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.Una pausa molto lunga tra una terapia e l'altra era quello che ci voleva per liberare la mente della rossa che in quel periodo si sentiva quasi in gabbia tra le mura di quell'Ospedale.
Aveva fissato quei due appuntamenti distanti tra loro con la consapevolezza che anche lei aveva bisogno di fare una pausa per poter sfogare i suoi pensieri. E per farlo era salita all'ultimo piano, ancora con il camice indosso, aperto a mostrare la sua tenuta in borghese: una semplice t-shirt bianca a maniche corte, sblusata nei pantaloni color beige, stretti a sigaretta, che mostravano un po' di caviglia e ai piedi delle tennis semplicissime. Non si era ancora preoccupata di mettere i suoi soliti abiti eleganti, anche perchè le temperature richiedevano ancora una particolare attenzione per non rischiare di soffrire troppo il caldo.
Il camice bianco era perfettamente stirato e cadeva sul suo corpo allenato e snello come se le fosse stato cucito addosso. Sulla tasca all'altezza del seno sinistro aveva l'etichetta con il suo nome, Dott.ssa Welsh, che spifferava ai quattro venti chi fosse e che ruolo avesse.
Il suo studio di magipsicologia era sempre pieno di casi difficili e complicati, spesso gli scarti degli altri colleghi che valevano meno di niente, tra questi lo stesso Peters, che chissà a quest'ora cosa stava combinando in giro per le strade di Londra e quante vittime aveva mietuto durante il suo breve periodo di ferie.
Eppure, nonostante tenesse ai suoi pazienti, ai suoi casi, al suo lavoro e stava continuando a studiare per averne ancora di più di fama e di conoscenza, questo sembrava non bastare. C'era qualcosa che le mancava, era come se sapesse che per sentirsi completa doveva fare ancora un passo ma non riusciva a capire cosa, realmente volesse.
La sua relazione con Lancelot era da favola e non poteva lamentarsi, ma sentiva che voleva di più, ma non aveva il coraggio di chiedere ancora troppo a quel ragazzo che faceva di tutto per dedicarle ogni secondo libero che aveva da quei ragazzini che stava crescendo.
Chissà, forse era questo che le portava preoccupazioni? Lancelot cresceva ragazzini ogni giorno, sarebbe mai stato pronto a crescerne uno suo? O forse era ancora troppo presto?
L'arietta d'ottobre, su quella terrazza, era perfetta.
La mano affusolata della dottoressa scivolò nella tasca sinistra ad afferrare un ben celato pacchetto di sigarette. Ebbene sì, aveva iniziato a fumare, non era qualcosa di ripetitivo, aveva poco tempo per prendere una pausa sigaretta cadenzata, ma quando aveva un tempo più lungo d'attesa, riusciva a prendere una boccata di quel cancerogeno bastoncino. Lasciava il pacchetto in ufficio, affinchè non lo scoprisse Aaron in casa, preoccupandosi di ripulirsi ogni volta che tornava a casa, non fumando per almeno due o tre ore prima di tornare, lavandosi i denti nel bagno della sua stanza al San Mungo e riempendosi come da consuetudine di profumo, cosa che amava fare fin da piccola, quindi mai fuori dall'ordinario.
Portò il bastoncino alle labbra, poggiando la schiena al parapetto della terrazza. L'accendino diede la fiamma giusta per accendere il bastoncino e lei aspirò. Una lunga boccata, socchiudendo gli occhi e poi sollevando il capo per soffiare via il fumo in eccesso verso l'alto.
Cosa c'era che non andava? Perchè non riusciva a capirlo?Annie-Macrae Welsh"Amor, ch'a nullo amato amar perdona."Medimaga"Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"
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.Non è che Annie si nascondesse da Aaron, anche perchè era difficile visto il loro legame piuttosto stretto in maniera tangibile. Era solo un modo per non farlo preoccupare, il suo. La rossa era sempre stata quella che nascondeva i suoi disagi, che cercava di curare le sue ferite - interne e non - senza pesare sugli altri, nonostante sapesse quanto Aaron fosse sempre presente al suo fianco. E le bastava questo, saperlo lì. Eppure, non aveva mai bussato alla sua porta per dirgli quanto fosse in periodo di calo, in uno di quei momenti dove metteva a repentaglio la sua stabilità emotiva.
Aaron era abituato a vederla scoppiare all'improvviso, crisi di pianto, crisi di nervi, urla... e poi tornava il suo solito sorriso, come se continuasse a seppellire tutti i dubbi che dissipavano la sua stabilità.
Se ben ci avesse pensato, erano poche le cose stabili nella sua vita. Ed Aaron era l'unica che - anche se fosse crollato il mondo - non l'avrebbe mai abbandonata.
Quando sentì la sua voce non si spaventò. Annie immaginava che Aaron avesse percepito qualcosa, non ci voleva poi una runa, a dirla tutta, per lui. Sospirò appena, sbuffando un po' di aria tossica verso l'alto.
Lo guardò, facendogli capire che volesse poggiare la testolina rossa sulla sua spalla e se glielo avesse concesso, avrebbe anche chiuso gli occhi «Nah... mi nascondo dagli altri, non da te... ho solo omesso questa piccola informazione...» - il suo parlare era melenso e tranquillo come sempre, come chi voleva cercare di mantenere un velo di normalità, per quanto quel velo fosse consumato e pieno di tagli che facevano intravedere oltre.
Gli passò la sigaretta, ricordandosi quando fosse stata l'ultima volta che l'avevano fumata insieme: sulla terrazza della sua stanza, quando lui stava passando un momento di down, proprio come lei in quel momento.
«Hey... pensi che io possa mai essere una buona madre?» - quella domanda fu come un fulmine a ciel sereno, come se non avesse bisogno di preamboli per spiegare ad Aaron che stava seriamente pensando di non poter avere quella gioia, quella che lei donava a diverse donne, ogni giorno...Annie-Macrae Welsh"Amor, ch'a nullo amato amar perdona."Medimaga"Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"
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.A volte credeva che per Aaron fosse davvero un peso, dover gestire anche lei, oltre che al suo fratellino adolescente. Per questo cercava di tenerlo allo scuro di tutto quello che le passasse per la mente, ben consapevole di quanto fosse paradossalmente impossibile e non solo per la runa che li teneva legati stretti l'uno all'altro, ma - soprattutto - per il fatto che se i loro sguardi si incrociavano, la simbiosi permetteva ai due di scavare dentro l'altro sapendo già quale fosse il problema.
Aaron era riuscito a trovarla fin là, non ne aveva dubbi a riguardo, per quanto poteva essere qualcosa di difficile, tuttavia era quasi sollevata di non essere sola. Concesse quel tiro ad Aaron, tanto avevano diviso di tutto, una sigaretta non faceva la differenza. Non bastava una runa per rendere uno dipendente dall'altro, loro lo erano sempre stati e quello che la rossa provava per il parabatai, era lontano da qualsiasi affetto si potesse catalogare in qualche modo.
Sorrise debolmente alle sue parole e gli diede una spintarella con la spalla, scontrandosi con la propria.
«Ruffiano e di parte.»
Lo prese leggermente in giro, non credendo davvero che la meraviglia sarebbe stata la caratteristica principale di lei e del suo essere madre. Già si vedeva con un pannolino attaccato a qualche gamba, il bambino che piangeva e lei che non sapeva cosa fare. O forse no? Alla fine ne prendeva in braccio di ogni, tutti i giorni e non le sembrava poi così pessima nel farlo. Sussultò alla sua domanda, quindi lo guardò quasi spaventata.
«Sto dando fastidio? Scusa, se è così... posso tornare nel mio loft quando vuoi, Aaron! Lo sai che con me non devi farti problemi a riguardo!»
Ed era vero, per quanto non volesse abbandonare i due, forse i ragazzi avevano bisogno dei loro spazi e quindi era giusto che lei si spostasse a casa sua. Poi, Aaron non aveva bisogno di farsi problemi, se voleva che andasse via, poteva dirglielo e lui lo sapeva. Alla fin dei conti si sarebbero visto anche ogni giorno. Annie sentì, tuttavia, una morsa allo stomaco. Era andata da loro perché stava diventando così difficile la notte, da sola, senza Lancelot che tornava a casa. E Merlino solo sapeva quante notti aveva passato in bianco, per questo. Le parole di Aaron non fecero altro che farla sorridere, sempre di più, ma quando toccò il tasto Lancelot, la ragazza si irrigidì. Non sopportava che nessuno ne parlasse. Si alzò di scatto in piedi e si affacciò alla ringhiera della terrazza. Anche se era Aaron a parlarne e per quanto sapesse che aveva ragione, Annie non reggeva che qualcuno potesse anche solo lontanamente pensarla lontana da Lancelot.
«Forse hai ragione. Devo tornare al loft.»
Far aprire Annie era difficile quasi quanto era facile farla chiudere a riccio, farla salire sulla torre più alta di un castello e farle sigillare le porte e fortificare le mura. Pensare ad una vita senza Lancelot era impossibile per lei, perché non voleva una vita senza di lui. E anche se fosse stato Aaron a cercare di farle aprire gli occhi, la cosa non sarebbe stata diversa. Non significava che preferiva Lancelot ad Aaron, ma che la sua decisione era difficile da far vacillare. Lo aveva aspettato per quindici anni e quando aveva perso la speranza, eccolo tornare, da lei, solo da lei.
Quando aveva assaggiato di nuovo le sue labbra, tutto era cambiato e ora, non poteva pensare di non sentire ancora quel suo sapore, seppur così raro.
Annie si voltò, aveva gli occhi pieni di lacrime, ma il suo viso fiero e orgoglioso era tirato, affinché non cadessero rovinosamente dagli occhi celesti che le brillavano in viso. Fece un passo, senza guardare Aaron. Sentiva una fitta che pungeva all'altezza dlel cuore.
«Mi spiace avervi dato tutto questo disturbo.»
Fece per andarsene, superando di poco il suo parabatai. Non poteva reggere un altro Barnes che le diceva quanto non fosse quello giusto, Lancelot. Lo sapeva che Aaron non provasse simpatia per lui, ma questo non significava che non fossero fatti per stare insieme, no? Erano perfetti e lei trovava la sua forza in lui, anche se non c'era... ma... perché non c'era?Annie-Macrae Welsh"Amor, ch'a nullo amato amar perdona."Medimaga"Parlato" - 'Pensato' - "Ascoltato"
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