non doversi porre ancora quella domanda.
    'Oh, grazie al cielo, a Merlino e a tutto il pantheon norreno!' quando sentì alla sua porta bussare, presso il suo studio, fu quindi un gran sollievo, tanto che istantaneamente si alzò "Entra pure, Mia" disse lui con dolcezza, stampandosi il suo sorriso patinato ad accogliere l'altra nella maniera più solare possibile.
    "Chiudi pure la porta Mia... e grazie per essere venuta... posso offrirti un tè? Ho messo a tua disposizione diverse varietà: scegli quella che preferisci, così come per i biscottini e i pasticcini"
    Era stato tanto agitato, eppure una parte di lui, magicamente, si era animata nel vedere la ragazza, forse perché in fondo era più bravo a fingere sicurezza che a provarla davvero: era il panico da palcoscenico, e lui lo aveva percorso più e più volte.
    Tornò a sedersi, più padrone della situazione di quanto avrebbe mai potuto chiedere, nonostante sapesse di non essere normale 'Fa... caldo...' era sudato, agitato, infatti era contento di indossare solo una camicia verde chiaro in cotone con sotto dei pantaloni bianchi nel medesimo tessuto, traspiranti e leggeri: il cuore gli batteva all'impazzava e la sua testa era ovattata, al punto che a malapena sentiva le sue parole.
    "Ho... ho pensato a lungo a se e come parlartene... la mia porta è sempre aperta per voi, lo sapete, e volevo... volevo che fossi tu, nel caso, a varcarla, quando avessi reputato fosse giunto il momento" il che, implicava che forse quel momento fosse giunto troppo tardi, visto che in effetti l'aveva convocata 'Auch!' non si era espresso come voleva, ma ormai era in ballo e doveva andare avanti.
    Inclinò un dolce sorriso, poi prese il fiato "Mark Wright è stato espulso e non metterà mai più piede in questo posto e non potrà mai più toccarti, almeno in qualsiasi posto in cui noi abbiamo controllo" rimase immobile, osservando la ragazza, ma sentendo da solo di poter impallidire "Sappiamo... anzi, so, che siamo arrivati troppo tardi, ma... volevo che lo sapessi anche ufficialmente e... avessi un posto dove parlarne... se vuoi" il tono era partito abbastanza convinto, ma si era via via fatto lieve, esitante, fino a diventare quasi un sussurro, soprattutto di fronte a quegli occhi azzurri e gentili, ora velati da una grande tristezza per la ragazzina che aveva davanti e dei cui drammi non sapeva neanche da che parte partire.
     
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    Mia era sempre stata una studentessa modello, per tanto non aveva mai avuto nessun tipo di punizione e non era mai stata ripresa da un professore. In genere stava ben attenta a seguire le regole, a rispettare le indicazioni alla lettera e ad essere sempre diligente e impeccabile. Lo faceva per sé stessa, certo, ma anche perché detestava l’idea di poter deludere Charles, di portargli qualche pensiero di troppo o convincerlo che non fosse la sorella che lui aveva provato a crescere. Si era sempre impegnata per non fare un torto a nessuno, nemmeno a sé stessa e ai suoi elevati standard, e ora non aveva la benché minima idea di come interpretare quella chiamata.
    Per come lei era abituata a trattare sé stessa, anche solo essere stata richiamata da Lancelot era uno smacco alla sua condotta, segno che non era stata abbastanza brava negli ultimi tempi, non tanto quanto avrebbe dovuto. Si era imposta di mantenere la concentrazione, di tenere un rendimento costante, di prendere sei bei voti e continuare a studiare ma doveva ammettere che con tutto quello che stava succedendo studiare stava diventando stranamente difficile, la sua concentrazione durava sempre meno e tutto ciò che avrebbe voluto era prendersi una vacanza da Hidenstone, andare via per un po’ e non pensare più a niente.
    Erano i sensi di colpa la cosa peggiore, insieme alla mancanza di sollievo che aveva provato nel momento in cui aveva saputo dell’espulsione di Mark. Era chiaro che ne fosse stata informata, nella sua testa in quei giorni a scuola non si parlava d’altro –e poco importava che non fosse così, era talmente tanto immersa in quel mondo che ormai non riusciva più a vedere che c’era anche ben altro al di fuori- e la voce era arrivata anche alle sue orecchie. Si sarebbe aspettata di provare una gioia immensa, di sentirsi rinata, e invece si era resa conto che gran parte dei suoi problemi rimanevano. Certo, per la prima volta dopo un tempo infinito avrebbe potuto smetterla di preoccuparsi che qualcuno la avvicinasse e cercasse di metterle le mani addosso, che tornasse a diffondere chissà che cosa sul suo conto, ma negli ultimi tempi erano successe così tante cose che Mark non era più il suo unico problema. Aveva perso Cam, e si era resa conto di essersi affezionata quando era già troppo tardi, non era ancora sicura di chi potesse considerare un amico o meno e non aveva nemmeno il coraggio di cercare qualcuno con cui sfogarsi. Chi avrebbe potuto chiamare? Jessica era stata coinvolta in quella storia anche fin troppo, aveva scatenato Lilith contro Blake quando erano alla riserva ed era abbastanza sicura di aver combinato un disastro anche con loro, non poteva dire tutto a suo fratello perché sarebbe impazzito… non avrebbe saputo cosa altro fare.
    Non aveva preso in considerazione di andare da qualcuno dei docenti perché si era rifiutata di accettare che quella questione fosse diventata così tanto grande da parlarne anche con loro. Dovevano sapere tutto ormai, questo era ovvio, o non avrebbero sospeso Mark, eppure finchè non gliene parlava in prima persona poteva ancora illudersi che quella faccenda avesse dimensioni contenute, no?
    Sospirò piano e non appena la voce di Lancelot la raggiunse da dietro la porta si convinse a superare la soglia ed entrare nella stanza. Ormai era fatta, non poteva più tornare indietro. La stanza si presentò più rassicurante e accogliente di quanto temesse: l’aria era calda, vagamente umida, e trovò il tavolo imbandito, tè, tisane, dolcetti vari disposti con ordine. Le venne istintivo domandarsi se davvero il Prof. Olwen avesse fatto tutto quello proprio per lei: non si aspettava di certo un trattamento di quel tipo, non era abituata a ricevere così tante attenzioni e non credeva che proprio lui si sarebbe impegnato tanto. Quindi non l’aveva chiamata per riprenderla?
    “La ringrazio…” rispose istintivamente, chiudendo con cura e delicatezza la porta dietro di sé e avvicinandosi al tavolo. Non aveva per niente fame, era giorni che mangiava solo perché sapeva di non poterne fare a meno, ma non voleva apparire scortese e un tè non si poteva mai negare a nessuno. Si sedette e si sforzò di accennare un sorriso, fosse anche solo per ringraziamento. “Un tisana alla camomilla andrà benissimo, grazie davvero.” replicò con dolcezza, scegliendone una e immergendo poi il filtro nella tazza piena di acqua bollente. In qualche modo quell’atmosfera e la gentilezza di Lancelot erano già bastate a tranquillizzarla, almeno in parte.
    Alzò lo sguardo dalla tazza per puntare i suoi occhi azzurri in quelli del docente e cominciò a capire le motivazioni di quella chiamata solo in quel momento. Poteva sembrare sciocca, probabilmente lo era davvero, ma temeva che i toni sarebbero stati ben diversi, che l’avrebbe accusata di non aver agito in tempo e di aver contribuito ad ingigantire qualcosa che, se affrontato subito, forse non sarebbe stato così doloroso anche per gli altri. Annuì piano e sospirò flebilmente, provando a mettere in ordini i pensieri. Era difficile, ultimamente non riusciva a dormire quanto e come avrebbe voluto e aveva cominciato a chiudersi nella sua bolla di silenzio e isolamento, tanto che non era più così abituata a parlare con le persone. Fu grata a Olwen, infinitamente, per la delicatezza con la quale aveva toccato l’argomento e perché si stava mostrando estremamente gentile in quel momento. Non si era nemmeno resa conto di aver bisogno di quel tipo di comprensione. “Io… sono davvero grata per questa possibilità. Avrei tanto voluto che questa situazione non diventasse così grossa e non coinvolgesse anche altre persone…” ammise, provando a mantenere un tono di voce fermo per quanto flebile.

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    Lancelot OlwenDocente di Rune
    'Non sarà... semplice...' lo sapeva, lo immaginava, ma allo stesso tempo sapeva di non tirarsi indietro: avrebbe potuto non dirle niente o lasciare quel compito a Victoria o Samuel, ma un parte di lui sapeva come dovesse essere lui, come se non lo avesse fatto mai se lo sarebbe perdonato 'E' sotto la mia responsabilità... l'ho già ignorata una volta... non posso continuare così'
    Ovviamente non aveva mai ignorato Mia: aveva trattato la ragazzina come tutte le altre sue studentesse e i suoi studenti, tuttavia non aveva per nulla avuto sentore del suo dramma e della tragedia che stava incombendo nella sua vita: quello per lui era stato ignorarla, non esserci. E reputava suo dovere porvi rimedio.
    La vide entrare un po' incerta, ringraziandolo persino, confusa da tutte quelle attenzioni, sicuramente atipiche rispetto all'essere convocati da un docente.
    La fece sedere e sorrise quando volle una camomilla "Prego, serviti pure" chiarì ancora lui, un po' sudato, emozionato, cercando di mantenere quella compostezza tipica degli Olwen, forgiata dal fuoco di mille esibizioni da bambino in pubblico e ancora più feste di gala in età ove l'unica cosa che si voleva era giocare con il proprio cugino e la propria gemella a nascondino per il maniero.
    Ricambiò lo sforzo di sorridere, quindi parlò.
    Si era ovviamente preparato un discorso e in effetti un po' il canovaccio lo seguì anche, ma stava dicendo cose troppo importanti, troppo profonde, per avere un discorso preimpostato: l'emotività prese il sopravvento e tutto quello che egli poté fare fu scusarsi accoratamente, cercando di far capire alla ragazza come sapessero di aver sbagliato, ma fossero lì, pronti a rimediare.
    Li avrebbe perdonati, anzi, lo avrebbe perdonato? Gli avrebbe creduto, avrebbe accettato la sua offerta?
    Erano tutte domande complesse, importanti, e il povero Lancelot non poté che attendere il verdetto col fiato sospeso 'Spero... non sia troppo tardi' cosa che in vero ci auguravamo anche noi, visto che lui era davvero in apnea ed un troppo esitare della biondina lo avrebbe fatto divenire presto un accolito del Grande Puffo (?).
    Alla ragazza ci volle un po' per riorganizzare le idee: era una domanda complessa, in un discorso ancora più complicato, quindi neanche la risposta poteva essere semplice, al netto dei tormentati sonni di Mia. Alla fine, comunque, ella salvò dall'asfissia il docente: lo ringraziò per l'interessamento, ammettendo come tutta la situazione le fosse probabilmente sfuggita di mano.
    'Come fai ad essere grata...?' al solo sentirle usare quel termine, lo stomaco di Lancelot si serrò. Aveva scelto un earl grey classico, che aveva sorseggiato un po' lungo il tempo, ma che a quel punto decise di abbandonare sulla cattedra, così come pasticcini e dolcini vari, avendo quasi la nausea 'Noi dovevamo salvarti. Questo è ben sotto al minimo!' eppure lei sapeva solo essere grata e, perché no, un po' imbarazzata per la situazione.
    "Penso che tu questa situazione proprio non la volessi" rispose di getto, quasi duro, serrando un pugno, quasi graffiando la scrivania nel farlo "Così come penso avresti evitato volentieri di essere coinvolta da altre persone in questo... incubo!"
    Lo disse con rabbia, molta, fissando la ragazza con occhi dardeggianti, indignato, ma certo non con lei "Penso te lo abbiano detto anche i muri... o almeno lo spero... ma, Mia, ricordatelo sempre: tu, in questa situazione, non hai nessuna colpa" affermò lui, chiaro, cristallino, scandendo attentamente quella vitale parola "La colpa è solo ed esclusivamente di quella persona che ora non c'è più... e al massimo di tutti noi per non averlo saputo impedire, ma tu - Mia - non pensare mai, neanche per un istante, che qualsiasi risvolto di questa vicenda sia colpa tua..."
    Avrebbe detto altro, ma si rese conto da solo di essere partito per la tangente. Schiuse la bocca, serrò i denti e richiuse del tutto le labbra, scotendo poi la testa e rimanendo lì, in ascolto, per lei.
     
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    Mia non poteva nemmeno lontanamente immaginare il conflitto interiore che Lancelot stava combattendo. Non si immaginava il suo senso di colpa, le sarebbe dispiaciuto sapere che cosa stava passando: era chiaro che non fosse colpa sua, lei per prima avrebbe potuto cercare il suo conforto molto prima, avrebbe potuto provare ad andare a parlargli ma un po’ per timidezza, un po’ perché cercava di essere sempre quella forte, aveva evitato di farlo. Si rendeva conto da sola di aver sbagliato, ma l’ultima cosa che poteva fare era accusare qualcun altri per i propri errori, ancora meno accusare qualcuno come Lance che si stava davvero mostrando gentile con lei.
    Non si aspettava quel trattamento, e fu costretta ad ammettere di essersi preoccupata fin troppo per un incontro che invece era evidentemente più tranquillo del previsto. Certo, pur tornando indietro dubitava che sarebbe mai stata capace di prevedere un risvolto simile: non credeva che l’avesse davvero chiamata nel suo studio per parlare di Mark, e ancora meno credeva che si sarebbe dimostrato così gentile e disponibile nei suoi confronti.
    L’ultima cosa che voleva era fare pena a qualcuno: sapeva di non essere una santa, di avere anche lei le sue responsabilità in quella faccenda e di non potersi dire del tutto innocente. Mia aveva permesso a Mark di farle del male, si diceva spesso che avrebbe dovuto essere più sulla difensiva, impedirgli di approfittarsene come invece aveva fatto, e sapeva che avrebbe dovuto comunque essere più attenta in futuro. La storia con Cameron la diceva già lunga su quanto ancora adesso facesse fatica a trattenersi quanto avrebbe dovuto.
    In ogni caso l’ultima cosa che voleva era che le persone pensassero che lei fosse solamente la vittima indifesa, infondo era responsabile almeno in parte di quel che era successo, o almeno nella sua testa era così. Non si era andata a cercare la violenza in sé, non aveva chiesto che Mark se ne approfittasse di lei ovviamente, ma era stata abbastanza sciocca da dipingere quel ragazzo come una persona ben migliore di quanto non fosse ed era chiaro che quell’errore non potesse venire cancellato solo perché lei era diventata la vittima.
    Sospirò piano alle parole di Lancelot ma cercò di rimanere calma e razionale come suo solito. Non era andato lì per scoppiare a piangere davanti a qualcuno ma pensava che un confronto avrebbe potuto farle bene, dopotutto non aveva mai parlato ad alta voce di quella faccenda, o almeno aveva confessato fin troppo negli ultimi tempi ma non aveva mai avuto modo di approfondire troppo il discorso. Sussultò comunque leggermente alla reazione così improvvisa di Lance, provando a convincersi che la sua rabbia non fosse rivolta contro di lei ma contro la situazione stessa. Lancelot era sempre stato un docente gentile e accomodante, non riusciva a vederlo come minaccioso, ma in quel momento si sentiva così fragile ed esposta che cercò comunque di mettersi sulla difensiva.
    “Io… non sto dicendo di aver cercato tutto questo, era ovvio che non lo volessi. Ma ho fatto degli errori di valutazione, almeno all’inizio, e nessuno mi ha trascinata in questa faccenda senza che io per prima facessi il primo passo.” provò a spiegare anche se non era sicura di aver scelto le parole giuste. Alzò lentamente lo sguardo verso il professore. “Non ne ho mai parlato con nessuno, come avreste potuto saperlo?” sussurrò piano, e forse quella era un’altra delle cose per cui si sentiva più colpevole: non aveva parlato, se lo avesse fatto prima forse avrebbe evitato che anche Jessica venisse coinvolta in tutto quello, forse le cose sarebbero andate diversamente.
    Non voleva che Olwen pensasse che si considerasse solo colpevole, era arrivata al punto di capire –almeno in parte- che Mark aveva sbagliato ma forse aveva avuto ancora troppo poco tempo per elaborare il tutto fino infondo. Sorseggiò la sua camomilla ma si rese conto di non sapere bene che cosa dire, aveva taciuto tutto quello per così tanto che ormai si era abituata a non parlarne più di tanto e non aveva idea di che cos’altro aggiungere. Dopotutto quella faccenda si era ingrandita parecchio, che cos’altro avrebbe potuto mai dire in merito?


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    Non si era aspettato un pomeriggio semplice, ovviamente, sapeva sarebbe stato tremendo, specialmente per uno emotivo come lui (tra i tre Olwen era decisamente quello dal rubinetto facile, e lo sapevano benissimo tutti); si era aspettato rabbia, odio, disperazione, dolore, ansia, paura. Si era aspettato di tutto, in vero, da un Blake urlante che spuntava dalla porta e detonava ad un Cameron che si arrampicava dalla finestra e diceva a random cattiverie, passando per ottomila altre possibilità, tuttavia (scioccamente in vero) non si era atteso condiscendenza e senso di colpa.
    Fu per quello che nel sentir parlare la biondina rimase quasi immobilizzato, incapace di bere il proprio tè o dire o fare qualsiasi altra cosa. Rimase lì, fermo, con la bocca lievemente schiusa, sentendo la giovane ametrina parlare di quanto fosse successo e di come, in fondo, lei sentisse il bisogno di scusarsi.
    Fu il suo turno a quel punto arrabbiarsi, un poco; scaldarsi almeno. Lo fece e rivendicò per lei - per tutte le persone in vero - il diritto all'essere vittima, al non sentirsi in colpa per qualcosa che era successo senza che loro lo volessero e che non sarebbe mai dovuto succedere. Lo fece perché doveva, ma anche perché pensava fosse necessario 'Mai... MAI E POI MAI dovrai sentirti carnefice di questa situazione, Mia. MAI!'
    Non lo disse con quelle parole, fu in vero più aulico, più Olwen, e forse anche per questo non fu abbastanza incisivo, così come non lo fu, forse, nelle sue scuse, anche se in quello si scoprì più comprensivo 'Non lo sapevamo, ma avremmo dovuto' ma era anche vero che lui era ben lungi dai deliri di onnipotenza del cugino e della gemella, sicché comprendeva perfettamente il perché di quella fallacia.
    "Mia... è possibile che tu abbia chiuso un occhio o anche due su certi aspetti di Mark... che abbia commesso degli errori di valutazione, ma... sbagliare è umano, e il fatto che tu abbia sbagliato non giustifica in nessuna maniera il suo gesto. Niente lo può fare, e questo ti deve essere ben chiaro"
    Sospirò, rifletté un secondo, tamburellando con le dita un motivo di valzer sulla tazza "Pensa a Cora Delaine e alla strega Naga. Ti sei mai chiesta perché, tra tante cose orribili fatte, la Delaine ci ha tenuto a far presente che non voleva fare del male a nessuno e ha fatto di tutto perché non succedesse?" era una domanda retorica, ovviamente, visto che avrebbe risposto lui stesso "Perché i suoi... ideali, la sua manifestazione illegale... potevano avere in un senso malato una logica... ma nulla avrebbe mai perdonato il fatto che lei per quella logica avesse ferito qualcuno. Questo perché le motivazioni, le situazioni, possono spiegare i fatti, possono anche spingere al perdono... ma non possono assolvere, non possono giustificare fino in fondo. E se questo vale per una terrorista fanatica, vale anche per Mark, per Blake e per tutti noi."
    Finalmente le sue dita terminarono il loro agire e lui osservò la giovane, chinando il capo in senso di assenso "Potrai avrer commesso tutti gli errori del mondo, potresti persino avergli detto sì, ma questo non conta: lui non doveva farlo e risponderà per quello che ha fatto e NESSUNO ti deve tirar di mezzo in questo, salvo chiederti se lo ha davvero fatto. E basta"
    Strinse la tazza, quindi bevve un qualche sorso, quasi ustionandosi la lingua. Sgranò lo sguardo e la posò un po' scioccato dalla sua scemenza. Attese un istante, poi tornò a parlare "Hai parlato con uno psicologo? Hai pensato... se vuoi una pausa dalla scuola o... c'è qualcosa che possiamo fare per te?" chiese poi con un tono di voce flebile, fragile, dolce, come era lui e come era Mia.
     
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    Se c’era una cosa che Mia aveva sempre cercato di evitare era diventare una vittima. Per quante angherie avesse subito nella sua breve vita, per quante situazioni assurde si fosse ritrovata a vivere e subire, aveva sempre cercato di non pesare su nessuno, di non lamentarsi troppo, cercando di ricordarsi che c’erano persone che stavano certamente ben peggio di lei. Non aveva alcun dubbio in merito nemmeno in quel momento, per quanto la sua situazione potesse essere di fatto complicata, era certa che ci fossero molte altre ragazze che vivevano esperienze ben peggiori della sua, per questo non riteneva giusto piangersi addosso o lamentarsi.
    Aveva comunque impiegato parecchio per raggiungere quell’obbiettivo, Mia rimaneva una ragazza piuttosto giovane, parlare di certe cose senza scoppiare in lacrime non era così semplice eppure mettersi a nudo e mostrarsi fragile le era ancora più difficile. Non per niente Mia si reputava molto più brava ad ascoltare i problemi degli altri e provare ad aiutare piuttosto che parlare di sé stessa, aprirsi in prima persona e mettendosi a nudo, scoprendo i suoi nervi più sensibili.
    Se non altro fu sollevata all’idea che Lancelot non la considerasse una Santa, per qualche ragione era confortante pensare che avesse una visione più o meno “razionale” di tutta quella faccenda. Mia voleva solamente evitare di passare per la vittima casta e pura, quando si era infilata lei per prima in quella situazione: non aveva idea del perché fosse così importante che gli altri lo sapessero, ma le sembrava di sentirsi già un po’ leggera.
    Aveva commesso degli errori di valutazione, era sicura che se fosse stata più attenta Mark non avrebbe potuto trascinarla in quel casino, se fosse stata più accorta di certo tutto quello non sarebbe successo. Se non altro l’esempio di Lancelot risultò attraente, per la ragazza, e abbastanza interessante da portarla ad ascoltarlo, seguendo attentamente i vari passaggi. Aveva ragione, su questo non aveva dubbi, e quando Mia si ritrovò ad annuire lo fece perché aveva capito davvero che cosa volesse dire e sentì addirittura la morsa allo stomaco allentarsi almeno un po’. Sorseggiò piano il the, leggermente più calma. “Io…capisco quello che vuole dire. E mi rendo conto che probabilmente ha ragione.” ammise piano, un pochino più oggettiva di poco prima. Nessuno la stava sollevando da ogni colpa, eppure aveva capito di poter essere vittima e colpevole al tempo stesso, di non doversi addossare ogni singolo lato negativo dell’accaduto.
    Mark rimaneva un carnefice, se faticava a pensarlo come tale con sé stessa sapeva che lo era stato con Jessica, si sentiva davvero in colpa per quello, tanto che non riusciva a parlarle ancora come prima e temeva che non sarebbe più stata capace di farlo. Sapeva che Mark non aveva avuto il tempo e il modo per farle troppo male, ma già solo quello che aveva vissuto era abbastanza per provocare un trauma.
    “Mi piacerebbe che tutto questo non fosse successo. Pensavo che, appartenendo al passato, fosse una storia chiusa e invece non lo era.” ammise semplicemente, guardandolo da sotto le ciglia bionde per poi sorridere appena, vedendolo così gentile e impacciato da farle quasi tenerezza. Lancelot era un adulto, certo, e Mia lo rispettava in tutto e per tutto, ma le sembrava così impacciato in alcuni momenti da perdere parte della sua aura da persona autorevole –sempre che ne avesse una, di certo aveva una presenza ben diversa da quella di persone come Ensor, che tanto incutevano la ragazza- e sembrare molto più umano.
    Scosse piano la testa poi, quando le propose uno psicologo. “Mi piace studiare, mi tiene impegnata, e non vorrei lasciare la scuola adesso se possibile. Non ho ancora parlato con uno psicologo ma penso che lo farò presto e…per ora sto bene, davvero. Vorrei solo un po’ di pace, tutto qui. Mi trovo bene ad Hidenstone e vorrei far preoccupare mio fratello il meno possibile.” spiegò con calma.



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    Lancelot OlwenDocente di Rune
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    Se lo disse per rincuorarsi, certo, ma anche per fare una cosa terribilmente classista, ma anche efficace, che era regolare il proprio tono all'altro, in base alla sua impostazione culturale e alla situazione nel senso più lato del termine. Con la ragazza, nonostante la tenera età avrebbe suggerito un approccio più soft, dunque, Lance decise di comportarsi come se avesse davanti un'adulta, una strega che sapeva il fatto suo e che poteva comprendere anche discorsi complessi.
    Scelse un'immagine forte, estrema, lontana, convinto che ella avrebbe capito ciò che intendeva, e così infatti fu, cosa che gli stappò un piccolo sorriso, oltre ad un cenno della testa, nonché il consueto ruotare della tazza che lo caratterizzava ogni volta che si agitava.
    Parlò molto, quindi lasciò a lei il suo spazio per esprimersi e ragionare, lasciandola ammettere come sperava che tutto ciò potesse rimanere relegato nel passato 'Certe ferite, mia cara, non sono fatte per rimarginarsi...' e lui, che aveva ancora nelle orecchie i lamenti di suo cugino, ben lo sapeva 'Se non l'ho fatto io... non lo potrà certo fare lei... con tutto quello che le è successo'
    Certo, ma cos'era successo a Mia Freeman?
    La ragazza forse si incolpava troppo, ma sembrava aver trovato una sua parvenza di equilibrio, sembrava almeno sapere cosa volesse fare (scuola, uno psicologo forse?), il che era in vero già tanto 'E' il segno che sta reagendo, che non è prigioniera della paura' e più ci pensava, più si chiedeva di cosa si stupisse 'Suo fratello... è un lycan no? E lei... è scappata di casa con lui, per stare con il suo amato fratello, e scappando da una famiglia pazza e tossica...' non era proprio certo di star richiamando davvero la storia della ragazza (i ragazzi di Hidenstone erano davvero complicati...) ma ne era abbastanza sicuro da sentire un nuovo sentimento sorgere e riempirgli il cuore 'Lei non si spezzerà per così poco: è una donna forte'
    Quel sentimento era orgoglio, un orgoglio profondo e dolce, di chi vedeva qualcuno di così giovane che dimostrava una forza che tanti adulti potevano solo sognarsi la notte 'Ciao Aaron Barnes' disse lui con un po' di crudeltà, carezzando poi il suo smartphone "Sono sicuro che l'infermiere possa fornirti il nome di uno psicologo e io, dal canto mio, come tuo capocasata e fidanzato di una splendida medimaga... penso di poter muovere altri contatti" propose con un sorriso gentile "So che... in vero non lo so se vuoi affrontare questo da sola o pensi ti serva aiuto, ma in ogni caso... non sono percorsi da fare da soli" concesse lui, annuendo a sé stesso "Posso non essere io la persona giusta, forse nessuno di questa scuola, ma penso sia comunque importante che tu ne parli con qualcuno... anche solo per riordinare le idee... o parlare con qualcuno che non ti conosce ed è obbligato a non rivelare a nessuno - per nessuna ragione al mondo - quello che vi siete detti"
    Il suo era il classico sorriso di Lance, quello gentile ed inscalfibile, da vero Olwen, generoso e dorato "Lo potremmo far venire a scuola se vuoi, così non perderai tempo e non lascerai questo posto..." propose ancora con un occhiolino "Mi permetti di fare questa chiamata, Mia?" propose lui, sollevando il suo magifonino, agitandolo poi brevemente.
     
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    Per quanto si fosse abituata a fare da sola –Charles a parte, a cui alle volte non aveva parlato troppo di quel che le stava succedendo per non farlo preoccupare- e le faceva strano ricevere un aiuto non richiesto, così dal nulla. Non che si sentisse sola, sapeva che Blake e Jessica era stati pronti ad aiutarla ma si era trattata di una situazione così strana e improvvisa che non era ancora sicura di volerne parlare con loro: erano stati gentili a preoccuparsi per lei, ma avevano avuto un approccio tutto loro che l’aveva messa rapidamente davanti alle conseguenze di quel che era successo con Mark, parecchio tempo prima.
    Aveva avuto tempo per elaborare quel che era successo, si sentiva in colpa per essere ancora così in balia di tutte quelle emozioni ma dopotutto per anni non aveva fatto altro che evitare di pensarci, allontanare quel pensiero e fingere che così il problema fosse risolto. Non era nemmeno sicura di essere pronta ad affrontare le conseguenze di quel che era accaduto e dell’espulsione di Mark, ma era abbastanza sicura di non potersi più tirare indietro e le faceva piacere, per questa volta, l’idea di non essere sola.
    Certo, sapeva anche che quello era solo il primo passo, che quel genere di percorsi erano lunghi e che con ogni probabilità quel che aveva vissuto avrebbe sempre fatto parte di lei, ma detestava l’idea di preferire rimanere attaccata a quel trauma piuttosto che affrontarlo e andare oltre. Non aveva mai voluto essere una persona immatura o incapace di affrontare le cose, si era sempre fatta forza per superare ogni ostacolo e aveva fatto della sua tenacia uno dei suoi pregi migliori. Era fuggita da casa Nott con suo fratello quando era solo una ragazzina, era riuscita ad andare avanti nonostante quel che era successo con Mark, aveva portato a termine Hogwarts e a suo modo si era lanciata nella nuova avventura che era stata, fin dal primo istante, Hidenstone, poteva di certo affrontare anche questo.
    Le scaldava il cuore sapere di non essere sola, e la gentilezza che Lancelot fu fondamentale per farla sentire protetta e al sicuro. Era entrata con la paura del suo giudizio, la certezza che si sarebbe sentita solamente a disagio, e ora invece quel sorriso dorato e rassicurante sembrò convincerla che tutto fosse possibile, che addirittura parlarne con uno psicologo non sarebbe stato poi così male.
    Si fidava del Professor Olwen, era sicura dopo quella chiacchierata che non le avrebbe mai proposto qualcosa che non fosse per il suo bene e che stava davvero provando a farla sentire meglio, e infondo non aveva mai demonizzato gli psicologi, era solamente convinta di potercela fare anche da sola. Ma forse non era così, forse era ora di tirare le somme, ammettere di non essere tanto forte quanto avrebbe desiderato e permettere a qualcuno di aiutarla.
    Ascoltò attenta le sue parole e si prese comunque qualche istante prima di annuire piano, accennando un sorriso impacciato e abbassando lo sguardo per qualche istante. “Io…penso che potrebbe farmi bene.” dedusse quindi alla fine, e quando parlò era chiaro che fosse convinta della sua deduzione e soddisfatta di averla raggiunta. Magari avrebbe scoperto che uno psicologo non era quel che le serviva, e avrebbe indubbiamente dovuto parlarne con Charles, ma forse qualche seduta non le avrebbe fatto male, anche solo per avere un confronto con qualcuno e sentirsi un po’ meglio. “La ringrazio davvero.” aggiunse poi, davvero riconoscente, guardandolo come se Lancelot l’avesse appena salvata e, in effetti, un po’ era così.


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    Lancelot OlwenDocente di Rune
    Se la vita era un percorso, la scuola era la fase forse più rapida e delicata: molte cose succedeva a scuola e soprattutto, in quegli anni, esse risuonavano con una forza, un'energia, che in nessun altro momento sarebbe stato pensabile. Lancelot lo aveva sperimentato sulla sua pelle: era stata una sensazione quasi improvvisa, un'epifania, un giorno si era ricordato dei suoi anni a scuola, delle sue vicissitudini, dei drammi e si era reso conto di quanto fossero grigie le sue giornate ora, a confronto.
    Non aveva una brutta vita e non sarebbe neanche tornato indietro: gli stava benissimo così, ma restava il fatto che Lancelot, quel giorno, aveva compreso di essere invecchiato, di essere diventato un adulto e, ahilui, gli stava anche bene.
    Ciò che era capitato a Mia aveva dei colori decisamente forti e contrastanti tra di loro, in maniera sgradevole, tuttavia quanto dovevano essere forti - urticanti - alla sua età, e dopo quanti anni lei sarebbe riuscita davvero ad elaborare quanto le fosse successo, fino in fondo, e superarlo?
    'Forse mai...' pensò non inclinando il suo sorriso ed annuendo alle parole dell'Ametrina. La ragazza appariva calma, forse un po' dilaniata dai suoi sensi di colpa e dalle sue paure, ma riguardo a quanto successo appariva calma, ma lui sapeva bene come ciò non volesse che fosse tutto superato 'Hai affrontato e superato una parte del problema, cara Mia... ma le altre parti arriveranno, e dovrai fare i conti anche con loro, e sarà diverso ma ugualmente orribile'
    Sarebbe stata una gara su una strada di montagna, piena di curve, molte delle quali insospettabilmente a gomito ed improvvise e per questo le sarebbe servita una spalla, ma soprattutto un navigatore, e se lui poteva essere la spalla su cui piangere e sorreggerti, come anche altre persone come Jessica e Blake, certamente non poteva essere il navigatore, anche se forse poteva, col consenso di lei, presentarglielo.
    La bionda ci pensò un po' su e poi accettò l'offerta del runista, che trasse un sospiro di sollievo "Grazie" disse semplicemente, tornando alla propria bevanda, tornando finalmente a respirare 'Meno male che non ha ceduto alla vergogna o alla paura...' si disse lui, osservando quasi bramoso il suo magifonino, sognando la chiamata che doveva fare.
    Volse lo sguardo a lei, alla fine "Allora poi in giornata sentirò i miei contatti al San Mungo in cerca di una brava magipsicologa che possa supportarti qui a scuola... appena avrò un nome ti manderò un gufo e... Mia" e a quel punto si fece un po' in avanti "Per qualsiasi cosa, ricordati che per te ci sono... ma... se non sono la persona giusta, anche solo perché sono un uomo, vai da chi reputi giusto andare, ok?"
    Un occhiolino ed afferrò sollevato la sua tazza, sorridendo "E ora finiamo il tè, così posso liberarti" ridacchiò lui, fiero di ciò che aveva fatto, nonché sollevato.
     
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