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Non era facile, servire il dominio del crepuscolo.
Tra i vari ordini druidici, coloro che si muovevano sulla sottile linea che divideva l'oscuro dalla luce erano quelli che causavano maggiore scetticismo. Una filosofia dedita a preservare l'equilibrio, come erano soliti fare anche il resto dei druidi, parteggiando per cause - però - di cui pochi avevano il coraggio di prendere le parti.
«Possa l'astro diurno vegliare sulle nostre battaglie».
Mani cinte in preghiera come una vergine di ferro, Marina si trovava sulla parete opposta a quella che ospitava l'entrata del tempio. Le palpebre sbocciarono come petali a Primavera e gli occhi, di un blu etereo come il cielo che era solito abbracciare Denrise nelle giornate d'Estate, diedero peso alla sequenza di incensi di fronte a lei.
«Possa l'astro notturno guidarci tra sogni e incubi, mostrandoci la via e annichilendo le tentazioni».
La mano scivolò lineare lungo il fianco, le dita circondarono il legno della bacchetta, e con un gesto tanto leggiadro quanto esperto, a un colpo di polso seguì una fiamma che si scisse in un esercito di scintille. Le sfere roventi rovinarono contro la coda delle candele, accendendole, e in una questione di secondi quella parte del tempio si riempì del profumo di incenso.
Sebbene la sua attività principale fosse la gestione dell'Osservatorio, con la relativa vendita di artefatti vuoi di natura aritmantica, vuoi di natura astrale o divina, Marina era stata addestrata come una druida e quando la crisi si presentava alle porte della sua dimora, non esitava a prestare servizio.
Per una causa più grande, che solo le generazioni a venire avrebbero compreso.
Dunque, seppur le cure non fossero il suo dominio, in seguito allo scontro tra Denrise, Africani, e Maltesi, anche la Stonebrug aveva deciso di aiutare il tempio e i suoi adepti. Sicché, al tingersi d'oro e d'arancio del cielo, sopraggiunto il tramonto, aveva raggiunto il principale luogo di culto del villaggio per curare i feriti, vuoi fisicamente o moralmente.
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Edited by Sigurth Gunnarsson - 10/5/2022, 19:02. -
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Non aveva dubitato neanche per un secondo che un guerriero furioso come Sigurth Gunnarson avrebbe offerto la sua ascia e la sua bacchetta per una causa così importante per il villaggio, ma sarebbe stata una menzogna non citare quel velo di gratitudine nei confronti degli dei che Marina aveva indossato nello scoprire che l'altro era anche sopravvissuto.
Lo aveva capito nella grotta, la druida, che di fronte ai pericoli il predone sapeva rispondere annichilendo la paura nel furente coraggio.
«Lieta di poter supportare il tempio e i suoi adepti in tempi così cupi, signore».
Un cenno del capo smosse i capelli di un bruno foresta come se gli stessi dei le avessero appena accarezzato le ciocche in quel che anticipò un leggero inchino verso il nuovo arrivato.
«Non ho potuto prendere parte alla spedizione, ma ho pregato gli dei affinché vegliassero su di voi, e al netto della vostra vittoria mi riservo il diritto di bearmi di tale udienza».
Denrise aveva subito delle perdite, ma il fatto che tre drakkar fossero partite e avessero avuto la meglio contro un intero villaggio africano, due caravelle maltesi, e un'intera portaerei brasiliana, lasciava intendere come al semplice talento si fosse accompagnato anche il benestare degli dei.
Invero, più che pregare, la strega si era concessa allo scoprire. Quanto accaduto nelle cave nel ventre di Denrise l'avevano lasciata interdetta e indagare fu per lei naturale come per il predone doveva essere stato lecito subentrare in una spedizione così pericolosa.
«Vedo che anche tu, da uomo di fede, riconosci l'importanza del fato e di chi ne è principale giocatore».
Pochi passi portarono la druida al fianco del predone e il mento, leggiadro, si piegò verso l'alto per incrociare il profilo della statua. Chi osava rivolgersi al padre degli dei lo faceva solo e soltanto perché la posta in ballo equilibrava il rischio.
«Ho sentito molto sui rischi della vostra impresa, ma non ancora una parola dalle tue labbra. Quali pericoli hai affrontato che ti hanno portato ad appellarsi a Odino?».
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Sarebbe scontato parlare di fede nel tempio più importante di Denrise, ma quella di Siguth aveva il pregio di non essere mai banale. Anzi, risultava rinfrescante come i primi venti della Primavera o gli ultimi dell'Estate.
«Temo che ogni persona, drakkar, o impresa, possa partire senza il benestare degli dei. Meno probabile è il loro ritorno, però, e chi riesce anche in questo spesso finisce per rimpiangere lo stesso successo».
Proferì quelle frasi mentre il ginocchio si piegava verso il basso, in un inchino riservato a Odino, rivelando una corporatura slanciata come il filo di una spada e un sorriso di rispetto. Un gesto della mano e la bacchetta accese le candele ai piedi del padre degli dei, rivestendo la figura di un'armatura eterea formata dagli intrecci del fumo dell'incenso.
I rituali per manifestare la propria gratitudine agli dei erano importanti, ma non abbastanza per distrarre la druida dalle parole di Gunnarson. I maghi che venivano affidati alla protezione di un luogo strategico erano generalmente più potenti della norma. Un faro, poi, per un villaggio che si affacciava sull'oceano era tanto importante quanto per un umano lo sono gli occhi, o forse la possibilità di percepire in sé.
«Dumisama, dici».
Aggrottò appena la fronte rivelando il peso dello sforzo che la stava coinvolgendo, come una corrente che ti guida in mare aperto, mentre esplorava gli archivi della propria memoria. Non aveva motivo di dubitare delle parole di uomo come Sigurth, ma il mondo era così vasto che riportare alla mente i nomi di tutti i sacerdoti rilevanti risultava arduo, sé non impossibile. Indubbiamente, se era lui a capo del faro, doveva essere potente quanto nonno Bjorn o poco meno.
«Quello che hai appena citato è un incanto che pochi hanno avuto l'onore di vedere. E ancora molti meno il piacere di sopravvivergli. Ritieniti più che fortunato sé oltre a Thor hai avuto dalla tua la protezione di Odino».
Non dubitava che l'altro credesse altrimenti, oggetto più meritevole di attenzione sarebbe stato il perché gli dei avevano deciso di salvarlo. Sigurth, il protettore di Denrise, doveva avere tanto altro da offrire.
«I brasiliani sono come mosche che percepiscono il pericolo di una trappola di miele e veleno, senza avere la volontà sufficiente per sorvolarla».
Aveva avuto esperienze piacevoli, in Sud America. Castelobruxo era famosa per il suo studio di piante e creature magiche, eppure la druida del crepuscolo era più prossima allo studio del clima, degli astri, e degli elementi, dunque ne aveva goduto solo parziamente.
«La nave di Christopher... cosa aveva di pericoloso?».
Tornò in piedi volgendo le spalle a Sigurth, alle sue spalle l'immensa statua di Odino vestita dai fumi dell'incenso. C'era interesse nel suo sguardo.
«E credi possa essere replicato?».
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Succedeva raramente, ma il mondo pareva farle attrito quando si ritrovava costretta, per esterni motivi, ad ammettere di non sapere abbastanza. Tornò a cercare gli occhi di lui con qualche secondo di ritardo, investito in più di un pensiero o una riflessione, il mento costretto a superare la gravità in quel docile piegarsi verso il basso.
«Dalla tua descrizione, l'incanto ricorda un Meteor Mundi, eppure la potenza e la portata del colpo lasciano pensare ad altro».
Altro discorso valeva per l'asso nella manica di Christopher.
La descrizione di Sigurth non sembrava poter andare a fondo, ma fu sufficiente - dannatamente sufficiente - ad accendere la curiosità della strega. Avrebbe scritto a Morrigan, come suggerito dall'altro, per scoprirne di più, anche se l'uomo in considerazione amava troppo farsi venerare condividendo, degli dei, solo lo spirito da trickster di Loki.
«Farò le mie ricerche al riguardo, ti ringrazio, Sigurth».
Le labbra di un incarnato al sapore e colore di pesca disegnarono un caldo sorriso nei delicati lineamenti della druida, prima che il capo si piegasse in una spezie di inchino reverenziale.
Ogni rigida formalità si sciolse sotto il calore di ciò che avvenne dopo perché, quando il predone si rivelò disposto a congiurare un incanto di quella natura in un luogo così dedito agli dei, il primo pensiero di Marina fu di impedirglielo. Il secondo, predominante e guidato dal cuore, fu quello di trattenersi.
Si ritrovò a sorridere come di fronte al tramonto nel vedere lo stormo di corvi convergere ai cieli con la potenza che da secoli rendeva i figli di Denrise i più temuti combattenti dei mari.
«Sei qui per offrire un sacrificio a Odino e chiedere la mia opinione».
La mano accarezzò l'ebano del suo catalizzatore ruotando il posto quel che bastava per tracciare una serie di glifi a mezz'aria. I simboli aritmantici, composti da numeri e figure geometriche, formarono una spirale che si dilatò verso un muro del tempio. La realtà parve subirne gli effetti poco dopo mentre il legno del luogo si apriva come un origami, in un processo tanto ipnotico quanto surrealistico o poco naturale.
Nell'arco di pochi istanti, in quella spoglia parete del tempio, comparve un lungo corridoio illuminato da fiaccole.
«O preferisci osare, e tentare di chiedere allo stesso padre cosa abbia in serbo per te?».
Un primo passo venne mosso in direzione del portale, accompagnato da uno sguardo gravido di curiosità e attesa.
Sarebbe spettato a Sigurth scegliere.
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Il fatto che il sacerdote africano avesse deciso di sacrificare la propria vita per infliggere un colpo di grazia ai denrisiani aveva quasi del divertente. Ci si sarebbe aspettati che un mago di tale calibro potesse smaterializzarsi nel suo villaggio natale, o in qualche porto sicuro, una volta finito alle strette. Però alla ragione spesso faceva confronto il cuore, e questo dava più peso a quel piacevole orgasmo di piacere che era un gesto atto a soddisfare la propria rabbia.
Sfortunatamente per Dumisama e fortunatamente per Marina, la morte non era che un piano dell'esistenza, e - con le opportune conoscenze divinatorie - la druida avrebbe potuto saltare da quel mondo abitato dai vivi per raggiungere il regno dei morti. Lì avrebbe potuto porre le sue domande, qualora necessario, allo stesso sacerdote.
Eppure, per quella giornata, le sue priorità erano altre.
«Temo che qualche divinità abbia vegliato sul sacerdote con cui avete intrapreso battaglia. Un'evocazione cosmica di tale portata non è roba destinata ai mortali, ma ciò non toglie che noi potremmo fare lo stesso».
Secolo dopo secolo, anno dopo anno, i paesi magici che abbondavano gli antichi culti aumentavano in misura esponenziale, ma Denrise dava tanto peso al passato quanto al presente, e nel prestare questa attenzione non aveva mai dimenticato il valore degli dei, norreni o meno.
«Seguimi».
Sebbene Sigurth non seppe dare una risposta a parole, i suoi gesti furono l'emissario di un intento preciso. Voleva scoprire, e Marina era lì per guidarlo, proprio come la sua carica di druida pretendeva.
«Spero tu non abbia mangiato pesante. La realtà e lo spazio sono concetti mortali, e il tempio è quanto di più vicino agli dei possa esistere».
Varcato il portale, i due si sarebbero trovati in un lungo corridoio illuminato di fiaccole. Le ombre proiettate erano vuote, ma per il Gunnarsson sarebbe risultato impossibile ignorare quella sensazione opprimente di essere osservato.
«Non so se hai mai avuto modo di visitare il tempio, nelle sue camere riservate ai druidi, ma non tentare di farlo da solo: più di un ladro si è avventurato in questo labirinto senza mai più fare ritorno».
Non dubitava dell'onestà dell'altro, ma era necessario specificare quanto la magia astrale fosse pericolosa in quel luogo.
«Qual è stata la spedizione più pericolosa a cui hai mai preso parte?».
Lei conosceva quel tramite criptico con gli dei, ma di contro Sigurth ne doveva sapere più di mare, e sentire una storia non le sarebbe dispiaciuto.
Perché la traversata avrebbe richiesto tempo e coraggio, ora che il pavimento sembrava incurvarsi come fosse una spirale, fino a rendere la gravità un ricordo e portare i due letteralmente a camminare su un soffitto, con i capelli attratti verso il basso, quasi fossero appesi dai piedi.
Se Sigurth non avesse fatto dietrofront, i due sarebbero giunti a un enorme portale di sequoia lavorata, pregna di rune e simboli antichi.
Ma non prima di dare il tempo al predone di raccontare le sue gesta.
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Marina non aveva motivi per dubitare delle parole di Sigurth perché alla sua voce faceva eco la logica. Niflheimr era un luogo infido, abitato da mostri che sapevano infestare solo gli incubi più oscuri, ma anche loro rimanevano mere bestie. Al contrario, un mago era un mago, e alle capacità distruttive poteva coniugare sia il raziocinio dello stratega che il più devastante dei peccati capitali, la furia.
«Conoscerai mare e correnti meglio di me, Sigurth Gunnarson...».
La druida stava guidando la marcia in quel corridoio di ombre e misteri, staccando di almeno un passo l'altro, ma per un frangente il predone né avrebbe potuto distinguere il volto accarezzato da un pallido bacio di luce. Le labbra erano curvate in un serafico sorriso.
«...delle volte bisogna toccare il fondo per prendere lo slancio».
Sigurth era quasi morto. Un messaggio difficile da ignorare, persino per il più testardo dei denrisiani.
«Non avere paura, ma solo fede».
Le magie che alteravano lo spazio e il tempo del tempio erano tante affascinanti quanto letali, ma quando Marina arrestò il passo, lo fece perché ormai giunta a destinazione.
Le mani candide e fredde come la luna sfiorarono le maniglie mentre la lingua affilata recitava formule e preghiere, in modo da scremare qualsiasi fattura atta a tenere lontani ladri o peccatori. Dunque, un suono secco e la serratura finì per cedere, lasciando ai due libertà d'entrare.
L'interno si presentava come una stanza circolare dalle pareti di legno intarsiate di rune e simboli atte a modulare il potere degli dei, affinché il loro messaggio potesse essere recepito privo di interferenze. Centrale, come erano gli spiriti nella loro cultura, svettava un monolite circolare di pietra, abbastanza largo per compiere qualsiasi rituale mediatico, persino il sacrificio di un essere umano.
La strega mosse qualche passo verso una parete da cui estrasse del sale, ricavato dalle stesse acque che abbracciavano da secoli Denrise per disegnare un cerchio di dimensioni modeste accompagnato da rune protettive ripetute.
«Chorium Runae».
Thurisaz, la runa di Thor a cui Sigurth credeva di essere legato, per richiamare un senso di protezione. Mannaz, runa nominale di Marina, per rievocarne il significato di razionalità, in modo da prevenire che il messaggio degli spiriti potesse venire distorto da qualsiasi emozione negativa. Sowilu, runa nominale di Sigurth, per dare l'energia del sole e quindi del sacro alla stessa barriera.
«Il piano astrale è qualcosa di cui sappiamo spaventosamente poco e se credi che sia Odino che ti stia invitando a saperne di più, oggi testeremo sia la mia che la tua fortuna, perché il Padre degli Dei risponde solo ai più grandi tra i guerrieri e druidi».
Sia Marina che Sigurth erano destinati a tale grandezza, ma attualmente erano semplici granelli di sabbia in quell'immensa distesa desertica che era Denrise.
«Dei pegni, per celebrarne l'essenza».
Il primo oggetto che venne disposto all'interno del cerchio fu una coppia di piume di corvi, celebri famigli del più importante degli dei. Dunque uno zoccolo di ferro, appartenuto al destriero morto in battaglia assieme al suo padrone, per rispettare Sleipnir. Infine, un ramo di Acero, legno legato ai viaggiatori e agli ambiziosi - entrambi domini del Re degli Dei, per rappresentare Gungnir, la sua lancia sacra.
Una candela venne fatta levitare fino al centro del cerchio e, con un colpo secco di bacchetta, la punta prese a bruciare liberando un sentore di incenso e fumo. Forse nessuno spirito avrebbe risposto all'appello, ma in quel grigio traslucido avrebbero sempre potuto vedere un messaggio
«Spiriti che vegliate sulla nostra patria dal momento in cui la prima pietra venne posta e il primo denriano diventato tale, vi chiedo di rispondere a questo appello per fare luce su cosa attende Sigurth Gunnarson, il Sopravvissuto, e su cosa il Padre degli Dei abbia in serbo per lui».
Si sarebbe disposta dalla parte opposta del cerchio, socchiudendo le palpebre ma non il terzo occhio, mai aperto come in quel momento.
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SPOILER (clicca per visualizzare)Marina, assieme a Sigurth, tenta di entrare in contatto con gli spiriti - in particolare Odino ma restiamo umili - per scoprire cosa il Fato abbia in serbo per il predone.
Recap di stats e cose utili:
Tecnica: 20 per preparazione e barriera
Intuito: 32 per il contatto + Divinazione, forse
Carisma: 30 per l'appealing
Non so se può aiutare, però essendo al tempio citoCITAZIONE❇ l'uso di altari o zone sacre ovvia al bisogno di una fase di preparazione, fornendo bonus;
❇ la percezione o la conoscenza di spiriti presenti nel luogo ovvia alla fase di contatto (es. in una chiesa posso tentare di evocare un angelo senza fase di Contatto)
Non so se può aiutare anche questo, in caso di spiriti maschiCITAZIONELe Mezze-Veela possiedono poteri affini a quelli delle veela purosangue, tanto che hanno un enorme ascendente sui maschi (+3 a Carisma se tentano di convincere un uomo).. -
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Tra le molteplici differenze che separavano il mago dal babbano vi era l'approccio alle singole esperienze offerte dalla vita. Mentre il secondo affrontava con semplicità il tema del divino rifiutandosi di credere, il primo aveva il problema opposto, faticando - per non dire scoprendosi addirittura impossibilitato - a dimenticare del peso degli dei nella loro vita.
A un primo sussulto strozzato afferrando la bacchetta, in risposta a quella del predone che si era sollevata nella sua direzione, seguì un sospiro di eccitazione nel vedere lo stormo di corvi.
Lo sguardo curioso ne seguì il volo e i cerchi concentrici, ricercando in quel caos ordine e visione, che ben presto raggiunsero i due denrisiani sotto forma di una valchiria alata.
Mentre il costrutto prendeva forma, Marina non mancò di aggirare l'altare per affiancarsi al Gunnarson, ben più alto di lei. C'era sì uno stacco d'altezza, ma ciò non le impedì di richiamarne l'attenzione dando un leggero colpo di gomito contro il fianco dell'altro per invitarlo a emularne i movimenti.
«Valchiria, ringrazio lei e gli dei per averci degnato delle vostre attenzioni».
Il capo si sarebbe chinato verso il basso e il movimento sarebbe stato ancora più accentuato dal ginocchio lasciato libero di lievitare verso il pavimento in legno, in quello che a tutti gli effetti era un inchino a testimoniare rispetto e reverenza che, nel migliore dei casi, il predone avrebbe imitato.
Le parole che l'emissaria del Padre si concesse di rivelare illuminarono lo spirito della druida e con questa il suo cuore. Le armi erano risorse e il potere era potere. Un oggetto che potesse coniugare con tale fasto entrambi questi domini aveva dell'invidiabile, e se c'era una cosa che Marina aveva imparato a domare, o così raccontava a sé stessa, erano i propri peccati.
«Ringrazio lei per il messaggio e tutti voi per la pietà con cui avete deciso di concedermelo. Faremo il possibile, Valchiria, per mostrare al Mediterraneo quanto i vostri favori siano misericordiosi. Posso ritenermi soddisfatta, salvo che vogliate soffiare altro vento nelle nostre vele, indicandoci anche in che direzione cercare o chi interpellare».
Avrebbe saputo far parlare qualsiasi uomo o donna, più problematico sarebbe stato riuscirci con gli dei.
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