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.Marina Stonebrug"Eventually, everything connects."
San Mungo, Londra
Se la rabbia avesse un colore, probabilmente questo non si scosterebbe troppo dal blu infernale che stava contornando le iridi della Stonebrug. La druida aveva raggiunto il San Mungo un passo alla volta, la mano destra a stringere con il vigore di un demone il suo gomito sinistro il cui arto, nel punto di mezzo che separa questa parte dalla mano, presentava due vigorosi cerchi di fuoco. A un occhio attento sarebbe stato chiaro come questi segni non fossero altro che il lascito di un morso di qualche animale o creatura dotata di canini o zanne estremamente pericolose.
«Ho bisogno di un guaritore, ora».
Varcò la soglia dell'ospedale con la furia di un uragano, la situazione non era tanto urgente quanto lei avrebbe voluto farlo sembrare, ma la memoria dell'acqua preferisce spesso il fervore del vapore allo stoicismo del ghiaccio, e Marina Stonebrug non pensava altrimenti.
Vestita di un abito bianco come il marmo e un paio di tacchi cammello aperti sul tallone, sembrava più simile a un improbabile modella che a una possibile paziente. Quando un giovane infermiere senza pelo alcuno sulla morbida mascella lo raggiunse, alla strega non bastò che servire un'occhiata al vetriolo per assicurarsi un posto prioritario. Il ragazzo la invitò a prendere posto su una sedia a rotelle animata da qualche incanto trasfigurativo ma Marina schioccò la lingua contro il palato per emulare un sonoro no. Come l'acqua sapeva adattarsi a ogni contenitore ma preferiva ruggire libera tale era vivo il suo orgoglio da denrisiana.
Nel seguirlo tra quei corridoi a lei sconosciuti non poté che rispondere alla domanda dell'altro sul cosa le fosse successo.
«Sono stata morsa da un'acromantola. Un cucciolo. Probabilmente pochi mesi di vita, non era più grande dell'elmo di un vichingo».
Il resto se lo tenne per sé. Il perché fosse finita a trafficare con una creatura simile non era rilevante. Fosse stato per lei si sarebbe materializzata nella casa di qualche druido fidato, pronto a guarirla per catturarne i favori o ricambiarne di passati, ma, per quanto innocuo data la giovane età, il veleno dell'acromantola le stava annebbiando la mente e i sensi rendendo tentativi di materializzazione ottime occasioni per spaccarsi sul cielo di Londra.
«Siamo arrivati?».
L'infermiere le avrebbe indicato un lettino su cui prendere posto nel caso avesse voluto. Una rapida occhiata alle pareti le permise di comprendere come l'altro l'avesse portata in una delle tante stanze per il pronto soccorso. Quando se ne andò per ricercare un guaritore, però, Marina non fece altro che gettare le spalle contro una parete e attendere, i denti a strisciare gli uni contro gli altri a scontare la rabbia di una tempesta fatta carne.
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SPOILER (clicca per visualizzare)Jacqueline De Lourant
Edited by Marina Stonebrug - 9/11/2022, 18:19. -
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Persino per la più curata tra le biblioteche che prendeva il nome di mente, conservare dettagli su tutti i libri che erano stati raccolti tra i suoi scaffali era un'impresa impossibile. Marina non presidiava solamente ai rituali di Denrise come druida, ma curava anche il più importante Osservatorio dell'isola, adattato alle esigenze di predoni e capitani per vendere mappe di isole misteriose o lenti in grado di distinguere il vero dal falso. Una vita come la sua portava a numerosi piaceri eguagliati però da un pari numero di sforzi.
La druida di Denrise ricordava il nome, il volto, e i vizi di ogni divinità appartenente al suo pantheon ma aveva più di un problema nel fare lo stesso con i suoi clienti.
Quando Jacqueline entrò nella stanza, Marina rizzò le spalle e trasse un sospiro di sollievo nell'incrociare l'azzurro marino del suo sguardo a quello grigio lama dell'altra. Non era facile ricordare un volto, ma era ancora più difficile dimenticarsi di chi aveva lasciato nel suo Osservatorio così tanti galeoni che la metà sarebbe bastata per prendersi almeno un paio di settimane di ferie.
La dottoressa l'aveva visitata qualche settimana addietro per acquistare uno degli artefatti più interessanti che la druida avesse in negozio. Un anello in grado di potenziare gli incantesimi di occultamento e rendere invisibili a occhio umano o magico i propri incantesimi, persino quelli più oscuri.
«Guaritrice De Lourant, è un piacere rincontrarla, anche se avrei preferito davanti a una buona birra o a un buon calice di vino».
Della francese sapeva poco. Delle sue divinità conosceva volto, nome, e vizi, ma sull'altra avrebbe potuto esercitare influenza solo sui primi due. Certo che la natura dell'artefatto acquistato dalla guaritrice assieme agli schizzi di sangue che risaltavano contro il bianco della sua pelle e della sua divisa avrebbero lasciato un deserto di sabbia per costruire potenziali vizi.
«Ma diamoci del tu, siamo quasi coetanee».
Raramente la memoria la ingannava in un momento di necessità o di fronte a una persona così carismatica e certamente non avrebbe iniziato ora. Al momento dell'acquisto l'altra aveva richiesto un tu al posto di un più freddo lei e ora Marina avrebbe proposto lo stesso.
«Questo è il suo regno e io sono solo un'umile visitatrice».
Marina sollevò il braccio sinistro liberandolo dalla vivida presa della mano destra che, nel bianco della carne, aveva tracciato profili di un rosso opaco. La carne tremava leggermente, non per la temperatura - comunque elevata seppur sul limitar dell'Estate -, quanto più per lo spiacevole brivido che gli risaliva la schiena lento come un'ombra a ogni battito del cuore, organo di importanza vitale sia nel pompare il sangue che nel far circolare il veleno.
«Storia breve, per non rubarti troppo tempo. Sono stata chiamata per presidiare una seduta spiritica di un occultista che aveva bisogno di mettersi in contatto con un defunto. Quando il velo che separa il nostro velo dal loro...».
Loro, tutti gli esseri intrappolati negli altri piani della realtà, fisicamente un universo a distanza da noi, ma non impossibilitati a osservarci attraverso l'oscurità che ci circonda, lasciandoci liberi di percepire una presenza nell'angolo di una stanza prima di cedere al sonno o qualcuno che ci osserva anche nella più vuota delle case.
«... si è assottigliato, l'occultista, se così possiamo chiamarlo, ha infranto il cerchio di sangue liberando qualcosa e quel qualcosa ha scelto di prendere il possesso del famiglio dell'uomo mordendomi. Un'acromantola di qualche mese, come dicevo all'infermiere».
Non avrebbe fatto causa di persona sia perché una creatura simile era illegale, sia perché, si, ora se ne stava in un ospedale, ma avreste dovuto vedere in che condizione aveva lasciato l'occultista e il suo famiglio. O la poltiglia che rimaneva di quest'ultimo.
«Sono passati circa tre quarti d'ora. Ho estratto il veleno con un Venolum Extractum ma non ho né abbastanza competenze per debellarlo completamente, né un antidoto per rimediare ai danni ed evitarmi sgradevoli cicatrici.».
Schioccò la lingua sollevando le spalle come a volersi scusare di tale mancanza. Le sue competenze erano altre. Aveva citato gli spiriti perché questi sapevano infliggere ferite mediatiche che richiedevano guaritori estremamente abili per porvi rimedio, ma agendo attraverso un medium - l'acromantola - non sarebbe stato quello il caso.
Fottuti occultisti di periferia. Si credono tutti i Coniugi Warren ma al primo brivido sulla schiena diventano subito Leone il cane fifone.
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Jacqueline De Lourant vestiva le proprie frasi di una naturalezza particolare che portava dell'argento il lenitivo e dell'ossidiana il misterioso. Marina si perse per più del dovuto a decifrarne i sorrisi e le pause, le mosse e l'accento, di un europeo piacevole e sinuoso, come le dita di un pianista dall'animo dannato. Comprese il significato di quelle parole con qualche secondo di ritardo preferendo incolpare il veleno dell'acromantola ancora in circolo che il fascino della più letale tra le bionde che avesse mai conosciuto.
«Ci sto. Non potrei comunque tornare a Denrise prima di qualche giorno. Da quando l'isola si è chiusa su sé stessa e la guerra l'ha travolta in pieno, trovare una nave che ti porti da Londra fino a uno dei nostri moli è più dispendioso di energie del ricercare un ago in un pagliaio».
Le sorrise di rimando con la grazia di un fiore che sboccia alla prima Primavera rivelando i propri colori e offrendo spunti sulla natura della stessa corolla, senza spingersi così in intimità, però, da mostrare al mondo intero la natura del suo veleno o il pericolo delle proprie spine. Jacqueline sembrava stesse facendo lo stesso, avvolta in un mistero condenso in una nebbia tanto bianca e densa da sembrare la stessa che avvolge le città trattate dallo scrittore americano H.P. Lovecraft.
«Grazie».
Come ogni figlia di Denrise, valutava il ferro più dell'oro e l'oro più delle parole, ma quel piccolo cenno di gratitudine fu dovuto. Chinò il capo quel tanto che bastava per lasciare che lo sguardo scivolasse dal magnetico volto della guaritrice alla ferita che vibrava sull'avambraccio sinistro, beandosi dello spettacolo che ebbe modo di gustarsi da lì a breve.
Serpi ammaestrati al gioco di un abile domatore, ruscelli di veleno si liberarono dalla carne seguendo il ritmo del battito della strega, reso vivace dalla consapevolezza della maestria della guaritrice. Avrebbe dovuto specializzarsi nelle arti curative, Marina, eppure c'era un intero mondo che reputava ben più interessante. Rispettava la logica del profitto ma quella del divertimento l'affascinava ancora di più.
«Ho letto un articolo della Gazzetta del profeta a riguardo. Per una come me rimanere isolata da ciò che smuove il mondo spiritico è l'equivalente del mancare a un convegno su qualche nuova malattia magica o pozione curativa per una come lei».
Spiacevole da un punto di vista lavorativo quanto di quello che dava rigore e lustro alle proprie ambizioni. Glielo lesse negli occhi a Jacqueline De Lourant che la fiamma a brillare in quell'azzurro tentato dal metallo non era quella di un pacifico tassorosso quanto più di un ambizioso serpeverde.
«È stata coinvolta anche lei nell'attentato? O magari si è mostrata disposta a visitare New Orleans per pregare gli spiriti di rivelare qualcosa di più a riguardo?».
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La genuina reazione di sorpresa della guaritrice De Lourant fu una ventata d'aria fresca in quella calda e umida sala del Pronto Soccorso, improvvisa e lieve abbastanza da riportarla con i piedi per terra e un sorriso sulle labbra.
«Ti sorprenderesti di scoprire a cosa lo stomaco del denrisiano medio ha avuto il piacere, o dispiacere, di adattarsi in secoli e secoli di esplorazione verso territori o piani dell'esistenza ostili».
Aveva da sempre curato il proprio fisico affinché questo potesse reagire ai soprusi della natura senza mai spezzarsi o piegarsi, respingendo momenti di dispiacere come il meglio riuscito tra gli Incanti Scudi o la meglio forgiata tra le Armature di Brugnir. Negli ultimi anni aveva preferito meditare più che strappare i propri muscoli o spezzare le stesse ossa affinché il naturale processo di rigenerazione rinforzasse entrambi perché della prima, nell'interloquire con spiriti o creature dagli altri piani, avrebbe fatto muro impossibile da varcare nel momento del bisogno. Mesi e anni passati a meditare sulla spiaggia con lo sguardo rivolto verso un vuoto apparentemente infinito ma non abbastanza esteso da poter abbracciare tutti gli angoli della propria ambizione.
«E dopo aver affrontato piante carnivore della stazza di un edificio di un qualsiasi babbano, francamente avrei meritato il più ignobile degli Inferni a perire contro una creatura così insignificante».
Delle acromantole non era un'esperta come magari poteva essere l'altra, come la storia delle due - così diversa nel principale filo di trama ma non in quelli che ne erano andati a costituire corpo e appendici - avrebbe previsto.
«Mi dispiace per tutto questo ma la determinazione nel tuo sguardo e la bellezza che ti colora il volto mi lasciano intuire, o per lo meno sperare, che dall'incidente tu non abbia avuto alcuna ferita o trauma persistente».
Il capo si sarebbe piegato verso il basso lasciando la chioma libera e ruggente a fremere come le onde del mare accolto dalla tempesta mentre lo sguardo d'azzurro feroce avrebbe colto un'ultima occhiata dell'anello che la guaritrice portava alla mano. A seguito del gesto non vennero parole di vanto o sfida, ma solo un senso di speranza il cui fulcro ruotava attorno all'idea che l'artefatto avesse potuto aiutarla a tal fine.
«Forse potremmo approfondire il discorso questa stessa sera. So che per legge le spetta la mattina libera dopo aver prestato servizio di notte».
Il mondo e la stessa Marina spesso si dimenticavano come la sua lingua non si fosse soltanto allenata all'arte della retorica di fronte a spiriti antichi o druidi fedeli a precetti del passato, ma anche nelle più ampie e sterili, ma non di opportunità, aule di tribunale.
«Dimmi solo tra quanto».
Non avrebbe mai permesso a una semi-sconosciuta di avere uno squarcio di visione sul lato più indifeso della druida, ma quando le bende si posarono sul suo pallido incarnato andando a lenire il dolore, a quest'ultima non sovvenne l'indifferenza quanto più il piacere. Fù come ritrovarsi immersi in un tiepido bagno di sale e rose durante il più ostile tra gli Autunni. Non si seppe spiegare il perché di quelle sensazione ma riuscì a stento a dare una conseguenza a quanto appena provato: l'appuntamento appena proposto.
«E quanto ti devo per la visita».
Fatto ciò, se l'altra non l'avrebbe impedito, si sarebbe diretta verso la segreteria dell'ospedale per pagare pegno.
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