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.Aveva dei piani per quella giornata: del cibo, alcol, un falò ed una tenda. L'idea era quella di far rilassare Cameron per poi spiegargli il perché del suo comportamento negli ultimi giorni. Nella trasparenza di una bottiglia di vodka però aveva compreso come quel modo di fare non le appartenesse e, non appena il Dioptase si era presentato, gli aveva rivelato tutto senza neanche prepararlo. Stupidamente credeva che non avrebbe reagito in quel modo. In realtà ci aveva sperato che non lo facesse sebbene la consapevolezza di aver rovinato tutto con lui era giunta non appena si era allontanata dall'aula in disuso. Parole pesanti erano volate, insinuazioni messe sul banco e speranze forse stroncate per sempre. Avevano usato persino parole strane per cercare di definirsi ma alla fine Cameron se ne era andato in groppa ad Ashura.
Poi le era squillato il magifonino. Per un attimo aveva pensato che fosse un suo messaggio di scuse ed un misto di delusione affiorò nel leggere il nome di Lucas.
Lucas che le proponeva del sushi. Il solo pensiero di mettere in bocca del pesce crudo le provocò un conato di vomito. No, aveva bisogno di altro, di qualcosa di caldo, come una zuppa o una cioccolata calda. Lo stomaco le mandò avvisaglie. Forse era meglio evitare il nettare degli dei.
Ci fu uno scambio di messaggi, molto lapidari da parte sua mentre Jones dimostrava tutta la sua preoccupazione. Aveva persino pensato di appellare la sua scopa e poi tornarsene in volo al castello ma barcollò nel tentativo di rimettersi in piedi, inciampando nella bottiglia che aveva sottratto al norvegese. La lasciò lì, ad inzuppare l'erba e ad osservare il fuoco che continuava ad ardere. L'unico sforzo che aveva fatto, dopo un banalissimo okay che gli aveva inviato in risposta, fu recuperare la coperta dallo zaino ed avvolgersela addosso. Non toccò più una goccia d'alcol, neanche del cibo se per questo, continuando a rivivere quanto accaduto nella sua mente; non si mosse neanche quando lo vide arrivare, sussurrando solo un «ehi» come segno di saluto. L'affanno di lui si manifestava in piccole nuvolette. Era solo in felpa e cappellino, un outfit non proprio adatto a quel clima. «Nella tenda troverai una coperta. Prendila» non voleva essere un ordine ma le uscì come tale. «Per te, dico, se no gelerai» aggiunse senza alcuna traccia di calore nella voce. Non l'aveva mai vista così, neanche dopo averla recuperata, insieme ad Evans, dai suoi carcerieri. Uno sbuffo accompagnò la sua affermazione circa il suo alito che sapeva di vodka. «Era da un po' che non lo facevo da sola», non c'era bisogno di dire quando le era già capitato visto che lui l'aveva recuperata semi incosciente nella sua piscina. Quanto all'assenza di Cohen non disse nulla. Non ricordava neanche di averglielo scritto per messaggio.
E quando si sistemò accanto a lei, cingendola con un braccio, Elisabeth concesse a lui quello che non aveva dato a Cameron: la storia dall'inizio e non dalla sua fine.
«Penso che tu abbia saputo del ritorno di Josh», iniziò lenta, lasciandosi andare contro quel corpo ancora caldo per via della corsa che probabilmente aveva fatto. «È sempre il tuo compagno di dormitorio, no?» Quanto sarebbe stato pesante per entrambi riaffrontare quella situazione che aveva il sapore agrodolce del deja-vu, ma aveva bisogno di farlo, di sfogarsi con qualcuno e Lucas c'era sempre, nonostante tutto. «Per me è stato traumatico ritrovarmelo a lezione. Lo sai, no, come sono i miei rapporti con i pettegolezzi che girano» -spoiler: sorda- «non so neanche come abbia fatto a resistere per l'intera ora a non guardarlo, a non fargli una scenata di quelle colossali per sapere il perché fosse andato via». Con la mano tra le loro gambe tentò di aggrappare dei fili d'erba ghiacciata e troppo corta per poter giocherellare come avrebbe voluto. «L'ho fatto qualche giorno dopo, ma senza pubblico ad osservarci». Il primo momento di difficoltà arrivò e per quanto si sforzasse di trovare modi che potessero essere delicati doveva mettere in conto che, probabilmente, anche con il tatto maggiore avrebbe ferito l'ametrino. «Puoi immaginare come sia andata a finire» -avrebbe ancora sentito il suo braccio stringerla?- «ed anche come l'abbia presa Cameron». Che non era Barnes ma neanche uno stinco di santo quanto a reazioni impetuose. I suoi polsi ora erano nascosti dalle maniche della felpa che indossava, dubitava che le avrebbe sollevate molto presto.Elisabeth
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.Qualcuno diceva che certe storie non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano ed ora Elisabeth poteva affermare come fosse veritiero. Avrebbe potuto farlo prima quando era tornata nella vita di Lucas, con lui che stava con quell'ametrina che l'aveva persino pietrificata, ma non l'aveva fatto. Forse perché credeva che il ritorno fosse legato più alla chiusura di un cerchio, un po' come quello che avevano fatto nella stanza delle necessità tempo prima. Lo aveva capito solo quando aveva reincontrato quello sguardo tormentato nel suo, comprendendo come fosse comunque sì ritornato ma non come prima. Quello lo aveva compreso mentre si lasciavano bruciare dalla passione di un amplesso rude, veloce, sporco. Non c'era stato un briciolo di amore in quell'unione carnale, o perlomeno non quello che aveva sperimentato in quel weekend a Bath.
Eppure aveva amato i due in un modo sincero; erano stati i primi in qualcosa e quello non gli sarebbe mai stato tolto. E poi c'era Cameron. Cameron e la sua rabbia, la sua forza distruttiva. Lo aveva sottovalutato perché non l'avrebbe mai potuto ritenere capace di entrarle dentro senza che neanche se ne accorgesse se non quando ormai era troppo tardi.
Tre ragazzi che aveva amato a modo suo, uno in modo diverso dall'altro. Ed ora con lei, ubriaca ma in via di recupero di lucidità, c'era il primo bacio. Lucas con quel suo fare totalizzante quando si trattava di donarsi a qualcuno, così tanto da riuscire a gestire e non era mai riuscita ad apprezzarlo del tutto, non davvero. Poteva classificarlo quasi come la persona giusta, al momento giusto, ma per la persona sbagliata.
Non se la prese quando ignorò il suo consiglio-diktat, commentando il tutto con «fa come vuoi» un po' stizzito. Si preoccupava per lui ma lui aveva solo occhi che per lei. Lo sentiva su di sé quello sguardo cristallino indagatore, la minima traccia di qualcosa fuori posto, il calcolo dei danni visibili ed invisibili e il cervello che già era pronto a somministrarle una cura. «Avresti dovuto fare il medimago» biascicò, un probabile tassello ulteriore alla diagnosi di ubriachezza ma una verità che forse solo lei vedeva. Una missione di cura e non quella per vincere il premio Pulitzer. Esistevano medimaghi giornalisti?
Stava solo prendendo tempo per iniziare il suo racconto, stretta in quel braccio che rimase comunque sulle sue spalle, un braccio che li avvicinò ancora di più nonostante stesse riaprendo vecchie ferite per inserirne di nuove. Stava davvero parlando con il suo ex ragazzo del ragazzo per cui l'aveva lasciato chiedendogli del tempo? E seppur priva di tatto cercò di essere il meno invasiva possibile, lanciando molti sottintesi evidenti e limpidi che sapeva avrebbero creato immagini di lei e dell'altro, in nuovi scenari che si aggiungevano a quelli vecchi. Poteva paragonarlo ad un episodio speciale di una prima stagione in attesa della successiva? Chiunque stesse buttando giù la sceneggiatura della sua vita, episodio dopo episodio, sembrava essere una persona amante dei drammi, del dolore a tutti i costi e dai finali agrodolci. Quando avrebbe chiuso quella serie?
Continuava a parlare, ricevendo in risposta silenzio ma presenza. Lucas non si era allontanato, mai, neanche per un secondo, neanche quando le cose si erano fatte orribili. E non stava parlando solo di quel momento tra i picchi di Denrise. Ignorò la prima domanda, allungando ancora di più le maniche dei suoi vestiti fin oltre la punta delle dita, trovando rifugio nella curva del suo collo, inspirando quel profumo di fresco, pulito, di lui. I profumi erano la sua condanna.
«Via», si strinse ancor di più nelle spalle. «Penso sia tornato a scuola», lo stava proteggendo perché non voleva che si aggiungesse anche il tassello di violento alle sue caratteristiche. Se lo avessero fatto con lui il discorso doveva valere anche per lei visto che era stata la prima a percuoterlo. Certo, non aveva usato la stessa forza ma...
«No, Jug, io non merito proprio nulla». Ammise. Aveva fatto di tutto per meritarselo ma l'aveva mandato a monte, proprio come aveva fatto con lui.
Primo bacio: lui era troppo perfetto che lei si sentiva imperfetta, per quanto lo avesse voluto, desiderato, amato lo aveva distrutto.
Prima volta: lui-lei-l'altro. Era disposta a perdere una parte di sé pur di averne un pezzettino. Non poteva mettere la mano sul fuoco e uscirne indenne mentre diceva che non ci sarebbe cascata di nuovo. Croce e delizia. Forse ci avrebbe pensato qualcos'altro a dare un punto fermo. O qualcun altro.
Prima volta in cui ha cercato davvero di non dare retta a quello che provava davvero: si è visto com'è finita. «Non merito il meglio perché finirei per distruggerlo, proprio come quello che ho fatto con noi due».
Seppure le parole avessero dovuto avere come naturale conseguenza un loro allontanamento fisico, Liz si strinse di più, aggrappandosi ai suoi vestiti e non lasciandolo andare. «Non voglio essere solo il suo "meno male", voglio essere il suo tutto». Ma al massimo ora tutto quello che poteva pretendere era la sua tomba.
«Delle volte desidero ancora di essere rimasta in quella vecchia cabina delle fototessere, sembrava tutto più reale, vivo, semplice».Elisabeth
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.Stava smarrendo la strada. Sembrava quasi che il percorso che aveva fatto negli ultimi anni non fosse mai avvenuto. Si sentiva ancora come quella ragazzina impaurita, che si trovava a fronteggiare qualcosa di più grande di lei, di totalizzante come poteva essere l'amore a quell'età. Sembrava come se quella consapevolezza, quella forza che aveva ritrovato al momento della morte della madre per risorgere dalle ceneri del lutto fosse stata completamente esaurita dall'ultimo litigio con Cohen. Non erano stati anni facili, persino la più piccola delle gentilezze la vedeva come un'arma da cui difendersi, finendo col preferire la solitudine e la compagnia della persona che più avrebbe potuto capirla. Si era chiusa a riccio, credendo di essere invincibile, intoccabile da quello che le veniva urlato contro, gli sguardi carichi di giudizio e
condanna, ma alla fine era stata tutta un'illusione. Il suo mondo stava collassando e l'unico che era giunto al suo fianco era stato il solito Lucas Jug Jones. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava da pochi messaggi, aveva lasciato tutto e si era incamminato fino a lì solo per recuperarla. Era l'ennesima dimostrazione di come l'ametrino “sbagliato” ci tenesse a lei, andando oltre il fatto di averlo spezzato più volte, di come in qualche modo quella relazione nata sotto la migliore stella fosse riuscita ad evolversi in uno strano rapporto di amicizia. Eppure... «Non è la stessa cosa», mormorò, appoggiandosi a lui, ricercando quel calore che non sembrava mai raggiungerla perché forse il vero gelo era dentro di lei.
Un bacio sulla fronte che sembrava più un marchio e non una carezza. E ammise che una parte di lei sarebbe voluta rimanere cristallizzata nel tempo, senza conoscere l'odio, il dolore, la perdita, parole che simboleggiavano la crescita, la maturità, l'età adulta. E quel nome sussurrato sollevò lo sguardo nel suo, non trovandovi altro che affetto profondo, comprensione e qualcosa che non riusciva ad afferrare. Non gli permise di far unire le loro fronti, perché non avrebbe potuto resistere al ricordo rinnovato di Josh. Rimasero vicini, forse troppo, ma non si scostò. Lo sentì promettere di prendersi cura di lei, di dividere i loro fardelli e di portarli avanti insieme. Gli stava dando tutto, per l'ennesima volta, anche troppo. «Okay», biascicò, annuendo e poi sorridendo nostalgicamente a quelle poche parole che avevano segnato l'inizio di tutto.
«Qualcosa di perfetto». Parole che rotolarono via, libere, potenti ed inarrestabili. Così come inarrestabile fu l'avvicinarsi delle labbra di lei su quelle di lui. L'ultima volta che era successo fu nel suo letto, lei piena di dubbi e di sovrapposizioni, lui ferito per quello che aveva appena saputo. Non sapeva che quello fosse l'ultimo bacio che si sarebbero mai dati. Forse l'avrebbe reso diverso, forse se solo fosse stata più brava nel mascherare le cose, a non voler sempre propendere per la verità ora la narrazione sarebbe stata diversa.
Ma quello sui monti fu un bacio lieve, quasi incredulo, perché dopo pochi secondi si staccò, portandosi la mano alla bocca e sgranando gli occhi. «Oddio, no, scusa, non volevo, non so neanche se tu hai», si bloccò, scuotendo la testa, ancora troppo sconvolta da quello che aveva appena fatto. «E poi Cam, Josh, è tutto un casino», continuava a parlare a ruota libera, senza riuscire a trovare il modo per fermarsi; neanche quando prese il viso di lui tra le mani, naso contro naso affinché lui la guardasse e vi leggesse scuse e nient'altro. «Non posso avvelenare anche te, Jug».Elisabeth
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.Non riusciva a spiegarsi come Lucas continuasse a dimostrare un spirito di adattamento ed una capacità di perdono tali da equipararlo ad un santo.
Due antipodi che trovavano il modo di comunicare, nonostante quello che avevano vissuto, di creare qualcosa di nuovo da pezzi così infinitesimali da passare inosservati agli occhi dei più distratti e frettolosi. Elisabeth nutriva rispetto per quel ragazzo col cappello che aveva fatto così tanta strada da quando, in una delle sue ronde, l'aveva trovato grondante di sangue, il viso tumefatto ed i lividi già a presentare il loro conto. Avevano affrontato i loro demoni, magari non erano riusciti neanche a sconfiggerli, talvolta preferendo aggirarli invece che incontrarli in campo aperto, eppure... lui era lì.
Lui era lì, ad ascoltare i suoi deliri che non potevano più usare la scusa dell'essere alticcia; lui era lì, a sentire che ancora una volta Joshua avesse scatenato un vero e proprio terremoto nell'equilibrio precario che era la sua vita; lui era lì, mentre realizzava che voleva Cameron Cohen, ma aveva paura di ammetterlo o forse realizzare che una volta avuto non era poi quello che aveva desiderato. Dietro di lei solo le macerie delle sue scelte, nessun posto migliore dopo il suo passaggio, nessuna speranza o rinascita. Beh, magari gli altri che avevano avuto a che fare con il suo pessimo carattere avrebbero trovato il modo per fiorire come aveva fatto Jones.
Agì, senza pensarci troppo, senza sapere neanche lei cosa stesse davvero facendo: un bacio ben diverso da quelli che avevano condiviso, lontano anni luce da quel primo timido sfioramento di labbra dove lei gli aveva chiesto di insegnarle. Aveva appreso fin troppo bene la lezione, dati quelli che ne erano seguiti con persone diverse. Quel bacio brevissimo, quasi infantile nelle intenzioni e nelle movenze, ebbe il sapore agrodolce di qualcosa di bello ma che era passato. Si allontanò veloce come si era avvicinata, iniziando ad intervallare parole ad un anelare sempre più caratterizzato dal panico, sorda ai suoi richiami, fino a quando non le intrappolò il viso con le mani, rivelando quanto fosse più preoccupato che potesse prendersi un malanno e non di averlo baciato. «Perché le tue priorità non sono normali?» Pensò, scuotendo il capo, incredula della sua gentilezza e poi stupita per il fatto che, per una volta, non c'era un terzo che poteva essere ferito da quel gesto. «Tranne Cameron». Odiava la voce della coscienza che ora cercava di affacciarsi dalla sua loggetta per ammirare lo spettacolo: lui che aveva ridotto le distanze tra loro, dove sarebbe bastato uno sbilanciamento per permettere alle loro labbra di incontrarsi di nuovo. Quello e la promessa insita nelle sue parole. «Solo per stasera», ripetè, lasciando che tornasse a familiarizzare con le sue labbra, e lei con lui. Un bacio che nacque lento, un veleno che lei spargeva ma che lui curava con il suo antidoto. Non aveva senso, non sapeva più cosa avesse senso, fatto fu che approfondì quel bacio, chiudendo gli occhi e scacciando via l'immagine di Cameron Cohen che saliva su Ashura per volare via. Via da lei. Lo baciò, beandosi di quel senso di familiarità che aveva il potere di farla stare meglio, di non pensare al risveglio duro che ne sarebbe seguito. Ma quello sarebbe stato l'indomani, non oggi. In fondo gliel'aveva promesso.Elisabeth
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