Votes taken by Oliver Jackson

  1. .

    ezgif-4-3997c5bf14
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    O
    liver era sempre stato davvero poco responsabile. A cominciare da quando, all’inizio del terzo anno, aveva cominciato a fumare – e a farsi servire da un tipo losco in quel di Hogsmeade – unicamente per imitare alcuni suoi compagni di scuola. Non si era prima chiesto se quelle sostanze fossero o meno salutari per il suo organismo, non aveva avuto bisogno di saperlo: quando aveva cominciato a farne abuso si era sentito così bene che se gli avessero detto quanto fossero tossiche lui non ci avrebbe mai creduto.
    Adesso, a distanza di tutti quegli anni, c’erano volte in cui pensava che avrebbe fatto volentieri un passo indietro: forse il suo sé attuale, se avesse avuto l’occasione di interloquire con il suo sé del passato, sarebbe andato a bussargli sulla spalla per dirgli di non farlo e che con l’aiuto dei suoi amici sarebbe andato tutto bene.
    Dopo dieci anni, invece, niente era andato bene: non aveva più amici, né la certezza che un giorno tutto sarebbe andato per il meglio. E se alle volte il Jackson sembrava ancora così tanto legato all’adolescenza ed aveva comportamenti infantili, spesso avrebbe voluto dare un’occhiata all’età adulta – quasi fosse il trailer di un nuovo film – per capire come sarebbero andate le cose. Per cercare di cambiarle in anticipo, o stroncarle prima ancora che potessero accadere.
    Credeva ancora, tra l’altro, che di quel passo non sarebbe stato in grado di superare i trentacinque anni di età: ne mancavano ancora dieci ed il conto alla rovescia era già iniziato quando aveva spento le candeline, quel sette luglio.
    Strinse i pugni e continuò a massaggiarsi le spalle per scaldarsi; malgrado si ostinasse a non fissare lo sguardo sulla sconosciuta che non faceva altro che ammorbarlo con bellissime parole e sciocche promesse, le orecchie del Jackson erano ancora ben attente ad ogni sillaba – immaginando già un futuro migliore del proprio, ma considerandolo ancora una mera utopia.
    Si chiese che cosa avesse da perdere, a quel punto. La vita? Come se oramai fosse per lui un problema.
    Scosse il capo facendo cadere alcune gocce di pioggia, poi voltò il capo verso la donna e strabuzzò gli occhi nel vederle tirar fuori la propria bacchetta; non si stranì più di tanto nel vedergliela in mano, doveva immaginare che il suo Capo e lei non avessero nulla a che vedere con il mondo babbano. Ad obbligarlo a strabuzzare gli occhi fu il suo successivo gesto: quando gliela puntò addosso, d’istinto Oliver non infilò la mano nel fodero per procurarsi la sua, ma bensì chiuse gli occhi – pronto a ricevere il colpo.
    Ma quando invece di una fattura cominciò a sentire un calduccio confortevole, aprì gli occhi e smise di tremare.
    «Grazie»
    Fidarsi, in generale, gli era sempre stato troppo difficile.
    Aveva smesso di tremare, ma non di pensare che quelle fossero unicamente frottole che altro: quel gesto probabilmente era servito unicamente a scioglierlo, convincerlo della sua natura bonaria.
    La guardò di nuovo da capo a piedi e strinse nuovamente le braccia al petto.
    «Ho visto un film, una volta: sai com’è andata al protagonista, dopo che si è convinto ad entrare in un furgone dai vetri oscurati?»
    Sorrise in modo sincero, per la prima volta da quando era iniziata quella strana conversazione.
    E Mina, così come il serpente tentatore con la sua mela, stava tentando all’incolumità di un Oliver sempre più convinto a fare un passo avanti.
    Guardò prima lei, poi il furgone. E poi la strada. Poteva correre, smaterializzarsi e togliersi tutto dalla testa. E invece, senza che prima potesse pensarci sul serio, si accorse che le sue gambe avevano già cominciato a camminare in avanti. Dritte verso il furgone sul quale si accomodò.
    Patatine e bibite. Si sentiva al cinema. Peccato che lì, l’unico film thriller, stavano per girarlo loro.
    «Cosa è?»
    Osò chiedere quando gli vennero date le prime indicazioni.
    Non era sicuro, tuttavia, di volerlo veramente sapere.
    E poi i chiarimenti arrivarono: un virus. Perché loro volevano farlo? Gli bastò vedere la sacca colma di galeoni per convincersi ad agire e, finalmente, tenere la bocca chiusa.



    Arrivò davanti agli studi televisivi ancor prima di quanto potesse immaginarsi. Aveva passato il tempo del viaggio con la gamba destra tremante dal nervosismo. Non sapeva come cazzo fare, sostanzialmente. Non voleva deludere nessuno, lo aveva già fatto troppe volte durante la sua vita. Non voleva neanche rendere indietro quei tanti, troppi, galeoni d’anticipo: gli erano luccicati contro al viso, quando li aveva scorti sul fondo di quella sacca. Ne voleva ancora. E li avrebbe avuti.
    Con le mani nelle tasche – il virus nella destra e la polisucco nella sinistra – si alzò il cappuccio della felpa fin sopra al capo e, appostatosi fuori nell’ombra, continuò ad osservare i tecnici dello studio fare avanti e indietro. Ne individuò uno, in particolare, dietro al quale si accodò quando si accorse di essere rimasto solo. Non doveva mancare molto all’inizio della diretta, doveva sbrigarsi.
    Ancora alle spalle dello sconosciuto, alzò lo sguardo soltanto quando sentì un’altra voce: un collega gli intimava di andare a recuperare qualcosa in magazzino. Laddove anche Oliver, nell’ombra, avrebbe continuato a seguirlo.
    Sarebbe stato allora, tra i millanta scaffali disordinati, che il venticinquenne avrebbe agito: agitata lesta la sua bacchetta verso le spalle dell’uomo, avrebbe castato un non verbale Stupeficium.
    Qualora fosse riuscito a lasciarlo steso per terra, Oliver a quel punto avrebbe provveduto a strascinarlo per i piedi fino a nasconderlo dietro un paio di grossi scatoloni – provvedendo prima a prendergli i vestiti e una ciocca di capelli scuri. Legato ed imbavagliato per sicurezza con un non verbale Incarceramus (qualora l’incantesimo fosse riuscito come da intenti), a quel punto avrebbe provveduto a inserire i capelli dentro la pozione polisucco già pronta: prese un respiro profondo prima di mandarla giù tappandosi il naso e quasi non rischiò di vomitare per l’orrido sapore. Si sentì immediatamente molto strano, al punto che dovette in un primo momento reggersi contro uno scaffale mentre qualcosa in lui cominciava a mutare: le mani, il naso, la bocca, gli occhi. E quando li riaprì Oliver era già scomparso.
    Al suo posto adesso c’era un certo Michael Berrich. Così come aveva letto sul suo cartellino identificativo - lo stesso che si sistemò sulla giacca, in bella vista.
    Uscito dal magazzino a testa bassa, avrebbe fatto di tutto per evitare gli sguardi dei passanti e seguì le indicazioni sino ai camerini – laddove, qualora non avesse incontrato problemi, avrebbe trovato quello di Peter Solaris.
    Rubò un bicchiere di carta dal carrello degli snack, ci verso dentro un po’ di Coca Cola e poi vi versò dentro il contenuto della fialetta che conteneva il virus - stando ben attento a rimanere lontano da occhi indiscreti. Fece oscillare il bicchiere per mischiare il tutto e bussò alla porta: sarebbe entrato soltanto una volta aver ricevuto il permesso di farlo.
    «Dalla direzione, per distendere i nervi» la voce fintamente più profonda, mascherata.
    Avrebbe passato il bicchiere all’uomo che guardava riflessa la propria immagine allo specchio e sperò che, come da programma, lui lo mandasse giù.
    Nel caso in cui l’avesse fatto, Oliver avrebbe provveduto ad allontanarsi dallo Studio il più in fretta possibile.
  2. .

    ezgif-1-cb7086ac2a
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    L
    ’affare che doveva sbrigare era un po’ diverso rispetto ai soliti, motivo per cui Oliver si sentiva un po’ strano - sicuro di star mettendo i piedi in un campo di cui conosceva davvero molto poco. Abituato com’era ad avere a che fare unicamente con i tossici – poiché era lui stesso a far parte di quella medesima cerchia –, quando gli era stato chiesto di recarsi in quel di Notturn Alley aveva storto il capo e si era chiesto che cosa mai potesse farci uno come lui in quelle strade oscure.
    Dal momento che si reputava da solo un ragazzo cattivo poteva soltanto immaginare il modo in cui lo avrebbero fissato soltanto vedendolo aggirarsi confuso per quei lidi, ma era allo stesso tempo sicuro di non avere una faccia tanto “minacciosa” quanto quella di chi spesso varcava l’ingresso di Magie Sinister – perché era quella, effettivamente, la sua destinazione finale.
    L’uomo per il quale lavorava gli aveva chiesto di raggiungerlo nella sua residenza in quel di Londra – un quartiere per famiglie, il che era quanto dire (quindi ottimo per non attirare troppo l’attenzione) – in modo tale che potesse consegnargli lo strano pacchetto che il Jackson avrebbe dovuto recapitare direttamente nel rinomato negozietto in quel di Notturn Alley: nascosto il tutto nello zaino e sistemato lo stesso in spalla, partì alla volta di Diagon Alley fino ad immettersi nel quartiere meno trafficato nel primo.
    E se Diagon Alley rappresentava la luce della Londra magica, Notturn Alley era invece l’oscurità.
    Era deciso a concludere il tutto in più in fretta possibile, per cui si affrettò a percorrere i viottoli di cui non conosceva le uscite – perdendosi anche di tanto in tanto.
    Fu proprio quando capì che di quel passo avrebbe tardato al suo appuntamento che in lontananza vide un uomo parlare con qualcuno: era stato avvisato sulla gente che percorreva quelle strade, ma le storie avevano risvolti negativi soltanto per chi non era in grado di raccontarle con una degna verità. Senza alcun timore, quindi, Oliver si avvicinò un po’ di più allo sconosciuto con l’intenzione di chiedergli indicazioni – salvo poi vederlo premere i suoi denti contro il collo di una donna.
    Il passo dell’ex Serpeverde si arrestò di colpo, gli arti si fecero rigidi, il sangue nelle vene gli si raggelò e gli occhi si strabuzzarono per la paura.
    Aveva scelto la persona sbagliata sulla quale riporre le sue speranze.
    Si disse di affrettarsi, fare dietrofront e scappare via. Ma ormai era troppo tardi.
    «Volevo solo..»
    Aveva visto, forse sarebbe bastato questo allo sconosciuto per decidere di sbarazzarsi di lui. Chiuse appena gli occhi e scosse il capo per calmarsi; quando li riaprì si ritrovò il tipo più vicino e le proprie braccia sollevate a mezz’aria in segno di resa – ma apparentemente più tranquillo.
    «Stavo solo cercando Magie Sinister»
    Ho un appuntamento, avrebbe voluto aggiungere.
    «Mi stanno aspettando»
    Così come si aspettavano di vederlo arrivare, da un momento all'altro. Voleva solo accertarsi che ci sarebbe arrivato per davvero, lì.
    Come si chiamava? Era saggio rivelargli il suo vero nome? Ma davanti ad una possibile morte perché mentire, a questo punto?
    «Oliver»
    Solo un Oliver. Indifeso.
    E, stranamente dopo tantissimo tempo che si era soffermato a pensare alla morte, fottutamente desideroso di vivere.
  3. .

    ezgif-1-57869819fa
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    C
    apitava, anche se molto di rado, che il suo lavoro lo spedisse nei luoghi più strani e che lo spingesse a vivere situazioni quasi surreali: era passato dal procurare un po’ di roba ad una confraternita babbana, poi a uno studente di Hidenstone che voleva organizzare una festa clandestina in Accademia, fino al fornire una buona scorta a una squadra di Quiddtich professionista inglese. Insomma, il fatto che Oliver non avesse mai pensato di procurarsi un travestimento o di affatturarsi da solo il viso per nascondere la propria identità ai suoi clienti la diceva lunga su quanto realmente gli importasse di venir beccato.
    Lui, quando si chiedeva il perché lo stava facendo, si ripeteva sempre che voleva dare a chiunque gli chiedesse un aiuto l’occasione di smettere di pensare per un po’, di trovare un po’ di felicità laddove l’esistenza continuava a far schifo. C’era molto più, per l’ex Serpeverde, in un tiro di canna.
    Scontato da sentire da uno spacciatore, vero? Ma neanche poi tanto.
    Comunque a differenza di ogni altra situazione, non era affatto raro invece che il suo lavoro lo portasse in una discoteca – che fosse nella Londra babbana o magica, oppure ancora a Denrise.
    E se gli avessero detto che oltre a qualche galeone ci avrebbe anche guadagnato una birra gratis, si sarebbe convinto prima a tornare nello stesso posto dove aveva avuto una pessima esperienza. In un modo o nell’altro, praticamente, era come se stesse recuperando la serata di merda dell’ultima volta.
    E lui non era manco tanto male.
    Quel lui probabilmente un po’ matto ma che, gettandosi la birra addosso da solo unicamente per “somigliare” a Oliver gli fece intendere che la loro conversazione non sarebbe finita molto presto – se non addirittura con un lieto finale per entrambi.
    «Ti avrei ricambiato il favore, se solo non ti fossi impegnato così tanto»
    Fece spallucce, per poi ritrovarsi ad attendere lo sconosciuto sulla pista da ballo giusto il tempo di andare a prendere due birre al bancone; Oliver era sicuro che se ci si fosse avvicinato lui, il barista ne avrebbe approfittato per prenderlo a male parole.
    Acciuffò la birra destinata a lui senza smettere di muoversi a ritmo di musica, ma facendosi un po’ più vicino a quello che oramai non era più tanto sconosciuto.
    Thomas. Si repeté più volte il suo nome in mente per non rischiare di dimenticarlo.
    «Oliver»
    E al tempo stesso annuì poiché, sì, era lì da solo. Anche se tecnicamente non proprio per divertirsi. La svolta che quella serata pareva aver intenzione di intraprendere lo incuriosiva non poco.
    «Rimani, potrei anche accontentarti se me ne darai l’occasione»
    Alzò un sopracciglio, ammiccando, e prese un generoso sorso senza smettere di guardarlo.
    Tuttavia non aveva dimenticato il motivo primario per il quale si trovava lì: rimase allerta, guardandosi di tanto in tanto attorno con la coda dell’occhio.
  4. .


    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    I
    l fatto che l’altra gli stesse dando a parlare come se Oliver avesse la minima idea di chi fosse lo faceva quasi sorridere – poi notava il modo insistente con cui lo stava fissando e passava tutto. Subentrava l’incazzatura, maggiormente perché si era immaginato una simile reazione della gente al solo vederlo conciato in quello stato. La gelataia, quando prima si era azzardato a mettere piede nel suo negozio (nelle cui pareti pareva averci vomitato un unicorno), gli aveva persino riso in faccia. Che cazzo di problemi aveva la gente? Come se l’ex Serpeverde fosse stato il primo ragazzo al mondo che avesse deciso di “provare” a tingersi i capelli.
    Fanculo.
    E quello stesso “fanculo” lo aveva riservato di cuore anche alla sconosciuta – che poi tanto sconosciuta manco era (come forse avrebbe scoperto a breve).
    Ma la vera domanda a quel punto era un’altra: perché gli stava persino parlando? Il Jackson alzò gli occhi al cielo mandandola mentalmente a quel paese per l’ennesima volta, ma questa volta – piuttosto che esprimersi a parole – fece un altro generoso tiro dalla bomba che aveva tra le dita per annebbiarsi ancor di più la mente. Ci vide persino doppio, per un momento, credendo (come un idiota) che ci fossero due cagacazzi anziché una a rompergli le scatole.
    Due nuvolette di fumo biancastre gli fuoriuscirono dalle narici mentre sbuffava.
    Aggrottò la fronte e prese a fissarla a sua volta. Non era certo la prima volta che la vedeva. Ma dove poteva collocarla? Ci pensò un po’ su senza emettere alcun fiato, ma piuttosto continuando a fare qualche tiro della sua canna.
    Non poteva certo essere una vecchia amica. Lui non aveva amici. Né nuovi, né vecchi. Se li era giocati tutti quando aveva deciso che la droga sarebbe stata l’unica amica della sua esistenza: quella che gliel’avrebbe migliorata e quella che, a lungo andare, gliel’avrebbe tolta.
    Era già sulla buona strada.
    Madyson, Quinn, Fabien, Reese, Theo, Marte, Will, Roy, Elia, Octavia.
    Tutti andati.
    Avevano visto la parte peggiore di lui e ne erano rimasti schifati.
    «Ragazzo o ragazza, io faccio quello che mi pare»
    E alzò gli occhi al cielo guardando dalla parte opposta a quella della ragazza, la canna di nuovo fra le labbra.
    E la testa già altrove.
    «E comunque ci sono un sacco di alberi eh, giusto per dire»
    Che fosse un modo per esortarla a cambiare posto? Poco ma sicuro.
    D’altro canto era lei quella non propensa a sopportare le male parole di un Oliver Jackson alquanto irascibile – vista la situazione. Perché allungare così tanto la sua agonia?
  5. .

    ezgif-1-57869819fa
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    F
    orse sarebbe dovuto rimanere a casa, visto il modo – di merda – in cui era andata a finire la serata l’ultima volta che aveva messo piede in quello stesso locale. Buffo, visto che non lo aveva scelto lui: si era messo in contatto con un cliente per un grosso affare e non voleva che lo scambio avvenisse in un luogo troppo compromettente. Per strada c’erano le telecamere, neanche se si fossero immessi in un vicoletto buio sarebbero stati risparmiati da quegli occhietti elettronici. Farlo in un luogo pubblico – nascosti in bella vista – era, invero, meno pericoloso di qualsiasi altra opzione potesse venir loro in mente.
    Avendolo visto soltanto una volta in faccia, aveva pensato che la cosa migliore per farsi notare da più persone fosse gettarsi nella pista da ballo. Questa volta, rispetto all’ultima, non si era presentato lì letteralmente andato – era già tanto, anzi, che il barista non lo avesse fatto buttare fuori dal locale visto che l’ultima volta aveva quasi rischiato di dar fuoco al bancone degli alcolici.
    Si lasciò trascinare dalla musica assordante mentre gli arti si muovevano a ritmo, la testa più leggera e gli occhi allo stesso tempo ben attenti alla folla circostante. Non erano in pochi a fissarlo, mentre lui ricambiava i sorrisi di qualcuno, ma dubitava che tra questi vi fosse il contatto che stava cercando.
    Qualcuno lo affiancò, sentì una mano stringergli i jeans all’altezza della tasca destra e ciò bastò per mandarlo in allarme: si voltò dalla parte opposta, salvo poi notare una ragazza mandargli un bacio.
    Poveretta.
    Le mimò un “sono gay” e si godette il suo sguardo dispiaciuto, prima di finire nelle “grinfie” di uno sbadato. Di colpo si ritrovò la maglietta completamente fradicia, neanche se qualcuno stesse cercando di rendere il favore alla pazza alla quale sere fa era stato proprio Oliver a sporcare il vestito di birra.
    Allargò le braccia e si fissò i vestiti zuppi, per poi spostare le iridi sul colpevole.
    Scosse la testa, ma sorrise dinanzi la frase che dopo lo sconosciuto proferì.
    «Se questo è il tuo modo di abbordare, ti assicuro che ti riesce veramente male. Amico.»
    Alzò gli occhi al cielo, ma non accennò a voler smettere di muoversi a ritmo di musica.
    Si guardò un'altra volta attorno prima di avvicinarsi un po' di più allo sconosciuto.
    «Per punizione adesso me ne devi una»
    C'entrava poco con quanto era successo, ma in un modo o nell'altro Oliver doveva pur guadagnarci qualcosa.
  6. .

    ezgif-4-6a30ee285f
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    C
    ’erano giorni in cui riusciva a rimanere un po’ più sobrio nonostante non riuscisse a rinunciare a qualcosa per sentirsi meglio, mentre c’erano altre volte in cui si riduceva talmente tanto male da preferire di chiudere gli occhi e non riaprirli più. Era quasi successo, una volta: se non fosse stato per l’intervento tempestivo di Marte sarebbe annegato nelle acque del Lago Nero, troppo fatto per sollevare la testa da dentro l’acqua dentro la quale era inciampato. Buffo pensare che era stato proprio da quel momento che i due avevano cominciato a volersi bene, nonostante Oliver si chiedesse ancora perché certa gente tenesse così tanto a lui.
    Non si era mai meritato l’affetto di nessuno.
    Si portò le mani alle tempie e si prese la testa tra le mani mentre il sorriso gli si spegneva sulle labbra; la vicinanza di un ragazzo e la sua voce troppo squillante per il tremendo mal di testa che gli stava spaccando il cranio a metà era troppo, anche più del solito.
    «Piano, per favore»
    Disse a denti stretti e ad occhi socchiusi.
    In effetti non ricordava neanche che cosa ci avesse visto, di tanto divertente in quella fetta di carne. Non che avesse tutta questa fame, tra l’altro: bastava guardarlo per capire quanto spesso la roba gli togliesse l’appetito. Mingherlino com’era, era certo che avrebbe potuto anche attraversare le sbarre di una cella se gli sbirri lo avessero sbattuto dentro per spaccio.
    «Dammene una»
    Disse semplicemente, una volta aver riaperto gli occhi ed aver fissato distrattamente le iridi verso la figura dello sconosciuto che lo aveva affiancato. Che lo conoscesse già? Che volesse venduto qualcosa nonostante l’evidente pausa pranzo dal lavoro? Come se avesse realmente intenzione di mangiare qualcosa.
    Allungò il braccio destro verso il piatto completamente sano e lo fece scivolare in silenzio in direzione dello sconosciuto, come ad offrirgli quella carne in cambio di una stupidissima sigaretta.
    Almeno se avesse iniziato a mangiare avrebbe tenuto la bocca chiusa e il suo mal di testa ne avrebbe giovato.
    Agli affari, in tal caso, ci avrebbero pensato in un secondo momento.
  7. .

    ezgif-4-0297e1ddf3
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    L
    ’uomo per il quale ancora lavorava – a malincuore, visto che ogni volta che vendeva qualcosa gli doveva rendere più dell’ottanta percento dei proventi, tenendosi per sé soltanto mere bricioline di pane – aveva agganci un po’ ovunque e la cosa poteva giocare dalla sua parte perché anziché tenerlo sempre fermo in un unico punto – che fosse un vicolo malfamato di Londra o un viottolo poco trafficato a Denrise – gli dava la possibilità di andare un po’ ovunque e di vendere la roba alla gente più strana.
    Recatosi a Londra con abbastanza dosi da stendere una mandria di cavalli, Oliver lesse nuovamente il biglietto sul quale erano state riportate precise coordinazioni sulla meta da raggiungere per quella vendita: inutile dire che il fatto che i clienti fossero proprio alcuni giocatori dei Falmounth Falcons lo fece sorridere non poco. Immaginava, in effetti, che anche quei ricchi spocchiosi avessero ogni tanto bisogno di annullarsi proprio come Oliver – con la differenza che lui ne aveva bisogno giorno dopo giorno per stare bene con sé stesso.
    Con la penombra della sera a favorirgli il giusto anonimato, il Jackson si sarebbe appostato appena fuori lo stadio che veniva usato dalla squadra per gli allenamenti di Quidditch, aspettando che si prendessero la briga di uscirne fuori. Sbuffò a denti stretti e a braccia congiunte, senza neanche più capire quanto tempo avesse già passato lì – al buio e al freddo.
    Era stato quando aveva sentito aprire il cancello principale e il vociare in lontananza, che Oliver aveva scostato la schiena dal muretto per avvicinarsi appena verso il gruppetto – senza dare troppo nell’occhio. Se fosse stato più giovane – e soprattutto meno fatto – probabilmente il suo cuore avrebbe mancato un battito alla vista di famosi giocatori di Quidditch, peccato che per l’ex Serpeverde i tempi fossero cambiati e che adesso non gliene potesse fregare meno.
    Soltanto quando il primo di quei giocatori lo adocchiò, Oliver lo invitò con lo sguardo ad avvicinarsi; estrasse la roba dalla tasca e non la rese fin quando non gli vennero messi in mano una manciata di monete dorate. Dopo fu il turno del prossimo giocare e ancora del successivo, fin quando l’affare non venne definitivamente chiuso.
    Li vide smaterializzarsi altrove e, se non fosse stato per una voce che lo obbligò a fermarsi, anche Oliver avrebbe fatto lo stesso per raggiungere nuovamente Denrise.
    Si bloccò di colpo e strabuzzò gli occhi virando il capo dalla parte opposta.
    Chi cazzo era?
    «Emh.. dovrei?»
    Corrugò la fronte, confuso, e cercò di mettere meglio a fuoco la figura del semi sconosciuto. Quello che Peter non sapeva – o forse probabilmente sì, visto che anche le pietre ai tempi di Hogwarts erano al corrente dei problemi di dipendenza di Oliver – era che l’ex Serpeverde nell’ultimo periodo che aveva passato alla Scuola di Magia era stato talmente tanto fatto da ricordare a malapena gli ultimi giorni con i compagni.
    Aveva bisogno del suo tempo.
    «Ti serve qualcosa?»
    Un cenno ai suoi pantaloni. Alle sue tasche, sicuro che stesse solo cercando di farsi vendere qualcosa – ma che probabilmente era troppo timido per chiedergliela direttamente senza troppi giri di parole.
  8. .

    ezgif-4-3997c5bf14
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    C
    ontinuò a fissare la sconosciuta come se fosse un alieno appena sceso dalla sua navicella spaziale davanti agli occhi di Oliver – ancora incredulo della sua effettiva esistenza. Si era soffermato un sacco di volte a pensare se ci fosse o meno la vita oltre il Pianeta terra, e pensare il contrario era da sciocchi. Non potevano certo credere che il loro fosse l’unico dell’Universo in grado di ospitare la vita – anzi, forse era addirittura il peggiore.
    Comunque, alieni o meno il fatto che il Jackson non avesse idea di chi fosse quella ragazza era una verità incontrovertibile. La scrutò con ancora più insistenza, senza prendersi la briga di apparire meno impertinente con lo sguardo, e rimase a sentire quanto avesse da dirgli. Lei conosceva lui e, visto quanto ne sapeva, non poteva che esserne più sicuro.
    Piuttosto ad incuriosirlo era il suo fantomatico Capo, quello che a quanto pareva aveva mostrato interesse per gli affari di Oliver: forse era stato un male non cambiare posto, farsi trovare sempre nello stesso punto. E se fosse uno sbirro? Non voleva finire in gabbia. Corrugò la fronte.
    Cosa voleva, Oliver?
    «Voglio arrivare a casa e non trovare il frigo vuoto. Voglio smettere di vivere in una bettola di merda. Voglio trovare l’acqua calda quando apro il rubinetto della doccia e non congelarmi il culo d’inverno.»
    Non aveva mai voluto diventare ricco; anche quando aveva iniziato a lavorare per Romeo si era accontentato di venir “pagato” con della roba, anziché con la manciata di galeoni che gli spettavano. A lui bastava poter smettere di sentire tutte le volte che voleva, per questo non aveva mai cercato di disintossicarsi.
    «Ma la mia è soltanto utopia, no?»
    Aveva freddo. Un brivido gli percorse la schiena al punto da portarlo a congiungere le braccia al petto e a strofinarsi le mani sugli avambracci per scaldarsi. Uscire la bacchetta davanti un’estranea per asciugarsi non era prudente. Per quanto poteva saperne, quella non aveva nulla a che farci con il mondo magico e lui non voleva problemi – almeno non più di quanti ne aveva già di suo.
    Continuò ad ascoltarla, curioso, volendole dare una possibilità. Non era facile guadagnarsi la sua attenzione.
    «Come faccio a sapere che non mi stai soltanto prendendo per il culo? Cerchi di ammorbarmi con un sacco di promesse e bellissime parole, e magari alla fine mi lasci nella merda più di quanto io non lo sia già.»
    Scosse il capo e gli puntò addosso uno sguardo truce. Aveva smesso di fidarsi ciecamente della gente soltanto perché faceva promesse che alla fine non era in grado di mantenere.
    Adocchiò soltanto per un attimo la fialetta che aveva in mano prima che sparisse, dandogli forse prova che lei di magia se ne intendeva più di quanto Oliver avesse potuto immaginare all’inizio di quella strana conversazione.
    «E se anche accettassi anche in questo momento, chi mi da la certezza che tu non mi farai sbattere dentro?»
    Gli si avvicinò un po' di più con fare minaccioso, la mascella serrata e la frase soffiata sulla sua pelle.
  9. .

    ezgif-4-3997c5bf14
    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    L
    a notte era così tanto simile a lui da non farci neanche più caso. Non aveva mai avuto paura del buio, erano altre le cose che gli mettevano i brividi - tipo moltissime sfaccettature di sé stesso, giusto per fare un esempio.
    Era cresciuto nella notte di una città silenziosa eppure troppo chiassosa; aveva lui stesso riempito di rumore quelle strade, aiutando a produrne sempre di più con la magia che offriva a poveri malcapitati in cambio di quattrini per vivere. Non riusciva a guadagnarci abbastanza per viverci dignitosamente; in realtà non aveva mai creduto che potesse esistere una realtà differente da quella, dove non aveva bisogno di fare "il cattivo" per sopravvivere alla giornata.
    In venticinque anni di esistenza, Oliver non aveva avuto modo di vivere differentemente da come aveva sempre fatto e, sicuro di non aver avuto alcuna possibilità di scelta, alla fine si era adattato.
    Camminava a passo lento, la testa china e le mani in tasca, in una città notturna che oramai conosceva meglio di sé stesso; riconosceva i suoni, le ombre, le persone. Ogni minimo rumore era da lui perfettamente riconducibile a qualcosa di familiare. E se per molti la solitudine di una città mezza addormentata poteva rappresentare un ipotetico pericolo - visto come spesso veniva disegnato nei film -, quella era per il Jackson una realtà abitudinaria e quasi calorosa. Nonostante facesse freddo, tanto freddo.
    Si strinse le spalle nella sua felpona, grande almeno di due taglie in più, e continuò a camminare. Non si fece distrarre neanche da un gruppetto di ragazzini in giro nonostante l'orario, né dalla gente che gli camminava di tanto in tanto di fianco. Finì davanti alla vetrina di un negozio, una volta raggiunto l'altro lato della strada, ma vi passò oltre non intenzionato ad entrare.
    Ben presto si tolse dalla strada, trovando un cunicolo decisamente più somigliante ai panorami che era solito frequentare - quelli dov'era solito lavorare, neanche fossero un accogliente ufficio aziendale.
    Si accese una sigaretta, lasciando che la fiamma dell'accendino gli illuminasse appena buona parte del volto per qualche istante; inspirò e poi buttò tutto fuori rilassando le spalle.
    Una voce, pochi istanti più tardi, ne disturbò un'agognata quiete. Il volto contrito dal fastidio di Oliver fece subito intendere di non avere idea di chi fosse quella donna né, almeno non inizialmente, di quali fossero le sue reali intenzioni. Fece un passo indietro e cercò di metterla meglio a fuoco - le goccioline di pioggia che gli colavano dai ricci appiattiti sulla fronte bagnata.
    «Ci conosciamo?»
    Chiese, anche se non realmente interessato alla questione.
    Fece un altro tiro e prese a giocherellare con la sigaretta che teneva ancora tra indice e medio della mancina.
    Evidentemente la sconosciuta sapeva chi fosse anche solo per reputazione, quella che si era appiccicato addosso e che spesso gli dava anche fastidio. Era diventato il Pusher di fiducia di qualcuno, proprio come qualcuno lo era stato per lui per moltissimo tempo. Alle volte rimpiangeva Romeo, ma non il suo protettore - di cui i segni della sua compagnia li portava ancora ben impressi nella pelle chiara nascosta sotto le vesti larghe.
    «I centri commerciali sovrastano i piccoli negozietti, al punto da obbligarli a chiudere baracca. Che tu ci creda o no succede anche a noi: c'è sempre un nuovo coglione che abbassa i prezzi, che porta robe nuove sul mercato. E tu ci rimani fottuto.»
    Tutto questo per dire che, in effetti, quella giornata sarebbe potuta andare meglio per i suoi affari.
    Corrugò la fronte e finì la sua sigaretta in un lungo inspiro, gettando a terra il mozzicone e pestandolo poi sotto la suola della scarpa da tennis vecchia.
    «Ciò non vuol dire che abbasserò i prezzi, sia chiaro. Per cui, dimmi: cosa vuoi?!»
    Risultando più rude alla fine della frase e osservandola a braccia conserte.
  10. .


    🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪


    S
    i sentiva un idiota – anche più di quanto ci si sentisse solitamente, il che era quanto dire. Da scemo, si era messo in testa (buffo, visto che quel “cambiamento” riguardava proprio la sua testa) di dover cambiare qualcosa di sé, come se iniziando da qualcosa di piccolo avrebbe dato il via a qualcosa di via via sempre più grande.
    Aveva letto da qualche parte – tipo una miriade di volte – che chi voleva cambiare cominciava dai capelli e lui l’aveva preso alla lettera. Aveva avuto la medesima chioma castana da tutta la vita, ma non si era mai immaginato di averne di un colore differente – né tantomeno quello che ne era uscito fuori dopo un disperato e stupido tentativo.
    Aveva preso una mistura a poco prezzo in un negozietto fatiscente di Denrise – e già da lì probabilmente avrebbe dovuto immaginarsi il più nefasto degli esiti. Imperterrito, era tornato a lavoro (si era appostato in un vicolo poco trafficato, in modo da non dare troppo nell'occhio) continuando a ripensare al tubetto di colorante che stava su in camera ad attenderlo, meditando sui pro e sui contro.
    Aveva incontrato i vecchi compagni di scuola già parecchie volte negli ultimi tempi, per cui il fatto che potesse disgraziatamente capitare di nuovo nell’immediato futuro era decisamente improbabile: come pro, quindi, poteva considerare che nessuno di loro avrebbe avuto modo di deriderlo, eventualmente. I contro erano un po’ di più: l’idea di doversi abituare ad un “nuovo Oliver” lo spaventava quanto quella di doversi guardare per forza allo specchio e vedere una persona completamente diversa.
    Biondo cenere, aveva preso.
    Peccato che alla fine si rivelò essere un rosa vomito smorto del millequattrocentoventisei andato a male.
    Non poteva neanche dire di avere un casco di banane in testa, sembrava più una palla da bowling color Big Babol spampinata. Imprecò talmente tanto forte, guardandosi allo specchio, che lo udì anche il tossico al piano di sotto – pensando che gli fosse venuto un infarto.
    Non gli aprì neanche, dopo quando andò a bussargli alla porta, dicendo che andava straordinariamente. Cosa aveva sbagliato? L’aveva lasciato troppo in posa? O ci aveva vomitato dentro un Unicorno senza che se ne accorgesse? Tentato di rasarsi a zero per togliersi il pensiero, decise di aspettare almeno due giorni – il tempo che quella bettola riaprisse giusto per andarne a dire quattro alla proprietaria – e vedere come rimediare.
    «Che cazzo ti guardi»
    Effettivamente non era neanche una domanda, quella che Oliver - quasi biascicando con le parole - aveva rivolto alla tipa che, dall'alto, sembrava essersi particolarmente affezionata alla sua visione. Corrugò la fronte, indispettito, riportando la canna alle labbra e facendo un lungo tiro senza smettere di guardare la ragazza.
    «Ah, fanculo»
    E accompagnò la frase con un gesto della mano, come a voler lasciar perdere, e una scrollata di spalle guardando nella direzione opposta.
    Aveva raggiunto il tronco di quell'albero, al limitare della Foresta di Denrise, sicuro che nessun ragazzino di Hidenstone avrebbe avvicinato un fattone scorbutico tinto di rosa che voleva solo essere lasciato in pace, ma evidentemente ci aveva visto storto.
    Un po' com'era sicuro che presto l'avrebbe guardato quella sconosciuta - che poi, facendoci caso, tanto sconosciuta non era. Ci sarebbe arrivato prima o poi.
    Tempo al tempo.
  11. .
    Finita! arf2
  12. .
    Grazie a todossssssss 💕
  13. .
    Oliver
    Jackson
    nome e cognome: Oliver Timothée Jackson, nonostante il secondo non figuri veramente da nessuna parte - né si presenta mai in questo modo.
    data e luogo di nascita: Si presume che sia nato a Manchester - perché è in un orfanotrofio della città che è stato lasciato - e che sia presumibilmente nato attorno al 7 Luglio del 1997, poiché mostrava avere massimo qualche giorno al momento del suo ritrovo davanti la porta d'ingresso.
    orientamento sessuale: Omosessuale.
    ex scuola: Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Casa Serpeverde.
    casata di Hidenstone: //
    professione: Aspirante membro dell'Acromantula Scarlatta.
    stato di sangue: Mezzosangue (madre mago, madre babbana).
    stato sociale: Povero.
    caratteristica: //
    segni particolari : Nascosti sotto le vesti vi sono lividi sparsi qui e là sulla pelle, causati dalle numerose cadute avvenute durante gli allenamenti di Quidditch; questi sono anche i segni di vecchi esperimenti di Romeo - trafficante per il quale ha segretamente lavorato per qualche tempo già mentre ancora frequentava Hogwarts.
    allineamento: Caotico Neutrale Caotico Buono (CB).
    bacchetta: Bacchetta in legno di ciliegio con nucleo di corda di cuore di alastridente, 12 pollici e 1/2, flessibile.
    famiglio: //
    Altro: Ha una cicatrice sul sopracciglio destro procuratosi durante una rissa al Lago Nero all’inizio del terzo anno: alcuni studenti più grandi di lui avevano insinuato che le sue iridi chiare fossero rimaste un po’ troppo incollate al fondoschiena di una Corvonero – ragazza di un deficiente che aveva sferrato il primo pugno; probabilmente lo studente in questione diceva la verità, ma dal momento che Oliver è fatto per la maggior parte del tempo, il culo l’episodio doveva essergli passato di mente.
    Ricopriva il ruolo di Capitano di Quidditch della Casa Serpeverde, successivamente perso a causa dei suoi comportamenti poco sani, quindi non essendo più meritevole di esserlo.
    Per buona parte del periodo scolastico e anche dopo ha lavorato per Romeo, un gangster della Londra magica che trafficava droga e, quando capitava, sperimentava direttamente su Oliver le nuove miscele prima di portarle sul mercato.
    E' insoddisfatto della vita che fa, ma si adegua. Si chiede spesso come faccia ad essere ancora vivo.
    aspetto (e segni particolari) : Oliver ha un fisico mingherlino, poca muscolatura e con un'evidente magrezza dovuta alla scarsa assunzione di cibo; nonostante per la maggior parte dei momenti sia fatto, non è di buona forchetta e non si lascia abbattere dagli effetti secondari delle sostanze che assume: è difficile - nonostante tutto - che mostri difficoltà nel recuperare "vitalità" alla fine degli effetti miracolosi della cannabis, sforzandosi per non mostrare a chi gli sta attorno che "qualcosa non vada". Alto 1,78 m, la pelle è chiara - quasi diafana -, il ventre piatto, i muscoli delle braccia poco sviluppati; il viso è lievemente a punta avente lineamenti marcati, contornato da un leggero accenno di barba scura sulle guance e sul mento, talmente corta da lasciar intravedere appena la sua ombra - spuntata con l'avvento della pressante pubertà. Gli occhi del Jackson sono cerulei, spenti e a tratti tristi, caratterizzati da ciglia prolungate e scure, così come i mediamente lunghi capelli (tanto da permettergli di legarli in una corta coda di cavallo) castano scuri. Le labbra non sono piene, tuttavia quello inferiore è più carnoso rispetto a quello superiore, mentre le mani sono esili e delicate come quelle di una femminuccia.
    carattere : C'è solo una parola per descrivere Oliver: coglione. Tra l'altro per lui non è nemmeno offensiva, visto che non crede ce ne possano essere altre per poter definire al meglio il suo carattere. Lui è il tipico ragazzo che se ne frega delle opinioni altrui e persegue unicamente la strada prescelta, nonostante sappia che non sempre è corretta. Tende a prendere le cose sottogamba, senza dargli il giusto peso o un significato più profondo; è solito trattare con sufficienza le persone, questo perché in primis non ha un'alta considerazione nemmeno di sé stesso, per cui chiedergli di averne di qualche altro essere umano è davvero troppo. E' dell'idea che omologarsi alle masse prima o poi comporterà al collasso del genere umano, trasformando tutti in robot senza sentimenti: lui, dal canto suo, tuttavia semplicemente se ne frega, preferendo estraniarsi considerando inferiore chiunque e annullando ciò che prova facendo uso di sostanze stupefacenti - gentilmente procurate dal pusher di fiducia, che incontra in un vicolo di Hogsmeade nei fine settimana quando serve. Quindi, dal momento che per la maggior parte del tempo i suoi sensi sono annebbiati, non è difficile coglierlo a scrutare il cielo in cerca di asini volanti, oppure assorto nei propri pensieri alla ricerca della risposta sul perché esista l'uomo e sul senso della vita. Si potrebbe benissimo associare il suo comportamento irascibile e violento all'uso di queste sostanze oppure - cosa ancora più comune - al fatto che sia cresciuto in un orfanotrofio (in questo modo si potrebbe intendere il perché sembri essere costantemente incazzato col mondo), tuttavia esso ne è esponenzialmente accentuato: particolarmente suscettibile, non sopporta che le cose non vadano come vuole lui; odia le parole di troppo, che la gente lo tratti da stupido, che gli si venga fatto notare quando sbaglia a comportarsi in un certo modo o a dire qualcosa che può dar fastidio a qualcun altro. Adora infastidire la gente, portarla al punto da infuriarsi con lui in modo da poterci cominciare una lite: sono il suo pane quotidiano ma, al contrario, non sopporta che gli si venga rivolta la parola senza che non sia stato lui per primo a darne il pretesto. Volubile, non si riesce mai a capire cosa gli passi per la testa e anche solo provare a tollerarlo risulta decisamente complicato; non manca mai di far notare un difetto, uno sbaglio, qualcosa di storto, e ironizza eccessivamente su tutto ciò che può.
    Tuttavia c'è un Oliver di prima e un Oliver di adesso; e se il comportamento di quello di prima potrebbe attribuire la colpa all'adolescenza bastarda, quello di adesso preferirebbe cancellare tutto il passato in favore di una rinascita più pacata e libera dal dolore. Se per molti gli anni a Hogwarts sono stati i migliori della vita, gli ultimi per il Jackson si sono rivelati tutt'altra cosa: le sue cattive abitudini hanno preso il sopravvento al punto da trasformare in modo radicale il suo carattere. E' cupo, taciturno, solitario. Costantemente arrabbiato.
    Deluso dal Destino che gli è stato riservato e per il quale crede di non aver avuto alcuna voce in capitolo.
    Faceva caldo, in quella notte del 7 Luglio di venticinque anni fa, quando una figura incappucciata aveva lasciato un fagotto piagnucolante sull’uscio della porta dell’Orfanotrofio più grande di Manchester – e anche quello che, maggiormente rispetto agli altri, ospitava più bambini bisognosi di una famiglia. Quel neonato non sarebbe stato altro che uno dei tanti pargoli in cerca di una vera casa, abbandonato senza remore per la vergogna di una donna: ella, rifiutata da un ricco uomo che l’aveva sedotta e abbandonata, non volle saperne di crescere da sola il frutto (poi scoperti essere "frutti", dal momento che i bambini messi al mondo erano stati due) di quello che considerava un tradimento – sicura che il volto di quel bimbo le avrebbe sempre ricordato l’uomo che non era riuscita ad avere; lei gli aveva lasciato soltanto una lettera anonima, missiva ove era riportato il suo nome (ma non il cognome) e che anche quando Oliver apprese le capacità per leggerla, non volle mai aprire (ma che non gettò via). Fortuna che quella rovente notte fu proprio la donna delle pulizie a trovare il piccolo in lacrime, mentre muoveva in aria le braccine in cerca di qualcuno che potesse afferrarle. Melody, che non era mai riuscita ad avere figli, aveva considerato come suoi tutti i bambini dell’Orfanotrofio nel quale oramai lavorava da decenni: Oliver fu l’unico neonato con il quale riuscì a legarsi di più, arrivando persino a prendere la decisione di dargli il suo cognome, Jackson, oltre che un secondo nome - Timothée - quello che avrebbe dato a suo figlio - se mai ne avesse potuto avere uno. Avrebbe potuto portarlo a casa con sé, si potrebbe benissimo pensare, ma la donna non disponeva di abbastanza fondi per crescerlo ed assicurargli una vita felice e dignitosa come avrebbe voluto. Man mano che Oliver cresceva – nonostante inizialmente avesse mostrato di avere quello che semplicemente definivano un comportamento “difficile” – il suo carattere si rivelava essere totalmente differente rispetto agli insegnamenti impartitegli da Melody e da chi, molto spesso, lo rimproverava: prendeva in giro gli altri bambini, li picchiava, li derideva, faceva loro i dispetti o scherzi che trovava divertenti soltanto lui, e sembrava non preoccuparlo nemmeno il fatto che nessuno lo volesse come amico, perché era sicurissimo di non averne bisogno.
    E se gli altri bambini avevano semplicemente imparato a sopportare i comportamenti antipatici di Oliver, capendo cosa lui potesse fare – e che loro non potevano –, li portò a provare paura nei suoi riguardi: l’avvento della sua prima magia accidentale sconvolse Melody che – cristiana convinta – cominciò seriamente a credere che sua madre lo avesse abbandonato perché sicura che fosse il figlio del Diavolo in persona. Tuttavia le risposte di cui aveva bisogno le ricevette quando arrivò una missiva per Oliver, la quale gli annunciava che aveva l’occasione di studiare alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, una scuola della quale non aveva mai sentito parlare ma che, da quel momento, sentì particolarmente affine.
    Mai veramente preoccupatosi del fatto che nessuno paresse tollerarlo (né che l’unica a farlo fosse effettivamente Melody, alla quale non aveva mai mostrato grande affetto), anche arrivato al castello non ricercò la vicinanza di qualcuno, finendo anche lì per farsi dei nemici. La situazione già precaria del quindicenne peggiorò quando, in visita al Villaggio di Hogsmeade, volle soddisfare una curiosità personale: più volte aveva visto aggirarsi alcuni studenti più grandi di lui in un vicolo buio – lontano dalla strada principale –, uscendone sistemando qualcosa dentro le tasche dei pantaloni; presosi di coraggio, un pomeriggio ci entrò anche lui, ritrovandosi davanti la figura di un uomo dall'aria poco raccomandabile che gli chiese cosa volesse venduto. E mentre questi studenti, conseguiti i M.A.G.O. abbandonarono Hogwarts - lasciando il losco uomo senza un lavoro -, Oliver gli era rimasto un fedele cliente.
    Fu poco a poco che i nervi del ragazzo cominciarono a crollare, messi seriamente a dura prova dagli effetti dovuti alle numerose sostanze assunte e una serie di duri colpi ricevuti durante il periodo scolastico. In seguito alla morte di un caro compagno di scuola, Oliver subisce un duro colpo emotivo anche grazie alla notizia che apprende solo qualche giorno dopo: la lettura della lettera lasciata da sua madre quando era ancora in fasce, gli rivela l'esistenza di una sorella gemella che, con l'aiuto del Ministero della Magia, riesce a ritrovare in una sua compagna di scuola - portata da piccola in un altro orfanotrofio, ma adottata da una buona famiglia qualche anno più tardi. Ne seguono alcuni mesi di buio ed incertezze, ma poco a poco il ragazzo riesce ad avvicinarsi maggiormente alla sorella e gradualmente si riprende, anche grazie alla vicinanza di William Shakespeare, un Tassorosso più grande di lui con il quale riesce a comprendere i propri sentimenti e, soprattutto, il fatto di preferire gli uomini - realtà di sé che prima di allora Oliver si era rifiutato di accettare.
    L’abbandono della Scuola di Magia, da parte di entrambi, senza alcun preavviso fece cadere Oliver in un baratro di dolore dal quale difficilmente riuscì a riprendersi, con diversi alti e bassi (più bassi che alti) che scandirono la sua vita scolastica già di per sé abbastanza disastrata.
    Continuò gli studi soltanto per un anno, dopo il quale decise di lasciare definitivamente la scuola - quindi arrivando ad ottenere unicamente l'attestato G.U.F.O. e mai il M.A.G.O.. Lasciò l'orfanotrofio, mandò al diavolo il suo "protettore" (un ragazzo più grande al quale faceva dei favori e che in cambio gli garantiva un tetto sulla testa e protezione) e per un periodo continuò a lavorare per gli uomini di Romeo e a farsi ospitare di tanto in tanto sui loro divani - fin quando, in seguito all'arrivo a Denrise con l'intento di cambiare definitivamente aria - non riuscì a trovare un posto come dipendente di un negozietto del posto (senza tuttavia abbandonare mai le vecchie abitudini) dove tuttavia rimase molto poco.
    Attualmente si è stabilito al villaggio, ma senza ancora un lavoro che possa garantirgli più di un pasto in tavola, costretto a vivere in un buco dentro il quale entra a malapena un letto sformato e scomodo.
    prestavolto : Timothée Chalamet © murphy


    Edited by Oliver Jackson - 3/11/2022, 00:46
  14. .
    ❤️
  15. .
    Cià curò
17 replies since 20/9/2019
.
UP