🧪 O l i v e r 🚬 2 5 y . o . 🚬 S t a t 🧪
S i sentiva un idiota – anche più di quanto ci si sentisse solitamente, il che era quanto dire. Da scemo, si era messo in testa (buffo, visto che quel “cambiamento” riguardava proprio la sua testa) di dover cambiare qualcosa di sé, come se iniziando da qualcosa di piccolo avrebbe dato il via a qualcosa di via via sempre più grande. Aveva letto da qualche parte – tipo una miriade di volte – che chi voleva cambiare cominciava dai capelli e lui l’aveva preso alla lettera. Aveva avuto la medesima chioma castana da tutta la vita, ma non si era mai immaginato di averne di un colore differente – né tantomeno quello che ne era uscito fuori dopo un disperato e stupido tentativo. Aveva preso una mistura a poco prezzo in un negozietto fatiscente di Denrise – e già da lì probabilmente avrebbe dovuto immaginarsi il più nefasto degli esiti. Imperterrito, era tornato a lavoro (si era appostato in un vicolo poco trafficato, in modo da non dare troppo nell'occhio) continuando a ripensare al tubetto di colorante che stava su in camera ad attenderlo, meditando sui pro e sui contro. Aveva incontrato i vecchi compagni di scuola già parecchie volte negli ultimi tempi, per cui il fatto che potesse disgraziatamente capitare di nuovo nell’immediato futuro era decisamente improbabile: come pro, quindi, poteva considerare che nessuno di loro avrebbe avuto modo di deriderlo, eventualmente. I contro erano un po’ di più: l’idea di doversi abituare ad un “nuovo Oliver” lo spaventava quanto quella di doversi guardare per forza allo specchio e vedere una persona completamente diversa. Biondo cenere, aveva preso. Peccato che alla fine si rivelò essere un rosa vomito smorto del millequattrocentoventisei andato a male. Non poteva neanche dire di avere un casco di banane in testa, sembrava più una palla da bowling color Big Babol spampinata. Imprecò talmente tanto forte, guardandosi allo specchio, che lo udì anche il tossico al piano di sotto – pensando che gli fosse venuto un infarto. Non gli aprì neanche, dopo quando andò a bussargli alla porta, dicendo che andava straordinariamente. Cosa aveva sbagliato? L’aveva lasciato troppo in posa? O ci aveva vomitato dentro un Unicorno senza che se ne accorgesse? Tentato di rasarsi a zero per togliersi il pensiero, decise di aspettare almeno due giorni – il tempo che quella bettola riaprisse giusto per andarne a dire quattro alla proprietaria – e vedere come rimediare. «Che cazzo ti guardi» Effettivamente non era neanche una domanda, quella che Oliver - quasi biascicando con le parole - aveva rivolto alla tipa che, dall'alto, sembrava essersi particolarmente affezionata alla sua visione. Corrugò la fronte, indispettito, riportando la canna alle labbra e facendo un lungo tiro senza smettere di guardare la ragazza. «Ah, fanculo» E accompagnò la frase con un gesto della mano, come a voler lasciar perdere, e una scrollata di spalle guardando nella direzione opposta. Aveva raggiunto il tronco di quell'albero, al limitare della Foresta di Denrise, sicuro che nessun ragazzino di Hidenstone avrebbe avvicinato un fattone scorbutico tinto di rosa che voleva solo essere lasciato in pace, ma evidentemente ci aveva visto storto. Un po' com'era sicuro che presto l'avrebbe guardato quella sconosciuta - che poi, facendoci caso, tanto sconosciuta non era. Ci sarebbe arrivato prima o poi. Tempo al tempo.
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