Quel che succede dopo, è sempre una sorpresa.

[Samuel]

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    Eva Ivanova • statscheda

    1 Novembre 2019

    Era passata quella battaglia, erano usciti tutti vivi, erano riusciti a riportare gli studenti in accademia, tuttavia c'era ancora qualcosa che sentiva in sospeso.
    Eva era una donna che si faceva mille problemi, non aveva un attimo di pace in quella mente che viaggiava oltre ogni confine per cercare una spiegazione a tutto. E, dopo quella notte in Foresta, i quesiti che la assillavano erano tanti.
    Era seduta alla sua scrivania, con una penna in mano e una pergamena che continuava a guardare. Il piede della gamba destra, accavallata sulla sinistra, dondolava leggermente, quasi come se fosse fatto in maniera distratta.
    I capelli biondi della donna, avevano qualche sfumatura nera, in piccole ciocche che sembravano dare un tocco di ombreggiatura al suo colore naturale.
    Era una lettera alla Preside, quella che Eva stava scrivendo, nel cestino al suo fianco c'erano mille altre pergamene stropicciate e mandate via. Forse non le piaceva nemmeno un po' quello che stava scrivendo e come lo stava scrivendo.
    O, probabilmente, ogni volta che provava a concludere quella comunicazione, tutto si annebbiava.
    Sbuffò, lasciandosi cadere con la schiena sulla poltrona imbottita, lasciando la penna dentro l'inchiostro nero.
    Una mano andò a massaggiare, con indice e pollice, le palpebre momentaneamente chiuse.

    In quel frangente di buio, dato dalla chiusura delle iridi celesti, fu come un istante, come se la sua testa volesse concederle un riposo da tutto quello stress, che il volto di Samuel si palesò, con quella stessa sensazione di calore che aveva provato quando tutto era finito, quando le sue braccia l'avevano stretta.
    Eppure era come se non fosse bastato, era come se quel frangente fosse durato poco. Stava giustificando, nelle ore successive al ritorno in Accademia, che quella strana necessità di sentire di nuovo il calore del docente di Alchimia, fosse dovuta alla situazione che stavano vivendo in quel momento. Non era andata via, nemmeno quando tornando in stanza, si era gettata sotto la doccia.
    Sbuffò leggermente, riaprendo gli occhi.
    Naga non aveva portato con sé solo pericolo e rischio di morte, ma anche tante, troppe situazioni che si erano accavallate ed Eva odiava follemente non riuscire a venirne a capo nell'immediatezza.
    Fece leva sui braccioli della poltrona e si alzò, andando a recuperare una bottiglia di Țuică, da una delle cristalliere che aveva nell'angolo sinistro della scrivania.
    Un po' di aria di casa, come le mancava la Romania.
    Insieme alla bottiglia, afferrò anche un piccolo bicchiere dalla forma allungata, alto non più della lunghezza di un indice. Portò il tutto sul ripiano della scrivania, spostando le pergamene in maniera tale che non si sporcassero.
    Si sedette e svitò il tappo della bottiglia della bevanda.
    Portò quest'ultima al naso, socchiudendo gli occhi e sentendo l'odore forte dell'alcol, misto a quel dolciastro sapore di ciliegia. Non aveva badato bene a quale frutto scegliere, si era affidata quasi al destino, ma le ciliege le andavano bene.
    Versò un paio di dita nel vetro del bicchiere e richiuse il distillato.
    Forse era il caso di scrivere ai propri fratelli, anche. Era da un mese che non li sentiva, da quando quelle studentesse erano state rapite. La scusa che il Țuică stava per finire, seppur non fosse vero, poteva essere un ottimo modo per iniziare la lettera.
    Sorrise appena a quel pensiero, quindi sollevò il bicchiere alle labbra, le glaciali si posarono sulla porta, come se aspettasse che questa si aprisse.
    «Aveva detto che sarebbe venuto oggi...» aggrottò la fronte, quindi spinse con i piedi la poltrona, per voltarsi di spalle alla porta e osservare fuori dalla finestra.
    Samuel Black
     
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    Il ticchettio regolare delle stampelle sul pavimento di pietra regnava su tutto l'ampio corridoio.
    - Sembra quasi il battito di qualche pendolo cosmico -
    In effetti l'eco rimbalzava nelle ossa, nel cervello e per l'intero tunnel Medievale creando un atmosfera mistica che trasformava tutto in ombre sfocate: le sfarzose decorazioni, i quadri animati, le statuarie fiaccole; tutto.
    Esisteva soltanto quell'eco. Una sensazione quasi lugubre. Di impotenza e solitudine.
    Fra un ticchettio e l'altro però, compariva lei. Eva.
    Visione quasi angelica. Il viso spaventato, quell'abbraccio... il suo profumo; ed ogni volta un brivido.
    Solo il giorno prima tante, troppe cose si erano susseguite l'una all'altra ed una luce differente era calata sulla giovane donna dell'est.
    Al solo pensarci si sentiva fragile, insicuro.
    Un bambino alle prese con la sua prima cotta.
    - Sei stato un coglione Samuel -
    Un flatus vox sfuggito fra labbra strette.
    Era arrivato a lanciarsi fra Eva ed il pericolo. Aveva fatto da muro di carne rischiando di rimetterci la vita.
    Cos'erano quei sentimenti? Era forse diventato scemo?
    Voleva vivere, non morire, per una donna; ma per quanto si costringesse a ripetersi queste parole non cessava la strana sensazione di aver fatto bene ad immolarsi per quella stupenda insegnante.
    - Se lei fosse morta? -
    Il ticchettio fu fermato bruscamente.
    - No..non avrei potuto...io-
    Cosa cacchio gli aveva fatto quella strega? Non riusciva più nemmeno a pensare ad una vita senza Eva.
    Fece presa sulle stampelle, si diede lo slancio per un nuovo passo e superò l'aula di Incantesimi.
    Le avevo chiesto io di vederci oggi... però io..
    Tornò indietro e fissò l'ingresso. Gli occhi si fecero fessure, come se cercasse di concentrare tutta la sua forza d'anima nel mezzo del portone di quercia per poi scioglierlo.
    - Fanculo, io entro -
    Con un colpo rapido il catalizzatore magico fu sfilato dal porta bacchetta di cuoio, puntato contro il primo ostacolo della giornata, la serratura, sventagliato in modo tale da tracciare un arco da destra a sinistra e...- Alohomora! -
    La porta si aprì cigolando ed il naso fu investito da un ondata leggera di eterea vaniglia.
    Si fermò abbandonandosi a quella nuvola profumata e piano la calma tornò.
    - Per la bacchetta di Silente...mi anticipi con ogni mossa -
    La voce rimbalzò in giro per la bianca aula vuota e solo quando anche l'ultimo sussurro si spense ed i polmoni erano ricolmi di quel dolce profumo, le mani strinsero con rinnovato vigore alle gambe artificiali.
    Una porta dietro la bianca cattedra. La raggiunse e come gli aveva spiegato la docente di incantesimi bussò 3 volte su un mattoncino bianco e l'uscio si aprì.
    - E' permesso? -
    La testa dell'uomo fece capolino. La vide.
    Lei era di spalle, immersa nella luce del mattino che, già forte e calda di suo, in quella stanza tutta bianca, diventava ancora più intensa.
    - Un angelo -
    Piano entrò e richiuse la porta, ma non avanzò oltre, in attesa del benestare della collega.
    Una bella luce autunnale eh? Denrise stessa sembra voler illuminare un nuovo giorno...voltare pagina.
    Samuel ad Eva sarebbe apparso in un maglioncino bianco dal quale emergeva il colletto di una camicia blu notte. Dei jeans scuri che coprivano le gambe, mentre il polpaccio destro, memore degli affilati denti del Malboro, era totalmente fasciato. Alla cinta il solito porta bacchetta di cuoio.
    Se la professoressa lo avesse invitato ad avvicinarsi lui non l'avrebbe fatta ripetere e sempre con quelle "protesi" artificiali si sarebbe incamminato verso la scrivania bianco-latte.
    - Una sedia per un piccolo storpio madame? - Un sorriso stanco, ma divertito. Alzò la coscia destra in modo tale da mettere bene in vista le fasciature. - Alla fine è scampato il pericolo e la pagina è quasi voltata, ma le cicatrici bruciano ancora un pò -
    La faccia si piegò in una smorfia infantile e palesemente voluta. - Peccato però, ancora poco e avrei avuto veramente la gamba di legno. Sarei potuto essere un alchepirata di tutto rispetto e invece...-
    Tornò a sorriderle dolcemente.
    - Dai basta cazzate Sam! Sei venuto qui per parlare di una cosa importante no? Fallo! -
    Tuttavia da lì, poteva avere un ampia visione sul ripiano di studio della donna e non poté non notare la bottiglia ed il bicchiere.
    Il cervello aveva trovato una temporanea via di fuga.
    - Posso farti un po' di alcolica compagnia? -

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    Alternava lo sguardo tra la finestra e il bicchiere, come se la cosa potesse essere rilassante, anche se ogni attesa che stava sopportando in quei giorni, non riusciva a toglierle il peso di quanto fosse insopportabile attendere un qualcosa che non si sapeva se arrivasse o meno.
    Tirò un respiro profondo, lasciando che la schiena si rilassasse su quella poltrona. Lasciò dondolare un po' la testa di lato, portando il bicchiere alle labbra carnose, sentendo già le narici inebriarsi dell'odore dolciastro, misto all'alcol, di quella bevanda tradizionale delle sue parti.
    Quando voleva rivedere i suoi fratelli? Per non parlare dei suoi nipoti, da quanto tempo non passava del tempo con loro? Forse sarebbe stato il caso di partire per Natale, magari staccare da quella Scuola non le avrebbe fatto che bene.
    Eppure, nonostante quei pensieri le affollavano la testa, quelle voci non bastavano a coprire l'unica che chiedeva dove fosse.
    Ma chi aspettava? E perché, soprattutto? Questo era uno di quei quesiti che lei avrebbe definito intricati, senza una reale risposta, se non la vita stessa.
    Cercava di placare quel grillo che diceva che se non fosse arrivato, niente le avrebbe vietato di andare a bussare alla sua porta. Insomma, non era sicuramente così lontana da quella del suo ufficio, giusto? E perché stava ancora a crogiolarsi su quella poltrona, dondolando, con la sola spinta della punta del piede, a destra e sinistra.
    Socchiuse gli occhi, facendo scivolare lentamente il liquido alcolico e godendo di quei sapori esplosivi che sentiva sulle papille gustative.

    Era ancora con gli occhi chiusi, quando una voce sembrò irrompere tra le tante della sua testa. Una voce maschile, una di quelle che non poteva dimenticare, un soffio caldo che per alcune volte aveva sentito così vicino al suo orecchio, nella notte precedente, che l'era entrata in testa come un tarlo pronto a mangiarla completamente.
    Sorrise dolcemente, anche se di spalle, mentre il braccio si abbassava sul bracciolo della poltrona e gli occhi di cristallo si spalancavano nuovamente. Sentì il commento sulla luce autunnale e le labbra si piegarono ancora di più in quel sorriso pacato. Adesso non sentiva più quella voce che si chiedeva dove fosse e perché non fosse ancora arrivato, quindi era molto più semplice elaborare pensieri, senza alcun intoppo mentale.
    «Quasi a voler lavare via l'oscurità che l'ha avvolta...» un flebile sussurro, un pensiero ad alta voce, condiviso con colui che aveva quasi dato la vita quella notte tetra che avevano passato in Foresta.
    Dopo aver concluso quella frase, lentamente si sarebbe girata con la poltrona, per poi alzarsi dalla seduta, mostrandosi ai suoi occhi con un outfit molto semplice, che constava di un pantalone a sigaretta a vita alta, che terminava sopra la caviglia, dove il piede iniziava ad essere bardato da un decolté semplice. Dentro il pantalone finiva un corsetto bianco, che spingeva verso l'alto le forme già ben pronunciate della donna e lasciava le spalle scoperte, ma che lei aveva prontamente tenuto nascoste da una giacca coordinata al pantalone, tenuta aperta.
    Gli occhi si sarebbero fermati su di lui, mentre lentamente avanzava verso metà stanza. Lo sguardo indugiò su di lui, contenta di vederlo, poi scivolò verso il basso, a quella gamba fasciata. Si morse il labbro, quasi sentendosi colpevole di quello che era successo a lui e al suo arto, dimenticandosi i convenevoli dell'accoglienza. A ricordarle di doversi dare una mossa, fu proprio la voce del ragazzo, che ancora una volta fu tempestiva a risvegliarla dal suo terpore «Sam» sussurrò, coprendo ora le distanze che c'erano e provando di buttargli improvvisamente le braccia al collo, in un gesto incondizionato e impulsivo. Voleva sentire se fosse ancora vivo? Oh, sicuramente lo era, visto che era davanti ai suoi occhi.
    Si allontanò appena, se fosse riuscita ad abbracciarlo per quel breve istante, poi avrebbe mandato giù a vuoto.
    «Di là ho dei posti più comodi, ti va?» indicò la porta alla loro destra, dove se fosse stato accettato l'invito, Eva avrebbe aperto le porte al suo piccolo angolo di riposo, la biblioteca del suo ufficio.
    Lì c'era sicuramente il posto più comodo dove sedersi, tra il divano e la poltrona. Se Sam avesse accettato, avrebbe lasciato scegliere lui il posto.
    «... e invece sei l'alchimista di altrettanto rispetto che mi ha salvato da una fine pessima.» gli sorrise, lasciandolo ambientare nei suoi spazi, senza stargli addosso, quasi come se avesse paura di essere troppo presente in quello spazio che, a dirla tutta, le apparteneva. Alla sua domanda, aggrottò la fronte, cercando di capire cosa stesse chiedendo. Poi guardò sulla sua scrivania e sgranò gli occhi. «Ma certo... un po' di Tuica non fa mai male. E' un distillato rumeno, solitamente è di prugne, ma lo facciamo anche con altro. Questo... è con le ciliege.» si allungò a prendere la bottiglia, per poi - se si fossero spostati in biblioteca - portarla lì e poggiarla sul tavolino basso.
    Si sarebbe allontanata da quella stanza solo per prendere dei bicchierini della stessa altezza del primo, dalla cristalliera e ritornare in biblioteca.
    Prima di sedersi si sarebbe preoccupata di versare il liquido dentro il vetro, per poi guardare dove si sarebbe seduto Samuel.
    Se si fosse messo sulla poltrona, sarebbe stata pronta a sedersi sul divano di fronte; diversamente non avrebbe pensato più di mezza volta, se lui si fosse accomodato sul divano, a sedersi accanto a lui.
    Una volta prese le postazioni, avrebbe allungato le dita affusolate verso il bicchierino, spingendosi col busto in avanti e avrebbe concesso il primo a lui, per poi godere del secondo «Cosa hanno detto i medimaghi, sulla tua gamba?» domandò, senza distogliere lo sguardo dal suo volto.
    Sentiva, dentro, che non era la domanda giusta che volesse fargli, ma non sapeva come affrontare il dubbio che le attenagliava la mente. Lasciò, quindi, che fosse lui a prendere le redini del discorso, per evitare che lei iniziasse a farfugliare cose a vanvera.

    made by zachary

     
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    La scrivania bianca, le colonne ioniche, le ampie vetrate e quella schiena sottile ed armoniosa. Tutto era immerso nella luce del mattino e dalla materia cerebrale dell'uomo non poté che emergere una similitudine: i disegni di quella Venere alchemica che spesso concesse agli scrivani antichi solo i capelli ed il torso. Il suo viso? Una bellezza troppo inarrivabile per essere rappresentata.
    Quando le rotelle della poltrona strisciarono sul pavimento ed al disegno di quel mattino fu aggiunto quel volto di donna le stampelle dell'uomo tremarono un attimo.
    Lei lo guardò, si avvicinò nella semplicità delle sue carnali vesti bianche e scure, ed infine fece piovere un abbraccio che trafisse con una dolce certezza ogni più piccola fibra dell'alchimista.
    Era quello il viso che in segreto aveva cercato per tutti quegli anni fra i visi di ogni donna. Era lei la sua Venere, la sua unica ed insostituibile dea.
    - Eva... -
    La spavalderia goliardica che aveva accennato poco prima era stata estirpata in un attimo ed al suo posto vi erano solo sopracciglia meravigliate.
    - è qui da me...mi desidera. Ha scelto me. -
    Già da quel lontano primo giorno si erano scelti, però da un punto di vista molto carnale, in quel momento invece la scelta di cui Sam parlava nei suoi pensieri era del tutto diversa.
    Lo scontro con Naga aveva acceso una miccia ed in quel momento vedere Eva dimostrare ed ammettere tutto il suo affetto in un gesto così semplice fece esplodere la bomba.
    Non aveva mai provato nulla di simile. Non sapeva che fare o dire, e mentre le mani stringevano così forte le stampelle da farne risuonare la plastica, l'abbraccio fece tempo ad andarsene.
    Al resto delle parole della donna si limitò ad annuire con un sorriso vuoto, riuscì soltanto ad avere la decenza di dare una sola risposta concreta, ma la voce era appesantito da un respiro pesante e quasi incerto. - Non..non avrei saputo che fare senza di te -
    - Calmati Sam, è vero! Hai detto bene. Porco Merlino! -
    Si trovava in una specie di limbo fra l'estrema felicità e l'estremo fastidio. Da una parte sentiva di non aver più dubbi riguardo ad Eva e di essere in qualche modo ricambiato, di avere una possibilità; dall'altra parte odiava perdere il controllo. Lui che calcolava sempre tutto era del tutto impreparato di fronte a quei nuovi sentimenti che sembravano giocare a pugilato col suo cuore.
    Seguì la donna verso la biblioteca mangiucchiandosi un labbro - Chi cazzo sei un liceale forse?! Contegno! - ad ogni modo quando entrò nella nuova stanza la presa sulle stampelle si fece lievemente più leggera; i libri, con la loro aura di sapienza, avevano sempre un effetto calmante su di lui e quella biblioteca era decisamente ben fornita.
    Prese coraggio e ricevuto l'invito si sedette con lentezza sul divano per poi appoggiare le stampelle a terra affianco al bianco mobile. - Certo che dovrebbe inserire un po' di varietà cromatica - Il cervello stava riprendendo a funzionare, ma il futile pensiero fu subito scacciato come un moscerino, voleva guardarla, syudiarla.
    La donna dell'est stava facendo gli onori di casa e recuperando il liquore. Tuica aveva detto e lui come per il resto delle frasi da lei enunciate aveva annuito. Sam però lo conosceva. L'aveva assaggiato a Praga, d'altronde quella città era il punto di crocevia fra ovest ed est europa, ci passava di tutto, tuttavia quello alla ciliegia no; non ne aveva mai avuto il piacere, ma non era importante. La cosa importante era che lei Evangeline Ivanova fosse lì, elegante e bellissima come sempre. Amava guardarla e nel farlo da quel comodo divano cementificò i sentimenti che lo avevano scosso in profondità solo qualche istante prima.
    Nel corridoio che divideva le due aule era stato così confuso, spaventato, ma dopo quel ingiusto siparietto era tutto chiaro. Doveva dirglielo in quel momento.
    - Non c'è altro da fare, devo dirglielo ora. Farlo adesso. Sennò io... Si lo faccio. -
    Lei era così semplice bella e dannatamente sexy! Doveva dirglielo.
    Il liquore scese dalla bottiglia nei bicchieri di cristallo - Devo dirglielo -
    Il corpo di lei si sedette affianco al suo. - Voglio dirglielo -
    La mano bianca si avvicinò al bicchiere e lui la fermò dolcemente l'avvolse con le sue e fece un gran respiro.
    - Eva, al diavolo la gamba,- Il pollice accarezzava sottovoce il dorso del suo arto mentre occhi di castagno si persero in una coppia cristallina e tutto ciò che doveva dire loro sfuggi in un soffio caldo -io ti amo -

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    Eva Ivanova


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    Era chiaro che c'era un disagio strano tra loro, quel suo annuire e quel suo farfugliare senza un vero motivo. Un chiaro ed evidente stato di agitazione che entrambi cercavano di palesare con un atteggiamento che cercava di essere sciolto e disinvolto.
    Eppure era cambiato qualcosa, quella notte. Un click che si era sentito, come se aspettasse solo di essere premuto, quel tastino dalla quale era difficile tornare indietro.
    Si era alzata ed era rimasta a guardarlo per istanti brevi, che però erano sembrati interminabili: aveva rivisto ogni singolo passo mosso verso di lei, aveva riascoltato nella sua mente tutte le parole che l'erano state dette quella sera. Ed ora? Erano lì, ma lei non sapeva bene cosa dire o fare, non sapeva nemmeno perché si sarebbero dovuti incontrare. Tuttavia, vederlo lì, non aveva fatto altro che farle prendere quell'attimo di respiro che sembrava fosse mancato, prima che lui mettesse piede (e stampelle) in quella stanza.
    E si era fatta trasportare da quella sensazione di benessere che l'aveva invasa quando era entrato, tanto da lanciarsi al suo collo e abbracciarlo. Sentì la sua voce pronunciare il suo nome, ed era piacevole ascoltare come vibrava il suo petto, poggiato al suo corpo. Sorrise nell'incavo del suo collo, mentre lo stringeva, incurante che lui non potesse né vedere, né percepire quel sorriso, quindi lo strinse appena, come a voler rispondere a quel richiamo.
    Inspirò a fondo, per sentire l'odore - ormai familiare della sua pelle - per poi staccarsi delicatamente dal suo corpo, sentendosi un po' troppo invadente in quel gesto semplice e spinto dall'impulso.
    Fece un passo indietro, puntando gli occhi chiari, nei suoi scuri. Era chiaro che per lei, quell'uomo fosse molto più di un semplice collega, con cui dividere il peso di quel mestiere da insegnante ed educatori di tanti piccoli adolescenti. Forse lei ancora non aveva ben chiaro che quel suo interesse fosse andato oltre, quando in quella situazione pericolosa l'aveva voluto accanto, temendo la possibilità di perderlo, come se fosse la cosa più preziosa che aveva avuto fino a quel momento.
    Era tutto così strano, anche quei silenzi e quelle frasi che sembravano dette così, per rendere tutto meno silenzioso.
    Il cuore di Eva batteva sempre più velocemente come se stesse cercando la vera motivazione di quell'agitazione che provava.
    Era come se tutte quelle parole non avessero senso, come se fossero solo di circostanza, come ad evitare il vero e proprio argomento che la sua testa cercava di mandar via.
    Sentì quelle parole e sussultò, non aspettandosi una frase del genere, come se le avesse sbattuto in faccia una realtà con cui aveva paura di fare i conti.
    Chinò lo sguardo, imbarazzato e compiaciuto allo stesso tempo, spostando dietro l'orecchio una ciocca bionda, mentre di sottecchi lo guardava con quel sorriso incerto e timido, come se fosse una ragazzina alle prime armi con l'altro sesso.
    Lasciò che si facesse strada nella sua biblioteca, amata stanza dove la docente preferiva rifugiarsi nei momenti in cui necessitava di riflessione.
    Era strano, si sentiva impacciata come se fosse la prima volta che vedeva quell'uomo. Lo guardò mentre si faceva largo dentro un pezzo di quello che la costituiva, gli aveva concesso uno spazio dove nessuno di chi aveva messo piede in quell'ufficio, era benvenuto, uno spazio che era quasi come una zona di comfort e lei, aveva permesso a Sam di entrarvi senza preoccuparsi di quanto si potesse sentire scoperta davanti ai suoi occhi.
    Aveva bisogno di prendere un respiro e il Tuica le diede la giusta e cortese scusa per allontanarsi da lui.
    Quando afferrò la bottiglia si soffermò a socchiudere gli occhi «Dai, Eva... insomma, non ti sei fatta tutti questi problemi quando sei andata in camera sua...» sollevò gli occhi al cielo, quasi a voler bacchettare la sua stessa vocina interiore.
    Però sapeva che aveva ragione: non aveva pensato alle conseguenze, quella sera. Aveva solo dato lui una possibilità di farsi conoscere e di conscere lei, senza che nessuno dei due avesse delle pretese particolari. C'era stato quell'avvicinamento che non si sarebbe aspettato, ma poi tutto il resto aveva preso il volo senza che lei potesse controllarlo o prevederlo. Era questo che la spaventava.
    Inspirò a fondo, prima di tornare da lui con la bottiglia e i bicchieri, oltre che un sorriso delicato e quegli occhi che cercavano solo il suo sguardo, come a voler trovare le risposte della sua presenza in quella stanza.
    Si sedette accanto a lui, versando il liquido.
    «Forse dovrei dire qualcosa mentre verso il Tuica?» se lo domandava, come a voler colmare quel silenzio almeno nella sua testa.
    Richiuse la bottiglia, stando attenta a non far scappare il tappo, poi - una volta terminata la delicata operazione di chiusura della bottiglia - ancora un respiro gonfiò il suo petto.
    Passò una gamba sotto il sedere, così da potersi poi mettere comoda rivolta verso di lui, una volta avuti i bicchieri in mano, preoccupandosi delle sue condizioni.
    Bicchieri che non sarebbe riuscita a prendere, perché mentre le dita affusolate si sporsero verso il vetro, la mano di Samuel arrivò ad arrestarle, facendo sobbalzare la donna al contatto con la sua pelle.
    Eva trattenne il respiro, mentre le iridi glaciali che si erano dedicate ad osservare il bicchiere, adesso stavano concedendo attenzione all'uomo che l'aveva bloccata.
    Si morse il labbro inferiore, mentre dai suoi occhi trapelava imbarazzo, curiosità... emozione. Un'emozione strana, quasi agitazione, per quel tocco che l'aveva fatta fermare come con un petrificus.
    Alle sue parole, allargò lo sguardo come a far notare che non ci stava capendo niente, ma non disse una parola, confusa ancora di più da quel pollice che le accarezzava la pelle liscia della mano.
    Poi arrivarono.
    Quelle parole che Eva non si sarebbe mai aspettata. Quel soffio caldo, come vento d'Oriente, che le bloccò il cuore e il respiro.
    Le dita della mano, fermata da Sam, si arrotolarono su loro stesse, quasi a volersi chiudere in un pugno, ma roteando appena il polso, per far in modo che il palmo della sua mano combaciasse con quello di lui. Non si accorse di quel gesto involontario, era ancora con gli occhi sgranati a guardare Sam, con la eco di quelle parole che riempivano la stanza.
    Le guance si erano tinte di un rosso intenso, mentre gli occhi erano diventati due pozzi d'acqua lucidi. Ma non c'era solo questo: era noto a tutti come i metamorfomaghi avessero la croce pesante di dover essere capaci di mantenere un freno con le proprie emozioni, per non ricadere in spiacevoli cambiamenti fisici davanti a tutti.
    Bene, Eva non ci riuscì: i suoi capelli iniziarono a colorarsi di diverse tonalità tutte insieme, ciocca dopo ciocca, come se non avesse ben chiaro che emozione palesare ai suoi occhi, mostrandole tutte e tutte insieme. Era un vero e proprio arcobaleno di sensazioni, quella chioma che prima era bionda.
    Non riusciva ancora a parlare, sentiva ancora quella frase come una nenia di una sirena che la stava trasportando giù, in fondo al mare.
    Era forse quella la risposta alla sua agitazione? Era per questo motivo che sentiva la necessità di vedere il docente almeno una volta al giorno?
    Ma la vera domanda era un'altra. Poteva permetterselo? Poteva davvero provare quelle emozioni, quando aveva da crescere tutti quegli studenti?
    Si morse il labbro, mentre espirò a fondo, aria calda.
    Chiuse gli occhi per un attimo, dimenticandosi di avere ancora la mano del docente, se fosse riuscita ad afferrarla poco prima. Immaginò com'era stata in quei giorni, da quando era arrivato e come, invece, era stata prima. La paura di perderlo. La felicità di vederlo entrare da quella porta. La solleticante eccitazione mentale che provava ogni volta che avevano una discussione. Per non parlare dell'attrazione fisica che non permetteva di fuggire da lui.
    Riaprì le iridi, ricercando il suo volto. Cosa poteva offrire lui? Era pronta per amare un'altra persona e concedere se stessa all'altro? Tutte quelle domande trovarono risposta quando le glaciali si persero nel profondo nero dei suoi occhi. La mano venne stretta, quasi a voler sentire il calore di quella di lui.
    «Sam... io...» la voce sembrava essere terminata, come se fosse diventata afona. Schiarì la gola, quindi e riprese «... io ... non so cosa ... dire. Posso provare, però...» il suo tono era basso, mentre adesso anche l'altra mano, aveva tentato di avvicinarsi a quella dell'uomo, giocandovi sul dorso, passandone i polpastrelli come una lieve piuma sulla sua pelle «Ho poche certezze nella mia vita. Sono le cose che più mi rendono stabile, quelle colonne portanti che difenderei a costo della mia stessa linfa vitale. La mia famiglia, il mio Dragos, i miei studenti. Questi erano i tre pilastri della mia vita.» si morse il labbro prendendo una pausa «Poi, ad un certo punto, hai deciso di ficcarti dentro la mia testa come un tarlo. Hai iniziato a mettere le fondamenta, a scavare quel quadrato per tirar su la struttura di un'altra colonna. Hai cementato il tutto e ti sei piazzato lì, accanto a quelle tre che già esistevano, fregandotene se io volessi o meno.» rise divertita di quella metafora strana che aveva messo in riga «E io ti ho osservato, mentre ti sistemavi e prendevi il tuo spazio. Poi, ieri notte ho capito.» non distoglieva gli occhi dal suo sguardo «Ho capito che vorrei che non ti accadesse mai niente, vorrei vederti ogni giorno e condividere con te anche gli attimi più bui, aiutandoti ad accendere una luce. Vorrei aprire gli occhi e guardarti, arrabbiandomi perchè stai facendo tardi a lezione.» rise appena, divertita, come se volesse smorzare appena quel tono solenne, quindi inclinò il capo guardando per un attimo la sua stessa mano «Voglio anche arrabbiarmi con te, sai? Per poi fare pace, sigillando il tutto con un bacio. E se tutti questi desideri vogliono dire che io ti ami, Samuel Black... e se amare, non è prendere un altro per completarsi, bensì offrirsi ad un altro per completarlo...» fece una pausa, ritornando con le glaciali su di lui, mentre lentamente cercò di accorciare le distanze dei loro volti, senza però colmarle totalmente«... beh, allora... anche io ti amo, Sam.» un sussurro caldo, un soffio dolciastro che si spinse a carezzare le sue labbra. Non lo baciò quasi come se avesse paura di fare quel passo, come se avesse il timore di spingersi troppo oltre. E se le sue fossero state solo parole che era pronto a rimangiarsi? Sentiva il cuore batterle forte, il corpo fremere. Cosa stava accadendo non le importava, era il momento perfetto per loro e nessuno l'avrebbe distrutto.

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    Samuel Black
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    L'onda d'urto di quelle due piccole parole fu...forte.
    La mano dell'uomo rispose a quella di lei e gli occhi ed il volto si fecero dolci come una giornata d'autunno. Era bellissima in quel suo pot-pourri di colori, con quelle guance imbarazzate, il labbro morsicchiato e degli occhi che rendevano le parole inutili. Lei era felice, felice almeno quanto lui.
    Tuttavia delle parole arrivarono lo stesso ed anche loro, come pennelli d'aria, tinsero delle guance; questa volta, però, maschili.
    Pennelli però che non si stavano risparmiando. Le parole continuavano a dare mani di colore che non accarezzavano solo il volto dell'alchimista, ma anche il suo sorriso, il suo cervello, ed il cuore. Le due spennellate finali poi, dette ad una distanza così breve da due labbra così avide, gli scrollarono di dosso le ultime preoccupazioni.
    Si amavano vicendevolmente. Avevano trovato la propria metà imperfetta ed Eros aveva provveduto ad unirli. Erano tornati alla loro vera forma, al tutto iniziale e precedente a tutto. Voleva baciarla, ma non lo fece. Piangeva lacrime felici.
    Appoggiò piano la fronte a quella della sua compagna e, mentre continuava ad assaporare il suo profumo e le carezze che le loro labbra si scambiavano, Samuel le sorrise. - Completezza. Hai ragione. - Mentre con una lentezza riservata il volto continuava a rigarsi,le dita ricambiarono il gioco gentile che avevano ricevuto - Fin dal primo istante in cui ti ho vista mi sono sentito come una tessera di un puzzle a due pezzi. Un continuo e forte desiderio di vederti, sentire i tuoi suoni, i tuoi rumori, i tuoi profumi, di vederti felice e di ridere insieme.- Una delle mani si liberò dal morbido intreccio di dita ed iniziò ad accarezzare il capo d'arcobaleno. - Questo desiderio si è fatto più forte ad ogni bacio, ad ogni passo fatto affianco a te, ad ogni attimo in cui ti ho pensata e ieri è esploso. - Le labbra di lui sfioravano sempre più spesso quelle di lei e la voce si piegava sempre più verso un sussurro di carne. - Io, ora, in questo esatto momento, sono l'uomo più felice del mondo e non voglio più vivere una vita che non includa la stupenda Evangeline Ivanova. Voglio essere la tessera del tuo puzzle. Completarti ed essere completato... cara collega - ridacchio un momento e poi si tuffò in quello che voleva essere il bacio più profondo e romantico dell'intera storia del pianeta terra.
    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato1"| Scheda | Stat.
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    Eva Ivanova


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    In quei giorni stava succedendo tutto così talmente tanto velocemente, che Eva non aveva il tempo nemmeno di tirare un respiro profondo, che subito dietro l'angolo c'era un qualcosa da affrontare. E non importava se questo fosse brutto o bello, lei doveva saltare quell'ostacolo per andare avanti.
    Non erano passate nemmeno ventiquattro ore dalla dipartita definitiva di Naga, che si trovava a fare i conti con i propri sentimenti, che fino ad ora aveva provato a non ascoltare, forse troppo presa dall'agitazione del momento, o semplicemente non s'era accorta di come si stavano evolvendo le cose attorno a lei.
    Adesso non poteva più evitare di sbattere contro quello specchio che l'era stato posto davanti, ma poteva evitare lo schianto, rendere liquida l'immagine riflessa e attraversare quel vetro che riportava ogni minimo particolare di ciò che vi si specchiava dentro.
    Aveva Samuel davanti a sé, che le aveva lanciato quella bomba d'acqua fredda sul capo, non aspettandosi una dichiarazione su due piedi, senza alcun preavviso. Eppure, pochi attimi prima che lui varcasse quella soglia, era in trepida attesa del suo arrivo...
    Era lì a specchiarsi nei suoi occhi scuri, mentre sentiva la pelle scaldarsi a poco a poco, probabilmente con l'imbarazzo che veniva da tutta quella situazione inaspettata.
    Le parole erano state così decise, così piene che Eva aveva espresso a modo suo, quello che poteva sembrare un giro di parole enorme per dirgli quanto ricambiasse i suoi sentimenti.
    Vedeva ogni sfumatura del suo volto cambiare all'incedere delle parole.
    Non aveva mai pensato di trovarsi di fronte a qualcosa di così semplice e piacevole, se non nei libri che aveva divorato di quelle specie di romanzi rosa che leggeva alla nonna, quando tornava a casa da Hogwarts, ai tempi della scuola.
    Gli sfiorò la guancia, poggiando la mano su di essa e carezzandone lo zigomo con il polpastrello del pollice, un sorriso leggero e delicato, che era disegnato sul suo volto.
    Sentì la pelle venir a contatto con quella di Samuel e riconobbe il calore e il profumo dell'uomo, adesso capiva cosa significava inebriarsi di qualcuno. Era proprio quello che stavano facendo, l'un l'altro.
    Stava piangendo e lei cercava di tamponare quelle lacrime raccogliendole con le sue dita, delicata come una piuma, sulla pelle dell'uomo. Gli sorrideva, come a volergli dire che andava tutto bene, senza però interrompere quello che lui stava dicendo, ascoltandolo attentamente, dedicandogli le attenzioni che meritava sia con la mente, che con il corpo.
    Non si stava nemmeno preoccupando che la sua natura metamorfomaga, si stesse palesando a lui come un miscuglio di emozioni, che variava in arcobaleno i suoi stessi capelli platino, lasciava che facessero il decorso, quei colori che sembravano non aver pace.
    Socchiuse gli occhi leggermente al tocco di quella mano che si dedicò proprio alla chioma instabile.
    Capiva perfettamente cosa volesse intendere quando parlava dell'esplosione della sera prima; infatti, non fece in tempo a frenare la sua bocca che subito sussurro poche parole, quasi a voler dimostrare quanto anche lei avesse provato lo stesso «La paura di perderti, per sempre...» era quello che lei aveva provato, era stata una paura insostenibile e inaspettata.
    Le voci pian piano si stavano annullando, mentre la carne si attirava sempre di più.
    Rise appena a quell'ultimo dire dell'alchimista «E allora, Samuel Black, non aspettare oltre...» un sussuro lieve, caldo e vellutato, prima di lasciarsi trasportare da quel bacio che stavano bramando entrambi, da quando si erano visti, pochi attimi prima.
    Le labbra morbide e calde di lei, cercarono quelle di lui, imprimendosi perfettamente nella loro forma così complementare.
    Si fece audace, poi, quella lingua che cercò la gemella per iniziare un valzer movimentato di incontri. Le mani, poi, scesero a prendere il colletto della sua camicia, sfiorando appena la pelle del suo collo, quindi se lo avesse permesso, avrebbe cercato di far scivolare le dita all'interno della camicia, saggiandone i centimetri di pelle dietro la nuca, per poi passeggiare verso il primo bottone.
    Si fermò. Titubante di quello che stava accandendo, ma senza arrestare quel bacio che la stava inebriando completamente, quasi da farle perdere i sensi.
    Voleva quell'uomo, lo desiderava come mai aveva desiderato nessuno, per tutti questi anni, ma si stava frenando.
    Questo, perché?
    Le labbra, a malincuore, fermarono quella danza perché lei cercò i suoi occhi, senza aumentare - però - le distanze tra loro «Sam...?» il suo tono era diverso, adesso... sempre un soffio caldo, ma con una nota particolare. Era come se adesso, dovesse prendere una reale decisione. La dichiarazione che gli aveva fatto non era bastata alla sua testa per potersi slacciare completamente, doveva dare un'ulteriore spinta, ma a se stessa.
    Gli occhi chiari di lei, cercarono di incastrarsi in quelli scuri di lui «Da ora in poi... voglio viverti senza alcun freno...» lo sguardo prese un inclinazione più maliziosa, il tono si fece più sensuale, mentre il corpo cercò di spingersi verso di lui.
    Se lo avesse permesso, Eva avrebbe cercato di spingere le spalle di Sam, verso lo schienale del divano. Poi, se questo fosse riuscito, avrebbe tentato di mettersi a cavalcioni sull'uomo, prima di ritrovare la strada per le sue labbra, in un bacio che aveva unito il romanticismo alla sensualità, mentre le mani, se lui non avesse avuto niente da ridire, avrebbero iniziato a slacciare i bottoni della sua camicia.

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