Votes taken by ˜ Madison Elodie Loire ˜

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    Madison E. Loire
    Auror | Rettilofona
    Fare le sorprese era il suo forte, ma quel giorno non si era messa per niente d'impegno, più che altro perché nemmeno lei si aspettava di rientrare dal tour con così tanta facilità. Solitamente avrebbe atteso la data successiva, continuando a viaggiare, ma sapeva quanto Thomas avesse bisogno di lei, lo sentiva. Per questo motivo aveva deciso di materializzarsi a casa loro senza avvisarlo. Nagiri era stata un'ottima complice nel prepararle l'entrata ad effetto.
    Si scansò appena in tempo, evitando il joystick che volava, guardandolo con gli occhi color miele mentre volteggiava in aria, prima di ricadere al sicuro tra le mani del padrone. Nagiri era strisciata ormai via, trovando sicuramente rifugio nel suo terrario in camera di Maddie, lasciando i due a fare i conti nel levigare la loro assenza reciproca.
    «Quando mai un mio tour può andare male?»
    Domandò fingendo saccenteria a riguardo, prima di scoppiare a ridere e abbracciare il ragazzo, prendendosi parte del profumo familiare che emanava dalla sua pelle.
    «Io manco e tu non fai nemmeno una doccia, Mas. Questo dimostra quanto io ti manchi ogni volta che non ci sono.»
    Lo prese in giro, com'era solita fare, mentre faceva un giro su se stessa per prendersi quel complimento così spontaneo dell'altro.
    Rimase in silenzio, ascoltando quel saluto ai compagni virtuali dell'altro, prima di fiondarsi a spingere sulle sue spalle, appendendosi per arrivare al mic.
    «Sì, guys, dobbiamo andare a far sesso sfrenato su tutte le pareti della casa, noi gente vera!»
    Maddie prendeva sempre per i fondelli gli amici con cui Thomas giocava, ormai erano di casa come se fossero anche suoi amici, ma la cosa di dire frasi come quella, le faceva credere che i nerdoni dietro lo schermo, dopo aver sentito quelle parole, potessero tornare a fare della loro mano una migliore amica, con quei movimenti di polso di cui erano capaci.
    Lo guardò, quindi, poi gli saltò in braccio, allargando le gambe alla sua vita e stringendole, poi, stile un koala drogato.
    «Povero piccolo Mas, senza di me come faiiiii!»
    Strinse le braccia attorno al collo del ragazzo, portando il suo volto sul proprio petto.
    RevelioGDR
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    Madison E. Loire
    Auror | Rettilofona
    Era una di quelle giornate veramente noiose in ufficio. Non c'era niente da fare e l'unica cosa che poteva creare un po' di movimento era lei che girava sulla sua poltrona, mentre giocava a reggere sul ponte tra il naso e gli occhi una matita, facendo in modo che non cadesse. Di tanto in tanto sbuffava e spiava verso lo schermo del computer che aveva sulla scrivania, sperando di aver dimenticato di fare qualche rapporto; niente, aveva terminato tutto il da fare e non le restava altro che sperare che quel turno finisse prima del dovuto. Sapeva quanto fosse impossibile, ma aveva terminato ogni possibile alternativa.
    Lei e Thomas avevano anche fatto una lunga pausa merenda al distributore automatico, svaligiandolo come sempre, prima di ritornare in ufficio e non aveva altro che attendere che anche l'altro terminasse i suoi rapporti per poter giocare a canestro con qualche carta appallottolata.
    Erano appena le 21:00 di quella domenica senza senso, ancora un paio d'ore e forse sarebbe stata libera da ogni catena, potendo finalmente andare a bere con il suo parabatai senza runa.
    «Quanto ti manca?»
    Domandò all'altro, lanciandogli una pallina di un foglio che usava per molestare il collega.
    Stava quasi per alzarsi dalla scrivania, per andarsi a sedere su quella di Thomas e distrarlo, quando il telefono squillò.
    Si lanciò come una saetta, disturbando Nagiri che dormicchiava sul ripiano della scrivania, facendo cadere anche qualche penna, dopo aver rovesciato il contenitore che cercava di non rotolare giù dal banco.
    «Pronto?»
    Rispose con quella voce melodiosa e un sorriso spensierato. Sorriso che fu il primo a sparire, mentre dall'altra parte della cornetta la voce di Nik Lebosky suonava cupa e preoccupata.
    Maddie volse le spalle alla scrivania di Thomas, poggiando parte del suo sedere sulla propria, mentre Nagiri strisciava verso le sue cosce, bardate da un leggins di pelle nera opaca che le accentuava le forme generose, cingendo in vita un corsetto nero dello stesso materiale, senza spalle a reggerlo, se non il suo seno ben disegnato. Sulla pelle che il corsetto lasciava nuda, vi era una giacca, a completare il look total black che la dipingeva come un'ombra dalla silhouette perfetta.
    «Va bene. Veniamo subito.»
    Il suo tono si era spento, come se quello che aveva appena sentito fosse qualcosa di inaspettato e non desiderato.
    Chiuse il telefono e guardò verso Thomas, disincastrando gli anfibi che si erano incrociati tra di loro, mentre ascoltava.
    «Hanno trovato un corpo. Lebosky dice che è roba nostra. Chiamo Halvorsen e andiamo.»
    Si spinse dalla scrivania, mentre la vipera blu le si attorcigliava sulle spalle. I passi vennero mossi dall'altra parte del corridoio, a cercare l'altro collega che era in turno quella sera.
    «Halvorsen. Lebosky ci vuole sul Tamigi. Hanno trovato un corpo.»
    Avrebbe atteso quindi i suoi compagni di avventura e solo se loro fossero stati pronti, avrebbe provveduto a smaterializzarsi con loro e la vipera, sul luogo del ritrovamento, posto reso sicuro dal mago, capo della Polizia Babbana, che aveva assicurato di aver allontanato tutti gli occhi indiscreti del luogo.
    RevelioGDR
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    L'essere convocata da Freeman era qualcosa che non aveva mai ipotizzato, ma sicuramente c'era un motivo valido per quello che stava succedendo, forse doveva farle una strigliata perchè l'aveva vista disegnare dei baffi a Thomas mentre sonnecchiava, nella sua pausa pranzo? O forse per aver sparso in giro per l'ufficio dei post-it con su scritto «Sorridi, sei più bell*» - attaccati un po' ovunque in giro per le sale? Insomma, era solo un modo per rendere le giornate dei suoi colleghi meno pesanti e meno serie, già lo erano abbastanza visto il lavoro che facevano, se lei non avesse fatto questo, sarebbero state ancora più tristi e non sarebbero passate mai.
    «I cioccolatini di cioccola--- ah... oh... non sono qui per questo allora.» - tirò un sospiro di sollievo, per un attimo. Le cose erano andate decisamente bene, non era lì per aver fatto una mancanza a Freeman a non avergli portato dei cioccolatini, ma perchè ovviamente... no, un attimo, perché era lì, quindi? Lo guardò ancora davanti alla porta, con il timore di entrarci dentro «Sì, piuttosto noiosa. Ho finito tutti i rapporti e sistemato tutte le carte che andavano archiviate. Mi mancano ancora troppe ore..» - sollevò le spalle, cosa doveva fare? Magari voleva che cantasse una canzone. Oh, no! Certo! Voleva che facessero dei selfie per risistemare il suo profilo social: effettivamente l'aveva visto qualche giorno fa ed era veramente noioso, non era degno di uno come Charles.
    Ed invece, no. La proposta di Charles sibilò nell'aria come una freccia rapida «Oh!» - Maddie era decisamente stupita, lo dimostrava anche la sua bocca a forma di cerchio perfetto «Assolutamente si! Dimmi tutto, dove andiamo?» - il suo volto si era illuminato decisamente troppo
    Madison E. Loire

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    Si deve avere del caos dentro di sé, per poter generare una stella che danza.
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    Auror, Rettilofona

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Maddie prendeva ogni giorno con un sorriso sul volto, anche quando le cose non andavano come lei desiderava, sapeva che prenderle con allegria avrebbe aiutato a superare anche gli ostacoli più complicati, anche quelle situazioni più ostiche sarebbero state più facili di affrontare con un sorriso sul volto. Lo aveva imparato fin da piccola e con questa filosofia era cresciuta, allenandosi a trovare uno spicchio di sole anche durante le giornate più buie. Ed era per questo che anche quando era con le persone, la sua principale preoccupazione era che il sorriso non mancasse in nessuna occasione. Oltre a questo, però, Maddie aveva altro in comune con quel ragazzino sul letto, un po’ acciaccato dalla rissa che aveva fatto parlare di lui per l’intera giornata, era il fatto che per lei la fisicità era importante. Era come se capisse chi aveva accanto solo toccandolo, condividendo con l’altro l’aria, sentire i profumi di ogni persona che conosceva. Pareva strano agli occhi degli altri, ma per lei era davvero importante come le persone reagivano ad un tocco, ad una carezza e Thomas, in quel momento, stava rispondendo al meglio. Non che Maddie si sarebbe ritratta, prepotente com’era nel rubare spazio all’aspirante auror. Scosse il capo quando il ragazzo chiese il significato di quella parola «Scusa, il francese a volte mi sfugge.» – disse ridendo, mentre lo medicava e spostava il miele dai suoi occhi alle sue labbra e viceversa, senza spegnere la luce dal proprio viso.
    Rise divertita a quel commento sulle donne mestruate e scrollò le spalle «Non saprei, credo di essere pericolosa trecentosessantacinque giorni all’anno, a volte trecentosessantasei; tuttavia devo ammettere che quando ho il ciclo divento un po’ più chat… oh, mon dieu l’ho fatto di nuovo. Dicevo, divento un po’ più micia: ricerco attenzioni, faccio le fusa, ho sempre fame… ah no, quello capita sempre.» – rise divertita, non si rese conto di quanto con Thomas stesse parlando senza alcuna restrizione, come se fossero amici da anni. Non aveva idea di aver appena trovato la sua persona, la parte di lei che avrebbe protetto in questo e anche nelle altre vite se ce ne sarebbero state «E comunque, ci ami tutte, eh? Questo mi fa piacere, ma sappi che amerai me più di qualsiasi altra, da oggi.» – ovviamente stava scherzando e lo dimostrò iniziando a ridere poco dopo, piegandosi appena sul suo collo, in un leggero abbraccio istintivo, ma senza fargli male. Erano affini e il destino aveva fatto in modo che si unissero, proprio in quell’infermeria. Quando ironizzò sull’accento inglese, la ragazza iniziò a ridere divertita, poi unì indice e pollice in un cerchio e lo appoggiò sull’occhio destro, mimando un monocolo tipicamente inglese «Oh Lord, alle ore cinque è disponibile per il tè con i biscotti?» – il suo accento inglese aveva quella morbidezza francese a cui non riusciva a rinunciare. Rise ancora, prima di disinfettare con la propria lingua la ferita. Gli occhi miele sorrisero insieme alle proprie labbra per quel soffio «Ci toccherà recuperare il tempo perduto, sir Thomas – ancora finse quell’accento inglese che non apparteneva a nessuno dei due, per poi riprendere a passare la lingua su quelle labbra, questa volta spostandosi dalla ferita e tracciandone il contorno «Hai un buon profumo…» – sussurrò sulle labbra ferite dell’altro.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    A quanto pareva dovevano incontrarsi obbligatoriamente, quel destino balordo ci aveva messo lo zampino e quel colpo di fulmine tra di loro scattò prima ancora che potessero dire no e rifiutare quell’incontro. «Uh?» – sgranò le iridi di miele quando vide il ragazzo mantenersi le costole mentre rideva «Ah, le costole, à droite – si portò la punta dell’indice sulle labbra, quasi come se stesse pensando ad un modo per non fargli sentire dolore, ma quando vide il labbro sanguinare di nuovo, non fece in tempo a riflettere che subito si ritrovò ad afferrare una garza sterile sul suo comodino e tamponargli quel sangue, mettendo un ginocchio sulla barella, poi l’altro e sollevandosi su di lui, stando molto, moltissimo, attenta a non fargli ancora male «Non vorrai rimanere qui a vita. Insomma, non possiamo ridere, non possiamo piangere. Tutto ciò che possiamo fare ti farebbe male. Un gran bel casino, Richenford!» – il suo tono era allegro, così come il suo volto solare che lo guardava dall’alto mentre continuava a tamponare quelle labbra ferite. Sapeva che ridere era troppo difficile da evitarlo, tanto che lei stessa lo fece poco dopo averlo detto «L’infermiera è sempre troppo occupata, malheureusement. Adesso è proprio assente, pensa te.» – scrollò le spalle, mentre poi si sedeva accanto al ragazzo, volgendogli il miele e le proprie attenzioni «Sinceramente? Io non ho ascoltato molto, so che hai difeso qualcuno facendo a botte. Mi fa male la pancia, sai quel periodo del mese di noi donne. E ho un lancinante dolore addominale con altrettanto fastidio alla testa, meno ascolto meglio è.» – Thomas stava facendo i conti già con la sincerità di quella ragazzina che dimostrava come non avesse peli sulla lingua. Gli sorrise, mentre istintivamente, senza nemmeno chiedergli il permesso gli spostò un ciuffo di capelli dalla fronte «Loire. Quella venuta dalla Francia, per il resto dei tuoi colleghi qui in Accademia.» – sembrava che quell’essere presa in giro per quel morbido accento francese, non le interessasse poi tanto, mentre scrollava le spalle e manteneva quel solare sorriso sul volto «Ma puoi chiamarmi Madison o Maddie.» – inclinò il capo, quindi cercò di farsi un po’ più piccola e di mettersi stesa accanto a lui «Faccio male?» – domandò, mentre si poneva di fronte con il viso, così da poterlo guardare in volto mentre parlavano «Mon dieu, questo labbro continua a sanguinare.» – disse lei mentre sbuffava per la continua ferita che non voleva rimarginarsi «Sta’ fermo, je vais gérer ca – istintivamente quel “ci penso io” le uscì in francese, come se non avesse alcun problema a esporre agli altri la sua provenienza. Così come parve non avere alcun problema ad accorciare ancora più le distanze tra di loro, se lo avesse concesso e a passare la lingua sulla ferita, per disinfettarla, così come si dice che la saliva è miglior disinfettante. Il passaggio della lingua di lei, se Thomas lo avesse concesso, sarebbe stato molto delicato e dolce, mentre i suoi occhi miele si conficcavano in quelli di lui.
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    Mal di pancia. Insomma, quale donna al mondo, magico e non, non è soggetta al mal di pancia durante quel periodo del mese? Eppure, quella volta era talmente forte che aveva la necessità di prendere qualcosa, il bisogno di ingerire una qualche pillola che placasse il dolore. Chi mai avrebbe saputo che quello sarebbe stato il giorno perfetto per conoscere la sua metà perfetta? Quella persona per cui da lì a poco avrebbe dato la vita, la sua persona, colui che avrebbe difeso a spada tratta davanti a tutto e tutti e per cui sarebbe scesa all’inferno pur di vederlo sorridere? Nessuno, a dirla tutta. Eppure il destino era un fottuto bastardo e stava mettendo Maddie sulla strada di Thomas, prima ancora che loro potessero dire una semplice parola. Si manteneva il pancino, la ragazzina, mentre varcava la soglia dell’infermeria; il passo era alternato da pause piuttosto lunghe in base a quanto fossero lancinanti le fitte che le sue ovaie avevano deciso di lanciarle. «Ma non potevo nascere uomo?! Loro hanno solo il problema delle dimensioni che cambiano, perché cavolo devo soffrire così tanto.» – sbuffò ad un passo da quella porta che avrebbe portato la ragazzina sempre più vicina ad avere la sua pasticca. Si mantenne allo stipite della porta, stringendo le dita attorno al muro «Merdè» – proferì lei, quasi dimentica del fatto che non fosse in Francia e quel suo accento le aveva già creato diversi problemi di integrazione.
    Entro finalmente nell’infermeria e si guardò attorno, cercando l’infermiera di turno. Fu in quell’istante che sentì quel lamentio. Dolore? Chi altro stava soffrendo e come osava soffrire più del suo ciclo? Ruppe il silenzio successivo a quel lamento «Dillo a me!» – disse, affacciandosi dal divisorio che faceva da separazione tra un letto e l’altro «Mon dieu!» – disse, vedendo che il ragazzo aveva ben altro a cui pensare rispetto ad un ciclo mestruale. Non si fece troppi problemi e si ritrovò ad entrare nello spazio della sua degenza, senza nemmeno chiederle il permesso «Ma sei Richenford? Quel ragazzino di cui si parla tra i corridoi oggi? Che diamine hai combinato, guarda come sei conciato!» – disse, mentre i suoi occhi miele si posavano sul ragazzo che avrebbe potuto scontrarsi con il suo sorriso solare, nonostante il suo tono preoccupante «Sei proprio fortunato che sia venuta qui, almeno ora c’è qualcuno che può farti compagnia e meglio di me, chi mai ti poteva capitare?» – ecco, Thomas avrebbe già capito il suo caratterino.
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    «E anche questo è andato!» - la giovane auror si spinse con la schina sulla sedia girevole, mentre sospirava e si stiracchiava dopo aver finito l'ennesimo rapporto di una missione.
    Si guardò intorno, verso la scrivania di Thomas, che quel giorno non era in turno «Uffa ~» - sbuffò, prendendo il suo magifonino e inviò una foto della scrivania vuota all'amico «Se ti disordinassi tutta la scrivania? Così, giusto per noia.» - recitava la didascalia che seguiva quella foto, con tanto di faccina che faceva una linguaggia.
    Ma non bastava, in quella pausa Maddie non si sentiva soddisfatta di quella foto, quindi si spinse in avanti, poggiando il telefono incastrandolo vicino al pc, dove aveva un piccolo portatelefono e fece partire una registrazione per Mas «Ciao Mas. Stai ancora dormendo, alla facciaccia mia, eh? Sappi che il tuo è un comportamento disdicevole, dovresti venir qui e portarmi delle ciambelle, ho un sacco fame e sai che qui sono tutti musoni, non vengono con me a comprare ciambelle!» - si portò di nuovo con la schiena alla sedia e prese a roteare a destra e sinistra, senza finire il giro completo «Mi annoio, ho finito in anticipo tutti i rapporti e ora non ho niente da fare. Se hai qualche scartoffia da sistemare dimmelo prima che termini il turno che te la faccio io. Poi mi merito un bel bacino. Senti pensavo, stasera ti andr---» - l'arrivo della segretaria di Charles interruppe il suo dire. La ragazza si sollevò in una posizione più aggraziata, su quella poltrona, e ascoltò la donna convocarla dall'auror «Signorina Loire, il signor Freeman vuole vederla nel suo ufficio.» - gli occhi miele di Elly si sgranarono. Cosa mai poteva volere Freeman da lei? Aveva forse sbagliato un rapporto? Oh, vabbè, almeno la correzione le avrebbe occupato altro tempo «Arrivo subito.» - rispose con un sorriso, per poi guardare di nuovo verso la videocamera «Beh, Freeman mi cerca. Bacini, Mas e... portami del ciboooo!» - così avrebbe interrotto la registrazione di quel folle video e inviato al destinatario, per poi stiracchiarsi sulla poltrona e alzarsi in piedi.
    Aveva un jeans a sigaretta, dal lavaggio nero e degli anfibi, allacciati male. Sopra una maglietta nera pelosa, che le faceva un sacco di calore, attillata e leggermente corta sul ventre, lasciando intravedere un filo di pelle. I capelli erano ancora corti, tinti di una leggera colorazione rosa.
    Si diresse verso l'ufficio del Freeman e una volta lì, si affacciò alla porta, bussando «Ehm--- presente? Mi hanno detto che mi cercava, se è per la questione dei cioccolatini sulle scrivanie, mi spiace non averne lasciato uno anche sulla sua, è che da questa parte bazzico poco e... beh, come non detto. Che ho fatto?» - disse con un sorrisone spontaneo e allegro.
    Madison E. Loire

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Cosa c'era di così difficile in quei due? Perché ogni loro incontro doveva essere sempre anticipato da uno scontro di teste a chi aveva più testardaggine da battere l'altro? Non potevano conoscersi come due persone normalissime? Era iniziato tutto per un fottuto gioco ed invece lei si ritrovava con la fottuta testa a pensare a quel biondino che sembrava non voler fare altro che fregarle anche la parte più razionale della sua testa.
    Evan era apparso dal nulla, deviando la strada retta che Madison aveva intrapreso e aveva sfondato ogni muro della sua testa, con la prepotenza e fregandosene se fosse rimasto il segno del suo passaggio, in maniera letterale e materiale. La faceva letteralmente impazzire: il suo modo distaccato, il suo corpo che la eccitava, il suo essere violento, ma allo stesso tempo quel senso di protezione strana che sentiva quando lui le era intorno. Cosa stava accadendo?
    Non si era mai soffermata a farsi domande, a chiedersi cosa facesse qualcuno quando lei non era nei paraggi o a perché non si facesse sentire; Evan aveva rivoluzionato tutto questo, rendendo nulle tutte le tattiche per evitare di arrovellarsi il cervello sul motivo per cui non si fosse fatto sentire dopo quella volta sulla spiaggia.
    Lei non credeva all'amore a prima vista, forse non credeva proprio nella relazione in se per sé pensando esclusivamente a quanto potesse essere genuino del sano sesso occasionale, eppure con Evan tutto questo vacillava. Voleva sentirsi sua, voleva che i suoi occhi dimostrassero ad Elly quanto ci tenesse a guardarla, a spogliarla anche solo con lo sguardo; esigeva le sue attenzioni.
    Avvertiva nell'aria l'odore del pericolo in quello sguardo e in quel suo freddo parlare, mentre le mani del biondo scendevano sul suo corpo, lenendo quel profumo di rischio e mescolandolo all'eccitazione, al desiderio di non voler sentirne il movimento fermarsi. Deglutì a vuoto, cercando di mantenere la lucidità mentale per rispondere a quelle parole «Io non ho scelto nessuno.» - mormorò appena, aggrottando un po' la fronte alla strana scelte di parole e a quel lui che non sapeva bene a chi si riferisse «E chi ha detto che c'è un ragazzino viziato accanto a me?» - sollevò il sopracciglio, senza distogliere quello sguardo miele da lui.
    La sua voce stava di nuovo avendo quello strano effetto ipnotico su di lei, che si ritrovò a riprendere fiato socchiudendo gli occhi, mentre lui parlava e si avvicinava ancora un po' a lei. Voleva sentire il respiro di Evan sulla propria pelle. Il suo tono era così imperativo, così autoritario. E lei non si sentiva altro che in una sottomissione che non riusciva a comprendere. Tentò di tenergli testa, tuttavia, soffiando via delle parole dopo un breve attimo di silenzio «Bali.» - soffiò contro di lui una meta e poi si zittì, prima di vomitargli addosso tutto quello che aveva necessità di tirar fuori.
    Quella pericolosa vicinanza la stava mandando fuori di testa, non riusciva a razionalizzare nemmeno quello che voleva dire, a nascondere i propri pensieri e quando lo vide fare passi indietro, avrebbe realmente voluto un tasto rewind per riavvolgere il tutto e non proferire parola alcuna. Eppure la fece avvicinare. Il suo indietreggiare contrastava il suo non muoversi mentre lei voleva ricercare contatt con lui.
    Lo scatto di lui la fece sussultare appena, lasciandogli il fianco libero per poterla sbattere contro il muro. Strinse gli occhi appena, per poi riaprire quella finestra sul volto del biondo nuovamente vicino, nuovamente su di lei, nuovamente a stringerle quei fianchi con possessione e poca dolcezza. Sbuffò un'amara risata alle sue parole «Lo farò, grazie del consiglio.» - e quel suo dire risuonò con lo stesso tono di una provocazione verso Evan, quasi a voler scatenare in lui una reazione all'idea che potesse sfogarsi con altre persone all'infuori di lui. Voleva sentirlo, voleva sentire la sua possessione sul proprio corpo...
    Quella stretta bruciava come lava, sulla pelle e quel morso la portò a trattenere il fiato per il dolore, ma ad eccitarla nuovamente, facendole chiudere gli occhi come se volesse gustare quel bruciore inferto dai denti, ancora di più.
    Quel fiato sulle labbra, quelle parole «So esattamente cosa ho scelto di desiderare, Evan - quel nome inciampò nel suo accento francese appena sussurrato, mentre lo superava e attraversava la porta che li aveva portarti sul retro. La sbattè alle sue spalle, con fragore e nervi, poi vi si poggiò sopra «Merde!» - il francese fece di nuovo capolina su quelle labbra, mentre incazzata diede un pugno a quella porta, prima di incamminarsi verso il palco, dove la band la stava cercando.
    Riaccese il microfono e diede segno alla band di suonare di nuovo, senza altre spiegazioni
    «♪Scriverò di amarti sulle note di un iPhone
    Fisso la parete, tanto non ti chiamerò neanche stasera
    Non vale la pena, è agosto ma si gela
    Anche se non serve a niente♪»
    - la sua voce riprese a risuonare quel pezzo, intonando quella parte in lingua spagnola che aveva imparato alla perfezione per l'occasione «♪Prima di te, ero sola, ero mia, era tutto più facile
    Ora in questa follia ho imparato a danzare
    Cento giorni senza incontrarsi
    Non credevo che poi mi mancassi♪»
    - il suo corpo prese a muoversi, mentre le immagini del volto di Evan ripresero a danzare nella sua mente insieme a quel ritornello «♪Sottovoce dirti sì, sottovoce dirti sì
    Sottovoce dirti sì, stanotte solamente
    Sottovoce dirti sì, sottovoce dirti sì
    Mi sfiori appena, sei un brivido sulla mia schiena♪»
    - e fino alla fine del pezzo continuò a ballare.

    Altri due o tre pezzi, questo forse nemmeno lo avrebbe ricordato e avrebbe salutato calorosamente i suoi fan, per poi lasciare la band a smontare e a grosse falcate dirigersi verso il suo camerino, sbattendo anche quella porta e lasciandosi cadere sul divano che vi era nella stanzetta. Prese una birra dal frigo, allungandosi senza nemmeno alzarsi e con il tallone fece leva per sfilarsi le scarpe «Pouquoi...» - sussurrò a se stessa, chiedendosi il perché di tutto quella stranezza che Evan le comportava, quindi si sfiorò il collo, avvolgendo con la mano il morso del biondo e socchiudendo gli occhi mentre la birra scivolava in gola.
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    Thomas era ciò che di più prezioso avesse al mondo e poteva anche lasciarlo scritto sul proprio testamento e sulla propria lapide. Avrebbe donato a lui la sua intera vita, avrebbe seguito il ragazzo fino in capo al mondo se glielo avesse chiesto e non perché voleva essere la sua ragazza, ma perché quello che provava per lui era la purezza di un sentimento così genuino di cui Madison era diventata succube. Si amavano come non si ama una fidanzata, come non si ama una madre, come non si ama un'amica. Si amavano come si amano solo loro; Mas e Maddie. Erano due pedine uniche nella scacchiera del mondo e loro sapevano che l'altro ci sarebbe sempre stato al proprio fianco. Era per questo che lei aveva avuto la certezza che avrebbe lenito quel dolore e quei lividi, anche solo con la sua presenza. E quei morsi e quei baci così carnali erano il simbolo di quel loro rapporto.
    Thomas era la sua persona.
    E quello non ci sarebbero stati ragazzi o ragazze a cambiarlo.
    La presa in giro sui muscoli fece ridere la cantante, che si ritrovò a guardare il ragazzo con gli occhi addolciti da quelle parole «Io non ricordo quand'è stata l'ultima volta che ho mangiato.» - ammise, storcendo appena appena il naso.
    Tutto sembrava stesse tornando alla normalità e questo fece sì che Madison si sentisse un po' meglio, sicuramente meno sbronza di com'era arrivata e con la voglia di fare una doccia calda. Strinse le dita del ragazzo, lasciandosi avvolgere da quel braccio che era ancora e appiglio per lei. «Infatti, non so proprio come tu abbia fatto. E io a Parigi? Dannazione, il solo pensiero mi fa rabbrividire!» - ed era vero, come aveva fatto senza di lui. Forse molte cose sarebbero state diverse se non si fossero incontrati o se lo avessero fatto in una situazione completamente diversa.
    Appena apparsi nel suo salotto, Madison sembrò annusare aria di casa e piantò di nuovo i suoi occhi su Thomas che lamentava qualcosa sui suoi baci sul collo. La ragazza rise, ma questo non fece altro che farla avvicinare ancora di più a lui e al suo collo «E' così ... morbido...» - soffiò sulla pelle del collo, lasciando un nuovo bacio leggero e soave «...e poi... nessuno ha detto che devi resistere.» - gli sussurrò all'orecchio, sfiorando con le labbra il lobo, prima di ridere appena e lasciarsi sfilare il top.
    Rimase in silenzio, mentre lui ispezionava ogni livido e passava quelle dita dove ancora a volte doleva. Eppure sembrava fosse quasi un lenitivo, quel tocco. Le guance si imbarazzarono appena a quel complimento inaspettato, lei sorrise, quindi la propria mano andò a far scivolare la gonna verso il basso, mostrando altri segni, altri lividi, finanche sulle natiche, se si fosse girata.Si sarebbe nuovamente avvicinata a lui, questa volta poggiando la mano sotto la sua maglia, per sentire il calore della pelle nuda del suo petto, quindi alle sue labbra, guardandole quasi volesse nuovamente baciarle e su queste sussurrò appena «Mi aiuteresti... a fare la doccia?» - avrebbe chiesto sfiorando le loro labbra, senza però baciarlo, ma solo provocandolo.
    Madison E. Loire

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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Tralasciò la parte iniziale, lasciando spazio alla vera e propria informazione che voleva. Madison rimase in silenzio per un attimo, riflettendo con quello che aveva detto il Pastore, poi schioccò la lingua sul palato «Verranno accolti e salvati da noi. Avrete la mia parola, non verranno uccisi. Verranno aiutati, me ne prenderò io cura. E anche le loro famiglie.» - ammise la donna, con fierezza e sincerità, guardando con gli occhi miele il vecchio.
    Alle successive parole, Madison sospirò appena «Quindi lei ha ancora contatti con l'Acromantula?» - domandò, in calce alle parole che lei aveva detto riguardo i licantropi e il loro prendersene cura.
    Quindi i suoi appunti erano ancora nella chiesa, perfetto «Immagino che lei li abbia nascosti per bene... e immagino che lei ricordi anche dove sono... ci dica dove trovarli, così possiamo aiutare altri licantropi partendo da quegli appunti e con l'aiuto del San Mungo.» - era davvero sincera, Madison, adesso.
    Ancora rimbeccava su quelle parole e la mente di Madison pensò a quanto potesse essere difficile avere una razza che pesava, addosso. Lei era la vergogna della famiglia per essere una rettilofona, sapeva cosa voleva dire venir bisfrattato. Prese un nuovo respiro e il tono si alzò nuovamente «Signor Glover.» - richiamò la sua attenzione «Le ho detto che mi occuperò io di loro, delle loro famiglie e staranno meglio di come lei possa immaginare. Avranno una vita dignitosa, ma se davvero vuole aiutarli, faccia quest'ultimo sforzo e ci dica quel che vogliamo sapere.» - quindi le mani andarono a solelvarsi, per sganciare la collana che aveva indossato e gliel'avrebbe donata «Questo è il pegno della mia parola.» - e il miele mostrava sincerità in quel che diceva «Non voglio altri morti sulla mia strada...» - mormorò piano.
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    Si deve avere del caos dentro di sé, per poter generare una stella che danza.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Ogni singolo attimo passato in quella sera con Thomas stava mettendo ordine nella testa di Maddie che sembrava quanto più confusa e persa, seppur sapeva di aver permesso lei stessa quello che con Evan era successo. E probabilmente, il fatto di ripeterlo più volte nella sua mente era dato dall'idea che ci sarebbe cascata di nuovo, più che volentieri.
    Con Thomas si sentiva in una botte di ferro, in un angolo di paradiso. Avevano riso e scherzato fin dal primo momento e lui l'aveva affiancata in ogni situazione anche le più complicate, recuperando le sue lacrime quando scivolavano calde.
    Avere un porto sicuro come Thomas, era per Maddie la certezza di riuscire sempre a vedere la luce in fondo ad ogni tunnel più buio.
    Erano entrambi molto fisici ed entrambi sapevano che il loro contatto era un modo per dimostrare all'altro quanto ci tenevano. Quel sorriso tra le proprie labbra fece respirare aria pura alla biondina che sembrò socchiudere gli occhi per scattare nella propria mente l'immagine di quella parentesi delicata del ragazzo che la teneva in braccio «Va bene, Mas...» - sussurrò sfiornado le labbra mentre parlava.
    Se avesse saputo che ad ascoltare ed osservare tutto quello c'era Evan, forse Madison sarebbe stata completamente diversa, avrebbe sicuramente cercato di non creare una situazione di squilibrio e di pericolo per Thomas, ma lei era inconsapevole che ora il suo porto sicuro poteva rischiare di incontrare un Evan che magari non era poi tanto docile.
    Si strinse nelle spalle e rise appena per quell'affermazione della sua persona, per poi ficcare la testa nell'incavo del suo collo e fare un piccolo struscio, come se fossero fusa «Nessuno potrebbe mai sostituirti, Mas. Sei unico.» - confessò a mezzavoce, ancora nascosta nella sua pelle «Però devi darmi più grattini, o sarò costretta a cercare qualcuno che mi coccoli di più.» - la tensione si stava allentando e quella sua battuta ne era la dimostrazione assoluta. Le loro labbra si unirono di nuovo e lui le accolse, e lei gliene fu grata. Annuì a quella domanda e si aggrappò come un koala con gambe e braccia a lui, mentre andavano a pagare. Nel frattempo, come se volesse distrarlo da tutto e avere di nuovo le attenzioni tutte per lei, iniziò a baciargli il collo dolcemente, nello stesso istante in cui stava pagando, lasciando anche dei piccoli morsetti che non facevano male, uno sul lobo.
    «Me la metti tu la crema, poi? Wiiii! Casa solo per noi, film e coccole per tutta la notte, vero Mas?» - lo strinse ancora di più, ricambiando quel dolce bacio «Uffa! E va bene, mettimi giù!» - disse, scivolando di dosso al ragazzo e pizzicandolo bonariamente «I tuoi muscoli non funzionano più, Mas.» - disse mettendo il musino «Però... almeno mi tieni per mano, mentre andiamo?» - disse, cercando le dita dell'altro e seguendolo verso casa.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Quanto era possibile che lei fosse realmente attratta da lui? Come poteva essere reale quell'attrazione tossica per entrambi? Madison sapeva che quel dolore che aveva provato era stato piacevole, seppur sbagliato. Si era sempre ripromessa di non cercare quel ragazzo, di non dimostare quanto quella volta l'era piaciuto stare con lui in spiaggia e quanto fosse tendenzialmente portata a cercarlo ogni volta che vagava per Londra per un qualsiasi motivo.
    Non era normale trovarlo giusto ad un suo concerto e giusto con la mansione di chi doveva proteggerla. Lui che aveva provocato sulla sua pelle più segni di quanto una stretta di un fan potesse fare, era lì per proteggerla.
    E lo sapete qual era il colmo di questo? Era che lei non era preoccupata. Anzi, contrariamente, si sentiva più protetta di quanto fosse diversamente.
    Sollevò un sopracciglio e guardò il ragazzo con aria quasi incredula, come se quelle parole fossero state così semplici da non sembrare altro che una scusa che lui stava mettendo su. Si accarezzò le curve del sedere, facendo finta di riflettere «Effettivamente le apprezzerei anche io.» - disse scrollando le spalle, poi, con leggerezza «Però hai ragione... alla fine l'unico che potrebbe lamentarsi sarebbe chi detiene la proprietà su di esse.» - ironizzò appena, sbuffando poi quasi come se la cosa non le importasse più di tanto, soprattutto perché i suoi occhi avevano altro a cui dedicarsi, rispetto ai suoi fan e ciò che era giù da quel palco.
    Ascoltò le sue parole e quasi le venne un brivido lungo la schiena. Ma cosa succedeva? Perché l'idea di essere difesa da lui era così... eccitante? «P-potrei...» - le guance si erano colorate magicamente di rosso, come se il pensiero di quelle mani addosso la stesse assillando e non le stesse facendo formulare bene la frase. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sulla sua parte razionale «Potrei assumerti come mia guardia del corpo personale, se questi sono i presupposti...» - mormorò con tono caldo, fissando negli occhi il biondo, come se non fosse ironica la sua frase.
    Il tocco della sua mano era come se fosse rigenerativo, non riusciva a capire come potesse avere quell'effetto su di lei, ma Elly era esattamente dove voleva essere in quel momento, voleva esattamente quelle dita che sfioravano il suo corpo. «Quindi...» - era un soffio, ad un millimetro dalla pelle delle sue labbra «...se ti pagassi, saresti costretto a seguirmi ovunque?» - c'era qualcosa di malato in quella domanda, ma lei non se ne rese nemmeno conto. Socchiuse gli occhi, sentire il suo fiato sulla pelle era afrodisiaco, ma quando lui si allontanò per la sua frase, Elly aprì gli occhi di scatto, non muovendosi dalla sua posizione e osservando la reazione del biondo con non poco stupore. Sembrava quasi come se lo avesse scottato con quella semplice frase. Aggrottò la fronte, provando a studiarne la reazione. Che avesse paura? Era come se quella frase lo avesse fatto spaventare? Possibile? Non era sicura, non poteva trarre conclusioni. Si morse il labbro, come se il dispiacere maggiore era quello di averlo allontanato per la sua sincerità. La sua domanda non la fece sorridere, il suo sguardo era serio e si spostò sulla porta dalla quale entrambi erano usciti, che era esattamente alle spalle di Evan «Eppure le leggi...» - rispose solamente, senza però né confermare, né negare che fosse lui ad aver ispirato molte nuove frasi delle sue canzoni.
    Rimase in silenzio per lunghi istanti, poi chinò lo sguardo e con la punta del piede iniziò a giocare davanti a sé. Prese un respiro profondo e risollevò lo sguardo miele «Sai, Evan...» - il suo sguardo non lo lasciava, era come incantato sul volto del biondo «... sono abituata a dire quello che penso. Sempre. Che sia una verità scomoda o meno, questo non mi interessa. Quello che non so fare è mentire.» - mosse un passo in sua direzione senza avvicinarsi di nuovo, per non invadere lo spazio che lui aveva ricercato distanziandola «Se non ti piace sentire la mia verità, non fare domande... » - il suo tono non era quello di una che lo stava sgridando «... sai cosa ha permesso a quel ragazzo di afferrarmi? Il fatto di averti visto nel pubblico, inaspettatamente.» - il suo sguardo serio non scivolava, ma adesso di nuovo si avvicinava piano a lui, quasi con cautela, cercando di capire se i suoi passi venissero contrastati dal suo allontanarsi o lui rimanesse fermo e la facesse avvicinare «... ora tocca a te, Evan. Vuoi che vada da loro...?» - se l'avesse fatta avvicinare di nuovo, avrebbe finito quella frase ad un passo dalle sue labbra, senza nemmeno sfiorarle, se non con il soffio del suo respiro.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    La normalità, la certezza, la sicurezza e la protezione. Era questo che Thomas era per Madison ed entrambi sapevano che quel loro rapporto era così genuino che non poteva non essere sano come lo vivevano loro.
    Forse era per tale motivo che Maddie credeva fermamente che solo lui potesse aiutarla a capire quanto tutto quello fosse sano. La lucidità tornava a poco a poco che raccontava, sentendo ancora sulla pelle quel dolore che aveva provato e l'era piaciuto; parlare di quelle cose con Thomas era così facile, così naturale che quasi pareva stesse confessando alla sua dolce metà un errore che aveva commesso. Loro non poevano definirsi in alcun modo, non avevano etichette, non erano classificati in nessun modo e a loro non interessava, la cosa più importante era esserci per l'altro.
    L'abbraccio di Mas la fece sentire avvolta in uno scudo e nonostante il dolore che provava in quella stretta, Elly chiuse gli occhi e respirò, singhiozzando appena, mentre sentiva che tutto ora stava tornando al proprio posto. Scosse la testa, tra quelle braccia, quando sentì il ragazzo scusarsi «Non importa...» - mormorò nascosta sul suo petto e lo strinse di rimando, sentendo le braccia che le facevano male. I segni che porta sul corpo erano stati inflitti con una perfezione chirurgica, come se Evan avesse saputo esattamente quali punti ferire per rimanere impresso su quella pelle che era diventava una tela di un pittore impazzito.
    Sentì le parole di Thomas, annuendo di tanto in tanto, poi sbuffò un sorriso, un po' stanco ma consapevole che quelle non erano parole di circostanza, perché tra loro non serivano quel tipo di parole «Diciamo che oggi sono più un gattino, che una tigre, Mas... ma adesso che sono tra le tue braccia sto davvero meglio...» - era sincera, chiuse gli occhi e cercò di riprendere il respiro giusto, seppur ancora al sapore di vodka.
    Lasciò che lenisse quel dolore sulle cosce con le sue dita, quel tocco così delicato che Elly cercò di godersi a pieno, come se potesse essere un anestetico naturale, poi dedicò attenzioni a quelle labbra morbide che le furono concesse, come uno zuccherino a chi ha ancora l'amaro in bocca. Era dolce, senza nessuna nota di sessualità e a lei sembrava quasi ritrovare la strada di casa.
    Sospirò appena, quasi delusa ma consapevole di quanto avesse ragione. Annuì, portando il labbro inferiore tra i denti, quasi a voler sentire di essere ancora viva, seppur sapevano ancora di vodka. Quanto aveva bevuto, dannazione.
    «Va bene, Mas... però, credo di aver bisogno di una crema per questi lividi e questi dolori...» - l'effetto dell'alcol sarebbe svanito e lei avrebbe risentito tutto come se non potesse nemmeno alzare un piede.
    Aggrottò la fronte a quella domanda, cercando di fare mente locale se il ragazzo potesse conoscere Evan. Poi scosse il testino «Non credo che tu lo conosca, si chiama Evan...» - mormorò, mentre le labbra sfiorarono quelle di Thomas, parlando.
    Rimase un attimo in silenzio «Credo di aver bisogno anche di una doccia, Mas...» - strinse le braccia attorno al collo di lui, senza distanziarsi di un millimetro.
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Forse non era sicuro per nessuno di loro due stare fuori, da soli, in quel retro del locale dove nessuno se non la sua band sarebbe potuta andare a cercarla. Ma soprattutto, cosa voleva davvero Elly? Averlo davanti adesso l'aveva mandata in confusione. I dolori della spiaggia erano ancora presenti come ricordi vividi nella sua testa, ma questo non faceva altro che sembrare un motivo adatto per scappare, nella testa di una persona normale. Ma Maddie rimaneva lì, lo aveva invitato con quello sguardo che gli chiedeva di seguirla e lui non aveva fatto altro che accontentarla. Sapeva che era sbagliato, sapeva che non era il caso di replicare la spiaggia, ma lei voleva riascoltare la sua voce, sentire le sue mani sul proprio corpo; tutto quello era inspiegabile e non voleva perdere tempo a cercare di capirne la ragione, ora che aveva la possibilità di sentire ancora quel suono che sembrava ipnotizzarla.
    Per lei le voci erano importanti. La voce era un po' come se fosse la materializzazione dell'anima e quella di Evan sembrava così scura e tenebrosa, che pareva avvolgerla per trascinarla con sé.
    Roteò gli occhi al cielo, quasi fintamente esasperata da quelle sue parole «La maggior parte di quelle persone, mi segue anche nei concerti come questo. Però sì, le mie foto in mutande fanno gola a molti.» - disse sbuffando una risata, mentre non distoglieva lo sguardo da quello del ragazzo.
    Mosse dei passi verso di lui, quasi inconsapevolmente, come se il suo corpo volesse fare esattamente quel tragitto e spostarsi ancora di più ad accorciare quelle distanze. Se le avessero chiesto perché lo faceva, questo non avrebbe potuto dirlo, era come se sentisse la necessità di muoversi in sua direzione, tagliare quei metri che li dividevano e sentirlo ancora abbastanza vicino a sé.
    Il sorriso, sul suo volto, si allargò, accendendosi come se avesse avuto un flash di una macchinetta fotografica addosso «Ho avuto diversi buttafuori e qualche bodyguard personale, ma ammetto che non si sono mai comportati come hai fatto tu oggi.» - sollevò un sopracciglio, non sciogliendo quel sorriso, mentre la braccia andavano ad incatenarsi tra loro sotto i seni, rialzandoli appena. Non l'aveva offesa, non l'aveva ferita. Era come se il loro fosse un continuo dimostare all'altro che non dovevano andare nella direzione dove stavano andando entrambi. Come se si stessro avvisando reciprocamente di fuggire ed evitare chi avevano davanti. Maddie non mentì sulla questione della protezione, alla fine il lavoro che faceva oltre all'essere auror comportava una certa fama e spesso le affibiavano una specie di scorta, credendo che lei non potesse difendersi «Comunque... » - disse, fermandosi subito dopo mentre lo sentiva quasi respirare vicino, se si fosse concentrata anche solo un minimo. Si morse il labbro, quindi, chiudendo gli occhi per un istante «...sembrava quasi il contrario, sai?» - disse, risalendo sul suo volto con lo sguardo e quel sorriso di sfida appena appena accennato.
    Avevano distrutto quei metri che li dividevano e ora le sue labbra erano estremamente vicine, pericolose come lo erano state la prima volta. Il tocco di Evan era presente come se stesse segnando il territorio sul proprio corpo. Lei chiuse gli occhi, godendo appena di quei polpastrelli che la perlustravano lì dove la stoffa non copriva la pelle, esattamente dove lui aveva già lasciato un segno. Quel sussurro le fece schiudere le palpebre, per stringere ancora quel contatto visivo con lui; il suo volto si fece più avanzato, quasi a sfiorare quelle labbra, se glielo avesse permesso «Perché negarlo...» - era un soffio, un sibilo leggero che solo lui avrebbe potuto sentire, nemmeno le pareti di quel retro del locale avrebbero potuto origliare quella rivelazione così spontanea che quasi si pentì di aver svelato.
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    In quel momento aveva bisogno davvero di aria, perché la situazione si era scaldata e non solo per la questione del fan, quanto - soprattutto - per la presenza di Evan e dei suoi occhi addosso. Era chiaro che Elly fosse abituata ad avere gli sguardi puntati su di lei, soprattutto quando aveva concerti ed era su un palco, ma quello sguardo era diverso, le diceva che era sua, che la voleva possedere e lei non poteva far altro che desiderare di essere guardata in quel modo, come se esistesse solo lei al mondo.
    Quando fu fuori, si chinò con il busto in avanti, quasi a voler scaricare quei momenti di tensione che sentiva pesarle sulle spalle e sospirò, tirando fuori tutta l'aria che aveva.
    Chiuse gli occhi, ancora in quella posizione, sorridendo a se stessa, solare e gioiosa come sempre. Non ci volle molto per essere raggiunta da colui che aveva invitato con uno sguardo a seguirla. Non credeva che lui avesse capito il suo tacito invito, ma sentire la sua voce le fece sgranare gli occhi, tornando diritta.
    Quella voce.
    Come l'era mancata.
    Era ancora di spalle, mentre il fumo della sua sigaretta la avvolse, nella nube tossica; tossica come il loro stare nello stesso spazio e il solo parlarsi. E come qualsiasi cosa tossica, anche quella creava una dipendenza pericolosa. Con un angolo delle labbra increspato in un sorriso, si voltò verso di lui, notando come quella era la posizione che aveva lei quando si erano incontrati la prima volta. Sollevò un sopracciglio «Beh, ti avevo detto che avevo dei fan. Non mi hai creduto, forse?» - era vero, glielo aveva comunicato quando lui l'aveva raggiunta in spiaggia, canzonandolo del fatto che fosse andato lì per lei.
    Ah, la spiaggia.
    Ora con lui davanti, quei ricordi si fecero di nuovo strada nella sua mente e una scarica di adrenalina le risalì lungo la spina dorsale, mentre i denti afferravano il proprio labbro inferiore. Fece un passo, solo uno, in sua direzione, mentre il miele dei suoi occhi accarezzava il corpo del ragazzo dai piedi fino a fermarsi nel suo sguardo così profondo, come l'oblio.
    «Il fatto che tu sia qui, mi fa davvero credere che anche tu sia uno dei miei fan. Non smentisci ciò che ho creduto in spiaggia.» - disse, con un tono ironico, divertito. Non poteva mai immaginare che lui fosse lì a lavorare, quel locale lo aveva frequentato anche con Thomas, qualche sera prima ed era quasi certa di non averlo visto.
    Con sé aveva portato la bottiglietta d'acqua e sentiva la necessità di bere ancora, come se avesse la bocca asciutta davanti a lui, con la sola voglia di idratarsi, seppur l'acqua non era quello che davvero desiderava.
    «Non ci vediamo da tanto...» - mormorò, richiudendo la bottiglia. Perché l'aveva detto? Che le interessava che non si fossero sentiti, poi? Insomma, alla fine lui aveva pure la sua vita, sicuramente.
    E lei voleva dannatamente essere il suo pensiero costante.
    Perché.
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