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Quella mattina aveva raggiunto l'Osservatorio con largo anticipo affinché i rifornimenti di lenti e strumenti simili potessero essere catalogati e disposti con cura. Molti tra loro provenivano dall'Italia, altri ancora dal Giappone, ma i migliori restavano quelli forgiati dai nani di Moria. A ogni modo, il galeone che aveva raggiunto Denrise si era prestato prima che il sole sorgesse e - sancito il pagamento con un sacco di lino gravido di galeoni e pietre preziose - portò la merce all'Osservatorio sollevate da incanti gravitazionali.
Fù per quel motivo che ora, in quel cerchio semi-perfetto che sanciva il primo anello del suo negozio, lo stesso che dava ristoro ai clienti, si trovavano bauli e teche di stazza variegata. Le dita accarezzarono i bordi di dell'oggetto mentre i pollici scivolarono sotto la serratura a scatto, prima di forzarla con un tocco gentile che produsse un lieve clock.
Mentre il coperchio superiore si apriva verso l'esterno come l'arcata superiore di un mostro marino, lievi raggi di luce rossa si sollevarono verso l'alto tradendone la superficie interna adornata di vetro cremisi e rubini sulla stessa linea cromatica. Eppure, di quell'altro prezioso, ne era il cuore l'elemento più prezioso.
Una lente, trasparente ma rosea come l'acqua contaminata dal sangue di centinaia di cadaveri, gravitava al suo interno protetta da un cuore di linee e territori runiche.
La bacchetta della druida sfiorò i bordi della protezione quasi fosse un bisturi e questa il grembo di una madre, aprendo un livello dopo l'altro, fino a poter finalmente giungere al fulcro della stessa.
«Wingardium Leviosa».
Il cristallo si sollevò verso l'alto come un sole al centro del suo sistema mentre il suono del portone che si spalancava riuscì a emulare l'interesse che la stessa lente stava esercitando su Marina, seppure in una direzione diversa.
Prima ancora che la figura potesse definirsi, la druida portò le mani sui fianchi, le dita ad affondare sul bronzeo vestito a fronzoli accompagnato da un collare nero adornato da una piuma dorata e un paio di ballerine bordeux dal tacco affilato ma comodo.
«Marina Stonebrug, benvenuti all'Osservatorio, qui per servirvi».
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Quando il portone si spalancò finì per rivelare un manto di luce su cui faceva contrasto un'immensa ombra: l'altezza di una divinità, la forza di re dei mari, e la sicurezza che caratterizzava i predoni. Mentre i passi dell'uomo scandivano l'ingresso nella ragnatela di Marina, il nuovo arrivato si rivelò in tutta la sua famigliarità.
Il roseo incarnato che formava le invitanti labbra di Marina si spiegò in un sorriso mentre le mani si rilassavano lungo i fianchi e il capo si piegava verso destra.
«Sigurth Gunnarsson, lieta che il mio nome e il mio volto abbiano fatto eco nella tua memoria, ma c'è ancora molto da vedere prima che tu possa affermare con certezza di sapere chi io sia».
Lasciò che quelle parole potessero risuonare tra le pareti lievi come se le avesse appena pronunciata nelle grotte di cristallo che adornavano la crosta o nel ventre di una caverna diun picco d'Odino salvo poi muovere qualche passo verso il bancone.
La sua avanzata portò i diversi bauli a vibrare per poi strusciare via grevi sul terreno quasi fossero acqua e lei Mosé. Ancora una volta la lente cremisi, del colore del sangue, rimase immobile a mezz'aria, lei sole e tutto il resto prigioniero della sua gravità.
«Sto benissimo, Sigurth, e te?».
Molte persone si limitavano a dare una risposta sommaria a quella domanda ma non lei che faceva di ogni torto o attrito argomento di sfida e problemi da superare. Il lavoro la oberava, certo, ma nulla può spezzare l'acqua e Marina Stonebrug aveva appreso da anni come essere mare.
«Tuulada Garsoon, un posto unico nel suo genere. Credevo che ciò si potesse dire solo di Hogwarts e Denrise, ma mi sbagliavo».
Le dita scivolarono sul bancone fino a fermarsi ai piedi di un vaso pieno di terriccio. La sinistra ne sorresse il bordo di coccio e la destra raggiunse la bacchetta per poi puntarla verso lo stesso. Pochi colpi di polso e un sole minuscolo si fermò a poche spanne di distanza dalla terra.
«Abbiamo avuto modo di consolidare i legami che ci univano al mar rosso e approfondire la conoscenza di Re Yasir. E voi?».
Non sapeva molto della traversata di Sigurth e gli altri, ma conosceva il primo abbastanza per essere certa che anche lui avesse preso parte a quell'esperienza e ciò aveva certamente fatto la differenza, indubbiamente.
«Posso offrti del succo d'arancia?».
La bacchetta disegnò un arco sul vaso e il sole prese a tramontare, poi sorgere, e poi ri-tramontare. In meno di una decina di secondi sul terriccio passò più di un anno e come in un time lapse del legno sorse dal vaso rivelando foglie e lentamente una serie di frutti, sempre più grandi, fino a staccarsi in poche arance.
La druida si limitò a spelarla e spremerla con un attrezzo di legno salvo poi far defluire il tutto in una teca di vetro.
«O magari preferisci altro?».
Una pausa mentre la druida avrebbe diviso il liquido in due bicchieri, qualora l'altro avesse accettato, o solo uno, qualora avesse optato per altro.
«Cosa ti porta nel mio negozio?».
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La prima risponta del Gunnarson curvò le morbide labbra della Stonebrug in un sorriso tanto onesto da stupirla. Del resto, lo stesso poteva dirsi delle parole del predone con cui, negli ultimi mesi, aveva incrociato la sua vita in più di un'occasione. La prima volta, al lago, era stato un mattone che aveva sancito il vigore di Sigurth e l'assenza di timore, persino in minoranza numerica, forte del proprio coraggio e del supporto di Thor. La seconda, nel ventre mortale degli abissi di Denrise, era stata la calce che aveva stratificato l'immagine di un guerriero tanto stoico quanto fedele ai propri ideali. La terza, forse quella più significativa, era stata la nota di colore che dà alla costruzione finita anima e piacere alla vista perché, in quel momento, nel notarlo così fragile e pieno di insicurezze di fronte a un essere tanto antico quanto una valchiria, Marina Stonebrug aveva scoperto l'umanità di Sigurth Gunnarson.
Era quella stessa umanità che aveva percepito come una boccata d'aria
«Non dovevo aspettarmi risposta diversa da un uomo che non teme il mare, dico bene?».
Mentre l'altro si avvicinava, Marina cullò il capo verso il basso e con questo gli anelli di zaffiro che davano colore alle sue sclere di panna. Uno sguardo rapido che parve durare nella mente della druida più lungo di un eone rapì l'immagine dell'altro, non senza rivelare scintille di curiosità tipiche di chi vede per la prima volta senza però saziarsi.
Anzi.
«Tra i mari a nostra disposizione sei probabilmente finito in quello più promettente».
L'indice risalì il collo fermandosi nell'incavo che anticipa la mascella mentre un preciso quanto finto colpo di tosse spezzò come una mannaia la tensione che il primo scambio di battute aveva intarsiato. Era chiaro, d'altronde, che Marina Stonebrug rispettasse gli dei e con questa la sua opera più importante, la natura, ma che - proprio per questa ammirazione - amasse sentirsi libera da catene e perdizioni salvo poi sfruttare le prime nei momenti in cui alimentava le seconde.
Le bastò un gesto della mano, uno sfarfallio di dita, a richiamare la magia che serviva l'Osservatorio dall'alba di Denrise mentre, lieve come una brezza, dall'orizzonte un'enorme mappa scivolò, trascinata dal vento, tra lei e l'altro, rimanendo sospesa a mezz'aria come se imprioginata in un Wingardium Leviosa.
«Si, ogni mare è unico nel suo genere. Il Mar del Bengala naviga i piani astrali, quello Giallo ha fatto del cielo il suo dominio, il Mar dei Carabini, al contrario, si è rivelato il simulacro di culture diverse partorendo una meta sognata da magitecnici e pozionisti di ogni tipo».
L'indice sinistro scivolò sulla mappa indicando allo stesso ritmo con cui le parole ne scandivano il nome le varie aree geografiche, fermandosi infine nell'ultimo.
«Non è forse da una tesi e da una antitesi diametralmente opposta che si giunge a una nuova vita che ha qualcosa in più della precedente?».
Aveva girato il mondo, amato le sue persone, e studiato i diversi particolari. Molti Denrisiani avrebbero faticato a staccarsi dall'isola che gli aveva dato i natali, ma la strega non si saziava con particolare facilità.
Anzi.
«Se, ad esempio, il Mar Rosso attaccasse lo Stretto di Gibilterra tenuto in scacco dal Mediterraneo, allora il Baltico potrebbe discendere dal Nord per dare supporto, ma sarebbero i Caraibi a darci il maggior margine di vittoria qualora ci supportassero con le loro pozioni o le loro invenzioni magitecniche».
L'idea la vestì come un orgasmo dalla testa ai piedi e per questo si ritrovò con un velo di pelle d'oca ad ammantarne la pelle da cui cercò di distrarsi scrollando la chioma d'ebano per poi posare lo sguardo su Sigurth, una sopracciglia inclinata verso il soffitto a tradire l'ennesima e rinfrescante dose di curiosità.
«Cosa ti piacerebbe approfondire, nel particolare? I guerrieri di Denrise sono abili esorcisti mentre i druidi dell'isola primeggiano nell'invocare ed evocare spiriti o dei».
Era un mondo complesso, quello, e rischioso, ma senza rischio nessun predatore si sarebbe mai potuto saziare.
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Il mare spaventava solo chi non lo aveva mai affrontato in un giorno di tempesta, e nessuno dei due denrisiani presenti al primo piano dell'osservatorio sembrava peccare di quella mancanza. Se la druida aveva scoperto come piegare le onde e le maree al suo volere, sfruttandole sul campo di battaglia alla stregua di come una mistress farebbe di frusta e tacco, il predone sembrava aver appreso come cavalcare le correnti affinché le sue ambizioni potessero sempre trovare un porto sicuro in cui sbarcare.
Una comunanza, quella, che rendeva il rapporto tra i due tanto delizioso quanto tentatore.
«Se continui così potrei arrossire e innamorarmi come una tra le tante ragazze che hai fatto tua in questo o quel porto».
Un tono graffiante, quello, che univa all'acerba ironia il sacro sentore di genuità tipico di chi, finalmente, non aveva di fronte un acquirente o un timoroso degli dei ma qualcuno che avrebbe potuto definire proprio pari.
«Non ti nego che le mie competenze vertono prevalemente sull'aritmantico e sul come questo mondo sappia rivelarsi di supporto sia in ambito pozionistico che magitecnico. Eppure sono certa che druide valide come Airwen o magitecnici abili come Maverick e Garlic sapranno far di questa rinnovata alleanza occasione per forgiare nuove opportunità per la nostra isola».
Le sarebbe piaciuto poter vantare valide competenze in entrambi i campi ma, quando il destino le aveva posto davanti la tacita scelta di dedicarsi alle arti druidiche, Marina aveva preferito studiare a fondo pochi campi ma in modo eccepibile: astri, elementi, e spiriti.
«Se evitiamo di farci chiudere in una tenaglia allora potremmo mettere in scacco il Mediterraneo».
L'indice sfiorò la mappa con la delicatezza che avrebbe usato per tracciare in simbolo astrale nella sabbia delle sacre coste di Denrise salvo poi risalire la carta fino a giungere allo Stretto di Gibilterra. Qui, con un movimento tanto rapido quanto elegante, il dito saltò verso il Brasile e solo la calma imperturbabile di Marina le impedì di affondare l'unghia lì dove l'inchiostro ne delineava i confini col resto del mondo.
«Dovremmo pensare a un modo per troncare il resto del mondo dalla battaglia. Certo, significherebbe anche troncare ogni via di fuga, ma nello scappare che onore ci sarebbe?».
Un tiepido sorriso a incurvarle le labbra mentre dalla politica e dalla tattica il Gunnarson si muoveva verso acque a lei più conosciute.
«Per mia esperienza posso dire che chi primeggia con armi e incanti offensivi finisce per cavarsela anche con le arti esorcistiche. A tal fine uno scontro poco si distacca da quelli a cui sei già abituato. Anzi».
Indice e medio si unirono per risalire verso l'occhio destro, lascivamente posato su quello di Sigurth, in un gioco di sguardi che al malizioso ora aveva sostituito il serio.
«Il primo passo è quello di analizzare il bersaglio perché non tutti gli spiriti condividono la stessa natura. Denrise sfida da anni l'oscuro lasciando che le sua influenza si rintani negli angoli lontani dall'isola ma a breve affronteremo il sacro. Il grosso degli incanti esorcistici ha delle particolarità marginali aggiuntive contro l'oscuro, ovviamente, e sarebbe interessante ricercare incanti che possano vantare effetti aggiuntivi contro il sacro, come ad esempio gli angeli del mediterraneo».
L'aspetto analitico avrebbe potuto fare la differenza ma ancora una volta era la conoscenza la chiave del successo.
«Avresti l'ambizione o la pazienza per provare a creare un incanto simile?».
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Aveva mutilato per molto meno, la druida. Spesso gli uomini si scordavano quanto le donne potessero essere pericolose, notando la bellezza dei loro petali per poi svalutare le loro spine affilate come daghe. C'era un ragazzo, ad esempio, a Forte delle Acque, che la privò della bacchetta dopo una notte passata a bere per provarne ad abusare fisicamente dopo averla legata. Un passo falso, però, aveva fatto cigolare il pavimento risvegliando la druida. Marina aveva letto nello sguardo del ragazzo molto, forse troppo, e non le servì alcuna conferma prima di agire. Evocato uno spirito del vento, aveva tranciato di netto il suo braccio destro all'altezza del gomito, con un Diffindo Coeli tanto preciso da massimizzare il dolore e minimizzare la possibilità che l'altro non sopravvivesse alla notte.
Il ragazzo non l'aveva neanche sfiorata, Sigurth sì, ma la druida scelse di concederglielo.
«Tu? Sigurth Gunnarson? Una sola ragazza?».
Se il suo complimento l'aveva privata del dono delle parola il tempo sufficiente affinché non potesse parlare quando la mano vissuta del predone aveva sfiorato la guancia morbida come un fiore di lei, la frase che seguì il gesto la riportò con i piedi per terra, lì, all'Osservatorio che restava la sua ragnatela.
Era lei la predatrice, o almeno questo amava raccontarsi.
Marina, del resto, era una corrente che aveva benedetto più di un porto, lunatica come lo stesso astro da cui la parola prende il nome, mutava preferenze e gusti come le nuvole in cielo cangiano forma e colore a seconda dell'ora del giorno.
«L'aritmanzia richiede una base teorica per essere padroneggiata ma gli aspetti pratici potrebbero stupirti: rituali per scovare ogni nemico, ibridare specie animali diverse, o ancora piegare i propri incanti affinché questi possano colpire persino il nemico più schivo».
La vita era una questione di prospettive, del resto. La guerra che incombeva su Denrise avrebbe spinto molti a cambiarle, tollerando ad esempio l'oscuro Mar rosso e i suoi necromanti, oppure approcciando aree del magico che non avevano mai avuto l'ardire di abbracciare.
Era quello l'elefante nella stanza, certo, e per questo non si sarebbe spesa in scenate di gelosia quando le attenzioni della mano dell'uomo passarono dalla sua morbida mano all'antica mappa.
«Come affronteresti un attacco aereo?».
Si ritrovò a chiedere lei, lasciando la mano in balia del predone, troppo interessata a discutere di tattiche e guerre per farsi distrarre da un bacio.
«Se non hai mai avuto bisogno di studiare un nemico, significa che non hai mai avuto un degno avversario».
Un sorriso a spezzarle le labbra, certa di quanto appena detto. Sopravvivere così a lungo senza pensare a una strategia era un sinonimo di fortuna e persino Baker, per quanto burbero, sapeva valutare due volte meglio di quanto metà Denrise avrebbe creduto.
«C'è qualche incanto che ti piacerebbe modificare a tal fine?».
Quella della farfalla divenuta corvo era una scelta d'Odino, del resto, non di Sigurth.
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Aveva del paradossale quanto l’animo di quei due fosse in completa antitesi da ciò che ci si sarebbe potuti aspettare dal loro ruolo e aspetto. Sigurth era un monogamo, ad esempio, sebbene il grosso dei predoni avesse fatto del razziare e conquistare, con stupri o conquiste più lecite annessi, il proprio stile di vita. Marina era una druida e lei, dove molti tra gli altri individui che per un motivo o per un altro si erano trovati a coprire questo ruolo avevano scelto la castità in nome del loro amore per gli dei, aveva preferito rimanere libera come il mare di cui portava il nome, disposto a piegarsi - per la di lui volontà - sotto questa o quella marea.
Doveva esserci un motivo per cui gli dei avevano scelto per lei la rara forma del kraken per il proprio patrono. L’animale fantastico, infatti, al di là delle proprie abitudini di riproduzione, era caratterizzato da un gola insaziabile e l’immancabile ambizione di accogliere tutto ciò che cadeva nel proprio campo visivo sotto le sue spire.
«Ci sta».
Gli confesse quando l’altro preferì mettere un paletto sul fin dove spingersi nello studio delle arti belliche. Lei, dal canto suo, aveva dimostrato di sapersi destreggiare sul campo di battaglia al punto che, se in quelle situazioni fosse morta, sarebbe stata certamente accolta tra le braccia degli dei nel Valhalla. Eppure, sebbene avesse la confidenza per poter parlare di quell’argomento con tranquillità, non si voleva arrogare il diritto di controbattere a un predone sulle delle terre - il combattimento - che ormai aveva certamente esplorato a sufficienza.
«Ti é mai capitato di gettarti da solo o con pochi… eletti… in situazioni così pericolose?».
Lei, in un certo senso, l’aveva fatto sia negli abissi di Denrise che nel regno del più potente necromante al mando, ma in entrambi i casi aveva validi compagni come Nara o Kwaku con sé.
«Comunque anche io avrei optato per gli strumenti da te suggeriti salvo che, data la mia natura da studiosa degli astri, mi sarei concessa una mossa alla Dumisama per congiurare tempeste di vento oppure una pioggia di meteore».
A quelle parole seguì un sorriso così ingenuo, volutamente, che avrebbe sfumato le linee di confine che separavano scherzo da brutale onestà.
«So che certi guerrieri sono in grado di rendere i propri esorcisti penetranti a priori… perché non renderli… aggiranti?».
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Il corpo rimase immobile quando le dita di Sigurth scivolarono sulla carne di Marina. L'anima, però, prese a ruggire. Il vivo incarnato delle labbra si piegò in un morbido sorriso mentre lo sguardo che condivideva col cielo il ceruleo e l'azzurro osò piegarsi verso l'altro.
Poteva udirne i respiri come poteva percepire l'eco del battito del cuore nel proprio petto. Sigurth era un predone, certo, ma ogni esperienza mortale o frazione di secondo passato assieme a lui ne metteva in risalto aspetti diversi. Era una reliquia persa nei fondali marini, Sigurth; in pochi avrebbero avuto il coraggio di osservarlo, molti di meno di quello di esplorarlo. A Marina le sfide piacevano e di fronte agli ostacoli si sentiva adirata e incentivata in equal maniera.
Sigurth, poi, era quanto di più simile a uno spirito o una divinità avesse mai conosciuto tra i denrisiani. Come il relitto di cui prima, destava timore alla stregua di un drago o di una divinità appartenuta a un culto perduto. Dei primi, la druida, se ne intendeva poco. Di esseri divini, invece, ne sapeva fin troppo.
Non era il loro potere o le loro gesta ad affascinarla quanto più lo scoprirli umani, pieni di vizi e difetti come un vaso di vetro scosso dalle intemperie del tempo. Sigurth, in quel momento, sembrava più vivo della foresta eterea, cuore dell'isola, o del mar baltico, pelle della stessa.
«La determinazione è ciò che ha reso i denrisiani ciò che sono ed è l'unica qualità che, di fronte alle insidie del mare, ci permette di sopravvivere».
Come l'acqua, Marina sapeva adattarsi al contenitore che aveva scelto di avvolgerla. Aveva accettato il tocco di Sigurth e ne aveva sostenuto lo sguardo quando era stato il momento. Il suo sapersi adattare non era segno di debolezza quanto più manifestazione tangibile della sua algida determinazione. Molti denrisiani si paragonano alla pietra, impiegabile. Lei era acqua e, all'occorrenza, sapeva piegarsi senza mai spezzarsi, o spezzare montagne e scogli facendo perno sulla sua volontà e lo scorrere del tempo.
Fortunatamente per Sigurth, la stazza non era abbastanza per includerlo tra quelle catene montuose di cui avrebbe voluto minare la vetta.
«Le basi della magia le ho consolidate in Scozia, nel castello che prende il nome di Hogwarts. Lì le persone vengono divise in quattro case a seconda delle loro attitudini caratteriali».
Il mento si sollevò verso l'alto per permettere al suo sguardo di raggiungere quello dell'altro senza distrazioni. Le labbra si sarebbero sciolte in un morbido sorriso mentre l'indice avrebbe ricercato l'avambraccio del predone per risalirlo e congiungersi al gomito.
«Tra queste quattro case, due sono le più famose. La prima seleziona i suoi membri tra i più coraggiosi, la seconda tra i più ambiziosi. Gli dei mi hanno voluta tra i secondi, eppure mi chiedo dove saresti finito te».
Marina era una druida, un tramite tra il mondo degli dei e quello dei mortali. Le sue parole pesavano come il vento e i suoi presagi come le tempeste. Provarci con lei era in equal modo atto di coraggio e di ambizione, ma solo uno tra questi poteva prevalere nella singola persona.
Si sarebbe distaccata dalla pressione che parve richiamarla al petto dell'altro muovendo lievi passi verso una finestra circolare che dava sul villaggio, il bracco destro a fluttuare nel vuoto per invitare Sigurth a seguirla.
«Su cosa cala il tuo occhio quando osa posarsi sul panorama che hai di fronte?».
Una voce come il miele fragile ma inopportuna come il tocco d'un amante in un luogo pubblico avrebbe raggiunto il predone fondendosi al distante rumore delle onde che esplodevano contro il porto e le nenie dei druidi che provenivano da qualche tempio sperduto.
Sigurth, da lì, avrebbe potuto notare il cielo di un azzurro tanto brillante da sembrare fittizio. Sotto al firmamento, volgendo lo sguardo a occidente, avrebbe colto le immense ed eterne montagne di Denrise, oscure e ammantate da tempeste di neve come l'inferno riservato ai traditori. Scendendo ancora avrebbe superato le fitte foreste tanto vive e rigogliose da sembrare la la chioma di Freya, verde come gli smeraldi, profumate come solo la natura sapeva essere. Ancora, superate le mura, avrebbe distinto l'immenso tempio in cui, con la druida, aveva avuto modo di colloquiare con un'emissaria di Odino. O forse sarebbero state le strade intricate come le crepe di un vetro scheggiato ad attirarne l'attenzione, crocevia che avrebbe potuto portare l'altro all'interno di qualche casa misteriosa che ne avrebbe sancito la fortuna o la disgrazia. La torre del Capo Villaggio, magari? Si stagliava in alto quasi a voler sfidare gli dei, ricordando al mondo intero come per questi esseri i denrisiani provassero rispetto, mai timore. Oppure il mare, di cui lei portava il nome e il profumo, ma anche la mortalità e l'impossibilità di essere domandata.
Lei lo aveva un obiettivo in tutto quello.
Lui anche.
Marina voleva solo capire quale.
«Sei un eroe, Sigurth, per coraggio o ambizione. In entrambi i casi, un eroe morto smette di essere utile alla patria. Evita di gettarti all'attacco sé non sei certo di poter avere la meglio o non hai qualcuno che possa coprirti le spalle».
Di fronte a discorsi simili, parlare della magia nella sua forma più grezza sembrava alla stregua di discutere il meteo in una locanda durante un giorno di pioggia. Marina riprese il controllo del suo respiro, lo sguardo ancora rivoltò a ciò su cui la finestra le dava visione, l'udito a catturare ogni esitazione o dubbio di Sigurth.
«Spesso la strada è incerta ma il traguardo no. Non esiste un unico modo per raggiungere un obiettivo. La mia conoscenza della natura mi permette di risvegliare l'anima degli elementi e con questa gli spiriti che ne costituiscono l'essenza affinché seguano i miei bersagli ovunque essi fuggano. Altri ancora, studiosi d'aritmanzia, hanno una conoscenza teorica della magia tale per cui riescono a modularne la forma affinché prenda traiettorie imprevedibili persino per i bersagli più accorti».
O quasi.
«Certi, infine, ma di questo non ne ho mai avuto la riprova, ottengono questo dono dagli dei dopo aver sacrificato qualcosa».
In quel mondo nulla era regalato, ma un eroe degno di tale nome non poteva certamente avere paura di sacrificarsi.
O sacrificare.
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Ascoltò le parole due alla volta, finendo una frase e rimanendo col fiato sospeso finché il predone non sfiorava l'inizio dell'altra. Sorrise persino dove non avrebbe mai potuto credere di provare simpatia. L'immagine di un crup che affondava i canini della tenera e devastata carne di un barbagianni la incupì, la musicalità con cui aveva raccontato il tutto gli fece esattamente l'effetto opposto.
«Secondo me ti saresti divertito. Molto. Sei troppo intelligente per precluderti una via e le stesse vie ti avrebbero scelto con piacere».
I giorni in cui aveva frequentato il castello erano ormai lontani ma il ricordo di quelle mura, quanto quello dei suoi abitanti e dei loro vizi, era più vivido di mai. Aveva visto tante ragazze provare pene d'amore per studenti che valeva un dito del Gunnarson ed era certa che quest'ultimo avrebbe fatto faville con tutte loro. I denrisiani prima che navigatori e pescatori erano predoni conquistatori.
Il concetto di gabbia le risultò più facile da comprendere. Per un denrisiano non c'era tortura peggiore della perdita di libertà e ogni canone o regole a cui si aderiva non poteva che condurre a questo risultato. La stessa Marina che era entrata a Hogwarts era morta tra quelle mura lasciando che, dal cadavere, si liberasse un imenottero più maturo e pronto ad affrontare il mondo.
«Un giorno anche quest'isola ti starà stretta».
Nessuno avrebbe saputo dire se quella frase fosse stata detta come monito od offesa, presagio o scommessa. Gli occhi d'un ceruleo fittizio si persero verso l'Orizzonte, lì, dove Sigurth aveva indicato. Un respiro le abbandonò il corpo nel congiungersi alla consapevolezza che le stesse norme del villaggio, canoni e regole annesse, fossero catene troppo strette per chi bramava l'avventura e la libertà. Sigurth era una tra queste persone, la sua compianta Nara lo stesso.
Lentamente il capo ruotò verso l'isola dimenticando il mare che si era lasciata alla destra. Lo sguardo non esitò neanche un istante sui Monti o sulla Foresta Eterea, come neanche tra le strade del Villaggio o il maggiore tra i suoi Templi. Come lance nella carne della preda ambita, le pupille affondarono nella Torre del Capovillaggio.
Di fronte alle regole che limitano la libertà esistono tre alternative. Sottomettersi, come facevano in molti. Scappare, come gli avventurieri. O piegarle al proprio volere, come gli eroi il cui difetto fatale rispondeva al nome di ambizione erano soliti fare.
«Sembra uno stile molto interessante anche se la grande presenza di barriere anti-smaterializzazione potrebbe rendere il tutto estremamente complesso. Forse potrei avere qualcosa di utile verso l'Autunno a tale scopo».
Sollevò le spalle con noncuranza, dando il massimo dell'importanza alle parole del predone ma riponendo il minimo della fiducia su coloro che le recapitavano i tesori più ambiti.
«Hai mai pensato di stringere un patto con degli spiriti? È una scelta rischiosa, incredibilmente rischiosa, ma che sa pagare chi è forte di ideali e di intenti».
Marina scivolò con un passo al fianco di Sigurth lasciando le dita della mano destra libere di scivolargli dal torace alla schiena.
«Le Valchirie non sono solo emissarie di Odino ma anche incredibili guerriere. Se saprai catturarne i favori potrebbero darti un paio di ali e, magari, guidare i tuoi colpi esorcistici contro i nemici».
Non poteva avere la certezza di quanto detto ma se c'era una cosa che non mancava alle persone ambiziose, quella cosa era proprio la capacità di viaggiare con la mente.
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