La sera anche il respiro degli alberi parla

16.05.2022

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    Da quante ore era con il naso all'insù? Guardava quella luna e pensava al branco, a quanto avrebbe voluto star con loro anche quella sera, ed invece si ritrovava in riva al lago a guardare quella che era il grande occhio di quel telo scuro della notte.
    Erano cambiate così tante cose quell'anno che forse quello era il momento più normale che stava vivendo. L'avvicinamento al branco era stato graduale ma intenso e ancora non capiva cosa Layla aveva visto in lui da permettergli di far parte di quella strana famiglia pur non essendo uno di loro a tutti gli effetti. Eppure, quello era l'unico gruppo in cui aveva ritrovato se stesso.
    Una nota positiva in tutto quello, inoltre, era il fatto che finalmente l'anno accademico stava terminando e le agogniate vacanze erano alle porte. Lucas non vedeva l'ora di rintanarsi sotto i climatizzatori della sua dependance o di andarsene in giro con Al, John e Jack senza dover pensare che il giorno dopo la sveglia era lì a ticchettare l'inizio di una nuova infernale giornata scolastica.
    Altra importante novità di quell'anno erano stati i suoi tirocini, sempre più professionalizzanti che gli avevano permesso di specializzarsi nel photoreportage che tanto gli interessava e i contatti con Markab erano continuati nonostante gli altri tirocini lo avevano visto pressato ai massimi livelli.
    Quella sera aveva indossato una t-shirt nera sopra la quale aveva infilato una felpa senza cerniera e con il cappuccio e un paio di jeans dal lavaggio leggermente più scuro del classico, infilato in un paio di anfibi neri; pur essendo Maggio, a quell'ora faceva comunque freschetto e le temperature londinesi non erano consigliate per una mezza manica, a meno che non volevi prendere una broncopolmotosse (?).
    Tuttavia, in quella serata decisamente tranquilla, Lucas non era da solo: appollaiato tra le sue gambe incrociate c'era il fedele Zeus, il gatto bengalese che era sempre stato la sua ombra.
    Prese il magifonino, mentre la mano sinistra accarezzava il gattone e cercò l'applicazione della fotocamera per scattare al meglio una foto che potesse inquadrare una parte del lago che aveva davanti, le sue gambe e Zeus. Ormai aveva la sua pagina instagram che pullulava di foto; da quelle serie a quelle più sceme con gli amici, cercava di aggiornare quanto più possibile i suoi social, pur non essendo uno che vi andava molto dietro, ma aveva ormai capito quanto la gente fosse attaccata a quegli strumenti.
    E così fece anche quella volta, indicando anche la posizione di dove si trovasse.
    lucas j. jones

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    Non una chiamata, non un messaggio e neanche un dannatissimo gufo. Niente di niente, un silenzio radio assordante. Aveva persino scaricato una di quelle app social, una di quelle dove si mettevano foto su foto con mille filtri, colori e frasette motivazionali. I suoi follower erano pochi, giusto più del numero di immagini che pubblicava -due, se consideriamo il musetto in primo piano di Mushu mentre lecca Rain- e in quelli che seguiva, tolte le pagine di curiosità, quelle dei video dei gatti e pagine di informazioni, vi erano Cameron, che ormai non pubblicava niente da settimane, e Lucas. E fu proprio il suo profilo a comparire in homepage, con le gambe aperte per lasciare spazio al suo gattone, con in sfondo quello che sembrava il lago nero. Sotto, i minuti indicavano come ne fossero passati solo tre dall’invio. Forse lo avrebbe trovato ancora lì, dopotutto la distanza tra lì e le serre non era neanche troppa. Si tirò su il cappuccio della felpa nera che aveva lasciato aperta su un paio di short di jeans scuri, con il solo top bianco a dare un po’ di luce a tutta quell’oscurità. Le scarpe da tennis -indovinate un po’? Un paio di classiche converse basse bianche e nere- non lasciavano impronte sull’erba umida, così come il suono dei suoi passi era flebile, man mano che si avvicinava alle sponde del lago, mentre cercava di ricostruire in quell’immagine un po’ sfocata dei dettagli che potessero aiutarla a comprendere dove fosse. Non sapeva neanche perché lo stava raggiungendo di sua sponte, aveva semplicemente lasciato che i piedi la guidassero fin lì, non così lontani dal luogo in cui era stata rapita al suo primo secondo anno. «Nessuna canna stasera?» avrebbe cercato di coglierlo di sorpresa, prima di sedersi accanto a lui, senza neanche chiedergli il permesso, allungando una mano in direzione di Zeus affinché si abituasse al suo odore prima di carezzarlo dietro le orecchie.
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    La verità era che lì i ruoli si stavano scambiando, senza che Lucas se ne rendesse conto. E questo sarebbe stato ancora più divertente quando avrebbe avuto l'illuminazione.
    Postare sulla sua pagina Instagram ormai era diventata un'abitudine che lo aiutava anche a trovare lavoretti che gli permettevano di mantenersi o di togliersi qualche sfizio.
    Mai avrebbe pensato che potesse essere un esca per far abboccare una Elisabeth Lynch annoiata a fare zapping (?) sui social. Era pazzesca la vita: un anno sei lo stalker di Lynch, qualche anno dopo e lei a raggiungerti esattamente dove sei, dopo aver visto una tua foto.
    Eppure, Lucas non era la prima cosa che aveva pensato quando era quasi morto di infarto, sentendo la voce alle sue spalle chiedergli dove fosse la sua canna quella sera.
    Cazzo, ecco cosa aveva scordato, sicuramente la proprietaria di quella voce sarebbe stata lieta di sentire il moretto risponderle «No, questa sera sobrio. Quasi morto d'infarto, ma sobrio.» - con tanto di sorriso sbiego che lo caratterizzava.
    Fece cadere la mano che si era portato al cuore quando lei gli era apparsa alle spalle e riprese fiato «Sta diventando un'abitudine incontrarci. Inizio seriamente a pensare che non sia più solo un caso, sai?» - la canzonò, osservando Zeus avvicinare il nasino a quella mano e riconoscerne l'odore familiare.
    Quel gatto era proprio come il padrone, avrebbe riconosciuto l'odore di Liz lontano un miglio. Il capino del gatto si piegò dando una testata a quella mano, pretendendo di prepotenza carezze dietro le orecchie che non tardarono ad arrivare, mentre lui iniziava ad impastare delle fusa.
    La rapidità con cui Elisabeth aveva preso posto vicino a lui fu così disarmante che il ragazzo cercò di non pensare troppo al fatto che sembrasse venuta lì proprio per lui. La osservò: guardò quelle scarpe, quelle gambe nude e risalì piano ogni singola parte del suo corpo, deglutendo almeno un paio di volte, fino a giungere a quella felpa. Un sussulto al cuore: era davvero lei? Era consapevole che - se fosse stata quella felpa - lei la stesse indossando? Era come se in quel momento, Lucas sentisse un gorgoglio allo stomaco, come se in quel momento avesse voluto chiamare Joshua e dirgli quanto le stava bene la sua felpa. E forse, il vecchio Lucas lo avrebbe fatto, ma questo, invece, pensò semplicemente a quanto sarebbe stato bello sfilarle quella felpa e … lo sguardo cristallino del ragazzo arrivò con strafottenza su quello di lei, sorridendo ancora «Bella felpa, ti sta bene.» - sì, doveva stuzzicarla, era più forte di lui. Era come se non riuscisse a fare a meno di voler provocare in lei reazioni.
    Zeus, nel frattempo aveva deciso di stiracchiarsi e di andare a giocare con una lucertola che aveva attirato l'attenzione del micione, dicendo no alle coccole e sì a valsoia alla caccia.
    lucas j. jones

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    Forse il prossimo passo era il dar fuoco al mondo intero, visto che sembrava che i ruoli tra i due ex si fossero invertiti. Ma, una differenza tra i due c’era ed era anche sostanziale: Liz non stava stalkerando Jones per saperne ogni singolo movimento e presentarsi da lui con fare casuale, bensì era stata la sorte a darle una spintarella per non passare l’ennesima serata in totale solitudine.
    Due anime sole che si sarebbero fatte compagnia alle rive del lago. Più un gatto, ovviamente.
    La soddisfazione di essere riuscita a coglierlo di sorpresa fu tanta. Le spalle che si sollevarono, la mano che volò al petto per tentare di rallentare i battiti. Ma, in particolare, fu il sollievo di non vederlo con alcuna sostanza stupefacente a penzolargli dalle labbra o lo sguardo vitreo che aveva dopo averne fumata un po’. Era Lucas Jughead Jones, il suo vecchio Lucas, e questo le andava bene. «E non sei morto? Mi deludi», scherzò, lasciando che Zeus si prendesse il carico di coccole che voleva dargli. Ne avrebbe ripagato le conseguenze una volta tornata nel suo dormitorio, con le scenate di gelosia di Mushu. «Oh, non è un caso che stasera ti abbia trovato», ammise con candore, continuando a passare i polpastrelli sulla testolina morbida del felino. «Ho visto la foto su instaqualcosa e ho pensato di raggiungerti», la pura e semplice verità, non c’era un animo da stalker in lei. «Lo giuro, stavo vedendo se c’era qualcosa di interessante e mi è apparsa la tua foto», chiarì, mentre Zeus con piccoli colpi della testolina le fece capire di voler essere lasciato libero perché tirato da qualcosa. Un colpo della coda al suo avambraccio ed eccolo partire alla caccia di qualcosa. Lei, in tutta risposta, incrociò le gambe e tirò verso i polsi e poi le dita le maniche della felpa che l’avvolgeva. Forse fu quel movimento ad attirare lo sguardo di Jones, forse semplicemente la stava già osservando, fatto fu che perse un battito quando lui la stuzzicò con un commento su di essa. Abbassò lo sguardo e comprese come dalla pila di vestiti avesse preso proprio la felpa che anni prima lui le aveva dato per proteggere la sua nudità. Ad onor di cronaca ne aveva avuta anche una grigia da Evans ed anche quella faceva ancora parte delle opzioni per creare un outfit comodo e senza impegni. Ma tornando a quella che la proteggeva dalla brezza leggera del lago, dovette ammettere con rammarico che ormai il profumo dell’ametrino non ci fosse più, sbiadito nel tempo e nei lavaggi ma non dalla sua memoria. «Grazie, la trovo davvero comoda e funzionale, anche se mi sta un po’ grande», occhieggiò divertita prima di volgere lo sguardo all’orizzonte. Il silenzio tornò ad avvolgerli, mentre le iridi cerulee sottili studiavano il riflesso della luna, non ancora piena, sullo specchio d’acqua fintamente calma. «Come mai Lucas Jones se ne sta di sabato sera, solo soletto, in riva al lago?» Quella, in effetti, era più un’attività tipica della cara e vecchia Lynch e non del nuovo Jones che aveva una vita decisamente più movimentata rispetto a quando si frequentavano. «Non c’era nessuna serata ad attenderti al villaggio?»
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    La cosa divertente di tutto quello era che per quanto Lucas sapesse che quel girarsi intorno non avrebbe portato a nulla di buono, la sua curiosità aveva la meglio tanto da voler tentare di continuare a far girare quella giostra pericolosa su cui entrambi erano saliti senza pagare il biglietto. La spintarella che la sorte aveva dato a Liz per giungere lì, aveva fatto sembrare agli occhi dell'Ametrin, quell'arrivo del tutto strano e inaspettato.
    Talmente inaspettato che lo stesso Lucas ci stava quasi per rimanere secco quando aveva sentito la voce di Elisabeth alle sue spalle. Certo, si era ricomposto quasi totalmente poco dopo, ma non poteva negare a lei di aver fatto centro con il suo intento di farlo spaventare.
    Tirò un sospirone profondo, proprio per calmare l'animo, senza rendersi conto che l'arrivo dell'opale aveva fatto in modo che lui calasse lo sguardo da quello che era stato il suo obiettivo visivo tutta la notte: la Luna.
    Sogghignò alla delusione dell'altra di non essere riuscita a togliergli la vita, poi scosse il capo, con fare piuttosto sicuro di sé e strafottente allo stesso tempo «Naaah… sappiamo entrambi che se dovesse accadere saresti la prima a piangere sulla mia tomba, signorina Lynch.» - la canzonò inclinando il tono mellifluo su quell'appellativo che precedeva il suo cognome.
    L'ammissione di lei sul fatto che non fosse un caso che lo avesse raggiunto, non fece altro che accendere la curiosità di Lucas che mugugnò un «Hm?» - piuttosto interessato a sentire come fosse arrivata a lui quella sera.
    Sollevato il sopracciglio destro mentre ascoltava lei spiegare con molta semplicità cosa fosse successo e cosa fosse scattato nella sua mente. Lucas strinse le labbra cercando di non ridere soddisfatto da quello che implicitamente lei aveva letto, o forse semplicemente lui aveva voluto intendere. Ci provò a non puntualizzare su niente, ma sarebbe stato come lasciare andare un pallone lanciato perfettamente e pronto per essere piazzato in porta, senza nemmeno far fatica, quindi prese un respiro ricacciando le risate nascoste e prese parola «In pratica, se ho capito bene, cercavi qualcosa di interessante e hai scelto di raggiungere me. Sono io o in tutto ciò c'è qualcosa di così facile da leggere tra le righe? Ossia il tuo trovarmi interessante.» - l'angolo delle labbra sinistro si sollevò, piegandosi in un sorriso che nascondeva un ghigno soddisfatto. Cercava di metterla in difficoltà, ma sapeva quanto fosse difficile: davanti aveva Elisabeth Lynch e non sarebbe stata così arrendevole nell'ammettere quanto lui avesse capito. O forse no? Fatto sta che il destino - o Instagram che fosse - aveva voluto che loro fossero di nuovo là, insieme, in un momento dove Lucas aveva deciso di isolarsi e la presenza dell'Opale era l'unica che non le avrebbe dato fastidio.
    Quella stessa presenza che aveva rapito l'attenzione dell'Ametrin, facendo passare il suo sguardo dalla Luna alla ragazza, era come se stesse rapendo il palco a quella sfera che in quei giorni lo tartassava con quella decisione che aveva preso ormai da tempo. E lei era lì.
    Lucas concentrò l'attenzione sua sulla felpa e riportò lì anche quella di Liz «Sì, notavo. Ma ormai si usano queste taglie più grandi. Servono per nascondere al meglio la pancia quando mangi troppi muffins.» - la pizzicò ancora, divertito dall'idea di stuzzicarla sulla sua silhouette, perfetta comunque in tutte le sue forme.
    Lasciò che il silenzio l'avvolgesse, mentre gli occhi di entrambi vennero rapidi dal plenilunio che stava facendo da spettatore a quell'incontro. La voce di Elisabeth sembrò una dolce nenia in quella sera di Luna Piena, quasi come se fosse la sua stessa coscienza a parlargli, in certo qual modo. Non calò lo sguardo su di lei, per rispondere a quella domanda «Nonostante ci siano tanti fattori che mi portino ad essere sempre in mezzo alla gente, sono ancora quello che ama il silenzio, la notte e la solitudine.» - disse con leggerezza, volgendo poi un sorriso alla ragazza. Sorriso che scoppiò in una risata quando sentì parlare di serata al villaggio «Serata al villaggio? Con qualche donzelletta che vien dalla campagna?» - ancora la prendeva in giro «Nessuna serata al villaggio, comunque.» - lo sguardo tornò di nuovo sulla luna, quello del ragazzo per lo meno e il silenzio calò di nuovo come se volesse ascoltare il respiro degli alberi che li circondavano.
    La presenza di Liz accanto, seppur inconsapevolmente, lo portò a riflettere su diverse sfumature ed una di queste fu proprio il cambiamento a cui voleva sottoporsi. Zeus oramai si era allontanato a giocare e Lucas pareva piuttosto tranquillo che sarebbe tornato, come ogni volta. Tirò la gamba destra, piegandola al petto e ci poggiò sopra il gomito gemello, mentre la gamba sinistra rimase stesa. Prese un respiro ancora più profondo prima di riprendere la parola, accorgendosi che forse il silenzio tra loro aveva preso troppo spazio, pur non lasciando l'imbarazzo «Elisabeth?» - il tono questa volta era serio, il cristallo dei suoi occhi rifletteva la Luna piena che illuminava uno spazio ampio di quel lago. Non era solito chiamarla per nome, chiamarla con serietà, ma aveva una domanda da farle «Se un giorno io dovessi cambiare, se io dovessi fare i conti con una realtà più selvaggia di me, più… animale… credi che tu possa accettare anche questa faccia di me?» - solo allora calò il ghiaccio sul volto di Elisabeth, desirando per un solo frangente accorciare le distanze che li vedevano seduti a pochi centimetri l'uno dall'altro.
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    Il fatto che, dopo tanto, riuscisse a scherzare su una cosa come la prematura dipartita di qualcuno cui voleva bene era un passo avanti notevole. Ma questo non significava che fosse altrettanto facile immaginarsi Jones pallido e privo di vita. «Ehi!» Gli diede una gomitata affettuosa, prima di iniziare il percorso “ruffianiamo Zeus”, che passò a pieni voti, dati i miagolii soddisfatti del felino. Era in effetti una tecnica utile per rilassare i nervi quando bisognava vuotare il sacco, persino per lei che dello spiattellare la verità o i fatti ne aveva fatto un elemento distintivo. «Non sapevo che fossi passato al lato oscuro del sentirsi rassicurare su quanto vali», disse, sorridendo apertamente ed assumendo una posizione comoda nonostante non fossero nei pressi di un tronco contro cui rilassare la schiena. «Lo sai che sei interessante già da solo, non c’è bisogno che te lo dica anche io», pronunciò sempre divertita, dandogli però quello che voleva, certezze. Perché nonostante i loro trascorsi doveva essere sincera e ammettere che comunque Jughead avesse delle qualità che erano state in grado di attirare la sua attenzione. Poi, come ogni cosa che toccava, aveva finito col rovinarla. Socchiuse gli occhi, cercando di passare un colpo di spugna ai suoi sensi di colpa, non tanto per cancellarli, quanto più per renderli meno vividi come in quel momento.
    E Lucas Jones, anche senza saperlo, le venne in aiuto occhieggiando una felpa che lui conosceva fin troppo bene, visto che era la sua. «Io aspettavo altri muffins», si passò la mano sul ventre piatto, sussultando nel sentire le sue dita sul fianco in quello che era un vero pizzicotto. «Ahia!» In realtà non le aveva fatto male, anzi, ma se riusciva a farlo sentire in colpa almeno un po’ l’avrebbe soddisfatta alla grande. Poi, avvolgendo il bianco col nero, ammise qualcosa che aveva sempre avuto nel suo inconscio senza mai esternarlo. Forse qualche residuo dei tempi che furono. «Sai, mi piacerebbe averla in altri colori e no, non con il vestis», perché in quello poteva riuscirci anche lei, mentre per quanto riguardava quell’odore fatto di profumo, pelle e sudore era consapevole di non riuscire a riprodurlo. E rimasero in silenzio, lasciando che li avvolgesse come una coperta che non li strinse o costrinse, anzi era dannatamente piacevole starsene in quella bolla di calma e tranquillità. Cosa che venne da lei, per chiedere come mai fosse lì e non a sballarsi come faceva negli ultimi tempi. Ma dietro l’abuso di sostanze stupefacenti ed alcol, c’era ancora il suo Jughead, bisognava solo ricordarlo a lui e lasciarlo emergere, proprio come fece in quel momento. «Vuoi forse dire che per quanto aspiriamo al cambiamento alla fine questo non avviene del tutto?» Una domanda forse un po’ troppo profonda ma che si basava sull’esperienza -seppur breve equiparata ad un adulto- che gravava sulle sue spalle da battitrice. Il suono della risata di lui, quando toccò il villaggio, fu un toccasana. Da quanto tempo non udiva una risata provocata da lei? Intorno avvertiva e sentiva solo giudizi ed odio, non qualcosa di leggero e rilassato come quel momento che cercò di alimentare il più possibile, ancorandosi con le unghie e con i denti. «Se vien dalla campagna non saprei dirti, anche se penso più alle montagne e alla foresta», il capo a reclinarsi indicando proprio quelle parti dell’isola che, nelle giornate più difficili, continuavano ad esercitare un certo peso su di lei. E la quiete tornò nuovamente, con i miagolii di protesta di Zeus che si persero man mano, mentre i due ragazzi continuavano a fissare in modi diversi il satellite che rischiarava con la sua luce la natura circostante. Sobbalzò, nel sentire il suo nome, voltando il capo con fare scettico visto che raramente l’altro usava appellarla col nome per intero. «Mh?» Lo spronò a continuare, oltre a dargli la certezza che fosse pronta ad ascoltarlo qualsiasi cosa volesse rivelarlo. E lo fece, solo che non si aspettava un quesito del genere. «Stai cercando di dirmi qualcosa?» Poi, cercando di focalizzarsi sulla forma animale e selvaggia una lampadina nella sua mente da serpe-corva si accese. «Hai forse trovato la ricetta per diventare animagus?» Lo scintillio negli occhi a segnalare come si sarebbe beccata le peggiori punizioni pur di riuscire a divenire animagus. Eppure, continuando ad ascoltare nella mente quel quesito, la ragazza comprese come fosse ben lontana da quello che intendeva l’ametrino. Sollevò lo sguardo sulla luna e accertarsi che fosse piena le diede l’idea che non fosse un licantropo. Non ancora almeno. Quindi, cosa stava cercando di dirle? Ad ogni modo, dopo un profondo respiro e lo sguardo fisso in quello di lui, cercò di articolare un pensiero onesto. «Certo, cambierebbe parte della tua personalità… però, ecco, so che sarai sempre tu, anche con una nuova faccia» e nel dirlo allungò una mano che posò sul suo avambraccio, volta a tranquillizzarlo.
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    Il passaggio da quel cupo discorso sulla sua morte alla necessità di sentirsi dire da lei quanto fosse interessante ai suoi occhi fu piuttosto breve. Un passo così corto che quasi non si era accorto di come fosse stato fatto, probabilmente con un salto nel vuoto in cui lui aveva chiuso gli occhi. Finse di essere spinto da quella gomitata che gli arrivò, come se lei avesse impresso una forza che non avrebbe retto il ragazzo, poi rise, guardando come il suo gatto si stava prendendo quelle coccole con veramente poca dignità; maledetto felino.
    Ghignò alla sua risposta, come se avesse riempito un po' del suo ego, cosa che non era solito richiedere, non tanto perché aveva la consapevolezza di quanto fosse interessante, quanto al fatto che non avesse interesse a sentirsi dire se fosse apprezzato o meno. Lui era un outsider, lui era un mezzosangue e se prima di questa cosa ne soffriva, con gli anni aveva imparato a farci i conti e a capire che nonostante tutto fosse perfetto così com'era, stava bene con se stesso e il risultato di questa trasformazione interiore lo doveva prima di tutto a Layla e ai tre ragazzi del branco con cui aveva ormai stretto un'amicizia fuori da ogni schema. Ci aveva messo lo zampino anche Liv, non poteva negarlo, accettandolo fin da subito con i suoi sbalzi d'umore, con il suo carattere chiuso e con il fatto che fosse fatto dalla mattina alla sera, senza chiedergli il motivo. Eppure, con Liz al suo fianco, dentro di sé sentiva emergere la parte più pacata, la quiete che dentro rimaneva schiacciata dalla tempesta che lui stesso sapeva di essere. Lei era come l'analgesico ai suoi tumulti. E andava bene così.
    Andava bene che in quel silenzio ci si trovasse una meraviglia, che le loro parole fosse poche ma necessarie, perché era sempre più convinto che non era di parole che avevano bisogno per poter comprendere che l'altro aveva necessità di qualcosa o meno. Il silenzio, tra loro, parlava più di ogni altra conversazione.
    Eppure la necessità di rompere ogni tanto quella coperta morbida che li avvolgeva, era stato proprio Lucas a sentirla, riportando la mente ai ricordi di quando quella felpa l'era stata donata. Rise per i muffins, scuotendo il capo e facendo muovere qualche ciuffo un po' troppo lungo «Come siamo esigenti…» - bofonchiò ironico, prima di distruggere momentaneamente quelle distanze fisiche per concedersi solo un pizzico. Sollevò gli occhi al cielo, roteandoli appena «Siamo diventate anche fragiline a quanto pare…» - toccarla aveva trasmesso anche a lui una scossa, ma aveva cercato di trattenere quel fremito strano per tentare di non dare nell'occhio.
    Cosa che non riuscì quando espresse il desiderio di averla di altri colori, le iridi celesti di lui si sgranarono appena dallo stupore, quasi istintivamente, poi si addolcì quello sguardo fino a tornare strafottente com'era prima «Ne ho diverse che ti starebbero molto bene. Dovresti fare un giro nel mio armadio per poterne scegliere un'altra…» - un invito? Una proposta? Qualsiasi cosa fosse l'aveva detta e non si stava pentendo un attimo di averlo fatto; sapeva la strada per giungere a lui - sempre - anche da ubriaca, avrebbe potuto andare quando voleva e questo lei lo sapeva. Quella sua richiesta di una felpa di colore diverso non era stata esplicitamente esposta nel richiederne una che appartenesse al ragazzo, ma lui aveva glissato energicamente l'idea che l'opale potesse comprarne una propria.
    Di nuovo il silenzio avanzò, facendo sentire la sua presenza e abbracciando di nuovo entrambi, quasi a voler essere partecipe anche lui di quel dipinto che stavano componendo insieme. Questa volta fu lei a rompere i cristalli della quiete in cui galleggiavano. Sollevò le spalle e le lasciò ricadere pochi attimi dopo «Credo che sia semplicemente una convivenza interiore tra la quiete e la tempesta, ognuno di noi ne ha una dentro. E oggi ero più quiete, magari domani sarò tempesta… o tra qualche ora. Chi può mai saperlo.» - riuscivano a capirsi anche se avessero parlato in maniera ermetica, questo ne era certo. In lui, non mentiva, convivevano quelle sensazioni di calma, che necessitavano di solitudine e silenzio; poi vi era l'irruenza, l'istinto e la burrasca. Aveva imparato a gestirle entrambe, forse quando si era accettato per quello che era ed era questo che aveva concesso a Lucas di vivere sicuramente meglio di come faceva prima.
    Seguì lo sguardo di Liz verso la montagna e la foresta, prima di tornare su di lei e storcere il naso «Allora devo stare attento, potrebbe colpirmi alle spalle se viene da lì…» - rise di nuovo, con evidente riferimento al fatto che potesse arrivare esattamente com'era arrivata lei.
    I momenti che precedettero quella domanda di Lucas, furono caratterizzati di nuovo dall'assenza di voci, ma questa volta la testa di lui era carica di suoni, di rumori che volevano uscire fuori. E così fecero.
    Incrociare i suoi occhi fu come una chiave di un lucchetto che apriva una catena, sentiva di poter parlare, di essere al sicuro. Scivolò con le spalle a quella domanda, lasciando che si focalizzasse su ciò che aveva chiesto e lasciandole fare ogni possibile ipotesi a riguardo. Scosse il capo «Nessuna ricetta…» - sibilò appena, notando come i suoi occhi cerulei si spostarono sulla luna. Che avesse capito? Lui non si spostò con il ghiaccio dal suo volto e quando lei tornò a guardarlo lo trovò serio, in attesa di quella risposta che non tardò ad arrivare. Gli occhi si posarono su quella mano che lo toccò. Sorrise, questa volta dolcemente, mentre il braccio da lei toccato provò a ruotarsi appena e quasi istintivamente il palmo della sua mano cercò quello della ragazza, senza far altro che sfiorarlo se gli fosse stato concesso «Anche se questo cambiamento portasse a sparire per giorni?» - sussurrò piano mentre tentava di avvicinarsi a lei «Ad essere scontroso in alcuni momenti?» - e tentò di farsi ancora più vicino, come se volesse creare un climax misto tra le sue domande e i loro corpi che pian piano cercava di avvicinare, mentre il suo braccio avrebbe provato a sfiorare la sua schiena fino ad arrivare all'altezza dei reni, sempre se glielo avesse concesso e il suo volto a sfiorare con il respiro quello di lei «Anche se in notti come queste, non potessimo stare così vicino…?» - se gli avesse concesso di avvicinarsi così tanto, quest'ultima domanda sarebbe stata un sussurro al suo orecchio, prima di socchiudere gli occhi e respirare piano il suo odore fino a riempirsene i polmoni per poi lentamente allontanarsi, la mano dietro la sua schiena avrebbe tracciato il percorso al contrario e tutto questo fu fatto tentando di farle sentire il freddo di quella distanza, il calore che si disperdeva lì dove lui l'aveva toccata, lì dove lui aveva respirato, come a volerle provocare in lei un brivido e una reazione in simultanea.
    Sospirò, quindi, poi afferrò i lembi del cappuccio della propria felpa e se lo mise in testa e si stese sul manto umido a guardare la Luna, di nuovo, le mani dietro la nuca, respirando ancora quell'odore da cui si era dovuto allontanare forse per frenare quell'irresistibile voglia di saggiarne anche il gusto.
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    Black Opal
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    Ci sono persone con le quali, per quanto ampli siano i trascorsi e l'acqua passata sotto i ponti, finirai sempre col ritrovare un'affinità, una vicinanza. Per Liz quella persona era Lucas Jones. Gli aveva fatto del male, ne aveva avuto il timore, ma era pur sempre il primo ragazzo che aveva voluto, per cui aveva provato dei sentimenti, il suo primo bacio. Due vite che avevano visto i loro fili intrecciarsi e poi sbrigliarsi, ingarbugliarsi, perfino con piccoli nodi ad ostacolarli, ma che in qualche modo erano ancora uniti. Lì, sulle sponde del lago, tra discorsi leggeri ed altri fin troppo filosofici e moraleggianti, Liz e Lucas tornavano a scoprirsi, a scherzare tra loro, a lasciare che si creassero nuove trame. «Fragilina a chi?» Da quanto non usava un tono così leggero, privo della pesantezza che si trascinava dietro neanche fosse una lumaca con la sua casa. Il vissuto però le concedeva ancora il privilegio ed il lusso di sfoggiare capi di abbigliamento che avevano sperimentato fatti ed avvenimenti degni di nota, ma che al momento non era così saggio rinvangare. Però chi era lei per sottrarsi nello scagliare qualche frecciatina qua e là, nonché a servirsi di espedienti per non dover fornire risposte dirette? «Sicuro che troverei qualcosa? Ultimamente mi sembra alquanto trafficato il tuo armadio». Se l'altro fosse andato alla ricerca di fastidio o gelosia non ne avrebbe trovata, perché effettivamente questa narratrice non si ricorda quanto sappia a proposito dei suoi intrallazzi con Jessica e Liv, se non vecchie supposizioni in un pomeriggio non qualunque a casa di lui.
    Ecco perché poi si finisce con l'affrontare cose più grandi di loro, ma anche delle persone più sagge che avevano provato ad indagare nel corso dei secoli. Un piccolo loro contributo, invero, non avrebbe fatto male a nessuno, ben lontani dal divenire oggetti di studio e di critica. «Quelle sono le varie piccole parti che compongono la tua personalità, ci sta che in un momento prevalga una piuttosto dell'altra», perché per quanto ermetici e complicate fossero le loro interazioni alle orecchie degli altri, finivano sempre col trovarvi un significato chiaro e cristallino. Alquanto inquietante, come le narratrici ben sanno. «Ma io parlo più di cambiamenti radicali, non di limature. Cioè se la metti così sembra quasi che la parte tempesta abbia legato la quiete mani, piedi e bocca» continuò per la sua strada, con le dita a contare parti di corpo chiamate in causa, arrestandosi solo per aggiungerne un'altra: «Forse anche occhi». Stesse dita che finirono con l'accarezzare il suo ginocchio piegato, segno di quanto stesse ancora pensando su quanto lui avesse detto. Quiete e tempesta, due facce della stessa medaglia, che venivano chiamate in causa in base alla percezione che l'anima aveva in merito agli eventi che andavano verificandosi. «O semplicemente hai ragione tu. Non lo so più», scrollò le spalle, consapevole che per quanto desiderasse possedere verità assolute nelle proprie tasche ne era drammaticamente sprovvista. Perlomeno in merito a tale questione, perché poi quello che ne seguì finì con l'essere una lotta al trovare la risposta giusta in base alle sue conoscenze prettamente scolastiche. L'ipotesi sull'animagia venne scartata, con grandissimo dolore dell'Opale che già si vedeva pronta a carpire e realizzare le formule che le avrebbero permesso di cambiare forma. Ad ogni modo lo aveva tranquillizzato non solo a parole ma anche con quel tocco sul braccio che recepì come via libera per prendere la mano nella sua. Scartata l'ipotesi di divenire un coleottero, la Lynch riabbracciò l'altra intuizione che aveva avuto sulla licantropia, ma non capiva quanto fosse realistica una cosa del genere e se l'altro la stava cercando volutamente. «Tu sei scontroso in alcuni momenti» rivide correttamente la sua frase, rimanendo salda al suo posto percependo quanto lui si stesse avvicinando, a come il braccio di lui le stesse cingendo i fianchi. Il respiro di lui a scontrarsi con quello di lei a sussurrare una domanda che finì con l'infrangersi contro il suo orecchio. Che gioco stavano giocando? Cosa stava provando a dirle davvero?
    Il freddo tornò come un pugno, subito dopo averlo sentito respirare il suo profumo e vedendolo stendersi a fissare la luna. Lo imitò, posando il braccio più lontano da lui sotto la nuca a mo' di cuscino. Anche lei fu attirata dalla luce argentea di quell'ammasso di materia capace di sconvolgere ogni cosa sulla Terra, sugli animali e gli esseri umani. Sembrava quasi non avere più dubbi. Doveva provarci con la seconda ipotesi. Lasciò andare un sospiro che si rese conto di aver trattenuto da quando si era avvicinato troppo a lei. «Il satellite avrebbe un ruolo più che dominante?» Ancor prima di dargli la possibilità di rispondere, la Lynch continuò a parlare a bassa voce. «Hai presente quando ti rimprovero quando abusi di alcol e droghe?» Voltò il capo verso di lui studiandone le eventuali reazioni. Era fin troppo rompi pluffe con tutto, ma sul fumare era stata alquanto chiara sui suoi pensieri da puritana. «Ti alterano, ti cambiano, ma io so che dietro, da qualche parte, ci sei sempre tu». Chiuse gli occhi, ritornando con il viso a puntare verso il cielo illuminato dalla Luna. «Saresti sempre tu, anche in una forma diversa, con istinti diversi e la lucidità a farsi esorcizzare», un risolino accompagnò la parte finale del suo discorso. Non era di divertimento, quanto più di nervosismo, tensione, pizzico di paura dell'ignoto. «Ma sei sempre Jug». Nessun nome pronunciato per intero, quello lo avrebbe lasciato agli sconosciuti. Aveva reclamato quel diminutivo che era il cuore vero del ragazzo che era steso accanto a lei sull'erba umida. La mano più vicina al suo corpo si allungò fino a cercare la sua, lasciando scivolare le dita nelle sue fino ad intrecciarle, qualora lo avrebbe permesso. «Lo sai che mi puoi dire tutto, senza censure. Non le abbiamo mai usate, neanche quando sapevamo che avrebbe fatto male», una strizzata a voler rinnovare quel patto. «E sai che sarò sempre qui, quando vorrai parlarne, ma parlarne davvero».
    Elisabeth
    Lynch

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    Sometimes you have to stand alone. Just to make sure you still can.
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    Black Opal
    Serpeverde
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    Ametrin
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    Che fossero giorni, settimane, mesi o anni a loro non toccavano particolarmente. Lo scorrere del tempo, tra Lucas e Liz sembrava solo giovare al loro rapporto, modificandolo certamente, ma rendendolo sempre unico e intrecciando le loro vite sempre in maniera diversa e decisamente piacevole pur non avvisando i due di quello che stava per succedere, ogni volta.
    Era come se la loro relazione avesse la forma del DNA, si intrecciavano le due linee, incontrandosi, per poi allontanarsi con ulteriori fili che andavano a colmare lo spazio tra le due, per poi tornare a scontrarsi in un punto, per cercare di mettere in ordine quello che era successo fino a quel momento.
    E non c'era bisogno di soffermarsi troppo su quello che era il passato, era come se i loro sguardi riuscissero a mettere pace ad ogni situazione che non era conclusa, come se bastasse quello per poter andare avanti e riprendere da dove si era lasciato.
    Inoltre, c'era un fattore che nessuno dei due aveva preso in considerazione: ogni volta che c'era una svolta nella vita dell'uno o dell'altro, eccoli lì, faccia a faccia a fare i conti con quella che sembrava essere parte della propria coscienza.
    Era tutto così inaspettato, così come il loro scherzare in maniera così tanto leggera; era vero, Lucas era cambiato molto, ma anche Liz aveva la sua buona parte di cambiamenti a fare spazio a quel nuovo colore del loro rapporto «A quella foglia dietro di te, ovviamente.» - la prese in giro, con lo stesso stato d'animo che da molto non lo avvolgeva, la leggerezza di stuzzicare qualcuno e di rendere tutto più soffice, come se non ci fossero problemi a contornare la loro esistenza. Rise pure lui della sua stessa battuta, nascondendo in maniera veramente poco opportuna il fatto che la stesse prendendo in giro.
    Toccare il tasto della felpa sembrava non bruciare più come prima, a dimostrazione che avevano levigato anche quella parte della loro storia, che erano riusciti a rendere il passato per quello che era: solo passato.
    Sollevò le spalle, con non curanza, alle sue parole, tirando le iridi a fare un giro degli occhi «Effettivamente hai ragione, sai? Chissà, nel mio futuro ci potrà essere una linea di abbigliamento: felpe e cappelli. Già immagino lo spot: felpe e cappelli Jug - il calore che ti avvolge.» - il braccio si sollevò e con la mano aperta verso il cielo, fece come a voler mostrare lo spot «Mi serve una modella, ti andrebbe di collaborare?» - lo sguardo chiaro si spostò ridente su quello ceruleo di lei, mostrandosi rilassato e tranquillo, per quanto la tempesta dentro di lui stesse fremendo per farsi sentire. Era divertente pensare come Liz era riuscita a trovarsi a casa sua, nello stesso preciso istante in cui ben tre delle sue conquiste fossero lì: Emma, Liv e anche JJ. Lei aveva avuto il tempismo di essere alla sua porta proprio nel preciso momento in cui loro erano a dormire nel suo letto; che avesse un saturimetro per calcolare i livelli di sesso nell'area attorno alla sua dependance? Forse sì, ma questa era un'altra storia.
    Una storia che non avrebbero affrontato in quel momento, una storia che adesso andava accantonata, per quanto simpatica sarebbe stata, per lasciare spazio a qualcosa di più profondo, di più ciclopico.
    Socchiuse appena gli occhi, ascoltando quelle parole che avevano più significato di ogni altro consiglio ottenuto da amici vari «Certo, ma è la loro convivenza simultanea che è un tumulto ingestibile, delle volte.» - il contenere quella voglia di esplodere e quella necessità di quiete era troppo difficile, era come se internamente avesse una guerra continua. Quel confronto così indecifrabile da chiunque, sembrava la conversazione più semplice che loro stessero affrontando, un po' come quando queste narratrici si completano i pensieri alla presenza di tutti, senza nemmeno accordarsi su quello che c'è da dire, in fin dei conti «Sai, è come se fosse un continuo lottare tra quello che va fatto e quello che desidero insistentemente fare. Sempre. Anche adesso.» - e non c'era niente di più vero in quella parole.
    Lasciò spazio a quella voce, parte della sua coscienza, continuare a parlare. Lucas sapeva che quella conversazione stava servendo ad entrambi, per quanto lui fosse il principale oggetto di studio e non avrebbe interrotto quel suo parlare se non per sospirare appena, quasi pesantemente, come se stesse riprendendo fiato da una mano sul collo che aveva stretto il ragazzo fino ad oggi.
    Rimase in silenzio, sentendo il tocco del suo ginocchio, non si spostò, guardò quella mano e abbozzo un malcelato sorriso proveniente da quel contatto; pochi attimi di troppo rimase a guardare quel contatto, prima di tornare con gli occhi su di lei «No, gli occhi non li riuscirebbe a bendare nemmeno un uragano... credimi...» - fu più un sussurro il suo, quasi a volerle far capire che anche nel bel mezzo della tempesta, i suoi occhi sarebbero riusciti a ritrovare quelli di lei ovunque per ritrovare la calma.
    Rise appena per quella Liz arrendevole e confusa «Ti ho confusa, ammettilo.» - la prese in giro, per smorzare un po' gli animi.
    Stesso ridere che scoppiò quando lei ammise che riusciva ad essere scontroso anche senza alcuna linea di sangue con un mannaro, quindi sollevò gli occhi al cielo e sospirò «Touchè, questo te lo devo.» - disse arrendevole, questa volta.
    Si era avvicinato vertiginosamente a lei, consapevole di quanto stesse facendo, senza sapere quel gioco chi dei due avrebbe bruciato realmente, ma solo per farle assaporare quanto quel tumulto tra quiete e tempesta stava davvero combattendo costantemente dentro di lui.
    La lasciò percepire la sua distanza, volutamente, lasciandole anche del tempo per riordinare i pensieri, ben consapevole che lei avesse intuito perfettamente di cosa stessero parlando. Annuì con un semplice «Hm-hm...» - mugugnato mentre gli occhi di lui erano puntanti sull'argento tondeggiante. Sentì il movimento del suo capo, sapeva che lo stava guardando, ma lui non volle incrociare il suo sguardo, non quella volta, voleva solo ascoltare le sue parole, almeno per adesso; il suo era serio, la mascella si irrigidì impercettibilmente quando parlò dei suoi vizi e ancor di più quando ammise la consapevolezza che dietro le sue alterazioni c'era ancora la persona che lei ben conosceva. Allentò la presa dei denti, quando la sentì nuovamente voltarsi questa volta le concesse il proprio sguardo, osservandola sotto il cono della luce bianca che il satellite proiettava su di loro, la sua pelle sembrava quasi diafana, se non avesse conosciuto veramente il colore dell'epidermide che ricopriva l'opale. Sussultò appena quando si sentì chiamare Jug. Aveva sempre un suono diverso se erano le sue labbra a far uscire quel soprannome unico per lei. Si mosse, tornando a guardare la Luna, non dimenticando quel risolino nervoso che aveva lasciato sospeso.
    Non stava parlando più, voleva solo ascoltarla.
    Sentì le sue dita arrivare come fili d'erba tra le dita, lasciò che intrecciasse le proprie con quelle di lei, socchiuse gli occhi e sorrise ancora una volta, sollevando un angolo, il sinistro, delle labbra, nel suo caratteristico sorriso che pareva quasi un ghigno «Eppure tutto questo ti rende nervosa, Liz... perché?» - domandò stringendo la sua mano, ma senza lasciarla «Non ti rende nervosa la mia vicinanza, ma l'idea di non conoscere quanto questo cambiamento mi possa portare distante da te... questo ti spaventa?» - tentò, quindi, di sollevarsi appena, con il busto, per avvicinarsi nuovamente a lei.
    Se lo avesse concesso, la mano sarebbe andata a spostare una ciocca di capelli dal suo volto, carezzandone piano la pelle, se lo avesse permesso, mentre gli occhi ne coglievano i lineamenti, il colore degli occhi, la forma delle labbra, le linee perfette del suo naso. Si chinò piano, quasi a voler ricercare l'intimità per dirle parole che solo lei potesse ascoltare, quasi a timor che qualcuno potesse essere lì intorno ad ascoltare quel loro discorso, sempre se gli avesse concesso di avvicinarsi così tanto, quasi a sfiorarne il naso col proprio, senza togliere la mano dal suo volto «Qualora il branco dovesse accettare la mia decisione, Liz... promettimi che nelle notti di Luna Piena non verrai a cercarmi, che resterai al sicuro... perchè io lo sarò, non devi temere.» - era un sussurro caldo, molto lento e ponderato, come se quella frase la stesse meditando da quando avevano iniziato quel discorso.
    lucas j. jones

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