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.Tornare a parlare con Cameron aveva avuto sì un aumento di voci sul loro conto, ma aumentato altresì anche la sua capacità di resistenza agli insulti. L'aver chiarito con il Dioptase, a prescindere dall'idea che lui aveva avuto su di lei sull'orlo di un precipizio tutt'altro che figurato, aveva migliorato la qualità del suo poco sonno ed il rendimento scolastico. Non si era resa conto che dopo quanto accaduto a Natale avesse rallentato i suoi ritmi di studio, accorgendosene anche grazie alla mole di arretrati che si portava dietro sul groppone. Doveva ancora decidere l'ultimo tirocinio con chi tenerlo, si aspettava una chiamata da un momento all'altro dagli altri due tutor e nel frattempo continuava a destreggiarsi tra il quidditch e la lega duelli. Quello ed il nuovo tarlo che aveva iniziato a rodere quel poco di materia grigia che le era rimasta: «Perché Jug fa tutto questo per me?» La accompagnava durante i pasti quando lanciava occhiate discrete al tavolo dei giallo viola, oppure nelle lezioni che avevano in comune ma anche in biblioteca quando riusciva ad incontrarlo. Per quel motivo quel giorno aveva deciso di cambiare ambiente di studio, sperando che la novità la portasse a mantenere il culo sulla sedia per più di quindici minuti e con la mente concentrata sull'utilizzo degli incantesimi esorcistici come prevenzione piuttosto che difesa. Con la mole di libri aveva deciso quindi di scendere fino al piano terra, sperando di trovare un posticino nella sala in disuso. Aveva deciso persino per un outfit comodo: un paio di leggings neri, una t-shirt azzurra ed un bomber di quelli tipo college nero con le maniche bianche. Sulla spalla sinistra vi era lo spallaccio dello zaino in cui aveva infilato una borraccia, degli snack e appunti vari. Quello che non le era entrato nello zaino faceva sfoggio nello spazio tra gomito e mano, triangolarizzato -lol- con il fianco. Solo quando richiuse la porta dietro di sé si accorse che in aula c'era già un'altra persona e non una come tante. Lucas sembrava perfettamente addormentato sui suoi appunti sparsi, con una busta di marshmellow ad uscire dalla sua borsa con annesse sigarette. La sua schiena era rilassata, segno che non l'aveva svegliato o almeno così sembrava. Con lentezza decise comunque di avvicinarsi al tavolo ed occupare il posto di fronte a lui. Non voleva compiere gli stessi errori fatti con Cameron e quindi non l'avrebbe evitato caricando poi di fatto il non detto tra loro fino a divenire incontrollabile. Adagiò con dolcezza le sue cose e fece per sedersi, quando decise di arrivare fino alle sue spalle e coprirlo con il giubbino a mo' di coperta. «Magari lo lascio dormire ancora un po'», come se fosse normale tutto quello tra di loro. Ultimamente aveva compreso che quando c'era lei di mezzo e ancor di più con lui nulla poteva essere associato a quella parola.Elisabeth
Lynch"Sometimes you have to stand alone. Just to make sure you still can."
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.Sistemato il giacchino sulle spalle di Jones, Elisabeth era tornata dalla sua parte di tavolo, organizzando il più silenziosamente possibile il suo set di studio. Una pergamena nuova, il manuale di difesa ed un paio di volumi presi in prestito in biblioteca la sera prima. Era pronta ad immergersi tra incanti, funzioni ed effetti ma lo sguardo si soffermava sulla chioma scura davanti a lei, parzialmente nascosta dal libro-tettuccio e da quel maledetto capo spalla che proprio non ne voleva sapere di trasformarsi in coperta. Si rialzò nuovamente, afferrando la stoffa prima che cadesse del tutto, riposizionandola con maggiore cura. Per un attimo ebbe quella strana sensazione di essere entrata in un universo alternativo. Sarebbe andata in quel modo se non si fossero lasciati? Studiare insieme, condividere interessi, magari qualche viaggio nel mezzo e quello strano senso di pace e tranquillità che stava respirando a fondo in quel momento. Era tutto così nuovo per lei, da risultare simile ad un vasetto di miele a portata di un orso. Si lasciò andare ad un verso soffocato dal significato totalmente sconosciuto. Forse era stato proprio quel rumore a svegliarlo, poiché uno strano movimento a gonfiare il giubilo che aveva appena sistemato non poteva essere frutto della sua immaginazione. Abbassò di scatto lo sguardo sul volume che gli copriva la testa e quella mano che attenuò la discesa fino ad afferrarlo. Non era la sua. «Ancora mi chiedo come siamo riusciti a…» cercare un termine che non suonasse negativo quanto evitare fu alquanto difficile, soprattutto così, su due piedi. Tra i due era lui quello bravo con le parole, lei al massimo aveva il potere di trasformarle in armi. «Non scontrarci così spesso come nell’ultimo periodo, ecco», ne imitò il tono basso, arretrando di un paio di passi per permettergli di voltarsi. Lasciò libera l’insinuazione su chi, tra i due, stesse giocando a fare lo stalker, preferendo concentrarsi su quanto aggiunse una frazione di secondo più tardi. «Ehi, no, nessun fastidio!» Rispose di getto, alzando le mani davanti a lei. «Al massimo sono io quella che deve andar via, c’eri tu per prima qui» e nel dirlo iniziò ad incamminarsi verso le sue cose, pronta a raccoglierle. «Magari riuscirò a trovare uno spazientito in Sala Comune. Dovrebbe essere più tranquilla, visto che è sabato». Un sorriso tirato prima di iniziare ad impilare tutto con estrema velocità.Elisabeth
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.Quando due persone, tra cui c’era stato un certo tipo di passato, tornano a gravitarsi intorno non va mai come si penserebbe, lisci come l’olio. Se avesse dovuto fare un paragone avrebbe associato il loro rapporto al tentativo di stiraggio di una camicia di lino: neanche il tempo di lisciare una piega in un mix d’acqua e vapore col ferro da stiro che -TAC- ecco comparirne un’altra. E allora riprendi da capo, fino a quando, snervata, decidi che è meglio lanciare una nuova moda piuttosto che strozzare qualcuno con il filo per collegare il dispositivo elettronico alla corrente. E non pensate di servirvi di quei cosi infernali che promettono una stiratura perfetta addirittura lasciando il capo appeso alla cruccia: balle, tutte balle.
E così, eccoli lì, in un valzer di stoffe e ferri da stiro, a cercar di capire che cosa dire, cosa fare e soprattutto quanto. Ormai sembrava che non fossero più capaci nel mantenere una distanza di circostanza che lei aveva attribuito alla magistrale magia di quel castello che li faceva incontrare pochissime volte e per lo più in contesti puramente scolastici. E invece… invece, a quanto sembrava, era frutto di un lavoro certosino dell’ametrino. «Ed io che credevo fosse naturale come pensare», fece spallucce ed una espressione sorpresa. Alla fine bisognava accettare come molto spesso ci si lasciasse guidare dai pensieri che ognuno si faceva per le azioni -o la loro mancanza- di una persona nei loro confronti. Con la paura che, soprattutto dopo la bomba che aveva sganciato, non volesse trascorrere del tempo con lei, che altri potessero trovarli insieme e dar adito a nuovi pettegolezzi, ma semplicemente perché non voleva essere di troppo, alla domanda di Jones decise di rispondere con le azioni, andando a recuperare le sue cose, gettandole in maniera confusionaria nella sua borsa per lasciargli completamente l’aula visto che, tra i due, l’intrusa era solo e soltanto lei. Cercò di non prestare attenzione al puro caos che stava versando nella sua borsa, a dispetto di come li aveva tirati fuori con ordine, non volendo prestare attenzione a quella vocina interiore che le suggeriva di tirare di nuovo fuori tutto per reinserirli in modo corretto, distribuendo il peso per ogni tasca e comparto previsto. Avrebbe dovuto resistere fino a quando non avrebbe trovato un luogo dove rimettere ordine, e lo avrebbe fatto se il ragazzo non fosse riuscito a sgusciare tra lei ed il tavolo, sfilandole di mano l’ultimo quaderno che le mancava, sedendosi sulla superficie dura. «No, non sto scappando», un’affermazione che la rendeva falsa, soprattutto alle orecchie di lui, visto che quando era arrivato il momento di stringere la Black Opal aveva preferito darsela a gambe, mentre lui era in cucina a prepararle qualcosa. Stava davvero compiendo le stesse azioni di due anni prima? Sul serio non aveva compreso nulla dei propri errori?
Si arrese, lasciando che la borsa scivolasse aperta sulla sedia, fino a farla sbilanciare e cadere, rovesciando le sue cose sotto il tavolo. Non diede peso. I palmi delle mani ora erano impegnati a sorreggerla aggrappandosi al bordo del tavolo. Era vicina a lui ma non lo vedeva: il volto era chino, nascosto dai capelli sciolti che la nascondevano, mentre quella domanda che era riuscita a frenare nella stanzina a qualche porta di distanza da lì non tornò a salire prepotentemente, come la tensione, l’energia del magma che si era accumulato alla bocca del vulcano, pronto ad esplodere. E così fece anche lei, nel silenzio assoluto che aveva avvolto la stanza, se non per i loro respiri flebili. «Perché? Perché sei qui nonostante tutto quello che ti ho fatto?» Lentamente sollevò il capo, voltandolo nella sua direzione, cercando di scrutarlo al di là della cortina di capelli che coprivano parzialmente il suo viso. Perché il punto era tutto lì, perché ora non c’era la Lewis dietro cui nascondersi; non c’era Hinds con cui divertirsi per non pensare davvero. E aveva provato, lo aveva fatto davvero, a seguire i consigli del mezzogigante di viversi la vita come veniva e per un po’ aveva funzionato, fino a quando il suo menefreghismo, il suo ego, non avevano dato vita a qualcosa che aveva avuto la capacità di ferire ben tre persone e di mettere in mezzo amicizie, persone che volevano la sua testa o quella di Cohen. Perché si poteva cercare di scappare dai propri errori, ma alla fine questi riuscivano sempre a stanarti dal buco oscuro in cui ti nascondevi.Elisabeth
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