Is it the end?

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    eva ivanova
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    La scuola era finita, finalmente. Aveva riposto da poco i compiti ultimi nel suo armadietto e si era soffermata a prendere una tazza di té nella sala docenti, sfogliando una rivista in maniera svogliata e poco interessata.
    Era seduta su di una delle poltrone in legno che era posta intorno al grande tavolo.
    Eva aveva voglia di un po' di relax, quindi si stava ritagliando quest'ultimo, in quello spazio che sembrava, quest'oggi, non essere affollato dai colleghi che scappavano a destra e sinistra.
    Erano le prime ore del pomeriggio e la donna dell'est stava pensando a come passare il resto della sua giornata. Ora che non era impegnata con lezioni e studenti, tutto le sembrava più vuoto rispetto a prima e lei non si sentiva ancora pronta a dedicarsi a se stessa.
    Insomma, era in vacanza, quindi avrebbe potuto andare al mare, tanto per iniziare. Però non era proprio entusiasta della cosa, c'erano ancora studenti in giro per l'accademia e questo significava responsabilità e disciplina.
    Poi c'erano i nuovi arrivi da sistemare, le stanze da controllare per le partenze e fare in modo che il programma del prossimo anno fosse perfetto fino all'ultima parola.
    No. Non aveva assolutamente finito di lavorare, ora se ne rendeva conto.
    Un sorriso lieve si disegnò sul suo volto, mentre continuava a svogliare con una mano il giornale e con l'altra sorseggiava il suo té.
    Aveva un jeans a sigaretta, attillato, che accarezzava e sollevava ogni sua forma, un top bianco morbido, ficcato nella cintola dei jeans e sblusato per non renderlo troppo attillato, visto che già le forme facevano il loro bel da farsi.
    Aveva passato un intero anno ad attirare l'attenzione su di sé, con i suoi studenti in piena fase ormonale e aveva cercato di gestire al meglio la cosa, cercando di rendersi sempre più presentabile a lezione, talvolta con vestiti poco scollati e poco attillati, ma adesso non c'erano studenti e oggi non ne avrebbe ricevuto nemmeno uno, quindi poteva sfilare anche con quel decolté vertiginoso col tacco a spillo, che a lei stava proprio comodo, oltre che sfinarle la gamba.
    Sbuffò leggermente, certa che con lei non ci fosse nessuno «Dovrei provare a cambiare look...» la rivista che stava girando era una di quelle prettamente femminili, che le piaceva leggere quando non aveva impegni, sollevandosi dalla pesantezza dei suoi libri che continuavano a darle nozioni e curiosità prettamente tecniche.
    C'era chi diceva che era una donna pesante, questo lei non sapeva come smentirlo, quindi, probabilmente, il suo look avrebbe potuto aiutarla anche solo di poco.
    Di tanto in tanto, guardava fuori dalla finestra, aspettando di veder schiantarsi chissà quale studente che stava giocando là fuori con la sua scopa, ma finora niente di tutto ciò la poteva distogliere dal suo momento di relax.
    Lasciò la tazza, ancora piena per metà, quindi stese la schiena in avanti, per ripristinare la sua naturale posizione, un sospiro e si lasciò cadere sullo schienale, chiudendo gli occhi con un sorriso tranquillo sul volto.
     
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    Kenna Ivonne MacEwen



    Freddo. Aggettivo maschile, di solito indica il clima circostante, un grado di temperatura basso rispetto a quello corporeo. Talvolta accompagna anche il cibo, roastbeff freddo, insalata russa, tavoletta di cioccolata, ma non sempre ne è un accostamento felice: quanto è terribile il brodo freddo? Spesso, invece, viene accomunato al corpo umano, descrivendone alcune parti, come avere il naso freddo, le mani fredde, il viso freddo. Kenna Ivonne MacEwen aveva il cuore, freddo.
    Non era l'unica a crederlo. Le voci di corridoio arrivavano anche alle orecchie dei docenti, per quanto bene attenti fossero gli studenti nello scambio di pareri circa i loro insegnanti e mentori. Con tutta probabilità anche i suoi colleghi erano dello stesso avviso ma il loro giudizio, o pregiudizio, poco le importava.
    Si era congedata, dalla sua ultima lezione per i ragazzi del quarto anno, con serie raccomandazioni sullo sfruttare al meglio quell'ultima estate da studenti che avrebbero vissuto. Certo, non contravvenendo alle norme sociali e legali. Lo aveva fatto puntando il suo sguardo gelido e distaccato su Nicolaus Kracken, studente di origini bielorusse, nonché Dioptase, la casa di cui era responsabile. Conosceva bene i suoi studenti e sapeva che Kracken fosse amante di sostanze illegali babbane e fanatico di settimane di perdizioni nella capitale olandese. Anche quella notizia era una voce, ma con un fonte diretta: le parole dello stesso ragazzo. Elemento importante per una storica come lei.
    Il rumore dei tacchi delle decolté, alte e nere, che era solita indossare ad Hidenstone, risuonava nitido nel percorso che dalla sua aula, al quarto piano, la portarono in sala insegnanti. Si sarebbe risparmiata quel passaggio se non fosse che quella mattina aveva lasciato nel suo cassetto un vecchio manoscritto babbano del secondo secolo, dove aveva ritrovato interessanti testimonianze di comunità magiche nella penisola Balcanica. Già poteva pregustare il silenzio di quella stanza, approfittando delle teiere sempre ricolme di acqua calda per farsi un caffè, bevanda che aveva pian piano sostituito il te durante la sua lunga permanenza negli States, per rituffarsi tra quelle pagine che erano una copia perfetta di quello tenuto sottochiave ad Harvard, quella magica, ben inteso.
    Superò i gargoile, spingendo la pesante porta, con l'intento di prepararsi quel nettare per lei divino, bloccandosi al suono di un pensiero detto ad alta voce. E di certo non era il suo. La testa girò di scatto verso la direzione da cui aveva sentito strane parole in merito ad un look, non trovandosi poi di tanto sorpresa nel vedere che fosse la docente di Incantesimi. Non che ci siano molte altre donne, con cui poterla confondere... Una costatazione amara quella, che qualche tempo prima l'aveva portata a parlarne proprio con la Preside. Quella donna risoluta e pragmatica aveva liquidato quel pensiero in nome di una meritocrazia che la portava a scegliere il corpo docente che componeva la sua accademia. Una graduatoria che veniva stilata in base alla qualità e ad i risultati delle proprie ricerche e non in base a quale organo genitale uno disponesse.
    Fatto era che al pensiero della sua collega proprio non sapeva come rispondere, anche perché, dandole le spalle, non poteva di certo sapere per quale outfit avesse optato. Certo era che fosse lontano anni luce dal suo. Una gonna tubino nera, un top dalle bretelle sottili in seta bianca, la cartella da lavoro in cuoio, recante tracce d'usura, e le scarpe dal tacco vertiginoso. Uno stile di classe, semplice e raffinato, in poche parole noioso.
    O forse dovrei provare a farlo io. Si servì di un'abbondante tazza di caffè nero, zuccherandolo con un paio di zollette, finendo col raggiungerla al tavolo che aveva scelto. La posò sulla superficie scura, mentre la borsa finì sulla sedia a lei più vicina, leggermente fuoriposto, sorridendo in direzione della russa. Ricordava di come quello sguardo, recante traccia del freddo siberiano, l'avesse stregata quando l'aveva conosciuta, trovandola sensuale ed irresistibile. Peccato però che le ricordasse troppo una vecchia persona, tanto da farle accantonare ben presto qualsiasi interesse sessuale nei suoi confronti. Non sapeva neanche se le interessassero, le donne.
    Dallo schedario formato da infiniti cassetti raggiunse il suo dove prelevò il tomo che le serviva per quel nuovo filone di ricerca di cui si stava occupando. Ne carezzò la superficie, tornando verso tutti i suoi averi. Avrebbe potuto prendere tutto, salutarla e rintanarsi nel suo studio, ma non lo fece.
    Si accomodò, speculare alla donna, in modo da poter vedere i vestiti che aveva scelto per quel giorno.
    Potrebbe passare per qualsiasi studentessa all'ultimo anno. Ammise, soffermandosi per un secondo sulla scollatura che quel top bianco metteva in mostra. Non che il suo seno fosse da meno, ma non era, come dire... così esplosivo. Tra le sue mani vi era il motivo di quell'osservazione cui si era lasciata andare pensando di essere sola. Una rivista femminile, probabilmente piena zeppa di stereotipi sulla moda del momento. Qual è il tuo outfit? Immaginò quel titolo di un articolo improbabile alla ricerca della combo perfetta per valorizzare al meglio il proprio fisico. Sorrise, sorniona, pensando a come la Ivanova riuscisse ad essere sexy con un top di cotone ed un jeans a sigaretta. Lo sarebbe anche con un sacco di juta.
    Prese la tazza con entrambe le mani, portandosela alle labbra dove soffiò, prima di berne un sorso.
    C'è qualcosa di interessante? Chiese, indicando con le iridi chiare la rivista. Una conversazione futile, anche per dieci minuti, se la poteva concedere. Dopo tutto l'anno accademico era finito.



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    eva ivanova
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    Quando Eva entrava in modalità donna e non più docente, la cosa diventava quasi tragicomica. Insomma, era seduta a leggere una rivista prettamente femminile, cosa che durante l'anno non faceva mai e, anzi, le disdegnava.
    Inoltre, ogni volta che si perdeva nella lettura anche solo di un volantino, Eva non si accorgeva di quello che le accadeva attorno, alla fine dei conti sarebbe potuto entrare chiunque in quella stanza, ma lei sarebbe stato solo un favoloso oggetto che abbeliva la stanza, occupandone una poltrona.
    Sfogliava quelle pagine come se fosse una cosa che fosse obbligata a fare, storcendo talvolta il musetto carnoso per qualche immagine che non gradiva.
    Dai, ma come facevano a farsi quelle acconciature strane, le ragazze che facevano le modelle?
    Dovevano pesare un accidente, quindi perchè i parrucchieri continuavano ad imbacuccarle così?

    I suoi pensieri furono interrotti improvvisamente da una tazza di caffè sul tavolo e una voce che sembrava aver risposto al suo pensiero ad alta voce, fatto poco prima.
    Eva sussultò dalla poltrona e spostò il giornaletto «Professoressa MacEwen, per poco non mi faceva prendere un infarto.» lo disse con il sorriso sulle labbra, mentre poggiava sulla scrivania la rivista «Non l'ho sentita arrivare, ero sovrappensiero.» il che non era assolutamente una bugia.
    Eva era la semplicità fatta in persona, aveva sempre detto la verità e, anche quelle scomode, addolcendole nelle parole, cosa che era sicuramente diventata una delle prerogative principali di Eva.
    Scrollò la testa bionda, quasi di rimando a quello che Kenna aveva detto poco prima «Assolutamente no, ma in realtà credo che non debba farlo nemmeno io... è solo che mi annoiavo e ho trovato questa stupida rivista femminile, chissà chi l'ha lasciata qui...» sbuffò quindi, prendendo di nuovo la sua tazza di té e sorseggiandolo a poco a poco.

    Probabilmente la MacEwen aveva da fare cose sue, quindi Eva, per quanto avesse gradito un po' di sana conversazione, si limitò a sorriderle, quando si ritrovò i suoi occhi addosso. Chissà poi perché la stava osservando: era forse il suo aspetto? Forse avrebbe dovuto davvero cambaire vestiti, si vestiva così male?
    Calò lo sguardo disinteressato, nuovamente sulla rivista, con le guance che si erano arrossate un pochetto.
    Ancora il silenzio fu rotto dalla MacEwen e Eva sollevò di nuovo le iridi smeraldine dalle pagine «Sarebbe sicuramente più interessante se adesso tutti quei vestiti che stanno in queste pagine, fossero qui... anche solo per provarli un'unica volta.» sì, era davvero annoiata, aveva voglia di fare qualcosa di diverso, qualcosa che la faceva sentire più donna che docente, ma leggere quella rivista le stava facendo rimpiangere la cattedra.
    «Insomma, dico io, ci sono degli abiti veramente orrendi, che sfondano le migliori passerelle nel mondo della moda... ma non basta un jeans e una magliettina per essere sempre perfette?» si sollevò, quindi, a poggiare la tazza finita lì dove gli elfi l'avrebbero presa «Guardami, cos'ho di sbagliato in come sto conciata oggi?» fece un giro lentamente su se stessa, a mostrarsi.
     
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    Kenna Ivonne MacEwen



    Era convinta che sotto al nasino alla francese della giovane insegnante di Incantesimi non sfuggisse nulla. Dovette ricredersi quando l'accolse con tono formale, appellandola persino con il cognome, ammettendo prontamente di averla spaventata.
    Professoressa Ivanova, credo che ci conosciamo da almeno un paio d'anni, e credo proprio che sia giunto il momento di chiamarmi per nome. Quando non c'erano studenti, beninteso. Kenna andrà più che bene. Per quanto non avesse avuto modo di udire il suo arrivo le sue orecchie erano state pronte a captare quel pensiero di rimando che le era uscito spontaneo. Ciò che non si aspettava era che quella donna sapesse esattamente quale fosse lo stile che più preferiva.
    Probabilmente sarà qualche rivista confiscata a qualche studente. Magari un collega l'avrà lasciata sul tavolo con la promessa di buttarla nel cestino. Ci credeva poco nella seconda parte. Il sospetto che fosse della Sunderson, una ricercatrice del dipartimento di Babbanologia, era forte. Probabilmente l'aveva dimenticata lì, non curandosi di recuperarla.
    Scuoté la testa, avanzando verso lo schedario per recuperare il tomo che stava analizzando. C'era qualcosa di interessante che avrebbe potuto scoprire con l'aiuto del Ministero e ne avrebbe approfittato durante il periodo di pausa dall'Accademia.
    Eppure, per quanto interessante fosse quel filone di ricerca, la trentenne si era seduta di fronte alla bionda, scrutando la mise che aveva scelto per quel giorno. L'aveva forse messa in imbarazzo? I suoi erano stati solo pensieri, ne era sicura. Ma le guance lievemente arrossate e quel sorriso di cortesia sembravano sostenere la sua tesi. Fu di nuovo lei ad interrompere quel silenzio, abbassando gli occhi da gatta sulla tazza fumante. Li risollevò solo quando l'altra le ordinò di farlo, chiedendo cosa ci fosse sbagliato in quello che indossava.
    Assolutamente nulla. Disse, dopo averla guardata nuovamente, questa volta però sorvolando il generoso davanzale, finendo col fissare le sue labbra. Scelta, se possibile, ancor più sbagliata. Quella donna era la perfezione scesa in terra. Ma sa, la moda è un qualcosa che si ripete, almeno ogni venti anni. É facile trovare nei negozi qualcosa che richiami gli anni ottanta. Qualcosa che potrai rimettere tra quanto? Sessant'anni? Invece un semplice jeans e una maglietta bianca -come nel tuo caso- o la mia intramontabile gonna a tubino nera non passeranno mai di moda.
    Era proprio lei quella che era finita col parlare di riviste di moda, sfilate e passerelle? A stento si riconosceva. Ma lo trovava piacevole, come se si stesse risvegliando da quel letargo che aveva vissuto per troppo tempo. E poi la voglia di cambiamento era un sintomo che la sua vita stesse cambiando, in un modo o nell'altro. E se per farlo bastava cambiare stile, almeno per un giorno, l'avrebbe fatto.
    Sa, potremmo chiedere al nuovo professore di Trasfigurazione -Blake, giusto?- di render vivi quegli abiti patinati. L'idea non era del tutto malvagia. Magari l'uomo avrebbe potuto dare dimostrazione delle sue qualità. Una richiesta effimera, certo, ma non priva di un certo fascino.



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    Edited by Kenna MacEwen - 4/8/2019, 01:15
     
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    Eva Ivanova
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    Eva riusciva ad essere perfettamente fuoriluogo, senza nemmeno volerlo.
    La questione posta da Kenna sul chiamarla per cognome, era sempre qualcosa che metteva a disagio la docente, che non sapeva mai come doversi comportare con i suoi colleghi. Alcuni erano davvero poco alla mano, davvero fastidiosi, quindi volevano essere tenuti a distanza; altri - invece - volevano essere messi sullo stesso piano e Eva adorava quest'ultima categoria.
    Rendeva tutto più semplice.
    Per fortuna Kenna era una di queste, tanto che alle sue parole, Eva accennò un sorriso «Non tutti i nostri colleghi sono così, alla mano. Alcuni vorrebbero anche il tappeto rosso quando entrano.»
    Sbuffò leggermente, quindi, mentre andava a sfogliare qualche altra pagina di quella rivista a suo parere inutile.

    Riguardo alla confisca, Eva abbassò la rivista, la chiuse e la mise da parte «Immagina se scoprissimo che questa rivista non è stata confiscata, bensì è una a quelle a cui Ensor è abbonato?» le braccia erano conserte sul tavolo e guardava con quello smeraldo incastonato nel viso, la sua collega con un fare davvero serio, tanto da far credere che Eva pensasse davvero quello che aveva detto.
    «Dai, me lo vedo Ensor a cercare le ultime news in fatto di moda, su una rivista del genere. Tu no?»
    Ma che poi, perché proprio Ensor?

    Quando la loro conversazione continuò, Eva notò come anche la docente in questione le stesse dando del lei «Ehi, ehi, ehi. Kenna, vale anche per te... chiamami Eva, o mi sentirei davvero a disagio.» si grattò distrattamente la guancia, quindi continuò poco dopo «Eppure tutti continuano ad andare dietro questa roba qui, come se aspettassero di spendere i loro galeoni dietro la moda, pronti a buttare un capo appena comprato, per recuperarne altri a distanza di pochi mesi.»

    Si lasciò cadere con le spalle alla seggiola, quindi accavallò la gamba con semplicità ed eleganza. Quindi prese a giocare con una ciocca dei suoi capelli, mentre tra le sue mani scivolavano quelle ciocche e i suoi pensieri scendevano tra le sue labbra, senza che realmente riflettesse prima di parlare. «Sai cosa dovremmo fare un giorno di questi? Ficcarci in un negozio e provare tutti i vestiti più strani e... non comprarne nemmeno uno.»
    Eva era una di quelle che non dava freno alla sua vena infantile o adolescenziale e se poteva giocare e divertirsi, lo avrebbe fatto senza troppo pensarci. E se aveva qualcuno con cui farlo, era anche meglio.
    Guardò Kenna di sottecchi, con un sorrisetto invitante «Potremmo portarci anche Ensor, magari li facciamo provare a lui i vestitini.»

    made by zachary

     
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    Kenna Ivonne MacEwen



    Sappiamo tutti di chi stiamo parlando. Il tappeto rosso, possibilmente sangue, era un qualcosa che Ensor avrebbe preteso. Non aveva mai visto un sorriso sul volto del Responsabile degli Ametrin, neanche la sua ombra. Il ghigno era quanto di meglio avrebbe potuto scorgervi. Chissà se ha subito qualche trauma quand'era piccolo. Non che lei fosse dolce di sale. Era granitica nei suoi silenzi e nella sua compostezza che mostrava a colleghi e studenti. Il suo punto di rottura era stato un lutto in una età dove ancora aveva tanto da crescere, un amore mal corrisposto ed una identità sessuale fortemente ballerina. Aveva finito con il chiudersi a riccio nella sua zona di comfort fatta di vecchi libri polverosi e misteri di epoche lontane. Ogni tanto usciva da quella barriera irta di spine, lasciandosi coinvolgere per poco tempo finendo anche con il trascinare l'interlocutore del momento con ipotesi buffe e prive di senso, il più delle volte. Come il fatto che l'Ivanova avesse puntato proprio sul Docente di Difesa come possessore supremo di una rivista di moda. Assolutamente. Avrà visto su quelle l'outfit per lo stronzo che non deve chiedere mai. Bisognava ammettere che fosse un uomo piacente, soprattutto quando indossava camice ben stirate -probabilmente dagli elfi- ed un semplice pantalone senza troppi orpelli o vesti hippies come quelle del runologo.

    L'educazione ricevuta ed il fatto di esser formale anche con se stessa aveva indotto la storica a continuare a rivolgersi alla giovane collega con un lei che faceva tanto da vecchia, ma che fino a quando non avesse avuto il lascia passare per rivolgersi a lei con il semplice tu non avrebbe abbandonato. Permesso che non tardò ad arrivare, con la scozzese che inclinò di poco il capo assaporando sulle labbra l'unica sillaba che componeva quel nome semplice e uguale nella maggior parte delle lingue. Eva, come la prima donna, nata da una costola di Adamo, secondo la versione maschilista e patriarcale della visione della creazione dei generi prettamente dettata dagli organi genitali e non dall'identità di una persona. Eva, un nome che sapeva di peccato, persino per lei di tentazione. Era una donna piacente la russa, con tutte le forme e le simmetrie perfette. con piccole imprecisioni che la rendevano ancor più interessante. Una volta superato lo shock del seno prosperoso erano gli occhi a catalizzare l'attenzione. La forma era simile ai suoi, persino il colore poteva sembrar simile ad un'occhiata sfuggente, ma in realtà erano ancor più magnetici. Faticava nel mantener viva quella conversazione e non per mancanza di stimoli da parte della bionda, quanto per il senso di colpa che cresceva pian piano ogni qual volta il suo sguardo tornava su quel manoscritto di almeno diciannove secoli prima. Sentiva come poco fosse il tempo, nonostante i corsi fossero appena finiti e l'intera estate a disposizione per dedicarsi a quell'attività primaria per una ricercatrice.
    Un pensiero che strideva con la proposta dell'altra che si era messa ancor più comoda su quella seduta, invitandola in quell'attività fatta di stoffe e colori e perdita sonora di Galeoni. Allora perché non organizzi? Credo che mi ci vorrebbe proprio. Si rialzò, impilando le sue cose, sistemandosi la borsa sulla spalla e afferrando con la mano libera la tazza con il caffè di poco inferiore alla metà della capienza. Ti ringrazio per la pausa... Eva... Con il fianco spinse la sedia sotto il tavolo, nella sua posizione originaria, lasciando che sulle sue labbra si modellassero le due vocali e l'unica consonante. Ora però sarà meglio che vada. Levò la tazza in segno di saluto, dirigendosi verso la porta che l'avrebbe rimessa nel corridoio accompagnata dal rumore riconoscibile delle sue calzature. Conserva quella rivista, non si sa mai... Una frase che pronunciò praticamente sulla soglia prima di perdersi nel vuoto della scuola.



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