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.Mushu, il suo gatto nero ciccione, l'aveva seguita fino all'ingresso dell'aula di incantesimi, guardandola confuso per essere lì visto che erano due anni che non frequentava più le lezioni della Ivanova. Ma, sebbene non l'avesse scelta come materia opzionale, la donna si era dimostrata aperta nel concederle l'utilizzo dell'arena all'interno della sua aula per potersi esercitare con gli incantesimi, fornendole addirittura un manichino di allenamento. Un'ora tutta per lei, un'ora per lasciar scorrere libera la magia e non a reprimerla. Si sentiva sovraccaricata dal ritorno di Joshua e dal suo fuggire ogni qualvolta notava la presenza di Cameron. Avrebbe voluto urlare, sfogarsi, distruggere qualcosa, qualunque cosa, e prima di dar fuoco all'intera foresta aveva deciso di chiedere aiuto alla rumena che al suo primo secondo anno le aveva regalato il suo cricetino Rain. Lasciò la sua borsa su uno dei banchi bianchi che tempo prima era solita occupare, servendosi solo della bacchetta ed incamminandosi verso il cuore fatto di brecciolina. Iniziò con qualcosa di blando, un paio di incantesimi base come un depulso ed un flipendo che allontanarono di un paio di metri il manichino. Ma non le dava alcuna soddisfazione. Desiderava di più che scagliarsi contro un corpo morto che non poteva rispondere ai suoi attacchi, voleva potersi sfogare al massimo delle sue forze. E così tracciò una e e fece una stoccata finale verso l'oggetto. «Corpus Locomotor». Rianimato gli diede solo un comando: «attaccami». Aveva iniziato a rispondere con l'aiuto degli elementi, tra acqua e vento, fuoco e sabbie mobili; era passata poi all'utilizzo di quelli astrali con sfere potenziate dall'influenza dei pianeti o scudi tirati su alla meno peggio. Ma il manichino era instancabile. Solo che lo era anche lei. Non sapeva però a chi rispondessero quelle fattezze: se al fantasma di un passato che si era materializzato nuovamente nella sua vita o il ragazzo verso cui provava qualcosa ma che non voleva ammettere neanche sotto tortura. O forse, semplicemente, quel manichino era lei stessa. Dopotutto era colpa sua. Un bombarda riuscì solo a far volare via schegge dalla parte superiore destra dell'oggetto incantato, ma null'altro. L'attacco arrivò, fisico, e questa volta la Lynch si servì di quegli orecchini che puntualmente portava ai lobi delle orecchie. Toccò quello a forma di squalo ed il mercurio duplice si plasmò fino a creare un paletto largo e squadrato. Prese la rincorsa e andò verso il manichino. L'irruenza lo fece crollare al suolo ma lei non si arrestava nel conficcare quel paletto ripetutamente nella parte che rappresentava il suo busto. Una, due, tre volte. Se fosse stato un uomo sarebbe stato già morto. Ma lei non si arrestava: continuava ad infliggere dolore a qualcosa di inanimato perché quello significava allontanare il dolore, la rabbia e la frustrazione. Stava riversando ogni singola briciola di forza, in una soddisfazione maggiore persino a lanciare i suoi amati incantesimi offensivi.Elisabeth
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.Il delirio di onnipotenza scorreva nelle vene ogni volta che calava il paletto in quel petto fantoccio, proprio lì all'altezza del cuore, incurante che chiunque si fosse arrischiato di entrare nell'aula di incantesimi l'avrebbe potuta scambiare per una pazza invasata. Solo l'ennesimo tassello del puzzle dei pettegolezzi che giravano su di lei.
Il problema era che fosse così presa da quel ripetere in loop gli affondi che non si accorse di non esser più da sola se non quando la voce beffarda della Lestrange non le arrivò dritta e chiara alle spalle. Era stato un vero e proprio shock ritrovare quella bambina ormai cresciuta nella sua tavolata la sera del banchetto di inizio anno. Il nome inconfondibile così come i suoi occhi da gatta e la lingua serpentesca. Le era sempre piaciuta la consorella sin da quando aveva avuto modo di conoscerla al suo ultimo anno ad Hogwarts. Lei quindicenne, l'altra ancora con la puzza dei denti da latte. Un'undicenne tutta pelle ed ossa ma dallo sguardo intelligente, vivo ed arguto per la sua età. Ora, dopo che gli anni erano passati, poteva definire quell'incontro come un imprinting, una affinità del tutto naturale capace di superare gli ostacoli dell'età. Non aveva bisogno di fingere con lei, non che sarebbe servito a qualcosa. «Dovresti affinare meglio la punta di sarcasmo nelle ultima sillaba della domanda». Era ormai a cavalcioni sul manichino, ai lobi erano tornati il delfino e lo squalo, nella mancina solo il suo catalizzatore. Con lentezza si rialzò in piedi, castando un banalissimo reparo per riportare quasi alle condizioni di fabbrica il manichino che aveva martoriato nell'ultima mezz'ora. L'incedere verso di lei fu lento, permettendole di riprendere il controllo della sua parte più irrazionale, vulnerabile e sanguinaria. Passo dopo passo, lo sguardo cristallino e sempre più limpido che scrutava il testo che l'altra aveva aperto. «Ricordami di portarti il saggio di Rickterfest sull'importanza dei sigilli aritmantici per gli esperimenti alchemici», un testo che aveva consultato l'anno prima in biblioteca e che aveva deciso di acquistare in libreria tramite il servizio di posta express. Appoggiò i fianchi contro il retro della spalliera del banco al suo fianco, bevendo un sorso d'acqua dalla bottiglia che aveva recuperato dalla borsa. Per poco non rischiò di strozzarsi, finendo con lo sputacchiare qualche goccia d'acqua mista a saliva con discrezione. «Sono già aperte le scommesse su tra quanto finirò di nuovo a letto con lui?» Chiese, con fare non curante, sistemandosi i lunghi capelli in una coda di cavallo, passandoci più volte le dita prima di fermarla con un elastico. «Perché se volessi scommettere potrei suggerirti cose che assicurerebbero la tua vittoria». Tornò a fissare l'arena, sentendo di nuovo la rabbia iniziare a bruciarle dentro. «Come mai sei qui? Successo qualcosa? Qualcuno ti ha dato fastidio? Un artiglio ti si è scheggiato?» Si scostò solo per scivolare sulla superficie più ampia e piatta del tavolino, allungando le gambe ed intrecciando le caviglie. «Ah, se mai dovesse fermarti Cohen -dubito- tu non mi hai vista».Elisabeth
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Deva L. Lestrange.
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.Deva Lestrange era una delle poche persone di Hogwarts di cui serbava un piacevole ricordo, il che era tutto dire visto che la differenza di età, quando frequentava lei il quinto anno e l'altra il primo, era notevole. Eppure, da quando l'aveva vista sedere al tavolo degli Opali la Lynch si era dimostrata felice di avere un volto amico, una spalla malefica su cui fare affidamento, una lingua così tagliente che non permetteva sconti. Era quello che voleva da sempre: una persona capace di tenerle testa, di non farsi problemi nell'indorare la pillola ma non per questo offenderne la sua intelligenza, a differenza di altri.
In un certo qual modo fu sollevata che fosse l'ex Serpeverde ad aver varcato quella soglia e non uno dei tanti fantasmi che stavano tornando a farle visita, seppur la sua presenza simboleggiava non poter fingere che quanto fosse accaduto nella stanza in disuso non fosse mai successo. La presero alla lontana, entrambe, con la primina ad affinare il suo sarcasmo e lei a corromperla con qualcosa sapeva interessarle terribilmente, come l'alchimia. «La solita sanguisuga», commentò lasciando intendere come possedesse l'opera di Spencer e che gliel'avrebbe data non appena tornate in Sala Comune. Ma il tempo dei convenevoli durò come un gatto in tangenziale. La sedicenne fece la sua mossa tirando fuori Evans, lei cercò di buttarla in caciara con la storia delle scommesse sul suo conto. Non funzionò, perché l'altra era riuscita andare oltre, subodorando la colossale stronzata che aveva fatto neanche avesse installato un paio di magitelecamere nell'aula del misfatto. Non aveva alzato la gonna, ci aveva pensato lui. Non aveva perso la dignità perché Joshua non rientrava in quella categoria dell'universo. O almeno così le faceva comodo credere. «Ti prego cosa?» si lamentò, prendendo posto e tirando fuori le unghie da perfetta idiota qual era. «Non è un imbecille», le uscì di getto. Altrettanto velocemente chiuse la bocca e la fissò. «Okay, lo è ma io di più», concesse, tornando a vagare con lo sguardo per non leggervi il disappunto alle sue parole successive: «però lo sai che lui è lui». Joshua Benjamin Evans rappresentava la sua croce e delizia ormai da anni e per quanto ci avesse lavorato su, per quanto il tempo era trascorso opacizzando persino i ricordi, era bastato rivederlo, parlargli, stargli vicino per ricadere nella sua spirale. «Pensavo non avesse più potere su di me ed invece mi sono sbagliata, Dev». I piedi finirono lì dove di solito gli altri studenti posavano i loro regali sederi, le ginocchia si unirono ed i gomiti appuntiti li usarono come sostegno per reggere il peso della sua testa. «La seconda», la voce attutita dalla posizione che aveva assunto. «Dopo che...» si fermò, prendendo a massaggiarsi le tempie come ad alleviare la pressione che stava salendo insieme all'emicrania martellante. «Ho pensato di andare da lui, ma ho avuto paura su come avrebbe reagito», o meglio su quanto la sua reazione si sarebbe scostata dalle sue aspettative. E se quello avrebbe significato che il rapporto che avevano fosse una semplice amicizia o se davvero c'era qualcosa di più che avevano finto di non vedere da quando erano andati a letto insieme la prima volta e alla fine della sua storia con la Freeman. «Cosa hai sentito tu di noi?» Il riferimento era a lei e Cohen, di cui gli aveva parlato per sommi capi, senza mai approfondire davvero. Realizzarlo fu l'ennesima pugnalata allo stomaco: strano che riuscisse ancora a reggersi in piedi. «Sai cosa mi fa strano? Che da quando ci siamo riviste io ti abbia parlato solo di Evans e di nessun altro», gli occhi emersero tra i polpastrelli, il viso ancora parzialmente occultato da palmi e dita unite. «Morgana, cosa ho che non va in me?»Elisabeth
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.Non sapeva di star seminando pensieri, con la complicità della Lestrange, i cui frutti avrebbe visto iniziar a sbocciare solo un mese più tardi. Il focus centrale era sempre e solo lei, con il suo piagnisteo ed un atteggiamento da povera vittima che le andava stretto. Era consapevole che ogni singola, piccolissima, scelta che aveva compiuto nel corso del tempo l'aveva portata sino a lì: di nuovo Prefetta, di nuovo tra due fuochi, di nuovo con il seme colante di Josh tra le gambe. Sembrava quasi la danza del gambero quell'inizio di quarto anno, una ripetizione del suo primo secondo che avrebbe voluto cancellare con un colpo di spugna per com'era finito. L'illusione che potesse chiudersi quella parentesi nefasta con la resurrezione di suo madre era stata uccisa ancor prima di poterla accarezzare davvero. A differenza dell'altro grande ritorno che in poco più di settantadue ore aveva già cambiato il percorso accidentato dell'Opal. «Lui poteva evitare di tenere il pisello in due buchi». Sembrò tornare per un attimo la vipera di un tempo, lasciandosi andare ad un commento piuttosto infelice anche per lei, giusto il tempo di continuare poi sulla strada della fottuta verità che si ostinava a voler abbracciare. «Io di giocare con i sentimenti di Lucas ancor prima di rendermi conto di quello che provassi per lui», lo sprezzo su quelle ultime tre lettere, perché se solo si fosse dimostrata padrona reale del suo cuore non avrebbe avuto quel risultato, «io potevo evitare di scopare con il mio migliore amico e renderlo un traditore», così come nel tentativo di resistenza fallita di finire a scopare nei bagni con Cam. Aveva scioccamente etichettato come un momento dettato dallo sconforto il bacio che lui le aveva dato nella sua vecchia camera ad Oslo, gravata dalla visita alla tomba della sorella; eppure aveva distanziato l'amico una volta tornati a scuola, cercando di non rimanere mai da sola con lui, in un posto dove potevano nascondersi. Aveva funzionato per un paio di settimane ed il resto aveva fatto la storia. L'odio e lo sprezzo che le erano stati riversati nel suo ritorno a scuola, dopo un silenzio più che prolungato corrispondente -aveva appreso poi- alla scomparsa di Evans si dimostrarono nulli rispetto alla shitstorm che si era beccata dopo che aveva ammesso, in una cazzo di galleria di esser stata con l'altro essere più odiato nel castello. Nulli sembravano essere i suoi salvataggi di quegli stessi compagni che non perdevano occasione alcuna di sbeffeggiarla, equiparandoli ad un atto dovuto poiché doveva esserci stato un motivo se la Burke le aveva dato la Spilla. E poi tolta. E poi riaffidata nuovamente. «Sono tutti se e ma, Deva, e con quelli non si va da nessuna parte». Non corresse la sedicenne sul cognome della Prefetta dei giallo-viola, la guardò piuttosto come a dire ti pare che io debba puntare la bacchetta a qualcuno per farmi una sana scopata?. «Spero di salvarmi con quello delle donne», la risata non produsse suono, solo un ghigno appena abbozzato. Allungò le braccia all'indietro, reclinando il capo e studiandola. «Sai quali sono i miei disastri, ma io voglio conoscere i tuoi», la provocò, «ad esempio chi dobbiamo odiare, sopportare e se qualcuno ti sta scaldando il letto oltre alle tue chiappe ossute», Non è vero, il suo sedere seppur piccolo era comunque un bel vedere.Elisabeth
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.C'erano state tante metafore per indicare quel triangolo fatto di due opali ed un ametrino. Palle e birilli, croce e delizia, un festival di lussuria, invidia, superbia ed accidia; ma mai di un pisello in due buchi. «Triangolo con Lighthouse, ricordi?» Sperava che quello bastasse nel rievocare alla memoria dell'opalina, in stile Vietnam, i racconti fatti all'inizio dell'anno, con dovizia di particolari sul ruolo di Jones, Lighthouse ed Evans nella sua vita. E poi un accenno di Cohen ma senza sbilanciarsi più di tanto perché con il battitore dei Dioptase la questione era ancora complicata ed in via di divenire, a differenza delle dinamiche del passato che credeva essere sepolte. Credeva, appunto, perché il ritorno di Josh aveva mandando all'aria il suo castello di carte con un solo sguardo dei suoi. Se solo chiudeva gli occhi poteva risentire il respiro del suo viso infrangersi contro il suo quando l'aveva bloccata nella volotnà di uscire da quell'aula. Uscire non avrebbe dato vita a quel susseguirsi di eventi che avevano portato ancor più coas nella sua esistenza. Non aveva alcuna intenzione, al momento, soffermarsi sulla natura dei sentimenti che provava per l'ametrino, perché aveva paura di scoprire che quello che credeva morto in realtà era solo rimasto quiescente come qualche vulcano dimenticato da qualsiasi divinità nell'Oceano Pacifico. Far confluire tutto nel mero atto sessuale era quello che le causava meno dolore -«È quello che è stato alla fine, no?»- come una calda coperta da avvolgere su quel corpo che aveva subito vari sbalzi di peso ed un principio di disturbi alimentari ed alcolismo. Era stata un rottame, così tanto che tornare in forma era costata fatica, sudore ed un lavoro su stessa che era riuscita a compiere solo grazie a quel mezzogigante silenzioso con tutti, ma non con lei. Delle volte le mancava quello stile di vita sconclusionato del confratello o della sensazione che aveva provato nel risvegliarsi nello stesso letto la prima mattina di Natale trascorsa senza la presenza di Glynnis. «Morgana, odio ridurre tutto in quella parola», ammise, rivelando quanto in realtà nell'unione di corpi aveva sempre lasciato un pezzo di lei. Hinds aveva la fame della voglia di ritornare a vivere; Cohen del sentirsi parte di qualcosa, di sapere di valere la pena per qualcuno; Evans la parte più pura e migliore che avesse mai avuto. Cose che nulla avevano a che vedere con il copulare crudo e semplice.
Il pensiero che avesse fatto degli errori di valutazione l'aveva sfiorata diverse volte, così come l'interrogarsi sulla sua sessualità visto che trovava piacenti i corpi in ogni loro minima bellissima imperfezione e poco importava a chi facessero capo se ad un uomo o ad una donna. Aveva trovato eccitanti vene sulle mani ma anche dei perfetti sederi a mandolino appannaggio più della corporatura femminile che maschile; la linea sinuosa di gambe dritte che svettavano con il sapiente uso di tacchi o i polpacci massicci di un ragazzo che faceva dello sport la sua religione e della palestra il tempio in cui praticarla.«Mi piacciono le persone brillanti, quelle che hanno da dire qualcosa, che ti danno qualcosa, poco importa se hanno tra le gambe il pisello o meno», se solo si fosse sforzata sarebbe stata capace di trovare quel quid che aveva visto nello sguardo ombroso di un'ametrina al suo secondo anno. E poco centravano quei pantaloncini corti che avevano stuzzicato il suo interesse.
Ma il tempo di esser lei al centro del palco era finito, toccava ad un'altra persona finire sotto le luci della ribalta: Deva Lyanne Lestrange. «Mpf, allora parlami delle tue intolleranze», si corresse, studiandola nei particolari alla pronuncia di ogni singolo nome, drizzando le antenne sulla prima e mettendo da parte i secondi, altri rosso-grigio-neri che sperava facessero più il loro dovere nel portare alto i colori che indossavano. «Occhio ai perfetti idioti, sono quelli che ti fanno trovare nei casini senza che neanche tu possa renderti conto». Però il tarlo di quel nome, lo stesso che aveva sentito qualche ora prima su labbra che avevano reclamato il possesso delle sue, continuava a persistere nella sua mente come un tarlo. Quante possibilità c'erano che quell'Erin Murphy fosse la stessa Erin di Josh? Un flebile disgusto al pensiero di averla etichettata come qualcosa appartenente al bruno non la fece comunque desistere dal porre la domanda che più di tutte aveva interesse nell'esser risposta: «cosa pensi della Murphy?»
Poi due fanali a cui non si poteva aver scampo vennero posati su di lei, in quella serietà ancora più rigida di quella che aveva imparato a conoscere e superare quando la Lestrange si trovava sulla sua strada. «Pensavo che con la fauna che popola l'accademia avessi trovato pane per i tuoi denti», perché per quanto fosse a conoscenza dell'inesistente vita sessuale della sedicenne dall'altra sperava davvero che le cose cambiassero per lei, non tanto per l'atto in sé, quanto più per la possibilità di aprirsi a qualcosa che per quanto potesse avere il capace di romperti le ossa in piccolissimi infinitesimali frammenti era l'unico che ti faceva sentire vivo: l'amore. «Non hai trovato davvero nessun altro? Nessuno che ti stimoli la voglia di puntargli una bacchetta alla gola e poi sbatterlo contro il muro?» Il problema è che lei l'aveva trovato, solo che i suoi tratti erano confusi dal sovrapporsi dei visi dei suoi amanti.Elisabeth
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