Running out of time

Liz

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    Perché era finito a correre? Cosa cavolo stava succedendo? Elisabeth non gli aveva risposto ad una domanda e il suo semplice invito a mangiare del sushi nel weekend si era trasformato in un crescendo di agitazione che nemmeno lui sapeva a cosa fosse dovuta.
    Aveva promesso a Jessica, nel tempo, di non azzardarsi più a correre quando Elisabeth lo chiamava e fino a quel momento non si era presentata l'occasione di venir meno a quello che aveva promesso, tuttavia, questa volta sembrava diverso. Il modo in cui aveva risposto, quei messaggi lapidali, quella necessità di parlargli.
    Che cosa stava succedendo?

    «Liz... che ti prende...»

    Aveva il fiatone mentre seguiva il percorso che la mappa digitale gli stava indicando, per raggiungere l'opale che era nei boschi, da sola.
    Aveva accennato a Cohen, ma a quanto pareva non c'era, questo aveva confuso ancora di più le idee dell'Ametrin, che si ritrovava a fare i conti con mille dubbi che lo affliggevano.
    Era venuto a conoscenza del ritorno di Evans, o meglio, lo aveva beccato a lezione di Magia Verde quella settimana, ma questo non sembrava disturbare troppo l'altro ametrino, che aveva imparato ad ignorare chi non gli stava a genio. Poi, erano passati diversi anni da quella situazione che li aveva visti rivali, adesso erano tante le cose che erano cambiate.
    Certo che si era andata a ficcare proprio in culo ai lupi; la scalata non fu semplice, forse anche l'ansia che gli stava salendo di trovarla mangiata da chissà quale creatura stava facendo il suo. La bacchetta era in tasca, pronta ad essere cacciata nell'eventualità succedesse qualcosa, ma ora il solo pensiero di Lucas era raggiungere la Lynch, quindi non aveva intenzione di perdere tempo a spaventarsi per uno stupido boschetto che lo divideva dall'accertarsi delle condizioni della ragazza.
    Quando salì l'ultima via rocciosa, Lucas si ritrovò davanti ad una delle cascate dei monti. Aggrottò la fronte, notando una tenda e del fuoco, poi cercò con gli occhi la ragazza, non trovandola troppo distante da dove immaginava fosse.
    Ora capiva perché gli aveva detto di non portare la coperta, la presenza del fuoco avrebbe attutito il freddo; lui, tuttavia, nello zaino espanso che aveva sulle spalle, aveva portato anche quella, oltre che la pizza, un thermos con della cioccolata calda, delle barrette di cioccolata in vari gusti, delle caramelle gommose, qualche bottiglia di birra e ... no basta. Insomma, bastava no?
    Si avvicinò al fuoco, senza togliersi il cappellino e cercando di riprendere fiato, il passo diventato quasi corsa lo aveva provato un po', ma per fortuna l'allenamento con quei pazzi del branco, lo stava temprando, nel corpo così come nella sopportazione della temperatura esterna, tanto che aveva indosso solo una felpa verde, a coprire una T-shirt bianca, un paio di jeans e degli anfibi, oltre al suo amato cappellino.

    «Hey, Liz

    Finalmente la vedeva, finalmente l'aveva davanti e sapeva che era viva, non che i messaggi potessero essere stati scritti da altri, d'altronde, ma ora aveva la ragazza davanti e poteva accettarsi delle sue condizioni. Si accovacciò davanti a lei, lasciando scivolare in terra lo zaino, fregandosene e, se lo avesse concesso, le avrebbe sfiorato la guancia, spostandole i capelli.

    «Che è successo? Perché sei qui da sola e...»

    Si guardò attorno, notando le bottiglie, scosse il capo, quindi e tornò con l'attenzione su di lei, continuando ad usare un tono caldo e tranquillo.

    «...hai bevuto... che ti prende, piccola?»

    Cercò di farsi spazio vicino a lei, mentre un braccio, quasi non accorgendosene, cercò di cingerle le spalle, per farle sentire la sua presenza lì e per avvicinarla un po' di più a lui.

    «Ho portato un sacco di roba, tieni.»

    Col piede spinse il suo zaino da lei, lasciandole la volontà di prendere quello che desiderava.
    lucas j. jones

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    Aveva dei piani per quella giornata: del cibo, alcol, un falò ed una tenda. L'idea era quella di far rilassare Cameron per poi spiegargli il perché del suo comportamento negli ultimi giorni. Nella trasparenza di una bottiglia di vodka però aveva compreso come quel modo di fare non le appartenesse e, non appena il Dioptase si era presentato, gli aveva rivelato tutto senza neanche prepararlo. Stupidamente credeva che non avrebbe reagito in quel modo. In realtà ci aveva sperato che non lo facesse sebbene la consapevolezza di aver rovinato tutto con lui era giunta non appena si era allontanata dall'aula in disuso. Parole pesanti erano volate, insinuazioni messe sul banco e speranze forse stroncate per sempre. Avevano usato persino parole strane per cercare di definirsi ma alla fine Cameron se ne era andato in groppa ad Ashura.
    Poi le era squillato il magifonino. Per un attimo aveva pensato che fosse un suo messaggio di scuse ed un misto di delusione affiorò nel leggere il nome di Lucas.
    Lucas che le proponeva del sushi. Il solo pensiero di mettere in bocca del pesce crudo le provocò un conato di vomito. No, aveva bisogno di altro, di qualcosa di caldo, come una zuppa o una cioccolata calda. Lo stomaco le mandò avvisaglie. Forse era meglio evitare il nettare degli dei.
    Ci fu uno scambio di messaggi, molto lapidari da parte sua mentre Jones dimostrava tutta la sua preoccupazione. Aveva persino pensato di appellare la sua scopa e poi tornarsene in volo al castello ma barcollò nel tentativo di rimettersi in piedi, inciampando nella bottiglia che aveva sottratto al norvegese. La lasciò lì, ad inzuppare l'erba e ad osservare il fuoco che continuava ad ardere. L'unico sforzo che aveva fatto, dopo un banalissimo okay che gli aveva inviato in risposta, fu recuperare la coperta dallo zaino ed avvolgersela addosso. Non toccò più una goccia d'alcol, neanche del cibo se per questo, continuando a rivivere quanto accaduto nella sua mente; non si mosse neanche quando lo vide arrivare, sussurrando solo un «ehi» come segno di saluto. L'affanno di lui si manifestava in piccole nuvolette. Era solo in felpa e cappellino, un outfit non proprio adatto a quel clima. «Nella tenda troverai una coperta. Prendila» non voleva essere un ordine ma le uscì come tale. «Per te, dico, se no gelerai» aggiunse senza alcuna traccia di calore nella voce. Non l'aveva mai vista così, neanche dopo averla recuperata, insieme ad Evans, dai suoi carcerieri. Uno sbuffo accompagnò la sua affermazione circa il suo alito che sapeva di vodka. «Era da un po' che non lo facevo da sola», non c'era bisogno di dire quando le era già capitato visto che lui l'aveva recuperata semi incosciente nella sua piscina. Quanto all'assenza di Cohen non disse nulla. Non ricordava neanche di averglielo scritto per messaggio.
    E quando si sistemò accanto a lei, cingendola con un braccio, Elisabeth concesse a lui quello che non aveva dato a Cameron: la storia dall'inizio e non dalla sua fine.
    «Penso che tu abbia saputo del ritorno di Josh», iniziò lenta, lasciandosi andare contro quel corpo ancora caldo per via della corsa che probabilmente aveva fatto. «È sempre il tuo compagno di dormitorio, no?» Quanto sarebbe stato pesante per entrambi riaffrontare quella situazione che aveva il sapore agrodolce del deja-vu, ma aveva bisogno di farlo, di sfogarsi con qualcuno e Lucas c'era sempre, nonostante tutto. «Per me è stato traumatico ritrovarmelo a lezione. Lo sai, no, come sono i miei rapporti con i pettegolezzi che girano» -spoiler: sorda- «non so neanche come abbia fatto a resistere per l'intera ora a non guardarlo, a non fargli una scenata di quelle colossali per sapere il perché fosse andato via». Con la mano tra le loro gambe tentò di aggrappare dei fili d'erba ghiacciata e troppo corta per poter giocherellare come avrebbe voluto. «L'ho fatto qualche giorno dopo, ma senza pubblico ad osservarci». Il primo momento di difficoltà arrivò e per quanto si sforzasse di trovare modi che potessero essere delicati doveva mettere in conto che, probabilmente, anche con il tatto maggiore avrebbe ferito l'ametrino. «Puoi immaginare come sia andata a finire» -avrebbe ancora sentito il suo braccio stringerla?- «ed anche come l'abbia presa Cameron». Che non era Barnes ma neanche uno stinco di santo quanto a reazioni impetuose. I suoi polsi ora erano nascosti dalle maniche della felpa che indossava, dubitava che le avrebbe sollevate molto presto.
    Elisabeth
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    Così come Liz, anche Lucas aveva dei piani che sicuramente non prevedevano una scalata di un monte, al freddo e al gelo, con la paura che potesse essere successo qualcosa alla prefetta, che aveva cercato per un semplice giorno al sushi. Certo, la pizza era un'ottima alternativa, ma ecco, pensava che potessero farlo in una maniera un tantino più normale, per quanto a loro non si addicesse propriamente quel termine.
    Inoltre, Liz era stata la causa di un freddo messaggio senza senso di Jessica, che gli aveva fatto suonare un campanellino di allarme, che Lucas avrebbe bellamente ignorato se non fosse stato che si era insinuato nel suo cervello come un tarlo.
    Il problema era solo che adesso aveva bisogno di concentrarsi su una alla volta e Liz sembrava avere la precedenza, visto che Jessica era al sicuro nella sua stanza, al contrario della battitrice. Non aveva idea di cosa fosse successo, anche perché i suoi messaggi erano più che strani e non capiva se fosse da sola o meno, per quanto lei gli avesse detto che non era in compagnia, allora perché aveva parlato di Cohen? Cosa aveva combinato il dioptase e perché Liz l'aveva nominato, se non era con lei? Sperava che non fosse successo niente di strano, ben consapevole che la situazione tra loro era quella che era.
    Quando arrivò da lei, la trovò avvolta nella coperta. Per fortuna era imbacuccata alla bell'e meglio, una preoccupazione in meno, per quanto quell'ehi così flebile e vuoto gli fece arricciare le labbra e accapponare la pelle. Scosse il capo, alla sua proposta, quindi ignorò la coperta nella tenda e pensò più a sedersi accanto a lei.

    «Sto bene così, tranquilla.»

    Le sussurrò dolcemente; non l'aveva mai vista così. Era come se fosse un involucro vuoto, distrutto e lui dovesse tenerla stretta per rimettere in piedi i pochi pezzi che ne erano rimasti.
    Già da un po'. Chissà se l'ultima volta era quando era piovuta nella sua piscina, in quel chiasso che la caratterizzava ogni volta che ritornava nella sua vita. Lei era un incendio che appena divampava, distruggeva tutto il restante, avvolgendolo con l'ardore, ma portando via con sé tutto quello che fino a quel momento aveva costruito.
    Aveva imparato a farci l'abitudine e così stava convivendo bene con l'equilibrio di averla accanto quando poteva godere della sua presenza instabile.
    Il braccio la cinse e quasi come se avesse premuto il tasto via, lei iniziò a parlare. Quelle parole fecero affiorare in lui ricordi che l'ametrin aveva cercato in mille modi di metabolizzare, per quanto bruciassero ancora un po'. Annuì piano, spingendosi un po' verso di lei.
    Che fosse di nuovo Evans il motivo per cui era ridotta così?

    «No, ho cambiato stanza. Sono con due del terzo. Per quel poco che sono in stanza.»

    Disse lentamente, come se non capisse dove voleva arrivare. Sapeva solo che aveva paura, paura che riaprisse vecchie ferite che Lucas preferiva lasciare lì a rimarginarsi con calma. La storia di Evans aveva segnato il futuro di quello che era lui e di quello che erano diventati loro, ancora faceva i conti con i fantasmi di quel passato, quindi si chiedeva perché Elisabeth stesse tornando su quell'argomento. Ma non proferì parola, lascindole il tempo e lo spazio per aprirsi, per far sì che tirasse fuori quello che la stava facendo stare a quella maniera, perché non gli piaceva per niente in che condizioni era riversa.
    Poteva immaginare quanto fosse stato traumatico, lo era stato per lui,figurarsi per lei.
    Immaginava anche la necessità che aveva avuto lei, di fargli domande, di chiedere spiegazioni al concasato che l'aveva lasciata nel peggiore dei suoi momenti. Non c'era stato, era sparito, facendola cadere in pezzi e poi tutto quello che era successo con sua madre, lei che aveva dovuto affrontare da sola un qualcosa che l'aveva resa più fragile e le aveva fatto crescere attorno mura invalicabili, solo per nascondere dietro queste la bambina che ancora era: fragile e imperfetta, diversamente da come volesse apparire agli occhi dei più.
    Era andata da lui.
    Lo immaginava.
    Era sempre tornata da ognuno di loro. Alla ricerca di domande, di spiegazioni.
    Sentì quell'immensa pausa e il braccio al suo fianco si strinse ancora.
    Lui era ancora lì.
    Non la stava allontanando.
    E se questo fosse bastato per farla continuare, allora lui le avrebbe fatto sentire il calore di quell'abbraccio, affinché lei potesse vomitare fuori quello che la stava schiacciando.
    Eppure, quell'epilogo...
    Mandò giù a vuoto.
    Se poteva immaginare? Certo. Per quanto volesse ricacciare via quell'immagine di lei che si concedeva a quella persona di merda che Lucas continuava a non sopportare.
    Guardò il fuoco, ritrovando quel calore tipico della fiamma che ardeva.
    La mascella si indurì al pensiero che Evans avesse toccato ancora il corpo di Liz, che avesse potuto di nuovo trattarla come un suo oggetto, per quanto era consapevole che anche lei glielo avesse permesso.
    Ci mise un po' a metabolizzare la cosa, cercando di soffermarsi sulla sua ultima frase.

    «Ti ha fatto qualcosa?»

    Ringhiò piano, non allontanandosi da lei, ma anzi cercando di farle pressione affinché potesse poggiare il capo sulla sua spalla, sollevando la mano che prima era sul fianco della ragazza e prendendo dolcemente una ciocca di capelli. Il suo tono, però, non poteva nasconderlo, era troppo impulsivo e avrebbe sentito la durezza di quelle parole, mal celare il fastidio nel pensare che Joshua l'avesse ridotta a quello stato, ma chiedendosi anche che ruolo avesse avuto Cameron nella commedia.

    «Perché ti ha lasciata qui, Liz? Da sola. Al freddo. Dov'è Cohen, Liz?»

    Glielo chiese ancora, questa volta imprimendo di più il tono su quelle parole.
    Rimase ancora un po' in silenzio, guardando fisso il traballare del piccolo falò.
    Se era ferito? Sì, lo era. Si chiedeva perché ogni volta che Evans apparisse, lei tornasse da lui. Non poteva davvero farne a meno? E - ancora una volta - si ritrovò a chiedersi perché lui.
    Non che apprezzasse Cohen, trovandolo un rincitrullito senza cervello e con una faccia da schiaffi, ma Lucas avrebbe preferito mille volte il dioptase all'ametrin, forse perché ancora bruciava quel passato, forse perché sapeva che lei meritava il meglio che c'era sul mercato ed Evans non lo era.

    «Tu meriteresti solo il meglio...»

    Lasciò scivolare quella frase in un mormorio basso, che se solo la fiamma avesse scoppiettato un po' più forte, sarebbe stato coperto. Un pensiero che era volato via, sganciandosi dalla sua mente per prendere voce, senza che lui se ne rendesse conto in tempo.
    lucas j. jones

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    Qualcuno diceva che certe storie non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano ed ora Elisabeth poteva affermare come fosse veritiero. Avrebbe potuto farlo prima quando era tornata nella vita di Lucas, con lui che stava con quell'ametrina che l'aveva persino pietrificata, ma non l'aveva fatto. Forse perché credeva che il ritorno fosse legato più alla chiusura di un cerchio, un po' come quello che avevano fatto nella stanza delle necessità tempo prima. Lo aveva capito solo quando aveva reincontrato quello sguardo tormentato nel suo, comprendendo come fosse comunque sì ritornato ma non come prima. Quello lo aveva compreso mentre si lasciavano bruciare dalla passione di un amplesso rude, veloce, sporco. Non c'era stato un briciolo di amore in quell'unione carnale, o perlomeno non quello che aveva sperimentato in quel weekend a Bath.
    Eppure aveva amato i due in un modo sincero; erano stati i primi in qualcosa e quello non gli sarebbe mai stato tolto. E poi c'era Cameron. Cameron e la sua rabbia, la sua forza distruttiva. Lo aveva sottovalutato perché non l'avrebbe mai potuto ritenere capace di entrarle dentro senza che neanche se ne accorgesse se non quando ormai era troppo tardi.
    Tre ragazzi che aveva amato a modo suo, uno in modo diverso dall'altro. Ed ora con lei, ubriaca ma in via di recupero di lucidità, c'era il primo bacio. Lucas con quel suo fare totalizzante quando si trattava di donarsi a qualcuno, così tanto da riuscire a gestire e non era mai riuscita ad apprezzarlo del tutto, non davvero. Poteva classificarlo quasi come la persona giusta, al momento giusto, ma per la persona sbagliata.
    Non se la prese quando ignorò il suo consiglio-diktat, commentando il tutto con «fa come vuoi» un po' stizzito. Si preoccupava per lui ma lui aveva solo occhi che per lei. Lo sentiva su di sé quello sguardo cristallino indagatore, la minima traccia di qualcosa fuori posto, il calcolo dei danni visibili ed invisibili e il cervello che già era pronto a somministrarle una cura. «Avresti dovuto fare il medimago» biascicò, un probabile tassello ulteriore alla diagnosi di ubriachezza ma una verità che forse solo lei vedeva. Una missione di cura e non quella per vincere il premio Pulitzer. Esistevano medimaghi giornalisti?
    Stava solo prendendo tempo per iniziare il suo racconto, stretta in quel braccio che rimase comunque sulle sue spalle, un braccio che li avvicinò ancora di più nonostante stesse riaprendo vecchie ferite per inserirne di nuove. Stava davvero parlando con il suo ex ragazzo del ragazzo per cui l'aveva lasciato chiedendogli del tempo? E seppur priva di tatto cercò di essere il meno invasiva possibile, lanciando molti sottintesi evidenti e limpidi che sapeva avrebbero creato immagini di lei e dell'altro, in nuovi scenari che si aggiungevano a quelli vecchi. Poteva paragonarlo ad un episodio speciale di una prima stagione in attesa della successiva? Chiunque stesse buttando giù la sceneggiatura della sua vita, episodio dopo episodio, sembrava essere una persona amante dei drammi, del dolore a tutti i costi e dai finali agrodolci. Quando avrebbe chiuso quella serie?
    Continuava a parlare, ricevendo in risposta silenzio ma presenza. Lucas non si era allontanato, mai, neanche per un secondo, neanche quando le cose si erano fatte orribili. E non stava parlando solo di quel momento tra i picchi di Denrise. Ignorò la prima domanda, allungando ancora di più le maniche dei suoi vestiti fin oltre la punta delle dita, trovando rifugio nella curva del suo collo, inspirando quel profumo di fresco, pulito, di lui. I profumi erano la sua condanna.
    «Via», si strinse ancor di più nelle spalle. «Penso sia tornato a scuola», lo stava proteggendo perché non voleva che si aggiungesse anche il tassello di violento alle sue caratteristiche. Se lo avessero fatto con lui il discorso doveva valere anche per lei visto che era stata la prima a percuoterlo. Certo, non aveva usato la stessa forza ma...
    «No, Jug, io non merito proprio nulla». Ammise. Aveva fatto di tutto per meritarselo ma l'aveva mandato a monte, proprio come aveva fatto con lui.
    Primo bacio: lui era troppo perfetto che lei si sentiva imperfetta, per quanto lo avesse voluto, desiderato, amato lo aveva distrutto.
    Prima volta: lui-lei-l'altro. Era disposta a perdere una parte di sé pur di averne un pezzettino. Non poteva mettere la mano sul fuoco e uscirne indenne mentre diceva che non ci sarebbe cascata di nuovo. Croce e delizia. Forse ci avrebbe pensato qualcos'altro a dare un punto fermo. O qualcun altro.
    Prima volta in cui ha cercato davvero di non dare retta a quello che provava davvero: si è visto com'è finita. «Non merito il meglio perché finirei per distruggerlo, proprio come quello che ho fatto con noi due».
    Seppure le parole avessero dovuto avere come naturale conseguenza un loro allontanamento fisico, Liz si strinse di più, aggrappandosi ai suoi vestiti e non lasciandolo andare. «Non voglio essere solo il suo "meno male", voglio essere il suo tutto». Ma al massimo ora tutto quello che poteva pretendere era la sua tomba.
    «Delle volte desidero ancora di essere rimasta in quella vecchia cabina delle fototessere, sembrava tutto più reale, vivo, semplice».
    Elisabeth
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    Se Lucas fosse stato un po' meno masochista e un po' meno legato con l'anima a quella opalina, probabilmente non sarebbe arrivato fin lì, con il fiato in gola a pungergli ogni volta che mandava giù, con ogni probabilità avrebbe cercato una scusa qualsiasi per non raggiungerla, ma forse un po' aveva ragione Jessica, quando Liz chiamava, lui non sapeva dirle no. E non perché era il suo cagnolino, non perchè era un sottone, ma perché quando lei chiamava, non era mai per un futile motivo. Quella bambina cresciuta troppo in fretta e di cui lui si era innamorato già troppe volte. Era ogni giorno diversa, ogni giorno più matura, ma meno consapevole di cosa fosse. E poi, loro giravano intorno, ma sapevano sempre come ritrovare la strada per tornare l'uno dall'altro e anche quella volta si stava dimostrando reale quella teoria.
    L'unica cosa che Lucas non riusciva a chiedersi era perché dovesse essere sempre lui a recuperare i pezzi di una qualche rottura, non aveva nemmeno intenzione di domandarselo, quando vi era di mezzo la Lynch, l'impeto di raggiungerla superava qualsiasi altro razionale quesito.
    Elisabeth era per Lucas, quello che per Rose era il cuore dell'Oceano, nel film Titanic. Ma non lo avrebbe mai lasciato perdersi negli abissi, anzi avrebbe sempre lottato per riportarlo a galla, per difenderlo dai predatori e per rendere giustizia a quel viso con un sorriso.
    Sorriso che non abbandono il suo volto nemmeno a quel fare stizzito per aver rifiutato la coperta. Non aveva freddo, e se ne avesse avvertito anche solo un brivido avrebbe provveduto a fare ciò che era necessario per coprirsi, nonostante quel fuoco desse il calore essenziale per evitare che ne soffrisse, senza metter da parte la sua vicinanza.
    Aggrottò la fronte, quasi divertito da quella sua affermazione sbiascicata tra un soffio di vodka ed un altro.

    «Ne terrò conto qualora la mia carriera da giornalista non vada come deve.»

    Il tono era ironico, ma con quel calore che concedeva a lei ogni volta che parlavano. Era come se non riuscisse a trovare altro modo di rivolgersi a lei. I suoi occhi di ghiaccio ne guardavano i lineamenti su cui il fuoco giocava di luci ed ombre, risaltando il ceruleo dei suoi occhi, che sembravano provati non solo dall'alcol, ma anche dal peso di qualcosa che era difficile da mandare giù. E lui aveva tutta la voglia e la forza di dividere con lei quel peso, perché non vi sarebbe stato fardello che Liz non avrebbe potuto appoggiare sulle sue spalle, che lui non avrebbe aiutato a reggere. Più parlava, più comprendeva quale fosse il carico che gravava su di lei e forse, per un frangente rapidissimo, pensò che era troppo grande anche per entrambi, ma quando sentì l'altra muoversi come un gatto infreddolito, alla ricerca di protezione, si sentì di poter sollevare il suo mondo e quello di Liz, per trovare una soluzione e farli orbitare di nuovo su piani ancestrali paralleli. La strinse, come se avesse il timore che gli scivolasse dalle mani, a volerle far sentire la propria presenza lì e si perse, poggiando le labbra sui suoi capelli, nel profumo del suo balsamo, misto alla legna bruciata di quel falò e all'aria pungente dei monti. Il braccio salì sulla sua spalla, accompagnandola in quella stretta, mentre il sinistro che era libero, ricercò la una delle sue mani mantate dalla felpa, ma senza tirarla fuori dal tessuto. Se glielo avesse concesso l'avrebbe sollevata a portarla alle proprie labbra per poggiarle sul tessuto della felpa e concederle un bacio su quelle dita nascoste, mentre le proprie avrebbero tentato di ricercarle all'interno del foro d'entrata, solo a sfiorarne le punte, facendole sentire il calore delle proprie dita.
    Cohen era un coglione. Non sarebbe valsa nessuna scusante per lasciare Elisabeth lì, da sola, nemmeno la più pessima delle verità. E lui ne sapeva molto più del Dioptase, quando era stata lei a decidere di chiudere alle proprie spalle la porta della sua dependance, mentre lui faceva i conti con l'amara certezza di dover dividere il suo interesse con qualcun altro.
    Sentì quelle parole, come se fossero lame fredde che gli penetravano nel petto. Aveva distrutto qualcosa tra loro. E per qualche istante ricordò quanto era stato deleterio il periodo dopo, quanto aveva sofferto e come qualche volta quella ferita bruciava ancora. Quasi come se avesse avvertito questo cupo pensare, Liz si aggrappò a lui, ancora a tenerla salda sulla terra ferma, non lasciando che lei cadesse nell'oblio dei suoi errori. Ma lui? Sarebbe riuscito ad affrontare questo? Il ritorno di Joshua, l'idea che ancora una volta ne aveva fatto di lei pedina dei suoi giochi, l'abbandono di Cohen su quei monti.

    «Io sono qui, Liz... e ci sarò sempre, ricordi? Te l'ho promesso. Ogni giro immenso che faremo, noi ritorneremo sempre a trovare la strada l'uno per l'altro. E non importa come o quando... non hai distrutto nulla. Siamo riusciti solo a trasformare tutto...»

    Le sue parole erano dette piano, in un sussurro dolce, quasi a voler diventare emoliente per la sua testa. Socchiuse gli occhi e rivide quel volto che lo aveva raccolto dalle scale quel primo anno, quando era tornato da chissà dove con la faccia totalmente tumefatta di pugni. Quella perfetta acidella che nonostante fosse fuori dall'orario consentito, lo aveva coperto, portandolo in quella piccola stanza. Solo loro due. E lei che le faceva da principe azzurro e rivide in quegli occhi la leggerezza di quella Elisabeth che ancora non aveva conosciuto mille errori e mille problemi, che non era stata costretta a scegliere in fretta di crescere e diventare una donna. Quella ragazzina che aveva scoperto in quello sgabuzzino, la sua passione nell'osservarla da lontano, ma che quella sera aveva mangiato le distanze che li dividevano e lui, per la prima volta, aveva avuto il coraggio di sentire il suo profumo e il morbido della sua pelle.
    Quei ricordi gli balzarono agli occhi come se avesse schiacciato il tasto rewind, tornando indietro di così tanti anni. Non poteva lasciarla lì, non anche lui, non lo avrebbe fatto, fosse l'ultima cosa che poteva permettersi. E quasi a conferma di questo, la strinse ancora una volta, avvicinando il proprio petto affinché lei si potesse aggrappare al meglio e allungando la gamba sinistra davanti a loro, a sfiorare la sua.
    Lucas scosse il capo, a far scivolare ancora una volta le labbra sulla testa dell'altra a concedergli un morbido bacio, mentre le dita cercarono un polso di quelle mani che si aggrapparono ai suoi vestiti, per sentirla ancora una volta.
    Poi quella frase, quel desiderio.
    Una fitta al petto che lo portò quasi a irrigidirsi e lei avrebbe potuto sentire il suo corpo rizzarsi appena, e forse il battito del suo cuore fermarsi. Mando giù a vuoto, quasi come se quelle parole avessero fatto vibrare il suo sangue a farlo bruciare più di quella fiamma che ardeva davanti a loro.

    «Hey, Liz

    Cercò di imprimere quanta più dolcezza in quelle poche lettere fatte scivolare sulla propria lingua, quindi avrebbe tentato di afferrare le sue spalle e di allonarla quel poco che bastava per guardarla in volto. Se ci fosse riuscito lei avrebbe trovato il ghiaccio dei suoi occhi a sorriderle prima ancora delle proprie labbra, che ritrovarono la forza di curvarsi solo se lei lo avesse guardato negli occhi. Avrebbe tentato di avvicinare la propria fronte a quella dell'altra, respirando di nuovo quel mix di profumi che li stava innondando.

    «Io sono qui. Reale, vivo, semplice. E non mi interessa di niente, qui ci siamo io e te... nient'altro. Lascia andare le tue paure, ok? Non ci servono cabine, non ci servono stanze delle necessità. Bastiamo io e te... Divideremo sempre qualsiasi peso, in qualsiasi situazione ci troveremo. Perché alla fine, si torna sempre dove si è stati bene, giusto? Resta con me stasera... ti proteggerò io, ok?»

    Ma da cosa doveva proteggerla? Da se stessa? Da tutto il mondo? A lui non interessava, quel che contava è che l'altra trovasse anche solo un attimo di pace. Tentò di sollevare le proprie dita a sfiorarle dolcemente la guancia, ma senza esagerare, come se avesse paura che fosse qualcosa di troppo frangibile. Sbuffò un sorriso nostalgico.

    «Ricordi... facciamo qualcosa di perfetto.»

    E non c'era bisogno di chiedersi cosa fosse quel qualcosa, qualsiasi cosa sarebbe stata perfetta, perché c'erano loro.
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    Stava smarrendo la strada. Sembrava quasi che il percorso che aveva fatto negli ultimi anni non fosse mai avvenuto. Si sentiva ancora come quella ragazzina impaurita, che si trovava a fronteggiare qualcosa di più grande di lei, di totalizzante come poteva essere l'amore a quell'età. Sembrava come se quella consapevolezza, quella forza che aveva ritrovato al momento della morte della madre per risorgere dalle ceneri del lutto fosse stata completamente esaurita dall'ultimo litigio con Cohen. Non erano stati anni facili, persino la più piccola delle gentilezze la vedeva come un'arma da cui difendersi, finendo col preferire la solitudine e la compagnia della persona che più avrebbe potuto capirla. Si era chiusa a riccio, credendo di essere invincibile, intoccabile da quello che le veniva urlato contro, gli sguardi carichi di giudizio e
    condanna, ma alla fine era stata tutta un'illusione. Il suo mondo stava collassando e l'unico che era giunto al suo fianco era stato il solito Lucas Jug Jones. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava da pochi messaggi, aveva lasciato tutto e si era incamminato fino a lì solo per recuperarla. Era l'ennesima dimostrazione di come l'ametrino “sbagliato” ci tenesse a lei, andando oltre il fatto di averlo spezzato più volte, di come in qualche modo quella relazione nata sotto la migliore stella fosse riuscita ad evolversi in uno strano rapporto di amicizia. Eppure... «Non è la stessa cosa», mormorò, appoggiandosi a lui, ricercando quel calore che non sembrava mai raggiungerla perché forse il vero gelo era dentro di lei.
    Un bacio sulla fronte che sembrava più un marchio e non una carezza. E ammise che una parte di lei sarebbe voluta rimanere cristallizzata nel tempo, senza conoscere l'odio, il dolore, la perdita, parole che simboleggiavano la crescita, la maturità, l'età adulta. E quel nome sussurrato sollevò lo sguardo nel suo, non trovandovi altro che affetto profondo, comprensione e qualcosa che non riusciva ad afferrare. Non gli permise di far unire le loro fronti, perché non avrebbe potuto resistere al ricordo rinnovato di Josh. Rimasero vicini, forse troppo, ma non si scostò. Lo sentì promettere di prendersi cura di lei, di dividere i loro fardelli e di portarli avanti insieme. Gli stava dando tutto, per l'ennesima volta, anche troppo. «Okay», biascicò, annuendo e poi sorridendo nostalgicamente a quelle poche parole che avevano segnato l'inizio di tutto.
    «Qualcosa di perfetto». Parole che rotolarono via, libere, potenti ed inarrestabili. Così come inarrestabile fu l'avvicinarsi delle labbra di lei su quelle di lui. L'ultima volta che era successo fu nel suo letto, lei piena di dubbi e di sovrapposizioni, lui ferito per quello che aveva appena saputo. Non sapeva che quello fosse l'ultimo bacio che si sarebbero mai dati. Forse l'avrebbe reso diverso, forse se solo fosse stata più brava nel mascherare le cose, a non voler sempre propendere per la verità ora la narrazione sarebbe stata diversa.
    Ma quello sui monti fu un bacio lieve, quasi incredulo, perché dopo pochi secondi si staccò, portandosi la mano alla bocca e sgranando gli occhi. «Oddio, no, scusa, non volevo, non so neanche se tu hai», si bloccò, scuotendo la testa, ancora troppo sconvolta da quello che aveva appena fatto. «E poi Cam, Josh, è tutto un casino», continuava a parlare a ruota libera, senza riuscire a trovare il modo per fermarsi; neanche quando prese il viso di lui tra le mani, naso contro naso affinché lui la guardasse e vi leggesse scuse e nient'altro. «Non posso avvelenare anche te, Jug».
    Elisabeth
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    Smarrire la strada era quasi una necessità a quell'età. Non c'era altro che iniziare ad intraprendere quelle vie errate, per poi ritrovare quella giusta, no? La vita era fatta di questo, salite e discese, alcune più facili, alcune più complesse. E nella vita di un adolescente, verso il mondo degli adulti, era tutto un sali e scendi di bivi e biforcazioni.
    Elisabeth Lynch era solo inciampata in uno dei più difficili fossi che il terreno le aveva messo davanti ed invece di saltarlo, aveva preferito vedere quanto fosse profondo, per poter poi risalire da questo, scalandone le pareti aride e dure, per venirne fuori più splendente di prima.
    Credeva che quello davanti a lei fosse il solito Lucas Jughed Jones. Il suo Jug; ma si sbagliava. Davanti aveva un ragazzo diverso, un ragazzo che aveva la consapevolezza delle sue azioni, di quello che faceva e che aveva deliberatamente deciso di essere da lei, non perché fosse necessario che lei lo notasse, ma perché lo voleva. Era questo che distingueva i due: lui sceglieva ciò che voleva, consapevole che sarebbe potuto essere un errore, ma già preparato a limarne le conseguenze. Lei, invece, sembrava scegliere ciò che voleva, per poi essere schiacciata dalle conseguenze. Al moro sarebbe bastato anche un semplice hey dell'altra per capire se c'era qualcosa che non andasse e sapeva che, seppur fosse stata silente, lui le avrebbe letto negli occhi qualsiasi stato d'animo. Era un Jug diverso, prima aveva paura di quel contatto, di quel star vicino a lei; adesso si prendeva il suo spazio e pretendeva quel calore, senza nemmeno star lì a farle notare niente di tutto questo. Aveva retto alle rotture che il loro rapporto aveva portato diverse volte, aveva letto nei suoi occhi la fragilità e l'inadeguatezza che aveva provato, quella sera d'estate, quando aveva compreso che lui non era solo e ora, in quelle iridi cerulee che lui aveva sempre amato, stava leggendo la paura dei suoi errori, la paura del rimanere sola senza un pezzo prezioso che aveva capito tardi di desiderare.
    Quello che provava per Elisabeth sarebbe stato indefinito ogni volta che si sarebbero visti, come se non bastassero parole per delineare quello che erano. Sentì le sue parole e sbuffò un sorriso, smuovendole appena qualche ciuffo di capelli.

    «Hai ragione, Liz. Non sarà mai la stessa cosa, sarà sempre diversa e sta a noi riscoprirci ogni volta, tutte le volte che ne avremo voglia.»

    E quelle parole le pensava davvero, pensava seriamente che finché avessero avuto voglia, non ci sarebbero stati limiti per riscoprire il sapore nuovo di quel rapporto che si modellava passo dopo passo, adeguandosi sempre perfettamente a quello che era loro. Riuscivano a trovare la perfezione anche quando da soli sembravano pezzi a se stanti di puzzle diversi. Sigillò quelle parole con quel bacio sulla fronte, come se volesse imprimere la sigla di quello che erano, per sempre, sotto la sua cute, in un segno invisibile che poteva sapere solo lei dov'era stato posto.
    Guardò i suoi occhi volgergli attenzione e vi ritrovò dentro la fragilità che ormai la caratterizzava da troppo tempo. Le sue parole non era un così per dire, lei lo sapeva, qualsiasi sarebbe stato il loro rapporto, avrebbero dimezzato il peso, perché - non potevano nasconderlo - con il peso a metà, la salita era più facile, no?
    Finalmente le labbra di lei si curvarono in un sorriso, intrinseco di nostalgia, ma era pur sempre un sorriso. Lucas si riscoprì a far scivolare gli occhi su quella parentesi melanconica, per poi tornare a specchiarsi nelle iridi chiare. Sentì ripetere quelle parole, come se l'arrotolarsi della sua lingua avesse generato un filamento di calore che piano ne stava avvolgendo le spalle. Un calore che si tramutò in un sovrapporsi delle loro labbra, quasi a ritrovar respiro tranquillo, a cui lui socchiuse gli occhi, come a voler confermare la sua totale presenza lì per lei, quella sera. E così come il loro rapporto era cambiato, anche il sapore di quella pelle morbida e carnosa era variato: quell'ultima volta aveva avuto un sapore salato e agre, fatto di lacrime e delusione. Ora sembrava il frutto maturo di un qualcosa di nuovo. Era come riscoprire il calore familiare, come quando si entra in casa e fuori c'è la neve e il freddo, ma lì, il tepore ti avvolge e capisci che non c'è posto migliore dove rifugiarsi, quando fuori la bufera irruenta spinge.
    Piano riaprì gli occhi quando sentì quel calore allontanarsi, consapevole che sarebbe terminato di lì a breve. Eppure, mentre lei andava completamente in panico, la reazione di Lucas fu completamente diversa. Non si allontanò, non lasciò andare il suo corpo facendolo cadere nel freddo, sarebbe rimasto lì, mal celando un ghigno divertito da quel suo parlare a ruota libera, mentre corrugava la fronte, tranquillo e pacato.

    «Liz...»

    Provò a fermare quel correre di parole, chiamandola ancora un paio di volte, inutilmente. Era fin troppo tranquillo, sospirò, lasciando che continuasse a parlare a ruota libera, fino a che non sentì le sue mani alle guance e quel naso freddo cozzare col proprio. Rise, addolcito da quel suo modo di fare, da quel suo modo di essere, dove non vedeva alcun veleno.
    Le mani si sollevarono al suo di viso e ne sfiorarono la pelle.

    «Non so se ti sei fermata perché non avevi più fiato o altro. E... hai un naso ghiacciatissimo, maledizione, prenderai un raffreddore.»

    La prese in giro, in un sussurro carico di quella tenerezza che le aveva riservato. Ancora quel suo dire che non poteva, come quella volta che era sparita mentre le preparava la colazione, non posso restare qui, Jug. E ora non poteva, ancora una volta. Sospirò.

    «Cosa non ho? Qualcuno? No. Non ho nessuno...»

    Il suo parlare era basso e caldo, intrinseco di una serenità disarmante, come se ogni passo che stesse facendo lei, nella sua testa era già stato pesato e valutato.

    «Rallenta, Liz. Ferma questa amabile testolina, frena. Respira con me. Basta scusarsi, anche con quegli occhietti, ok? Domani, probabilmente, io non ci sarò o sarò troppo lontano per mettere un freno a tutte queste parole, ma stasera sì. Sarò qui con te anche tutta la notte, perché ho scelto di salire su questa montagna e venirti a recuperare. Devi solo dirmi cosa vuoi fare e lo faremo, sono tutt'orecchie.»

    Le sfiorò una ciocca di capelli, spostandola dietro l'orecchio, mentre il sorriso dolce non si spegneva sulle proprie labbra. Piano le si avvicinò ancora, per fargli sentire il calore del suo respiro sulla pelle delle labbra.

    «Nessun veleno, Liz. Sono immune... lascia piuttosto... che sia il tuo antidoto, almeno per stasera, da domani ricomincerai a mettere i pezzi al proprio posto, ok? Ora... ssshhh...»

    Parlando le avrebbe sfiorato nuovamente le labbra, e se avesse concesso, avrebbe inclinato il capo per concederle un bacio ancor più caldo, sul labbro inferiore, a cui avrebbe impresso una pressione leggera, un sigillo nuovo. Avrebbe voluto toglierle il sapore di essere un veleno, avrebbe desiderato far sì che si sentisse lei curata e non la causa dei mali di tutti, perché in fondo, lui era salito lassù solo per questo, perché la vera avvelenata era lei. E avrebbe cercato di diluire ogni suo respiro, cercando di renderlo meno tossico per se stessa, mentre attendeva cosa realmente voleva fare quella notte, in cui sarebbe rimasto anche solo a scaldarle le spalle fino al giorno dopo, vedendo la legna bruciarsi lentamente.
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    Non riusciva a spiegarsi come Lucas continuasse a dimostrare un spirito di adattamento ed una capacità di perdono tali da equipararlo ad un santo.
    Due antipodi che trovavano il modo di comunicare, nonostante quello che avevano vissuto, di creare qualcosa di nuovo da pezzi così infinitesimali da passare inosservati agli occhi dei più distratti e frettolosi. Elisabeth nutriva rispetto per quel ragazzo col cappello che aveva fatto così tanta strada da quando, in una delle sue ronde, l'aveva trovato grondante di sangue, il viso tumefatto ed i lividi già a presentare il loro conto. Avevano affrontato i loro demoni, magari non erano riusciti neanche a sconfiggerli, talvolta preferendo aggirarli invece che incontrarli in campo aperto, eppure... lui era lì.
    Lui era lì, ad ascoltare i suoi deliri che non potevano più usare la scusa dell'essere alticcia; lui era lì, a sentire che ancora una volta Joshua avesse scatenato un vero e proprio terremoto nell'equilibrio precario che era la sua vita; lui era lì, mentre realizzava che voleva Cameron Cohen, ma aveva paura di ammetterlo o forse realizzare che una volta avuto non era poi quello che aveva desiderato. Dietro di lei solo le macerie delle sue scelte, nessun posto migliore dopo il suo passaggio, nessuna speranza o rinascita. Beh, magari gli altri che avevano avuto a che fare con il suo pessimo carattere avrebbero trovato il modo per fiorire come aveva fatto Jones.
    Agì, senza pensarci troppo, senza sapere neanche lei cosa stesse davvero facendo: un bacio ben diverso da quelli che avevano condiviso, lontano anni luce da quel primo timido sfioramento di labbra dove lei gli aveva chiesto di insegnarle. Aveva appreso fin troppo bene la lezione, dati quelli che ne erano seguiti con persone diverse. Quel bacio brevissimo, quasi infantile nelle intenzioni e nelle movenze, ebbe il sapore agrodolce di qualcosa di bello ma che era passato. Si allontanò veloce come si era avvicinata, iniziando ad intervallare parole ad un anelare sempre più caratterizzato dal panico, sorda ai suoi richiami, fino a quando non le intrappolò il viso con le mani, rivelando quanto fosse più preoccupato che potesse prendersi un malanno e non di averlo baciato. «Perché le tue priorità non sono normali?» Pensò, scuotendo il capo, incredula della sua gentilezza e poi stupita per il fatto che, per una volta, non c'era un terzo che poteva essere ferito da quel gesto. «Tranne Cameron». Odiava la voce della coscienza che ora cercava di affacciarsi dalla sua loggetta per ammirare lo spettacolo: lui che aveva ridotto le distanze tra loro, dove sarebbe bastato uno sbilanciamento per permettere alle loro labbra di incontrarsi di nuovo. Quello e la promessa insita nelle sue parole. «Solo per stasera», ripetè, lasciando che tornasse a familiarizzare con le sue labbra, e lei con lui. Un bacio che nacque lento, un veleno che lei spargeva ma che lui curava con il suo antidoto. Non aveva senso, non sapeva più cosa avesse senso, fatto fu che approfondì quel bacio, chiudendo gli occhi e scacciando via l'immagine di Cameron Cohen che saliva su Ashura per volare via. Via da lei. Lo baciò, beandosi di quel senso di familiarità che aveva il potere di farla stare meglio, di non pensare al risveglio duro che ne sarebbe seguito. Ma quello sarebbe stato l'indomani, non oggi. In fondo gliel'aveva promesso.
    Elisabeth
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    Non c'era bisogno di cercare più spiegazioni, non aveva necessità di trovare una razionalità al suo essere sempre pronto a raccogliere i frammenti di Elisabeth. Glielo aveva promesso diverso tempo prima, se non esplicitamente, lo aveva fatto dimostrandole che in qualsiasi momento della sua vita si trovasse, lui ci sarebbe stato e l'avrebbe aiutata a ritrovare se stessa, qualora ce ne fosse stato bisogno, o a ricucirle ferite che da sola credeva di non poter riuscire a rimarginare.
    Tenerla fuori dalla propria vita era impossibile, Liz avrebbe avuto sempre un posto dentro di lui e sarebbe riuscita sempre a trovare uno spazio per posizionarsi in qualche angolo della sua esistenza; anche quel suo apparire da lui, all'improvviso, quell'estate che era tornata, era stata l'ennesima dimostrazione che per quanto si sforzassero di starsi lontani, tornavano sempre dall'altro, come se fosse il porto sicuro, la zona franca dove poter rifocillare corpo, mente e spirito. Avrebbero dimezzato il peso delle sue pene, perchè lei necessitava di qualcuno che l'aiutasse a ritrovare se stessa, ma se era schiacciata da tutto quello che le crollava addosso, non avrebbe mai potuto vedere quanto di forte c'era dentro di lei.
    Non era più l'alcol a parlare, non era più la necessità di fare danni a muoverli, era il bisogno di sentire, almeno una volta, la leggerezza di un qualcosa che sarebbe durato solo per quell'istante, quel momento in cui avrebbe - il Jones - voluto fermare il tempo per concedere a Lynch una pausa che meritava.
    Lui non sarebbe andato via se l'indomani sarebbe tornata tra le braccia di Joshua o di Cameron o di quell'energumeno denrisiano che era sparito peggio di Matteotti (?) e lei non sarebbe mai andata via, non sarebbe mai sparita come Iside, dea dell'Amore che abbandona il trono regale per vagare nel mondo e far perdere le tracce di sé; lei, come la luna in ombra durante il Novilunio, sarebbe stata una costante nella vita di Lucas.
    E quando le loro labbra si sfiorarono, Lucas ritrovò la morbidezza di quella semplicità che nella stanza delle necessità aveva assaggiato per la prima volta, così come rintracciò quel gesto così naturale di lei nell'avvicinarsi e poi ritrarsi, come se fosse un bacio rubato durante i primi anni di asilo. Vedere il suo volto tra lo stupore e il terrore di aver mosso un passo sbagliato, fu ciò che ammorbidì le labbra di Lucas in un sorriso dal calore familiare per l'altra. Un sorriso che l'avrebbe accolta, ogni istante. Quel naso freddo venne subito stemprato da quello più tiepido dell'ametrino, che strisciò appena la punta a cercarne di recuperare la temperatura. Non c'era nessun altro, adesso, tra loro. Non c'era una terza persona che sarebbe stata ferita, per una volta Elisabeth poteva far cadere su di lui qualsiasi sua necessità, senza temere altro odio a trapanarle il cuore.
    Una promessa fatta di tutto quello che poteva concedergli, tutto se stesso, non era certo che sarebbe bastato, ma avrebbe fatto in modo che solo per quella sera, lei non avrebbe dovuto preoccuparsi di altro se non di lasciarsi curare da lui, dal suo calore e dalla sua semplicità.
    Annuì lentamente, lasciando che trovasse lo spazio per giungere di nuovo ad unire le loro labbra, mentre lui non fece altro, che accompagnarla in quei movimenti lenti.
    Sentì il calore di quel bacio scivolare piano sulla sua pelle, il sapore agrodolce che si mischiava al veleno che lei credeva lo potesse infettare, veniva reso innocuo dal lenitivo che stava lasciando dentro di lei, addolcendo ancora di più, mentre con il dorso della mano destra ne avrebbe sfiorato la guancia, lentamente, come velo che scivolava su quella pelle liscia. Riaprì gli occhi e lentamente discostò le labbra, ma senza prendere troppa distanza, così che lei potesse sentire ancora il calore del respiro del moro sull'epidermide. Voleva dirle qualcosa, ma sentì la necessità di rubare, ancora una volta, il labbro inferiore a concederle un altro bacio, spingendo appena su quella carne morbida.
    A malincuore dovette staccarsi ancora, le sorrise, mentre la mano scivolava ancora su quella pelle del viso.

    «Entriamo dentro... prenderai troppo freddo... non me lo perdonerei, Liz...»

    Era un sussurro troppo vicino a quelle labbra, così tanto a breve distanza che proferirlo fece sì che le sfiorasse di nuovo, rapendole, questa volta con l'intenzione di delineare con piccoli baci il contorno dei boccioli. Avrebbe cercato la sua mano, un tocco delicato e non prepotente e se lo avesse concesso l'avrebbe accompagnata verso la tenda.
    Tuttavia a metà strada fermò il suo passo. La guardò, non dicendo una sola parola, trovandola perfetta anche con tutte quelle invisibili cicatrici che lui avrebbe voluto curare per quella notte. Avrebbe tentato di fare una leggera forza, tenendo dolcemente le sue dita, e se l'avesse concesso l'avrebbe avvicinata a lui, avvolgendole la vita e ritornando a danzare in quel bacio che necessitava di ulteriore spazio, come se fosse ossigeno, aria depurata che voleva donare al suo respiro, rubandogli quell'anidride carbonica che le stringeva i polmoni, mentre la sua mano ne scaldava la schiena, stringendola come fosse la cosa più preziosa tra quei monti, niente avrebbe potuto scalfirla, l'avrebbe difesa quella notte, da tutto e da tutti, mentre lentamente avrebbe fatto muovere passi indietro per portarla dentro al riparo dal freddo di quel luogo.
    lucas j. jones

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