Votes taken by Lucas Jughed Jones

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    Il suo flettere l'angolo sinistro delle labbra fu spontaneo alle parole sibilate dell'altra. Come se la stesse un po' stuzzicando con quel sorrisetto sghembo. Sapeva che Alex non avrebbe mai capito quello che si stavano dicendo, ma accettò la sua scelta, annuendo e trattenendo una risata, mentre la guardava con la coda dell'occhio, cercando di non scoppiare dal ridere. Era così adorabile quando faceva la mamma apprensiva, che Lucas quasi si chiedeva come avesse fatto il suo omonimo a non godersi tutti questi momenti con loro.
    Ciò nonostante, Lucas aveva detto quelle parole con il chiaro intento di far capire a Jessica che non sarebbe finita la sua serata dopo il ballo. Non aveva dimenticato il suo compleanno, non lo avrebbe mai fatto, e avrebbe atteso il dopo serata con ansia, seppur godendosi ogni attimo di quella loro prima festività insieme come... come cosa? Non importava, non era necessario dare un'etichetta, giusto?
    La guardò, accigliandosi appena, mentre era intenta a messaggiare con qualcuno. Istintivamente sentì la mascella indurirsi, fremitando per sapere con chi si stesse scrivendo, era difficile reprime quella necessità di conoscere il destinatario del messaggio e anche il testo di questo, Jessica era accanto a lui e lui non voleva rovinare tutto con il suo atteggiamento, ma quando la sentì anche ridacchiare, si schiarì la voce.

    «Torni tra noi e fai ridere anche me?»

    Cercò di mantenere un tono neutro, ma una vena di freddezza si affacciò a quelle parole, cozzando esplicitamente con quel sorriso che aveva provato ad indossare sul volto, che invece voleva cercare di mantenere una certa pacatezza almeno su quel volto.
    Cambiare ragionamento forse servì ad entrambi, per quanto gli attimi di silenzio dell'altra continuavano a far arrovellare la testa del moro, che si stava chiedendo se Jessica avrebbe mai rinunciato a tutti i suoi incontri con altri, per lui. Un pensiero che si affacciò selvaggio e senza alcuna motivazione apparente, ma che gli strinse lo stomaco, complice anche l'assenza di parole dall'altra parte.
    La sua era stata una richiesta spontanea, ma il fatto che lei non stesse assolutamente reagendo, almeno per quel momento così infinito, gli stava facendo venire il dubbio che forse aveva esagerato.
    Sentiva Alex canticchiare canzoncine di Natale e quella fu l'unica cosa, insieme ai loro passi, che riusciva a rompere il silenzio e a cui Lucas fu talmente tanto grato che se non fosse stato sulla sua testa, avrebbe abbracciato la creatura ringraziandolo di essere lì con loro.
    Finalmente la corvina parlò, Lucas si voltò appena per guardarla. Sussultò appena, allargando di nuovo un sorriso e guardando verso l'alto, senza però realmente vedere il bambino.

    «Campione, che colore ti piace? Abbiamo da dipingere la tua stanza, lo sai?! Ti va di aiutarmi?»

    Il calore con cui lo disse, sembrò scongelare quella piccola parte in cui aveva lasciato che la gelosia verso l'altra si attanagliasse al pulsante muscolo vitale. Già si vedeva sporco di pittura, stanco ma felice, mentre sistemava quella non troppo piccola stanza per il piccoletto. Le parole che rivolse ad Alex, comunque, furono la risposta alle richieste di Jessica, non c'era bisogno di dirle quanto avesse accettato quelle condizioni.

    Varcare quella soglia era stato sicuramente più facile di respirare la stessa aria di Evans, il quale - nonostante non avessero più niente da spartire (maybe? lol) - lo trovava ancora insidioso per lui. Dovette, tuttavia, accettare che Jessica volesse salutarlo, quasi a dimostrarle che non le avrebbe mai vietato di stare con i suoi amici, anche se questi erano fastidiosi quanto Evans. O peggio.
    Ancora una volta fu Alex a smorzare quei momenti di tragedia interiore, Lucas si stava affezionando troppo a quella creatura, da riuscire a ridere dolcemente sentendolo inciampare sulle sillabe del nome di Joshua.

    «Gio - sciu - a»

    Sillabò piano, allungando una mano a sfiorare la coscetta del bambino. Quando Joshua si fece vicino, lo sguardo di Lucas calò sul suo volto, quasi a controllare che non mordesse (?) il bambino, come se potesse essere per lui una minaccia. Forse stava passando troppo tempo con il branco, da comportarsi quasi come un alpha protettivo verso i cuccioli del gruppo.
    Mentre quella scenetta veniva messa in atto, il ghiaccio si schiantò in quegli occhi cerulei, quegli occhi che stavano urlando domande silenziose e - come se stesse lì, accanto a lui a porgergliele - leggeva in quegli occhi il dubbio di quello che stava vedendo, della presenza di Jessica e poteva percepire quanto si chiedesse se le avesse mentito quella notte sui monti. Non lo aveva fatto, non le avrebbe mai mentito fino a quando i loro cuori sarebbero continuati a battere all'unisono. Eppure, quasi a ricambiare il favore, Jones stava ponendo all'altra domande che forse sarebbero state più semplici da porre in una sede diversa da quella; si chiedeva quanto avesse ancora da farsi schiacciare da quei ragazzi che ne stavano facendo - di lei - un frammento di meteorite nell'Universo. Perché non riusciva a darsi quella scossa. E forse ci sarebbe stato del tempo per quelle risposte, ci sarebbe stato del tempo per slacciare un altro nodo di quel filo rosso che li legava, una connessione che non poteva essere rotta e che stava gridando più di quanto avessero potuto fare a voce, entrambi. Avrebbe voluto prendere quel viso e dirle solo piccole semplici parole «L'antidoto è dentro di te...» ma non poteva far altro che comunicarle quel qualcosa, qualsiasi cosa fosse, solo tramite i loro sguardi.
    Prese un respiro profondo, mentre la mano dal lato opposto, nascosta dal suo stesso fianco, si stava stringendo in un pugno che venne allentato solo quando sentì qualcuno parlare, Jessica e Lilith.
    Come se non bastasse, la Caposcuola ci mise lo zampino e per qualche minuto eterno, quasi non voleva lasciarle Alex, ma senza darlo a vedere, pensando che la sua aria da strega corrotta potesse nuocere gravemente al pargoletto. Un po' apprezzava che stesse dando a lui e Jessica la possibilità di ritrovarsi in un piccolo frangente, mai come allora aveva bisogno di sentire il calore della sua pelle, guardare il suo viso e perdersi nel nero dei suoi occhi, dove tutto sarebbe tornato normale. O almeno sperava.
    Perché, se da un lato, Liz era l'instabilità e le montagne russe, Jessica - per il moro - era quella voglia di rimanere attaccato a qualcosa di forte, qualcosa che ritrovò quando lei tornò a guardarlo, quasi liberando in parte dall'incantesimo.
    Il contatto con la sua mano, fu una scarica elettrica, strinse i denti, reprimendo quella voglia di tirarla a sé e di baciarla per cancellare ogni più piccolo pensiero che stava cercando di rovinare quella loro serata. L'unica cosa che fece fu accompagnarla dolcemente verso di lui, mentre la mano scivolava dietro la sua schiena, posando le dita su quella liscia pelle nuda. Il ghiaccio si sciolse nella pece dei suoi occhi, mentre la guardava come se non esistesse nient'altro al mondo, in quel momento.

    «Ho già detto che sei bellissima?»

    Le sussurrò a mezzo tono, mentre sentiva la musica variare in uno dei lenti che sembrava voler mettere lo zampino a rendere tutto più strano. Le sorrise, passando dai suoi occhi alle labbra, e viceversa.

    «Smettila, Cenerentola. A mezzanotte non finisce niente, inizia solo la seconda parte della tua serata...»

    Mentre l'accompagnava su quelle note, perfetta sillabe di un messaggio che stava facendo vibrare l'aria. Si avvicinò ancora un po' alle sue labbra, sussurrando alcune parole della canzone.

    «When I saw you in that dress, looking so beautiful. I don't deserve this, darling, you look perfect tonight.»

    E cercò di imprimere le labbra su quelle dell'altra, piano, dolcemente e in disegnando attorno a lei una barriera di illusiva intimità. Si staccò solo per farla roteare su se stessa prima di riprenderla e riavvicinarla a sé.

    «Con Clarke, dici? Oh beh, spero che Alex la infetti con la sua dolcezza.»

    Tentò di ironizzare, poi ne accarezzò il viso.

    «JJ... sei fantastica con lui, non devi aver paura. Gli stai insegnando l'amore, quello che solo una madre può donargli. E io sono con te, ti aiuterò... te lo prometto...»

    Prese una pausa, quindi la guardò nella pece, perdendosi in quell'oblio.

    «JJ... ti fidi di me?»

    Glielo sussurrò a pochi millimetri dalla pelle delle sue labbra. Era importante per lui sapere che potesse contare sulla sua fiducia, era come, se in quel ballo, stesse perdendo il terreno da sotto i piedi, credendo che l'altra potesse girare i tacchi e andarsene, così come aveva fatto Cameron con Liz.
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    La figura di Jessica aveva occupato tutta la sua testa, scacciato via ogni singolo pensiero e ogni paura e timore che aveva provato durante l'attesa. Vederla fu come tornare a respirare e dovette ammettere che fu anche un grande esercizio di concentrazione affinché il sangue rimanesse in circolo per tutto il corpo e non si concentrasse solo ed esclusivamente nella zona dentro i suoi boxer, ma questa era altra storia.
    La guardò da capo a piedi a quella domanda, fingendo uno sguardo critico e severo. Poi scoppiò a ridere con tranquillità, scuotendo il capo.

    «Facciamo che ti cambio io più tardi, ok?»

    Le fece un occhiolino, complice di un pensiero che forse Jessica avrebbe ben inteso, nonostante fosse così sottile da essere ben celato. Jessica risvegliava in lui tutto quello che una donna poteva risvegliare, oltre a quelle sensazioni strane che aveva provato da quando l'aveva avuta completamente nella sua piscina, sensazioni che aveva ignorato, ritrovandosi poi nei boschi a raccogliere essenza dolceamara di Liz e che aveva cercato di ricacciare anche quando la rabbia lo aveva avvolto, a quella scenata di gelosia di Jessica che li aveva portati a fare i conti con i loro sentimenti. Non aveva un nome da dare a ciò che provava per l'altra, e nemmeno voleva pensarci, desiderava solo averla intorno ogni giorno della sua vita e respirare dalle sue labbra, l'aria più sana che potesse donargli. Poi c'era Alex, quel ragazzino stava diventando la seconda persona più importante per lui, si era affezionato a poco a poco, mentre cercava di essere per lui, quello che nessuno era mai stato finora, tentando di dividere quella responsabilità con la corvina, in punta di piedi entrando nelle loro vite.

    «Sai, JJ, pensavo che potrei rinunciare a quella stanza dove ho gli attrezzi da allenamento e potremmo mettere lì una piscina di palline per il campione...»

    In punta di piedi.
    Quella proposta la stava facendo crescere da un po', alla fine dei conti, allenandosi con il branco, lui non utilizzava più quell'attrezzatura e c'era sempre il box del nonno dove metterla, mentre poteva concedere ad Alex uno spazio riservato nella sua dependance, così da poter avere una piccola cameretta tutta per lui. Era strano che pensasse a tutto quello, ma sentiva di volerlo fare, quindi senza troppo star lì a chiedersi razionalmente cosa significasse, lo aveva chiesto. Guardò con la coda dell'occhio la reazione di Jessica, mentre la conduceva, mano nella mano, verso il suo grande debutto della sua rinascita.
    Scrollò le spalle alla sua frase, ridendo anche lui. Non lo stava viziando poi così tanto, dai. Non provava fastidio ad avere le ditina del ragazzino nei suoi capelli, quindi proseguì il tragitto con ancora una certa agitazione interna.

    «E allora porteremo a casa un sacco di caramelle, così ce le mangiamo anche dopo la festa.»

    Decretò infine, mentre donava il suo regalo al piccolo. Guardò verso Jessica e gli fece un occhiolino. Arrossì appena alle parole del bambino, trovandosi quasi a sentire il cuore sciogliersi.
    Annuì, quindi entrarono, sentendo pian piano lo stress andar via ogni passo in più che mettevano in quella sala. Gli occhi del ragazzo volarono sulla sala e mentre avanzavano notò l'entrata di Elisabeth accanto a Cam. Incrociò il suo sguardo - si spera - indurendo appena la mascella a vederla accanto a chi non la meritava minimamente. L'aveva lasciata sola sui monti, Cohen, e questo non era un qualcosa che gli avrebbe perdonato. Tirò un respiro profondo, cercando di distogliere lo sguardo dalla Prefetta, per farlo scivolare poi sulla Caposcuola che... Joshua Evans. E così dovevano bruciare proprio tutte le tappe, lui e Jessica.
    Cercò di fare pressione sul braccio, per provare a non muoversi, ma Jessica lo trascinò lungò tutta la sala, fino ad arrivare da loro. Due studenti che avrebbe evitato come la peste. Mentre loro parlavano, Lucas continuava a guardare le decorazioni, ben poco interessato ai due che aveva davanti, fino a quando Joshua non gli rivolse la parola. Sentì le dita di Jessica stringere la propria mano, quindi socchiuse appena gli occhi ed indossò un sorriso dei suoi, solo di circostanza, quasi a voler rendere chiaro all'altro che per quanto non avessero più nessun attrito, non sarebbero saltati alla fase del facciamo come nulla fosse. Forse avrebbero dovuto incontrarsi, un giorno, ma non era quella la sera giusta.
    Annuì.

    «Evans. Spero che anche a te le cose vadano bene. Bentornato.»

    Disse semplicemente, non lasciando un solo secondo la mano dell'altra e ascoltando distrattamente la loro conversazione. Gli occhi scivolarono di nuovo a cercare Liz, notando come Cameron la stava lasciando nuovamente sola. Il cristallo non si spostò da lei, non sapendo se avesse la possibilità di incrociarsi col suo, ma se lo avesse fatto, avrebbe trovato in quegli occhi parole silenti. Parole che le chiedevano di non permettergli di lasciarla ancora sola, di non farsi distruggere da uno come lui. Seguì con lo sguardo Cameron, per poi tornare sulla Prefetta, scuotendo appena il capo, quasi a dirle che non doveva crollare, non ora. Liz doveva mostrare di essere forte, perché lui sapeva che poteva essere una forza della natura.
    Quando Joshua si congedò, si ritrovò quasi ad allentare la presa sul proprio respiro.

    «Si è salvato, se ti guardava un po' di più, oggi diventava cieco.»

    Si ritrovò a ringhiare all'orecchio di Jessica, in una spinta di gelosia che dovette frenare quando la Caposcuola gli si avvicinò. Fece scendere il bambino, a malincuore, per poi congelarsi alle parole dell'altra. A poco a poco, sciolse le labbra serrate in un ghigno divertito, ricambiando il favore in un sussurro.

    «Tranquilla, non le lancerò bicchieri d'acqua addosso come una pazza isterica.»

    Si odiavano, Jessica lo sapeva, ma entrambi stavano facendo uno sforzo di civile convivenza. Si piegò sulle ginocchia per arrivare dal ragazzino.

    «Hey campione, prendi qualche caramella anche per la mamma, ok? E sta' attento a zia Lilith, ora è la tua principessa.»

    Gli toccò il capo, cinto dal cappellino, quindi si rialzò e guardò Lilith.

    «Stai attenta ad Alex. Se succede qualcosa, siamo qui.»

    Non era un rimprovero, ma una sincera preoccupazione per il bambino. Quando lei si allontanò, Lucas concesse a Jessica tutta la sua attenzione, sorridendole e tirandola per il braccio, per farla arrivare più vicina a lui.

    «Siamo soli, su una pista da ballo e al nostro primo ballo. Che ne pensi?»

    Si allontanò e allungando il braccio, fece un piccolo inchino con il busto.

    «Mi concede questo ballo, madame

    Il suo solito sorriso sghembo si affacciò sulle labbra, mentre avrebbe atteso la sua risposta.
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    Smarrire la strada era quasi una necessità a quell'età. Non c'era altro che iniziare ad intraprendere quelle vie errate, per poi ritrovare quella giusta, no? La vita era fatta di questo, salite e discese, alcune più facili, alcune più complesse. E nella vita di un adolescente, verso il mondo degli adulti, era tutto un sali e scendi di bivi e biforcazioni.
    Elisabeth Lynch era solo inciampata in uno dei più difficili fossi che il terreno le aveva messo davanti ed invece di saltarlo, aveva preferito vedere quanto fosse profondo, per poter poi risalire da questo, scalandone le pareti aride e dure, per venirne fuori più splendente di prima.
    Credeva che quello davanti a lei fosse il solito Lucas Jughed Jones. Il suo Jug; ma si sbagliava. Davanti aveva un ragazzo diverso, un ragazzo che aveva la consapevolezza delle sue azioni, di quello che faceva e che aveva deliberatamente deciso di essere da lei, non perché fosse necessario che lei lo notasse, ma perché lo voleva. Era questo che distingueva i due: lui sceglieva ciò che voleva, consapevole che sarebbe potuto essere un errore, ma già preparato a limarne le conseguenze. Lei, invece, sembrava scegliere ciò che voleva, per poi essere schiacciata dalle conseguenze. Al moro sarebbe bastato anche un semplice hey dell'altra per capire se c'era qualcosa che non andasse e sapeva che, seppur fosse stata silente, lui le avrebbe letto negli occhi qualsiasi stato d'animo. Era un Jug diverso, prima aveva paura di quel contatto, di quel star vicino a lei; adesso si prendeva il suo spazio e pretendeva quel calore, senza nemmeno star lì a farle notare niente di tutto questo. Aveva retto alle rotture che il loro rapporto aveva portato diverse volte, aveva letto nei suoi occhi la fragilità e l'inadeguatezza che aveva provato, quella sera d'estate, quando aveva compreso che lui non era solo e ora, in quelle iridi cerulee che lui aveva sempre amato, stava leggendo la paura dei suoi errori, la paura del rimanere sola senza un pezzo prezioso che aveva capito tardi di desiderare.
    Quello che provava per Elisabeth sarebbe stato indefinito ogni volta che si sarebbero visti, come se non bastassero parole per delineare quello che erano. Sentì le sue parole e sbuffò un sorriso, smuovendole appena qualche ciuffo di capelli.

    «Hai ragione, Liz. Non sarà mai la stessa cosa, sarà sempre diversa e sta a noi riscoprirci ogni volta, tutte le volte che ne avremo voglia.»

    E quelle parole le pensava davvero, pensava seriamente che finché avessero avuto voglia, non ci sarebbero stati limiti per riscoprire il sapore nuovo di quel rapporto che si modellava passo dopo passo, adeguandosi sempre perfettamente a quello che era loro. Riuscivano a trovare la perfezione anche quando da soli sembravano pezzi a se stanti di puzzle diversi. Sigillò quelle parole con quel bacio sulla fronte, come se volesse imprimere la sigla di quello che erano, per sempre, sotto la sua cute, in un segno invisibile che poteva sapere solo lei dov'era stato posto.
    Guardò i suoi occhi volgergli attenzione e vi ritrovò dentro la fragilità che ormai la caratterizzava da troppo tempo. Le sue parole non era un così per dire, lei lo sapeva, qualsiasi sarebbe stato il loro rapporto, avrebbero dimezzato il peso, perché - non potevano nasconderlo - con il peso a metà, la salita era più facile, no?
    Finalmente le labbra di lei si curvarono in un sorriso, intrinseco di nostalgia, ma era pur sempre un sorriso. Lucas si riscoprì a far scivolare gli occhi su quella parentesi melanconica, per poi tornare a specchiarsi nelle iridi chiare. Sentì ripetere quelle parole, come se l'arrotolarsi della sua lingua avesse generato un filamento di calore che piano ne stava avvolgendo le spalle. Un calore che si tramutò in un sovrapporsi delle loro labbra, quasi a ritrovar respiro tranquillo, a cui lui socchiuse gli occhi, come a voler confermare la sua totale presenza lì per lei, quella sera. E così come il loro rapporto era cambiato, anche il sapore di quella pelle morbida e carnosa era variato: quell'ultima volta aveva avuto un sapore salato e agre, fatto di lacrime e delusione. Ora sembrava il frutto maturo di un qualcosa di nuovo. Era come riscoprire il calore familiare, come quando si entra in casa e fuori c'è la neve e il freddo, ma lì, il tepore ti avvolge e capisci che non c'è posto migliore dove rifugiarsi, quando fuori la bufera irruenta spinge.
    Piano riaprì gli occhi quando sentì quel calore allontanarsi, consapevole che sarebbe terminato di lì a breve. Eppure, mentre lei andava completamente in panico, la reazione di Lucas fu completamente diversa. Non si allontanò, non lasciò andare il suo corpo facendolo cadere nel freddo, sarebbe rimasto lì, mal celando un ghigno divertito da quel suo parlare a ruota libera, mentre corrugava la fronte, tranquillo e pacato.

    «Liz...»

    Provò a fermare quel correre di parole, chiamandola ancora un paio di volte, inutilmente. Era fin troppo tranquillo, sospirò, lasciando che continuasse a parlare a ruota libera, fino a che non sentì le sue mani alle guance e quel naso freddo cozzare col proprio. Rise, addolcito da quel suo modo di fare, da quel suo modo di essere, dove non vedeva alcun veleno.
    Le mani si sollevarono al suo di viso e ne sfiorarono la pelle.

    «Non so se ti sei fermata perché non avevi più fiato o altro. E... hai un naso ghiacciatissimo, maledizione, prenderai un raffreddore.»

    La prese in giro, in un sussurro carico di quella tenerezza che le aveva riservato. Ancora quel suo dire che non poteva, come quella volta che era sparita mentre le preparava la colazione, non posso restare qui, Jug. E ora non poteva, ancora una volta. Sospirò.

    «Cosa non ho? Qualcuno? No. Non ho nessuno...»

    Il suo parlare era basso e caldo, intrinseco di una serenità disarmante, come se ogni passo che stesse facendo lei, nella sua testa era già stato pesato e valutato.

    «Rallenta, Liz. Ferma questa amabile testolina, frena. Respira con me. Basta scusarsi, anche con quegli occhietti, ok? Domani, probabilmente, io non ci sarò o sarò troppo lontano per mettere un freno a tutte queste parole, ma stasera sì. Sarò qui con te anche tutta la notte, perché ho scelto di salire su questa montagna e venirti a recuperare. Devi solo dirmi cosa vuoi fare e lo faremo, sono tutt'orecchie.»

    Le sfiorò una ciocca di capelli, spostandola dietro l'orecchio, mentre il sorriso dolce non si spegneva sulle proprie labbra. Piano le si avvicinò ancora, per fargli sentire il calore del suo respiro sulla pelle delle labbra.

    «Nessun veleno, Liz. Sono immune... lascia piuttosto... che sia il tuo antidoto, almeno per stasera, da domani ricomincerai a mettere i pezzi al proprio posto, ok? Ora... ssshhh...»

    Parlando le avrebbe sfiorato nuovamente le labbra, e se avesse concesso, avrebbe inclinato il capo per concederle un bacio ancor più caldo, sul labbro inferiore, a cui avrebbe impresso una pressione leggera, un sigillo nuovo. Avrebbe voluto toglierle il sapore di essere un veleno, avrebbe desiderato far sì che si sentisse lei curata e non la causa dei mali di tutti, perché in fondo, lui era salito lassù solo per questo, perché la vera avvelenata era lei. E avrebbe cercato di diluire ogni suo respiro, cercando di renderlo meno tossico per se stessa, mentre attendeva cosa realmente voleva fare quella notte, in cui sarebbe rimasto anche solo a scaldarle le spalle fino al giorno dopo, vedendo la legna bruciarsi lentamente.
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    Era un'attesa lunghissima quella, o forse era stata breve, ma lui l'aveva vissuta come la più lunga della sua vita, come se non avesse una fine quel tempo che lo divideva dalla corvina che stava aspettando fuori dalla sala comune dei black opal. Erano anni che non giungeva alle porte di quella sala comune, ricordava quand'erano stati quegli anni e si rese conto di quanto fosse cambiato lui stesso, dove in un'altra vita avrebbe atteso diverse volte dietro quella porta magica.
    Eppure, questa volta era diverso, sentiva l'ansia stringere il suo stomaco, come se stesse per fare la cosa più importante della sua vita.
    Ogni volta che usciva qualcuno da quella stanza, lui alzava lo sguardo speranzoso, ma niente. Si chiese che effetto avrebbe fatto vedere Liz uscire da quella porta e cosa le avrebbe detto sul motivo per cui lui fosse lì? Sicuramente non avrebbe trovato scuse, avrebbe detto la verità, perché tra loro non c'era bisogno di filtrare le cose, anche quelle non dette, anche le verità più scomode. E lui era lì, perché era il cavaliere della donna più bella che avrebbe potuto accompagnare a quel ballo: Jessica Whitemore.
    Tirò un grande respiro e toccò ancora una volta, dalla parte esterna, il taschino interno, accertandosi che fosse tutto al proprio posto.
    Ancora una volta la porta si aprì, ma questa volta Lucas non si voltò a guardare in direzione dell'apertura, perché pensava di rimanere di nuovo deluso dal non vedere la ragazza che attendeva. Forse ci aveva ripensato?
    Tuttavia, quella vocina così immatura che lo chiamò, gli straziò il cuore e lo portò a voltarsi di colpo, dirigendo lo sguardo cristallo subito verso il basso, dove l'ometto della corvina arrivò ad abbracciargli le gambe con le sue piccine mani.

    «Hey campione! Sei bellissimo stasera!»

    Era vero, seppur riconobbe quel regalo che era di Joshua e di Elisabeth, in un passato lontano che ora non bruciava più come prima. E il motivo per cui non bruciava più come prima lo ritrovò sollevando lo sguardo su quel gioiello che gli spiccava davanti. Gli occhi di cristallo di Lucas passarono dal bambino alla madre, trasformando la loro dolce flessione del sorriso concesso al bambino, in uno stupore imbarazzato davanti a tutta quella bellezza.

    «Wow.»

    Fu il primo respiro che riprese a tirar fuori dopo pochi attimi che la osservava. Era bellissima.
    No, bellissima era sminuente.
    Era lo splendore della stella che brillava nel buio del suo cielo.
    L'aveva lasciato completamente senza fiato, seppur dovette quasi preoccuparsi del fatto che quello che stava notando lui, non sarebbe stato il solo a vederlo. Un moto di gelosia lo fece stringere nelle spalle. Cercò di cacciarla indietro, sorridendole a quelle parole, mentre si toccava la nuca imbarazzato.

    «Io abbasso le mie difese e tu mi colpisci a questo modo... dovrò iniziare a stare attento, signorina Whitemore

    Le sussurrò a fior di labbra, ricambiando lo stesso bacio che lei donò lui. Era un tantino perplesso da quel leggero tocco delle loro labbra, quindi assottigliò lo sguardo e ne afferrò la mano, incastrando le dita tra le sue e tirandola piano a se, senza schiacciare il pargolo che era rimasto attaccato alla sua gamba.

    «Sei perfetta anche col pigiama coi lama, Jessica Whitemore...»

    Le sussurrò a fior di labbra, prima di imprimerle dolcemente in un bacio che era molto meno sfuggente di quello di prima, quasi a volerle dimostrare che non temeva chi avrebbe visto degli altri che l'erano attorno.
    Guardò verso il basso e si calò a prendere in braccio il piccolo Alex.

    «Sei pronto, campione!? Oggi cioccolate, caramelle, dolci e giochi! Da cosa vuoi iniziare?»

    Quindi lo avrebbe sollevato per metterselo sulle spalle e poi avrebbe allungato una mano verso di lui.

    «Regalo.»

    Donandogli il cappellino, prima di afferrare la mano della sua dama, facendole un occhiolino. Quindi, diretti verso il ballo, mano nella mano. Era quello che voleva, che tutti vedessero quella donna al suo fianco.

    «Pronta?»

    Le sussurrò prima di entrare in sala grande, lasciando a lei l'onore di aprire la strada, rimanendole accanto.
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    Se Lucas fosse stato un po' meno masochista e un po' meno legato con l'anima a quella opalina, probabilmente non sarebbe arrivato fin lì, con il fiato in gola a pungergli ogni volta che mandava giù, con ogni probabilità avrebbe cercato una scusa qualsiasi per non raggiungerla, ma forse un po' aveva ragione Jessica, quando Liz chiamava, lui non sapeva dirle no. E non perché era il suo cagnolino, non perchè era un sottone, ma perché quando lei chiamava, non era mai per un futile motivo. Quella bambina cresciuta troppo in fretta e di cui lui si era innamorato già troppe volte. Era ogni giorno diversa, ogni giorno più matura, ma meno consapevole di cosa fosse. E poi, loro giravano intorno, ma sapevano sempre come ritrovare la strada per tornare l'uno dall'altro e anche quella volta si stava dimostrando reale quella teoria.
    L'unica cosa che Lucas non riusciva a chiedersi era perché dovesse essere sempre lui a recuperare i pezzi di una qualche rottura, non aveva nemmeno intenzione di domandarselo, quando vi era di mezzo la Lynch, l'impeto di raggiungerla superava qualsiasi altro razionale quesito.
    Elisabeth era per Lucas, quello che per Rose era il cuore dell'Oceano, nel film Titanic. Ma non lo avrebbe mai lasciato perdersi negli abissi, anzi avrebbe sempre lottato per riportarlo a galla, per difenderlo dai predatori e per rendere giustizia a quel viso con un sorriso.
    Sorriso che non abbandono il suo volto nemmeno a quel fare stizzito per aver rifiutato la coperta. Non aveva freddo, e se ne avesse avvertito anche solo un brivido avrebbe provveduto a fare ciò che era necessario per coprirsi, nonostante quel fuoco desse il calore essenziale per evitare che ne soffrisse, senza metter da parte la sua vicinanza.
    Aggrottò la fronte, quasi divertito da quella sua affermazione sbiascicata tra un soffio di vodka ed un altro.

    «Ne terrò conto qualora la mia carriera da giornalista non vada come deve.»

    Il tono era ironico, ma con quel calore che concedeva a lei ogni volta che parlavano. Era come se non riuscisse a trovare altro modo di rivolgersi a lei. I suoi occhi di ghiaccio ne guardavano i lineamenti su cui il fuoco giocava di luci ed ombre, risaltando il ceruleo dei suoi occhi, che sembravano provati non solo dall'alcol, ma anche dal peso di qualcosa che era difficile da mandare giù. E lui aveva tutta la voglia e la forza di dividere con lei quel peso, perché non vi sarebbe stato fardello che Liz non avrebbe potuto appoggiare sulle sue spalle, che lui non avrebbe aiutato a reggere. Più parlava, più comprendeva quale fosse il carico che gravava su di lei e forse, per un frangente rapidissimo, pensò che era troppo grande anche per entrambi, ma quando sentì l'altra muoversi come un gatto infreddolito, alla ricerca di protezione, si sentì di poter sollevare il suo mondo e quello di Liz, per trovare una soluzione e farli orbitare di nuovo su piani ancestrali paralleli. La strinse, come se avesse il timore che gli scivolasse dalle mani, a volerle far sentire la propria presenza lì e si perse, poggiando le labbra sui suoi capelli, nel profumo del suo balsamo, misto alla legna bruciata di quel falò e all'aria pungente dei monti. Il braccio salì sulla sua spalla, accompagnandola in quella stretta, mentre il sinistro che era libero, ricercò la una delle sue mani mantate dalla felpa, ma senza tirarla fuori dal tessuto. Se glielo avesse concesso l'avrebbe sollevata a portarla alle proprie labbra per poggiarle sul tessuto della felpa e concederle un bacio su quelle dita nascoste, mentre le proprie avrebbero tentato di ricercarle all'interno del foro d'entrata, solo a sfiorarne le punte, facendole sentire il calore delle proprie dita.
    Cohen era un coglione. Non sarebbe valsa nessuna scusante per lasciare Elisabeth lì, da sola, nemmeno la più pessima delle verità. E lui ne sapeva molto più del Dioptase, quando era stata lei a decidere di chiudere alle proprie spalle la porta della sua dependance, mentre lui faceva i conti con l'amara certezza di dover dividere il suo interesse con qualcun altro.
    Sentì quelle parole, come se fossero lame fredde che gli penetravano nel petto. Aveva distrutto qualcosa tra loro. E per qualche istante ricordò quanto era stato deleterio il periodo dopo, quanto aveva sofferto e come qualche volta quella ferita bruciava ancora. Quasi come se avesse avvertito questo cupo pensare, Liz si aggrappò a lui, ancora a tenerla salda sulla terra ferma, non lasciando che lei cadesse nell'oblio dei suoi errori. Ma lui? Sarebbe riuscito ad affrontare questo? Il ritorno di Joshua, l'idea che ancora una volta ne aveva fatto di lei pedina dei suoi giochi, l'abbandono di Cohen su quei monti.

    «Io sono qui, Liz... e ci sarò sempre, ricordi? Te l'ho promesso. Ogni giro immenso che faremo, noi ritorneremo sempre a trovare la strada l'uno per l'altro. E non importa come o quando... non hai distrutto nulla. Siamo riusciti solo a trasformare tutto...»

    Le sue parole erano dette piano, in un sussurro dolce, quasi a voler diventare emoliente per la sua testa. Socchiuse gli occhi e rivide quel volto che lo aveva raccolto dalle scale quel primo anno, quando era tornato da chissà dove con la faccia totalmente tumefatta di pugni. Quella perfetta acidella che nonostante fosse fuori dall'orario consentito, lo aveva coperto, portandolo in quella piccola stanza. Solo loro due. E lei che le faceva da principe azzurro e rivide in quegli occhi la leggerezza di quella Elisabeth che ancora non aveva conosciuto mille errori e mille problemi, che non era stata costretta a scegliere in fretta di crescere e diventare una donna. Quella ragazzina che aveva scoperto in quello sgabuzzino, la sua passione nell'osservarla da lontano, ma che quella sera aveva mangiato le distanze che li dividevano e lui, per la prima volta, aveva avuto il coraggio di sentire il suo profumo e il morbido della sua pelle.
    Quei ricordi gli balzarono agli occhi come se avesse schiacciato il tasto rewind, tornando indietro di così tanti anni. Non poteva lasciarla lì, non anche lui, non lo avrebbe fatto, fosse l'ultima cosa che poteva permettersi. E quasi a conferma di questo, la strinse ancora una volta, avvicinando il proprio petto affinché lei si potesse aggrappare al meglio e allungando la gamba sinistra davanti a loro, a sfiorare la sua.
    Lucas scosse il capo, a far scivolare ancora una volta le labbra sulla testa dell'altra a concedergli un morbido bacio, mentre le dita cercarono un polso di quelle mani che si aggrapparono ai suoi vestiti, per sentirla ancora una volta.
    Poi quella frase, quel desiderio.
    Una fitta al petto che lo portò quasi a irrigidirsi e lei avrebbe potuto sentire il suo corpo rizzarsi appena, e forse il battito del suo cuore fermarsi. Mando giù a vuoto, quasi come se quelle parole avessero fatto vibrare il suo sangue a farlo bruciare più di quella fiamma che ardeva davanti a loro.

    «Hey, Liz

    Cercò di imprimere quanta più dolcezza in quelle poche lettere fatte scivolare sulla propria lingua, quindi avrebbe tentato di afferrare le sue spalle e di allonarla quel poco che bastava per guardarla in volto. Se ci fosse riuscito lei avrebbe trovato il ghiaccio dei suoi occhi a sorriderle prima ancora delle proprie labbra, che ritrovarono la forza di curvarsi solo se lei lo avesse guardato negli occhi. Avrebbe tentato di avvicinare la propria fronte a quella dell'altra, respirando di nuovo quel mix di profumi che li stava innondando.

    «Io sono qui. Reale, vivo, semplice. E non mi interessa di niente, qui ci siamo io e te... nient'altro. Lascia andare le tue paure, ok? Non ci servono cabine, non ci servono stanze delle necessità. Bastiamo io e te... Divideremo sempre qualsiasi peso, in qualsiasi situazione ci troveremo. Perché alla fine, si torna sempre dove si è stati bene, giusto? Resta con me stasera... ti proteggerò io, ok?»

    Ma da cosa doveva proteggerla? Da se stessa? Da tutto il mondo? A lui non interessava, quel che contava è che l'altra trovasse anche solo un attimo di pace. Tentò di sollevare le proprie dita a sfiorarle dolcemente la guancia, ma senza esagerare, come se avesse paura che fosse qualcosa di troppo frangibile. Sbuffò un sorriso nostalgico.

    «Ricordi... facciamo qualcosa di perfetto.»

    E non c'era bisogno di chiedersi cosa fosse quel qualcosa, qualsiasi cosa sarebbe stata perfetta, perché c'erano loro.
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    «Erik, sicuro che sto bene? Insomma, la camicia è ben stirata? Non sembro un perfetto idiota? E i capelli?»
    Lucas era decisamente ansioso, erano almeno cinque volte che cercava di capire, davanti allo specchio, se era perfetto. Spolverava il suo abito più volte con la mano, seppur non ci fosse niente.

    «Dannazione, ho i capelli fuori posto. Vero?»

    Si piazzò davanti all'amico di stanza, Erik Foster e si toccò qualche ciuffo che non riusciva a capire dove realmente andasse.
    Quella giornata era arrivata, la aspettava quasi più di come l'uscita della prima pagina della Gazetta con sopra il suo primo articolo. Sì, per quello doveva aspettare ancora un po' probabilmente, invece il ballo era arrivato. Quel 23 Dicembre era giunto puntuale come tutti gli anni e sembrava che tutto era andato per il meglio fino a quel giorno.
    Questo poteva significare solo una cosa: tutto poteva stravolgersi o migliorare. Forse per questo aveva un'ansia terribile ad attanagliargli lo stomaco.
    Ormai non era più abituato ad eventi del genere, ma quella sera aveva deciso che doveva essere speciale, non tanto per lui, quanto per la donna che avrebbe accompagnato al ballo. Non aveva mai avuto così tanta voglia di partecipare al ballo di fine anno, ma quella sera le cose erano cambiate. Lui aveva una dama che avrebbe fatto invidia al mondo intero e voleva che per lei fosse il giorno più bello. Inoltre, alla mezzanotte di quella sera, sarebbe scattata la data del suo compleanno e Lucas aveva pensato anche a quello.
    Camminava avanti e indietro davanti l'entrata della Sala Comune dei Black Opal, come se stesse ripetendo mentalmente un copione. Chissà quanto ci avrebbe messo Jessica ad uscire da lì, fatto sta che non vedeva l'ora di puntargli gli occhi addosso.
    Per l'occasione aveva deciso di indossare l'abito più elegante che aveva: un completo nero, che sembrava fatto da un sarto in misura alle sue
    taglie, con sotto una camicia bianca, con un riporto nero al colletto e una cravatta ben allacciata nera. Aveva chiesto ad Erik di aggiustargli quella cravatta, sentendosi troppo ansioso.
    Nel taschino aveva un fiore uguale a quello che aveva donato a Jessica ed Alex, così da non avere equivoci su chi avrebbe accompagnato al ballo, mentre nel taschino interno vi era un cofanetto, che Lucas celava gelosamente per l'arrivo della mezzanotte. Nella mano sinistra, invece, aveva un cappellino in miniatura, che avrebbe regalato ad Alex, visto il freddo che avanzava per la stagione invernale ormai giunta.

    Niente di che, aspetta Jessica fuori dalla Sala comune, dopo aver molestato Erik Foster.
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    Se qualcuno gli avesse chiesto com'erano arrivati a questo, Lucas avrebbe risposto uccidendoci in un'aula vuota. Che alla fin dei conti non era totalmente una bugia. Solo che nessuno avrebbe saputo cosa ci fosse dietro quel loro rapporto maturato a poco a poco, col passare degli anni.
    Era tutto iniziato nella maniera più squallida possibile, nel bagno lurido di un locale anonimo, poi era diventata un'abitudine, bruciando di passione ogni volta che erano nello stesso spazio vitale.
    E forse, quel conoscere prima i loro corpi, poi le loro vite, aveva fatto in modo che l'uno si affezionasse all'altro, senza mai aver il coraggio di dire cosa stava crescendo dentro.
    Ogni volta che Lucas baciava quelle labbra, sentiva di poter sollevare il mondo, ritrovava in lei la forza di rialzarsi anche dalla merda più profonda.
    Ci sarebbero stati giorni felici, ma anche giornate in cui il buio spegneva le loro stelle, ma sarebbero sempre andati alla ricerca l'uno dell'altro e avrebbero ritrovato il loro equilibrio, ne era certo.

    «Te ne farai una ragione!»

    La canzonò, mordendole una guancia, piano, in risposta alla sua finta arrabbiatura per i biscotti. Era bellissima anche con quel broncetto, per quanto fosse finto al momento. Scosse la testa, ridendo appena, mentre passava una mano a tirare indietro i propri capelli.

    «Lo scoprirai presto.»

    Le sussurrò sulle labbra, prima di rubarle ancora un bacio. Sentiva come se fosse tornato adolescente, ma con la consapevolezza che la loro sarebbe stata una relazione diversa da quella di due ragazzini. Si sarebbero innamorati l'uno dell'altro, ogni giorno, ma c'era la maturità di affrontare la vita in maniera completamente diversa.
    Lesse la curiosità nei suoi occhi quando le portò la scatola e quasi era lui a non stare nella pelle per l'apertura: voleva vedere il suo volto tingersi di meraviglia, scoprire lo stupore in quegli occhi e la felicità di vederla sorridere solo per lui.
    Ogni singola espressione della corvina venne fotografata mentalmente dal reporter; lei, che come una bambina, si stava stupendo per delle farfalle che portarono l'arcobaleno in quel cielo stellato.

    «Una specie.»

    Commentò lui, mentre aggrottava la fronte per quella considerazione. Davvero aveva pensato che avesse potuto sbagliare la taglia del suo bracciale? Tirò un respirone, rassegnato al fatto che la ragazza non avesse capito ancora, quindi quando Alex fece il suo ingresso, la guardò con ammissione di colpevolezza indosso, scrollando le spalle.
    Jessica non parlò, era riuscito a toglierle il fiato ancora una volta ed era stupenda anche mentre cercava di annaspare come se stesse affogando.
    Ogni volta che incrociava il suo sguardo, cercava di capire le emozioni che la stavano invadendo, ma Alex fece il suo egregiamente e quegli occhi scuri si riempirono di una coltre liquida, facendoli diventare fluidi come inchiostro nero. La senti bofonchiare qualcosa e il piccolo sollevò lo sguardo verso Lucas, come a chiedere se stesse bene la sua mamma.
    Lucas strinse appena la spalla del piccolo, quasi a volerlo rassicurare.
    Nessuno si sarebbe interessato ad una donna con figlio a carico? Non lui. Lui avrebbe accettato tutto di lei e Alex non era un errore, Alex era un dono che Jessica si era concessa, in barba a quel ragazzo di merda di cui era omonimo, che l'aveva lasciata sola.
    Ma lui non l'avrebbe fatto.

    «Mamma piance!»

    Lucas passò una mano nei ciuffi biondi.

    «Credo che la mamma sia felice, piccolo.»

    Gli parlò dolcemente, mentre lo guardava dall'alto. Quindi tornò a dedicarsi a Jessica, godendosi quella scena, un'esplosione di felicità in così breve tempo. Lucas voleva darle il meglio e, in cuor suo, sperava di poterlo dare anche al piccoletto. La guardò prendere il bambino e sentì una stretta al cuore, mentre si allargava il suo sorriso più dolce, amando quella scena che non avrebbe avuto eguali nemmeno in una loro foto.
    Lasciò loro dello spazio, fino a quando Jessica non si avvicinò a lui, poggiando la sua testa sulla spalla. Istintivamente un braccio si allungò alle loro spalle, quasi a proteggerli da tutto e da tutti. Ascoltò quelle parole, non stupendosi minimamente di quello che aveva pensato di fare.

    «Pure fulla Luna?!»

    Chiese squillante il piccoletto, mentre Lucas si ritrovò a soffocare una risata per quella sua euforia. L'ametrin guardò l'ometto.

    «Tu ci vuoi andare sulla Luna, Alex?»

    Domandò il futuro giornalista al bambino, mentre dedicava le sue attenzioni visive prettamente al bambino.

    «Fiiiiiiii!»
    «Allora andiamo anche sulla Luna, che ne pensi?»

    E a quella domanda il capo si chinò verso Jessica, a chiedere il suo consenso.
    Le parole di lei erano cariche di emozione e Lucas le sorrideva come se gli stesse dedicando tutta la sua anima.

    «Non dirlo... non serve.»

    Le sorrise ancora, stringendola appena un po' più verso di lui.

    «Mamma, poffo andare a ciogare?»

    Le gambine del bambino si mosserò e se Jessica avesse messo giù il piccolo, la stanza avrebbe provveduto a far uscire una piscina di palline per lui. Lucas aveva pensato davvero a tutto, eh?!

    «Non sarai mai fuori posto per me, anche in mezzo al vuoto, tu riempiresti tutto.»

    Le disse, carezzandole il volto con delicatezza.

    «Sei sempre stata ciò che riempiva le mie giornate, dovevo solo accorgermene. Ma ora che l'ho fatto, voglio che tu ti veda sempre perfetta e voglio esserci per te e... per lui, se me lo permetterai.»

    Le stava sussurrando quelle parole, mentre la mano era scivolata lungo il suo braccio ad intrecciare le dita della sua mano con le proprie.
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    Erano passati pochi giorni da quella discussione che avevano avuto, che li aveva avvicinati in un modo diverso e Lucas aveva deciso di dare il meglio di sé in quella relazione inaspettata che aveva preso una piega nuova, un sapore di freschezza e tranquillità che aveva riempito le sue giornate.
    Era stato come riconoscere la verità del loro rapporto, riconoscere a che livelli erano arrivati, senza nemmeno accorgersene.
    Lei c'era sempre stata per lui e viceversa, avevano solo reso ufficiale la presenza dell'altro nella propria vita.
    Ora, però, Lucas voleva rendere Jessica ancora più speciale, voleva che si sentisse unica, che si sentisse perfetta non solo ai suoi occhi, ma davanti a quelli di tutti lì dentro e che potesse sfoggiare quel sorriso che lui aveva imparato ad amare in questi anni, mostrando a tutti quanto fosse la donna migliore che ci fosse in quella scuola, nonostante i suoi errori passati.
    C'era una cosa di cui avevano sempre parlato poco, una persona che era nelle loro vite e che Lucas aveva sempre cercato di abituarsi alla sua strana presenza. Ci aveva messo un po' ad abituarsi all'idea, all'inizio della loro amicizia, poi a poco a poco aveva imparato ad affezionarsi anche a quella parte di Jessica che l'aveva resa ai suoi occhi una donna ancora più speciale.
    Quando era entrata in quella Stanza, Lucas la guardò, trovandola stupenda anche con quell'abbigliamento casual. La vide cogliere quel petalo di rosa e lasciò che si abituasse a quell'ambientazione che aveva creato fuori dal naturale ambiente scolastico.
    Rise, sentendo quelle parole, mentre si avvicinava a lei e le poggiava una mano sulla guancia, per calarsi sulle sue labbra e donarle un caldo bacio.
    Non andò oltre, si staccò delicatamente e fece un'espressione di quelle che erano tipiche di chi stesse ricercando nella propria testa cosa farsi perdonare.

    «Ho mangiato tutti i tuoi biscotti preferiti che avevi lasciato da me.»

    Confessò, toccandosi appena dietro la nuca. Era vero, erano buonissimi e aveva fatto piazza pulita anche delle briciole.

    «Ma non siamo qui per questo.»

    Andò verso il suo zaino espanso e tirò fuori una scatola, per poi avvicinarsi a lei e piegarsi sulle ginocchia per arrivare all'altezza che aveva assunto ora che era seduta. Gliela posò sulle gambe e attese che l'aprisse.
    Nel mentre, la porta alle spalle della ragazza si aprì piano, silenziosamente, affinché lei non potesse sentirla. Approfittando dell'attenzione di lei rivolta sul regalo, Lucas guardò verso la porta e sorrise, mentre piano accennava un sorriso.
    Se la ragazza avesse aperto la scatola, da queste sarebbero volate delle farfalle evanescenti di mille colori, tutt'intorno a lei. All'interno avrebbe trovato due bracciali, attaccati agli elastici di tali bracciali vi era un fiore, una rosa bianca con delle sfumature viola. Prenendo quei bracciali, Jessica si sarebbe accorta che uno aveva un elastico più grande dell'altro e quello più piccolo era troppo piccolo per il suo polso.
    Lucas abbassò una mano, facendo cenno a chi era entrato di avvicinarsi, complice lo stupore quasi certo della corvina, Lucas si alzò e allungò un braccio verso... un bambino di circa tre anni.
    Lo fece mettere tra lei e l'ametrino, posando dolcemente le spalle sull'ometto, vestito esattamente come Lucas, eleganti entrambi, al cospetto della donna più importante della loro vita.
    Il piccolo sollevò il capo verso Lucas, cercando di capire se era arrivato il momento e il ragazzo del cappellino annuì.

    «Mamma. Buoi benire al ballo con noi?»

    Il piccoletto aveva ancora qualche parola da imparare al meglio, ma aveva studiato quella frase così bene che, anche se la voce era tremante, era stato bravissimo. Dietro la schiena, il bambino, nascondeva qualcosa.

    «Pucas, poffio?»

    Lucas rise appena per quella s ancora immatura.

    «Puoi.»

    Gli disse dolcemente. Quindi il bambino portò avanti le mani, mostrando alla mamma un bouquet di rose. Glielo spinse in avanti, nascondendo il faccino dietro quel mucchio di rose, mentre le mani di Lucas rimanevano ancora sulle spalle dell'ometto.
    Gli occhi dell'ametrin, ora, guardavano Jessica. Sapeva che la presenza di Alex sarebbe stata inaspettata, ma aveva paura che potesse arrabbiarsi con lei, anche se in cuor suo sperava in una reazione completamente opposta.
    Perché lo aveva fatto?
    Semplice.
    Le stava mostrando che lei era perfetta, ai suoi occhi, in tutte le sue sfumature e che nella sua vita non avrebbe accettato solo la sua presenza, ma anche quella di Alex, se glielo avesse concesso.
    Rimasero tutti e due i maschietti, in attesa di lei.
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    Così come Liz, anche Lucas aveva dei piani che sicuramente non prevedevano una scalata di un monte, al freddo e al gelo, con la paura che potesse essere successo qualcosa alla prefetta, che aveva cercato per un semplice giorno al sushi. Certo, la pizza era un'ottima alternativa, ma ecco, pensava che potessero farlo in una maniera un tantino più normale, per quanto a loro non si addicesse propriamente quel termine.
    Inoltre, Liz era stata la causa di un freddo messaggio senza senso di Jessica, che gli aveva fatto suonare un campanellino di allarme, che Lucas avrebbe bellamente ignorato se non fosse stato che si era insinuato nel suo cervello come un tarlo.
    Il problema era solo che adesso aveva bisogno di concentrarsi su una alla volta e Liz sembrava avere la precedenza, visto che Jessica era al sicuro nella sua stanza, al contrario della battitrice. Non aveva idea di cosa fosse successo, anche perché i suoi messaggi erano più che strani e non capiva se fosse da sola o meno, per quanto lei gli avesse detto che non era in compagnia, allora perché aveva parlato di Cohen? Cosa aveva combinato il dioptase e perché Liz l'aveva nominato, se non era con lei? Sperava che non fosse successo niente di strano, ben consapevole che la situazione tra loro era quella che era.
    Quando arrivò da lei, la trovò avvolta nella coperta. Per fortuna era imbacuccata alla bell'e meglio, una preoccupazione in meno, per quanto quell'ehi così flebile e vuoto gli fece arricciare le labbra e accapponare la pelle. Scosse il capo, alla sua proposta, quindi ignorò la coperta nella tenda e pensò più a sedersi accanto a lei.

    «Sto bene così, tranquilla.»

    Le sussurrò dolcemente; non l'aveva mai vista così. Era come se fosse un involucro vuoto, distrutto e lui dovesse tenerla stretta per rimettere in piedi i pochi pezzi che ne erano rimasti.
    Già da un po'. Chissà se l'ultima volta era quando era piovuta nella sua piscina, in quel chiasso che la caratterizzava ogni volta che ritornava nella sua vita. Lei era un incendio che appena divampava, distruggeva tutto il restante, avvolgendolo con l'ardore, ma portando via con sé tutto quello che fino a quel momento aveva costruito.
    Aveva imparato a farci l'abitudine e così stava convivendo bene con l'equilibrio di averla accanto quando poteva godere della sua presenza instabile.
    Il braccio la cinse e quasi come se avesse premuto il tasto via, lei iniziò a parlare. Quelle parole fecero affiorare in lui ricordi che l'ametrin aveva cercato in mille modi di metabolizzare, per quanto bruciassero ancora un po'. Annuì piano, spingendosi un po' verso di lei.
    Che fosse di nuovo Evans il motivo per cui era ridotta così?

    «No, ho cambiato stanza. Sono con due del terzo. Per quel poco che sono in stanza.»

    Disse lentamente, come se non capisse dove voleva arrivare. Sapeva solo che aveva paura, paura che riaprisse vecchie ferite che Lucas preferiva lasciare lì a rimarginarsi con calma. La storia di Evans aveva segnato il futuro di quello che era lui e di quello che erano diventati loro, ancora faceva i conti con i fantasmi di quel passato, quindi si chiedeva perché Elisabeth stesse tornando su quell'argomento. Ma non proferì parola, lascindole il tempo e lo spazio per aprirsi, per far sì che tirasse fuori quello che la stava facendo stare a quella maniera, perché non gli piaceva per niente in che condizioni era riversa.
    Poteva immaginare quanto fosse stato traumatico, lo era stato per lui,figurarsi per lei.
    Immaginava anche la necessità che aveva avuto lei, di fargli domande, di chiedere spiegazioni al concasato che l'aveva lasciata nel peggiore dei suoi momenti. Non c'era stato, era sparito, facendola cadere in pezzi e poi tutto quello che era successo con sua madre, lei che aveva dovuto affrontare da sola un qualcosa che l'aveva resa più fragile e le aveva fatto crescere attorno mura invalicabili, solo per nascondere dietro queste la bambina che ancora era: fragile e imperfetta, diversamente da come volesse apparire agli occhi dei più.
    Era andata da lui.
    Lo immaginava.
    Era sempre tornata da ognuno di loro. Alla ricerca di domande, di spiegazioni.
    Sentì quell'immensa pausa e il braccio al suo fianco si strinse ancora.
    Lui era ancora lì.
    Non la stava allontanando.
    E se questo fosse bastato per farla continuare, allora lui le avrebbe fatto sentire il calore di quell'abbraccio, affinché lei potesse vomitare fuori quello che la stava schiacciando.
    Eppure, quell'epilogo...
    Mandò giù a vuoto.
    Se poteva immaginare? Certo. Per quanto volesse ricacciare via quell'immagine di lei che si concedeva a quella persona di merda che Lucas continuava a non sopportare.
    Guardò il fuoco, ritrovando quel calore tipico della fiamma che ardeva.
    La mascella si indurì al pensiero che Evans avesse toccato ancora il corpo di Liz, che avesse potuto di nuovo trattarla come un suo oggetto, per quanto era consapevole che anche lei glielo avesse permesso.
    Ci mise un po' a metabolizzare la cosa, cercando di soffermarsi sulla sua ultima frase.

    «Ti ha fatto qualcosa?»

    Ringhiò piano, non allontanandosi da lei, ma anzi cercando di farle pressione affinché potesse poggiare il capo sulla sua spalla, sollevando la mano che prima era sul fianco della ragazza e prendendo dolcemente una ciocca di capelli. Il suo tono, però, non poteva nasconderlo, era troppo impulsivo e avrebbe sentito la durezza di quelle parole, mal celare il fastidio nel pensare che Joshua l'avesse ridotta a quello stato, ma chiedendosi anche che ruolo avesse avuto Cameron nella commedia.

    «Perché ti ha lasciata qui, Liz? Da sola. Al freddo. Dov'è Cohen, Liz?»

    Glielo chiese ancora, questa volta imprimendo di più il tono su quelle parole.
    Rimase ancora un po' in silenzio, guardando fisso il traballare del piccolo falò.
    Se era ferito? Sì, lo era. Si chiedeva perché ogni volta che Evans apparisse, lei tornasse da lui. Non poteva davvero farne a meno? E - ancora una volta - si ritrovò a chiedersi perché lui.
    Non che apprezzasse Cohen, trovandolo un rincitrullito senza cervello e con una faccia da schiaffi, ma Lucas avrebbe preferito mille volte il dioptase all'ametrin, forse perché ancora bruciava quel passato, forse perché sapeva che lei meritava il meglio che c'era sul mercato ed Evans non lo era.

    «Tu meriteresti solo il meglio...»

    Lasciò scivolare quella frase in un mormorio basso, che se solo la fiamma avesse scoppiettato un po' più forte, sarebbe stato coperto. Un pensiero che era volato via, sganciandosi dalla sua mente per prendere voce, senza che lui se ne rendesse conto in tempo.
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  10. .
    Sì, il tirocinio con Layla. Ma anche no. Quel giorno non aveva nessuno tirocinio, doveva solo sistemare un po' di cose qua e là per cercare di avere tutto perfettamente pronto per l'arrivo di Jessica.
    Non ci aveva provato da tanto ad invitare qualcuno al ballo, ma quell'anno era l'ultimo sia per lui, che per la corvina, e Lucas ci teneva a farlo essere speciale per lei, affinché si ricordasse tutto quello che di positivo poteva succedere nella sua vita. Sperava che rientrasse nelle cose positive, soprattutto perché in quel periodo precedente c'erano state molte incomprensioni che avevano portato i due a vomitarsi addosso l'impossibile per poi ritrovare il loro strano equilibrio di perfezione.
    Lucas non era più tanto allenato al romanticismo, non faceva qualcosa di dolce per qualcuno da quando aveva portato Emma a casa e le aveva preparato quella cena. Tuttavia, per Jessica ci avrebbe provato.
    Era davvero estenuante dover pensare a tutto e sperare di non dimenticare niente, perché tutto doveva essere perfetto per quell'incontro.
    Aveva fatto sì che nella stanza delle necessità apparisse il necessario: un tavolo con una tovaglia bianca, con al centro delle candele, poi delle poltrone rosse e al resto aveva pensato lui, ficcandolo qualcosa nel suo zaino espanso e portando altro a mano.
    La stava aspettando facendo su e giù nella spazio precostruito, mentre a terra vi erano petali di rosa rossi e nella stanza le luci erano state spente, fatta eccezione di un cielo blu tetro e dei piccoli puntini luminosi che facevano da sfondo a tutto quello.
    Non era solo quella la sorpresa, Lucas aveva pensato a tutto, affinché lei potesse accettare ciò che le avrebbe chiesto.
    Sul tavolo c'era un vassoio d'acciaio, coperto, dove dentro ci sarebbe stato il suo dolce preferito.
    Mancava solo lei.
    Lucas sorrideva tra sé, mentre si aggiustava la cravatta nera che aveva sistemato perfettamente sulla propria camicia bianca, questa stirata ed indossata come mai aveva fatto in vita sua in quei cinque anni di Accademia: alla perfezione, a completare la giacca nera elegante. I capelli erano tirati indietro, senza il cappellino, quasi simbolo di come aveva abbassato tutte le sue difese con lei.
    C'era un'altra cosa che aveva preparato per la corvina, ma al momento giusto sarebbe giunta anche quella...
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    Edited by Lucas Jughed Jones - 24/11/2022, 00:20
  11. .
    Le parole erano come lame, fredde e taglienti. Uno di quei tagli dolci che sarebbe stato notato solo dopo esser stato fatto. Farsi male non era mai stato il loro gioco preferito.
    Erano cielo e stelle.
    E non esistevano uno senza l'altro. Se uno si spegneva, l'altro era buio. E il buio ora si stava affacciando su di loro, come un assassino, pronto a distruggerli e ad inghiottirli entrambi, se non avessero brillato di nuovo. E potevano farlo solo insieme, ma questo era difficile, in quel momento, come se stessero lottando l'uno contro l'altro, spinti da quel buio che li incitava a ferirsi. Pareva che sapessero solo gettarsi veleno addosso, come se tutto quello fosse stato nascosto nella mente di entrambi e stessero solo tirandolo fuori.
    In lei vedeva il suo mondo andare in pezzi, come se stessero mancando le fondamenta di un qualcosa messo su in quegli anni in cui erano stati il porto sicuro l'uno dell'altro.
    Gli occhi parlavano, era come se stessero cercando di urlarsi contro quel non detto di cui entrambi avevano paura. Quando era successo di aver accumulato tutto quel non detto? Era tutto troppo strano, Lucas non sapeva come gestire tutto questo e lo stava facendo nel modo più sbagliato, ne era certo, ma la rabbia lo aveva schiacciato.
    Sentì quelle parole e scosse il capo. Erano illogiche o lui non voleva capire, perché suonavano come qualcosa che andava oltre quello che erano stati finora. Era come se entrambi stavano facendo faccia a faccia con le conseguenze di quello che avevano creato, fingendo di essere perfetti nel ruolo di amici con benefici, senza accorgersi che forse qualcosa di diverso li spingeva dall'altro.
    No, Lucas non voleva crederci, era un errore. Era così sbagliato che quell'idea gli saltasse alla mente che quasi si stava incazzando ancora di più.

    «Troppo? E quindi? Per questo vuoi fermarti?»

    Era sempre più confuso, come se avesse ben chiaro dove stessero finendo e sentendo una morsa allo stomaco dentro di lui. Che avessero condiviso troppo non era una bugia, ma non ne aveva abbastanza, almeno lui. Voleva condividere ancora tanto con l'opale, ma sembrava quasi che lei volesse tirarsi indietro da quella che era la loro perfezione. Continuavano a ferirsi con quelle parole che facevano più male di schiaffi in faccia. Era come se Lucas sapesse intorno a cosa stavano girando entrambi, ma nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo all'altro, di rinfacciare come quel loro piano stesse andando in fumo e stesse sfuggendo dalle loro mani.
    Quel colpo inferto da lei aveva allontanato i loro corpi, ma non aveva fatto passare la rabbia, anzi, l'aveva alimentata come benzina sul fuoco.
    Sentì le sue parole. Non era vero, era che non volesse capire. Lui stava capendo in che cazzo di casino si stavano ficcando, ma aveva paura di comprenderlo e reagiva con rabbia, affinché lei non arrivasse alla sua stessa conclusione.
    Conclusione che esplose come una dinamite poco dopo.
    Quelle parole urlate come se fossero mine anti-uomo. Gli arrivarono come pugni in pieno volto. Lo colpirono, tanto da farlo indietreggiare e stringere la mano sulla camicia, all'altezza dello stomaco dove lui l'aveva colpita.
    Quello stesso stomaco che ora stava per rigettare fuori i pasti di poco prima. Le sue successive parole furono ovattate, come se quell'esplosione stesse ancora fischiando nei padiglioni auricolari. La sua frase aveva spaccato in mille pezzi, il cristallo di rabbia che lo stava assalendo, facendolo frantumare in terra.
    Non disse niente, rimase in un religioso silenzio, mentre lei tagliava di nuovo quella distanza, tornando vicino a lui.
    Solo in quell'istante si accorse che aveva sentito freddo, quando lei si era allontanata e ora, quel calore stava pian piano tornando, il tepore di quel contatto che lei cercò, ruppe la monotonia di quel silenzio. Lo spogliò di quel cappellino, quindi sentì quella presa e un brivido quando i loro occhi si incrociarono. Ancora stavano lottando, ma ora lottavano per altro. Combattevano perché in quel momento sarebbero usciti da quella guerra solo in una maniera: o insieme o da soli.
    Ogni sua parola non aveva più senso.
    Non la stava realmente ascoltando, per quanto sentisse tutto quello che aveva da dire.
    E se tu non ricambiassi?
    Quella domanda era un ridondante suono nella sua mente.
    La testa venne lasciata e lui la tenne dritta, leggermente col mento all'insù. La dolcezza di quel tocco gliela fece abbassare, lentamente, mentre gli occhi di ghiaccio non avevano lasciato un attimo il volto di lei. Jessica avrebbe potuto la mascella ancora stretta in una morsa.
    Scosse la testa quando tornò a darsi dell'errore, della scopata da gettar via dopo.
    Non era mai stata questo per lui.
    Mai.
    Perché non riusciva a parlare? La paura attanagliava l'ametrino, che si ritrovò a fare faccia a faccia con immagini di loro, di quanto stavano bene e di come era fondamentale la sua presenza nella propria vita.
    Sentì le mani di Jessica arpionarsi alle proprie spalle e guardò il suo volto mentre le loro fronti si sfioravano.
    Quell'odio non era reale, ora lo sapeva. Quello che era reale erano loro.
    Le braccia di lui si mossero, forse dopo troppo tempo e cinsero la sua schiena, a sostenerla e fargli sentire che era là.

    «Non posso prometterti che andrà sempre tutto bene.
    Ti direi una bugia.
    Ci saranno delle volte in cui non andremo d'accordo,
    delle volte in cui penseremo di non bastarci più.
    Delle volte in cui ci urleremo contro,
    ed io bagnerò il mio cuscino di lacrime
    e tu sarai scontrosa con tutti e sarai triste.
    Ma ti prometto che farò il possibile per restare in piedi,
    per non far crollare il castello che stiamo costruendo.
    Ti prometto che quando sarò in difficoltà,
    quando avrò bisogno di aiuto, quando mi sentirò solo,
    sarai tu la prima persona alla quale penserò.
    Ti assicuro che vorrò ancora un futuro insieme a te,
    anche tra qualche anno.
    Ti assicuro che anche quando litigheremo
    io cercherò sempre di chiarire e di far la pace.
    Ti prometto che cercherò di abbracciarti sempre,
    che ogni bacio non dato sarà un dramma per me.
    Ti prometto che cercherò di fare del mio meglio per noi due.
    Ti prometto che, anche se non tutto andrà sempre bene,
    cercherò di farci rinascere dalle macerie
    e di rimettere insieme i cocci
    che poco prima ci eravamo scagliati contro.»


    Recitò quella poesia che aveva preso da un libro di autori anonimi, sussurrandola piano, mentre le sue braccia l'avvolgevano, ritrovando il tepore che la distanza gli aveva tolto. Furono le prime parole che gli vennero in mente dopo che lei aveva detto tutto quello che passava per la sua testa. Era come se avesse lenito la sua rabbia, come se - togliendogli il cappello - avesse strappato via le difese del moro.

    «Non sei mai stata una scopata quando capita, JJ. Con te passerei notti intere a guardarti dormire, senza nemmeno sfiorarti. E' la paura che ci frena, il nasconderci dietro le nostre esperienze pessime, non ci permette di guardare verso di noi

    La spinse piano verso di lui e con la fronte spinse la sua affinché guardasse il suo sorriso dolce. Poi una mano le sollevò di nuovo il mento, questa volta con una delicatezza come se fosse così fragile da romperla.

    «Anche io ti odio. Ti odio perché pensi che io non possa ricambiare.»

    Un sussurro così basso, sembrava più un soffio di vento caldo.

    «E se davvero pensi di essere un errore, sei solo una scema. Un errore non rende piene e perfette le mie giornate. E se invece lo fa, allora sei il mio errore migliore.»

    Il suo capo cercò di avvicinarsi di più, quasi a voler avvicinare le loro labbra lentamente, se glielo avesse concesso, senza asciugare quella lacrima perché era anche quello il sapore che andava assaggiato.

    «E chi siamo noi, per non concederci il più grande errore che ci fa star bene?»

    Avrebbe tentato di imprimere le proprie labbra su quelle delle ragazza, piano, dolcemente, non trasportato dall'impeto sessuale, ma da qualcosa di differente.
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    Sì, avevano litigato qualche altra volta, ma in quel momento tutto sembrava diverso. Era come se non stessero solo litigando, ma stessero facendo a botte su di un ring, dove avrebbe vinto solo chi sarebbe uscito con meno sangue dalle ferite che si stavano infliggendo.
    Perché poi? Non riusciva a capirlo l'ametrino. Sapeva solo che il contatto con il corpo di lei era diverso, era quasi selvaggio, come se non bastasse l'ardore con cui voleva possederla, per quanto fosse incazzato con lei, era come se potesse sfogare solo in quel modo, eppure c'era quella rabbia che lo faceva urlare, che gli faceva stringere la presa su quel polso. Quella rabbia che stava portando Lucas a perdere di vista il motivo reale per cui era andato lì, chiedere a Jessica perché si stesse comportando così.
    L'aveva travolta e non voleva lasciarla andare, non voleva scuse, non voleva parole al vento, voleva fatti reali, voleva sapere cosa cazzo le passasse per quella testa in quel momento. Era come se non accettasse questo suo comportamento, come se da lei si aspettasse tutto al di fuori di quello che stava facendo.
    Voleva essere guardo, voleva che non distogliesse lo sguardo perché sapeva che se l'avesse fatto gli avrebbe potuto mentire, nascondendosi ai suoi occhi avrebbe potuto dire quello che voleva, come se il contatto visivo con lui la costringesse alla verità.
    Certo, alla verità, ma non le evitava di omettere la realtà.
    Quelle mani erano già stata sul petto dell'ametrino, ma non avevano mai cercato di posarsi lì per mettere distanze tra loro, come stavano facendo ora, anche se non vi era pressione da parte sua.
    Probabilmente non la sentiva, grazie agli allenamenti con il branco, o forse lei non si stava impegnando perché in realtà non voleva un distacco totale.
    Eppure bruciavano, facevano male, come soda caustica sulla sua pelle. E voleva sentire quella sofferenza, voleva sentire il dolore di sapere che quello era il contatto più bello, ma anche il più deleterio che stavano avendo oggi.
    Ringhiò a quel sarcasmo, indurendo la mascella ancora una volta.
    Non ammetteva scherzi, non voleva ironie, voleva risposte.
    Era assurdo come si ritrovasse a chiedere risposte a lei, che aveva sempre sindacato sulle altre donne che erano passate dalla sua vita, perché sempre lo avevano sommerso di interrogativi. Ed ora era lei a farlo.

    «Non funziona con me il tuo scudo di sarcasmo, Jessica.»

    Gli ringhiò basso addosso, come se volesse continuare a spingere giù le difese di lei, e voleva farglielo notare, voleva dirle quanto quelle difese non sarebbero state sufficienti con lui. Aveva paura che potesse ferirla? Certo, era chiaro che lei avesse questa paura, ma non sarebbe stato fuori da quel muro che stava ergendo, lo avrebbe bombardato fino a farglielo cadere.
    Attese che lei gli dicesse di andare, che lo allontanasse così come aveva voluto fare dietro lo schermo e ignorandolo fino a quel punto.
    Mantenne il suo volto alto su di lui, perché desiderava guardarla negli occhi mentre lo spezzava in due, mentre gli diceva di sparire dalla sua vita.
    Ma quelle parole non arrivarono.
    In quel cristallo, Jessica avrebbe potuto vedere le fratture della sua stessa anima, si sarebbe potuta specchiare dentro di Lucas e notare come l'ametrino stesse crollando in pezzi per quella discussione, mentre a lei nascondeva il tutto in una coltre di rabbia.

    «Perché. Non. Puoi.»

    Era una domanda secca, ancora sibilata dal suo petto roco. Insisteva sui motivi, insisteva sul cercare un perché a tutta quella situazione che stava mandando a puttane tutto.
    Sgranò le iridi quando lei ammise che aveva paura e la lasciò continuare a parlare, facendo quell'elenco che per Lucas non aveva logica alcuna. Ma più parlava, più lo faceva incazzare.

    «Io non sono gli altri! Sai cosa mi fa incazzare di tutto questo? Che tu, cazzo, tu lo sai! Sai quanto per me conti in questa vita di merda, quanto sei la colonna portante della mia stabilità e ti arroghi anche il diritto di credere che io possa smettere di provare quello che provo per te! Vaffanculo, se credi questo di me, allora vuol dire che non hai capito niente! Non hai capito un cazzo, Jessica! Non hai capito quanto non possa esserci nessun altra persona che possa essere una priorità rispetto a te, che vai oltre tutto e oltre tutti.»

    Sentì il cioccolato di quel respiro e si inebriò di quel sapore che avrebbe voluto assaggiare, mantenne lo sguardo su di lei.

    «Non mi hai mai diviso con nessuno, ma se questo è quello che tu pensi, allora io ho fallito tutto con te.»

    Si stavano ferendo a vicenda, era come se non riuscissero a farne a meno. Ma mentre stava continuando quella frase, lei si mosse e sentì, inaspettatamente, il suo ginocchio arrivargli alla bocca dello stomaco, secco e deciso.
    Questo fece mollare la presa da lei, lo fece allontanare e piegarsi in due a mantenersi il busto, tossendo appena. Sarebbe andata via, era questo che voleva evitare.
    Sentì quelle parole e tra un colpo di tosse e l'altro le rispose.

    «Lo sapevo. Adesso non più.»

    Ma non fu l'unica cosa che disse dopo che si rimise dritto, cercando di accantonare il dolore fisico, sicuramente minore di quello mentale.

    «Sai perché per me sei importante? Perché eri diversa da loro. Non mi nascondevi mai quello che pensavi di me, di noi. Ora, invece, stai facendo come quelle stronze, come le chiami tu. Mi stai nascondendo qualcosa, perché hai paura di dirmelo, e preferisci mandare a puttane tutto quello che abbiamo, piuttosto che parlare. Perché, Jessica? Perché, ora, hai paura di noi

    La guardava negli occhi, come se volesse leggere in quelli di lei la realtà. E la stava stuzzicando, la stava provocando, per farla esplodere.
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    Avevano sempre parlato tra di loro. Erano sempre riusciti a dirsi anche le cose peggiori della loro vita, non tralasciando alcun particolare. Avevano piano uno sulla spalla dell'altro ed ora Lucas non capiva davvero come erano finiti in quella situazione. Era come se fosse scattata una molla, qualcosa che avesse fatto rompere l'equilibrio in cui fino a qualche giorno prima avevano vissuto.
    Lucas conosceva ogni singola parte del corpo di Jessica, ogni suo profumo, ogni suo sguardo. Tutto. E avrebbe potuto leggerle dentro anche solo con un incrocio dei loro occhi dalle colorazioni cosi diverse.
    Era bastato nominarle Elisabeth che il suo umore era cambiato. E per quanto lei provasse a nascondersi dietro quel suo ti hanno fatto soffrire, Lucas non riusciva a comprendere se ci fosse altro che lei stava cercando di nascondere, di reprimere.
    Aveva sentito il battente colpire il muro, per poi tornare con la stessa violenza a chiudersi, mentre lui mangiava quelle distanze e rapido, come un lupo sulla propria preda, rapiva l'altra, costringendola a posarsi sulla scrivania alle sue spalle.
    Poteva sentire il suo odore, poteva toccare quella pelle e notare quel rossore che non aveva mai visto sulle sue guance.
    Le mani sul suo petto bruciavano la carne del ragazzo, come se potessero ferirlo anche solo con quei palmi che l'avevano già accarezzato più volte. Le dita sul fianco si strinsero, prima che l'altra mano potesse afferrare il polso della corvina.
    Voleva sovrastarla, voleva tenerla sotto di lui e non era solo per farle capire quanta rabbia avesse dentro per il suo comportamento, c'era qualcosa di più in quel contatto selvaggio a cui l'aveva costretta. Qualcosa che lui cercava di far risalire, ma che la rabbia rimandava giù.
    Quando la sentì implorarlo di non urlare, in quegli occhi lesse la debolezza e la vulnerabilità di quella donna di cui non poteva più fare a meno. Non l'avrebbe mai ferita, non le avrebbe mai spezzato il cuore, perché era ciò che di più prezioso aveva. Lasciò che lei parlasse, seppur il suo corpo continuava a tenerla stretta per non farla scivolare via da lui. Era come se sotto le proprie dita, ora la sentiva fragile come cristallo, così come mai l'aveva sentita.
    Strinse gli occhi in una fessura e indurì la mascella. Cosa doveva capire, proprio lui, cosa voleva che lui capisse?!
    Le sue parole erano diventate lame taglienti, la mascella di Lucas sembrava quasi volersi spezzare sotto quello stringerla. Stava provando ad allontanarlo. Di nuovo. E anche lei con la scusa di non ferirlo.

    «Allontanarmi?! TU MI STAVI ALLONTANANDO. E per cosa poi? Per paura che io potessi diventare stronzo. Non posso crederci, Jessica!»

    Aveva alzato di nuovo il tono, per poi rimodularlo subito, facendolo diventare più un ringhio arrabbiato.
    Notò come sfuggì al suo sguardo e rapidamente la mancina che stringeva il polso, afferrò il suo mento, per portarlo a costringere i loro occhi a guardarsi, mentre ancora le distanze erano minime, tanto da sentire il suo calore addosso.

    «Fallo! Devi farlo adesso, cazzo! Guardami negli occhi e dimmi di andarmene!!!! FALLO!»

    Voleva sentirla mentre glielo diceva, voleva vedere i suoi occhi e scoprire che non stesse mentendo. Che davvero voleva mandarlo via, allontanarlo.

    «Dovevi pensarci prima, a non metterci l'affetto di mezzo. Dovevi pensarci prima di passare le notti a casa mia, prima di rendermi partecipe della tua vita e di quella di Alex! Tu... tu... hai solo paura che tutto questo sia perfetto! Hai paura dei tuoi sentimenti per me, Jessica!!!!»

    La mano mancina lasciò il volto, combattendo ancora con quella strana voglia di baciarla. Di nuovo le dita si arpionarono al polso, per tenerla ferma, ma anche per fermare quella mano sul suo petto. E ascoltò le sue parole che lo ferirono come coltelli incandescenti. Per poi stupido. E questo fu evidente sul suo volto, perché le iridi di sgranarono e le dita strinsero quel corpo nei punti in cui l'aveva afferrata.

    «Io sono corso da te come un cagnolino. Non da loro, non da nessun altro. DA TE. Non vuoi dividermi con loro... perché?»

    Insisteva come se avesse bisogno di farglielo tirare fuori in ogni modo, quale fosse il problema.

    «Non posso? Eppure sono certo che se lui adesso ti chiamasse, tu correresti da lui. Gli daresti tutta te stessa, lasciando me qui a cercare di capirti! E te ne fregheresti il cazzo di quanto tu possa far male con questo atteggiamento. Pensi che io preferisca dividerti con quel coglione che ti ha cancellato la memoria? Pensi che quello sia amore? Pensi che lui ti ami? Pensi che lui corra in una merda di aula impolverata solo per sentirsi dire che volevi allontanarlo?»

    Scosse il capo, piano, per evitare di trascinare anche la sua testa.

    «No, non capisco. Perché io lo avrei condiviso con te quel peso. Non ti avrei allontanata. L'avremmo gestita insieme ed invece sei scappata da me. Hai vissuto la tua storia d'amore con il tuo professore, lontano da me. E sei tornata solo quando lui non c'era più!»

    Prese una pausa da quel suo parlare roco e basso.

    «Cosa vuoi che io sia per te, Jessica?»

    Scandì bene ogni parola, mentre nei suoi occhi un fulmine di ardore scaldó il ghiaccio, le stava chiedendo cosa voleva che fosse. Le stava chiedendo che ruolo aveva nella sua vita. Scosse ancora il capo a quella richiesta.

    «Se ti lascio, tu andrai via.»

    Era quasi come se quella fosse la maniera più delicata che avesse per tenerla stretta a sé, in quel momento di rabbia.
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    Era incazzato.
    Incazzato come non era mai stato.
    Aveva mollato tutti i suoi libri in biblioteca, lanciandoli un po' dove capitava, mentre messaggiava con la ragazza con cui credeva di avere un ottimo rapporto.
    Era bastato sapere che aveva incontrato Elisabeth per mandarla in crisi, lei che era l'equilibrio giusto tra un'amica e un'amante. Lei che era parte integrante di quello che era, a lei che aveva perdonato realmente l'abbandono di mesi a causa di quella sua stupida relazione che l'aveva poi mandata in crash.
    Erano giorni che lo trattava di merda e per quanto lui avesse cercato di rassicurarla, non era bastato a nulla parlarle e dirle quanto per lui sarebbe stata più importante di chiunque fosse entrato nella sua vita.
    Mi hai lasciato per Liz, per Emma e per Liv.
    Quelle parole di martoriavano la mente durante il tragitto. Il passo era rapido, incazzato quanto il suo volto.
    E no, non c'era storia di fermarlo, perché ora voleva guardarla negli occhi e voleva avere una risposta a quella domanda che lei aveva sviscerato poco.
    Cosa stava succedendo tra loro? Perché al primo accenno di un ritorno nella sua vita di altre ragazze, stava reagendo così, tanto da paragonarlo a chi l'aveva abbandonata?
    Voleva delle risposte e quando spalancò la porta dell'aula in disuso e la trovò lì dove le aveva dato appuntamento, Lucas non fermò il suo passo.
    Anzi, lo aumentò, andandole incontro come un treno e non c'era saluto, non c'era sorriso sul suo volto.
    La afferrò per un fianco, ponendosi davanti a lei e spingendolo fino a quando il suo sedere non avrebbe trovato il bordo della cattedra. E non ci sarebbero state spinte, schiaffi, pugni che lei avrebbe potuto sferrargli a fermare quel movimento. La voleva bloccare, sotto di lui, poggiata a quella cattedra. La mano mancina, libera dal fianco della opale, si fissò sul polso di lei, stringendolo appena ma senza farle male, poi il suo Busto si piegò in direzione del volto della corvina, facendo arrivare le proprie labbra ad un millimetro da quelle di lei, mentre il ghiaccio si incatenò alle iridi di Jessica. Nei suoi occhi avrebbe potuto vedere rabbia, furia, ma anche desiderio e ardore. Come se quella lite lo stesse mandando all'altro mondo, come se stesse liberando una bestia dentro di lui. Il suo corpo sarebbe stato a premere su quello della corvina, mentre le dita stringevano quel polso senza volerle far male.

    «Dimmelo. Dimmi cosa cazzo c'entro io con quegli stronzi! Dimmelo, Jessica!»

    Alzò il tono, quasi come se il suo fosse un ringhio di rabbia e dolore.

    «Dimmi, quegli stronzi si butterebbero nelle fiamme per te, Jessica? Manderebbero a puttane i loro piani di studiare per sbatterti in faccia quanto cazzo sei importante per loro? DILLO! DIMMELO IN FACCIA. QUALE CAZZO È IL PROBLEMA, JESSICA.»

    Voleva baciarla e allo stesso tempo non voleva averla davanti agli occhi. Era un connubio di emozioni opposte, mentre era su di lei.
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    Perché era finito a correre? Cosa cavolo stava succedendo? Elisabeth non gli aveva risposto ad una domanda e il suo semplice invito a mangiare del sushi nel weekend si era trasformato in un crescendo di agitazione che nemmeno lui sapeva a cosa fosse dovuta.
    Aveva promesso a Jessica, nel tempo, di non azzardarsi più a correre quando Elisabeth lo chiamava e fino a quel momento non si era presentata l'occasione di venir meno a quello che aveva promesso, tuttavia, questa volta sembrava diverso. Il modo in cui aveva risposto, quei messaggi lapidali, quella necessità di parlargli.
    Che cosa stava succedendo?

    «Liz... che ti prende...»

    Aveva il fiatone mentre seguiva il percorso che la mappa digitale gli stava indicando, per raggiungere l'opale che era nei boschi, da sola.
    Aveva accennato a Cohen, ma a quanto pareva non c'era, questo aveva confuso ancora di più le idee dell'Ametrin, che si ritrovava a fare i conti con mille dubbi che lo affliggevano.
    Era venuto a conoscenza del ritorno di Evans, o meglio, lo aveva beccato a lezione di Magia Verde quella settimana, ma questo non sembrava disturbare troppo l'altro ametrino, che aveva imparato ad ignorare chi non gli stava a genio. Poi, erano passati diversi anni da quella situazione che li aveva visti rivali, adesso erano tante le cose che erano cambiate.
    Certo che si era andata a ficcare proprio in culo ai lupi; la scalata non fu semplice, forse anche l'ansia che gli stava salendo di trovarla mangiata da chissà quale creatura stava facendo il suo. La bacchetta era in tasca, pronta ad essere cacciata nell'eventualità succedesse qualcosa, ma ora il solo pensiero di Lucas era raggiungere la Lynch, quindi non aveva intenzione di perdere tempo a spaventarsi per uno stupido boschetto che lo divideva dall'accertarsi delle condizioni della ragazza.
    Quando salì l'ultima via rocciosa, Lucas si ritrovò davanti ad una delle cascate dei monti. Aggrottò la fronte, notando una tenda e del fuoco, poi cercò con gli occhi la ragazza, non trovandola troppo distante da dove immaginava fosse.
    Ora capiva perché gli aveva detto di non portare la coperta, la presenza del fuoco avrebbe attutito il freddo; lui, tuttavia, nello zaino espanso che aveva sulle spalle, aveva portato anche quella, oltre che la pizza, un thermos con della cioccolata calda, delle barrette di cioccolata in vari gusti, delle caramelle gommose, qualche bottiglia di birra e ... no basta. Insomma, bastava no?
    Si avvicinò al fuoco, senza togliersi il cappellino e cercando di riprendere fiato, il passo diventato quasi corsa lo aveva provato un po', ma per fortuna l'allenamento con quei pazzi del branco, lo stava temprando, nel corpo così come nella sopportazione della temperatura esterna, tanto che aveva indosso solo una felpa verde, a coprire una T-shirt bianca, un paio di jeans e degli anfibi, oltre al suo amato cappellino.

    «Hey, Liz

    Finalmente la vedeva, finalmente l'aveva davanti e sapeva che era viva, non che i messaggi potessero essere stati scritti da altri, d'altronde, ma ora aveva la ragazza davanti e poteva accettarsi delle sue condizioni. Si accovacciò davanti a lei, lasciando scivolare in terra lo zaino, fregandosene e, se lo avesse concesso, le avrebbe sfiorato la guancia, spostandole i capelli.

    «Che è successo? Perché sei qui da sola e...»

    Si guardò attorno, notando le bottiglie, scosse il capo, quindi e tornò con l'attenzione su di lei, continuando ad usare un tono caldo e tranquillo.

    «...hai bevuto... che ti prende, piccola?»

    Cercò di farsi spazio vicino a lei, mentre un braccio, quasi non accorgendosene, cercò di cingerle le spalle, per farle sentire la sua presenza lì e per avvicinarla un po' di più a lui.

    «Ho portato un sacco di roba, tieni.»

    Col piede spinse il suo zaino da lei, lasciandole la volontà di prendere quello che desiderava.
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