Lonely

Privata

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    A
    veva passato una nottata orribile.
    Quella merda che aveva preso aveva fatto effetto troppo tardi, costringendolo a vedere nel tetto su di sé colori che non c’erano e a reggersi più volte al bordo del letto per paura che potesse cadere. Si muoveva tutto, anche quando stava fermo.
    Girava la stanza. La testa. Il mondo.
    Tossì e vomitò tutto voltandosi dall’altra parte.
    Aveva cercato di svegliare qualcuno – i compagni di scuola che, qualche volta, vedeva ancora profondamente addormentati nei rispettivi letti –, solo che lì non c’era nessun’altro, a parte lui e i suoi ricordi.
    Scoppiò a ridere rendendosi conto di essere finito in un’altra situazione del cazzo. Era quasi affogato nel suo vomito, prima che potesse trovare la forza di opporsi.
    L’ultima volta era stata Marte a salvarlo, parecchi anni addietro. Adesso lo aveva fatto da solo.
    Stava migliorando.
    Lasciò dormire tutti - convinto che loro fossero realmente lì con lui - e si fece piccolo piccolo, rannicchiandosi tra le coperte a tremare di freddo.
    Cominciò a piangere senza neanche rendersene conto, senza alcun motivo apparente, fino ad addormentarsi con la guancia attaccata al cuscino bagnato.
    Quando si era svegliato aveva dovuto star bene attento a dove metteva i piedi poiché, a differenza dei tempi in cui aveva frequentato Hogwarts, adesso non aveva più alcun Elfo Domestico a pulire la merda che lasciava per terra, ma doveva fare affidamento unicamente a sé stesso – un po’ com’era solito fare da più o meno quando era nato.
    Ci avrebbe pensato più tardi, al suo ritorno. Ammesso che fosse stato abbastanza sobrio o in forza da riuscirci.
    Aveva passato la mattinata con gli occhi fissi a guardare il vuoto, da vegetale: non aveva saltato il lavoro in quel vicolo puzzolente di Denrise, ma muoversi per il villaggio per raggiungere il suo angoletto non fu affatto facile. Rischiò di inciampare così tante volte che, arrivato all’ora di pranzo, si sorprese di avere ancora il naso integro. E qualche galeone ancora in tasca.
    Sentiva le voci della gente attorno a sé in quel locale nel quale si era infilato senza neanche leggerne il nome sull’insegna, ma lui non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo piatto: una fetta di carne piuttosto invitate, per qualsiasi altro essere umano che non fosse un Oliver Jackson strafatto.
    Eppure avrebbe potuto giurare di averla vista muoversi.
    Sorridergli.
    E lui ricambiò quel sorriso.
     
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Denrise.
    Il bel villaggio razzista.
    Amava i denrisiani almeno quanto loro odiavano lui, ogni volta che andava cercava di spiegar loro la differenza tra un americano e un inglese, tentando di venirne fuori vincitore. E così sembrava, fino a quando non voltava le spalle e loro ritornavano a dargli dell'inglese.
    All'inizio se la prendeva veramente male: odiava quando gli si dava dell'inglese, poi aveva capito che quei tipi simpatici di Denrise vedevano in ogni straniero un inglese, potevi anche essere Joo-Hyuk, ma comunque eri inglese per loro, quindi la sua era diventata una barzelletta divertente con cui giocare di tanto in tanto.
    Quel giorno, Julian aveva deciso di restare a Denrise per pranzo, godendosi quella parte del villaggio che la scuola gli aveva sempre privato: una mattina tra i predoni e gli ubriaconi. Un vero peccato privarsi di quella gioviale cittadina di mattina.
    Era da ore seduto sullo sgabello davanti al bancone del Canto della Sirena, osservando quella decameroniana tela che gli si presentava davanti, cercando di celare spesso il suo sorriso divertito in un boccale di birra.
    Ogni persona che entrava, veniva passata ai raggi X, per non parlare delle ragazze della locanda, che parevano esser fatte per amare ogni pirata giungesse, ma senza troppe pretese.
    Tuttavia, ad attirare la sua attenzione non fu il classico denrisiano con barbone incolto e mani puzzolenti di pesce (?): la porta si aprì e con passo strano lasciò entrare un ricciolino dall'aspetto non troppo perfetto.
    Il boccale di birra si poggiò sul bancone e venne sostituito da una sigaretta cacciata da un pacchetto schiacciato nel jeans. Dov'era l'accendino? Toccò la camicia nera, un taschino all'alttezza del petto. Eccolo. Diede un paio di tiri facendosi strada tra i tavoli del canto e deviando qualche invito di qualche bella ragazza, mentre cercava di mettere a fuoco la figura del riccio. Spense la sigaretta su un piatto vuoto che stava poggiato ad un tavolo poco distante, quindi sbuffò via il fumo e «Ti sta raccontando qualche barzelletta quella bistecca?» - Julian non brillava in presentazioni, riusciva ad essere come il prezzemolo in ogni situazione.
    Lo sguardo del Dioptase passò dal piatto allo spacciatore e viceversa, diverse volte.
    Julian Miller

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    C
    ’erano giorni in cui riusciva a rimanere un po’ più sobrio nonostante non riuscisse a rinunciare a qualcosa per sentirsi meglio, mentre c’erano altre volte in cui si riduceva talmente tanto male da preferire di chiudere gli occhi e non riaprirli più. Era quasi successo, una volta: se non fosse stato per l’intervento tempestivo di Marte sarebbe annegato nelle acque del Lago Nero, troppo fatto per sollevare la testa da dentro l’acqua dentro la quale era inciampato. Buffo pensare che era stato proprio da quel momento che i due avevano cominciato a volersi bene, nonostante Oliver si chiedesse ancora perché certa gente tenesse così tanto a lui.
    Non si era mai meritato l’affetto di nessuno.
    Si portò le mani alle tempie e si prese la testa tra le mani mentre il sorriso gli si spegneva sulle labbra; la vicinanza di un ragazzo e la sua voce troppo squillante per il tremendo mal di testa che gli stava spaccando il cranio a metà era troppo, anche più del solito.
    «Piano, per favore»
    Disse a denti stretti e ad occhi socchiusi.
    In effetti non ricordava neanche che cosa ci avesse visto, di tanto divertente in quella fetta di carne. Non che avesse tutta questa fame, tra l’altro: bastava guardarlo per capire quanto spesso la roba gli togliesse l’appetito. Mingherlino com’era, era certo che avrebbe potuto anche attraversare le sbarre di una cella se gli sbirri lo avessero sbattuto dentro per spaccio.
    «Dammene una»
    Disse semplicemente, una volta aver riaperto gli occhi ed aver fissato distrattamente le iridi verso la figura dello sconosciuto che lo aveva affiancato. Che lo conoscesse già? Che volesse venduto qualcosa nonostante l’evidente pausa pranzo dal lavoro? Come se avesse realmente intenzione di mangiare qualcosa.
    Allungò il braccio destro verso il piatto completamente sano e lo fece scivolare in silenzio in direzione dello sconosciuto, come ad offrirgli quella carne in cambio di una stupidissima sigaretta.
    Almeno se avesse iniziato a mangiare avrebbe tenuto la bocca chiusa e il suo mal di testa ne avrebbe giovato.
    Agli affari, in tal caso, ci avrebbero pensato in un secondo momento.
     
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    "Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"

    Era piuttosto certo di non aver alzato per niente la voce, rispetto a quanto pensasse Oliver, ma quella sua reazione aveva fatto sì che Julian potesse confermare l'ipotesi che il ragazzo non fosse propriamente sobrio, rispetto a quanto avrebbe dovuto essere, soprattutto rispetto a lui.
    Ma da quando succedeva che lui rimaneva sobrio per così tanto tempo?
    Julian inclinò il capo a destra, osservando il volto un po' sfatto del riccio disordinato, mentre i suoi - di ricci - stavano molleggiando anarchici da una parte all'altra. Si sedette, sollevando la sedia davanti a lui, affinché non strisciasse sul pavimento, procurando ulteriore fastidio allo sconosciuto. Girò lo schienale rivolto al tavolo, mettendosi a cavalcioni della seduta, così da poter poggiare le braccia sulla parte superiore e il mento sugli arti, mentre la destra reggeva ancora la sigaretta che cacciava un filo di fumo.
    Quando l'altro gli chiese una sigaretta, Julian non ci pensò molto a cacciare la mano in tasca per afferrare il pacchetto pieno, ma si fermò dal concedergliela, quando questo provò a barattarla con il pasto che aveva davanti.
    Sollevò un sopracciglio, quindi scosse la testa.

    «Solitamente me ne fotto della vita degli altri, ma oggi è la tua giornata fortunata.»

    Il tono di Julian era basso e caldo, mentre cercava di mantenere un contatto visivo con quel tizio strano che si sarebbe venduto la sua cena per una sigaretta.

    «Mangia.»

    Una semplice parola, non troppo imperativa a dire il vero, ma comunque intenzionata a dare un ordine al ragazzo che aveva davanti.

    «La sigaretta te la do, ma devi mangiare qualcosa. Ti si fotterà lo stomaco se non lo fai. Anche solo un paio di bocconi, poi ti lasciò metà del mio pacchetto. Non ho bisogno io di quel piatto.»

    Quindi allungò la mano destra, che teneva tra le dita la sigaretta e spinse di nuovo il piatto verso di lui, mettendo davanti a sé il pacchetto di sigarette e reggendolo con la sinistra, quasi ad indicargli quanto fosse sincero con quel baratto.
    Lui avrebbe mangiato, Julian gli avrebbe dato quello che voleva.
    Julian Miller

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