I don't want to miss a thing

<i>Elisabeth</i>

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    Era vicino a quella scadenza che gli premeva sulla testa da giorni, era come se non riuscisse a fare altro se non evitare di sedersi al tavolino e riprendere da dove aveva lasciato. Aveva chiesto a Markab di presentargli un editore, di quelli non troppo importanti, voleva solo un parere su quello che aveva scritto fino a quel momento, ma doveva ammettere che la storia della consegna gli creava un'ansia senza paragoni.
    Inoltre, erano settimane che non riusciva a togliersi dalla testa quella frase, quelle parole che Elisabeth aveva scoccato come una freccia che era arrivata alla giusta destinazione. Ogni volta trovava la strada per tornare da lui. Per quanto si sforzava a non pensare a quelle parole, non ci riusciva. Lo faceva ogni volta che incrociava lo sguardo di Cameron a lezione, ogni volta che avevano lezioni insieme all'opalina, ogni fottuta volta in cui era sul letto a cercare di addormentarsi.
    Era come se quelle parole fossero diventate un tarlo nella sua testa. Non era tanto il fatto che lei tornasse da lui ogni volta che fosse in difficoltà o in qualsiasi altra condizione, come lei stessa aveva detto. Era il motivo. Perchè erano in quella condizione? Cosa non permetteva loro di allontanarsi definitivamente?
    Che poi, al solo pensiero, Lucas diventava irrequieto e questo aveva stimolato il ragazzo a creare un romanzo parallelo a quello, una piccola raccolta di racconti thriller che prevedevano una serie di omicidi risolti da una detective con una vita privata davvero troppo incasinata e che riusciva a soffocare i problemi dei suoi intrecci privati, nel lavoro. Era come se avesse dato a Liz un nuovo ruolo, in un altro dei suoi libri.
    Aveva raggiunto da un'ora la sala in disuso, cercando di trovare un momento di pace e di ispirazione, ma non ci era riuscito, finendo per addormentarsi con i piedi poggiati sul tavolo e il quaderno con le correzioni del proprio romanzo, spiaccicato sulla faccia.
    Se stava sognando? Certo, lo stava facendo ed era il sogno più bello che potesse fare: i suoi genitori. Erano lì a complimentarsi per i suoi successi raggiunti, a chiedergli quale sarebbe stato il prossimo passo e a mostrargli quanto erano fieri di lui.
    Forse per questo il suo respiro era pacato, il petto faceva su e giù con tranquillità, recuperando il sonno perso la notte prima.
    Sul banco, oltre a qualche matita, giaceva la sua tracolla e da questa tentavano la fuga i libri del corso di studi e una busta di marshmellow, oltre che un pacchetto di sigarette ancora pieno.
    lucas j. jones

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    Tornare a parlare con Cameron aveva avuto sì un aumento di voci sul loro conto, ma aumentato altresì anche la sua capacità di resistenza agli insulti. L'aver chiarito con il Dioptase, a prescindere dall'idea che lui aveva avuto su di lei sull'orlo di un precipizio tutt'altro che figurato, aveva migliorato la qualità del suo poco sonno ed il rendimento scolastico. Non si era resa conto che dopo quanto accaduto a Natale avesse rallentato i suoi ritmi di studio, accorgendosene anche grazie alla mole di arretrati che si portava dietro sul groppone. Doveva ancora decidere l'ultimo tirocinio con chi tenerlo, si aspettava una chiamata da un momento all'altro dagli altri due tutor e nel frattempo continuava a destreggiarsi tra il quidditch e la lega duelli. Quello ed il nuovo tarlo che aveva iniziato a rodere quel poco di materia grigia che le era rimasta: «Perché Jug fa tutto questo per me?» La accompagnava durante i pasti quando lanciava occhiate discrete al tavolo dei giallo viola, oppure nelle lezioni che avevano in comune ma anche in biblioteca quando riusciva ad incontrarlo. Per quel motivo quel giorno aveva deciso di cambiare ambiente di studio, sperando che la novità la portasse a mantenere il culo sulla sedia per più di quindici minuti e con la mente concentrata sull'utilizzo degli incantesimi esorcistici come prevenzione piuttosto che difesa. Con la mole di libri aveva deciso quindi di scendere fino al piano terra, sperando di trovare un posticino nella sala in disuso. Aveva deciso persino per un outfit comodo: un paio di leggings neri, una t-shirt azzurra ed un bomber di quelli tipo college nero con le maniche bianche. Sulla spalla sinistra vi era lo spallaccio dello zaino in cui aveva infilato una borraccia, degli snack e appunti vari. Quello che non le era entrato nello zaino faceva sfoggio nello spazio tra gomito e mano, triangolarizzato -lol- con il fianco. Solo quando richiuse la porta dietro di sé si accorse che in aula c'era già un'altra persona e non una come tante. Lucas sembrava perfettamente addormentato sui suoi appunti sparsi, con una busta di marshmellow ad uscire dalla sua borsa con annesse sigarette. La sua schiena era rilassata, segno che non l'aveva svegliato o almeno così sembrava. Con lentezza decise comunque di avvicinarsi al tavolo ed occupare il posto di fronte a lui. Non voleva compiere gli stessi errori fatti con Cameron e quindi non l'avrebbe evitato caricando poi di fatto il non detto tra loro fino a divenire incontrollabile. Adagiò con dolcezza le sue cose e fece per sedersi, quando decise di arrivare fino alle sue spalle e coprirlo con il giubbino a mo' di coperta. «Magari lo lascio dormire ancora un po'», come se fosse normale tutto quello tra di loro. Ultimamente aveva compreso che quando c'era lei di mezzo e ancor di più con lui nulla poteva essere associato a quella parola.
    Elisabeth
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    La vera domanda, quel pomeriggio, sarebbe stata una: perchè erano tutti e due uno davanti all'altro, di nuovo?
    In quei giorni successivi al loro incontro in ripostiglio, Lucas si era chiesto più volte cosa fosse a voler che loro si scontrassero in occasioni particolari, facendo i conti con la realtà in cui uno c'era sempre per l'altro, seppur in una penombra silenziosa.
    Le voci su Elisabeth erano continuate, questo non era negabile, e lui ne aveva sentite di mille, ritrovandosi a fare i conti anche con una rabbia che reprimeva ogni volta: chissà quanti nasi avrebbe spaccato in quel periodo, ma consapevole che quella fosse la scelta di agire più sbagliata, per quanto la più rapida e - soprattutto - quella con cui ci sarebbe stato più godimento da parte sua.
    Ultimamente, però, le cose erano cambiate, le voci parlavano di aver visto Cam ed Elisabeth insieme, una nuova coppia si diceva e questo aveva alimentato sì delle voci diverse, ma comunque piene di insulti; Lucas, dal canto suo, aveva cercato di non dar peso nemmeno a quello che girava nell'ultimo periodo, provando a concentrarsi su ciò che era lì a fare: studiare. Non ci riusciva, ovviamente, perchè si chiedeva quanto fossero reali quei pettegolezzi, con la consapevolezza che qualsiasi fosse stata la verità, a lui non sarebbe mai dovuto interessare più di tanto. Si erano incontrati diverse volte, seppur nella frenetica routine quotidiana e Liz non sembrava aver bisogno di parlare con lui, quindi l'ametrino col cappello si era limitato a lanciarle sorrisi quando i loro sguardi si incrociavano e a rubare, di nascosto, qualche piccola scena della sua vita quotidiana quando lei era distratta.
    Ed, ora, invece, eccolo lì, reduce dall'ennesima notte insonne - quale novità - a sonnecchiare sotto il suo quaderno, beandosi di essere da solo nell'unica stanza in cui non si sarebbe mai sognato di trovare ed essere trovato dall'opalina.
    Non sentì la ragazza entrare, era stata piuttosto abile a non fare rumore (o forse lui aveva davvero preso sonno per benino), quindi quando lei gli adagiò il suo giubbino sulle spalle, Lucas non accennò a svegliarsi.
    Passarono un paio di minuti, forse, quando al naso dell'ametrino arrivò quella brezza di profumo che conosceva perfettamente. Aveva ancora gli occhi chiusi, in quella fase tra il sonno e la veglia che lo rendeva più rincoglionito del solito. Un braccio si piegò ad afferrare un lembo del giubbino. Era sempre stato lì? Eppure quel profumo non apparteneva a lui, forse stava davvero impazzendo per colpa di quella domanda che gli ronzava in mente.
    Aprì lentamente le iridi celesti, trovandosi nel buio costruito dal quaderno, quindi si spinse in avanti e sentì il giubbino cadergli sulla schiena, appendendosi meglio alle proprie spalle, mentre il quaderno veniva afferrato tra le mani «Questo vizio di incontrarci nelle stanze più improbabili, ci sta sfuggendo dalle mani, non credi?» - mormorò con un tono ironico, mentre si alzava e si voltava alle sue spalle, per cercare lo sguardo della studentessa opale «Sembra quasi che uno dei due segua l'altro.» - la punzecchiò appena, quindi per poi strofinarsi un'occhio per cercare di svegliarlo al meglio.
    «Tutto bene, Liz?» - le chiese con tono flebile, sperando che non ci fossero problemi di sorta nella sua vita «Immagino tu sia qui per studiare, se do fastidio posso trovare un altro posto, se non vuoi distrazioni...»
    lucas j. jones

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    Sistemato il giacchino sulle spalle di Jones, Elisabeth era tornata dalla sua parte di tavolo, organizzando il più silenziosamente possibile il suo set di studio. Una pergamena nuova, il manuale di difesa ed un paio di volumi presi in prestito in biblioteca la sera prima. Era pronta ad immergersi tra incanti, funzioni ed effetti ma lo sguardo si soffermava sulla chioma scura davanti a lei, parzialmente nascosta dal libro-tettuccio e da quel maledetto capo spalla che proprio non ne voleva sapere di trasformarsi in coperta. Si rialzò nuovamente, afferrando la stoffa prima che cadesse del tutto, riposizionandola con maggiore cura. Per un attimo ebbe quella strana sensazione di essere entrata in un universo alternativo. Sarebbe andata in quel modo se non si fossero lasciati? Studiare insieme, condividere interessi, magari qualche viaggio nel mezzo e quello strano senso di pace e tranquillità che stava respirando a fondo in quel momento. Era tutto così nuovo per lei, da risultare simile ad un vasetto di miele a portata di un orso. Si lasciò andare ad un verso soffocato dal significato totalmente sconosciuto. Forse era stato proprio quel rumore a svegliarlo, poiché uno strano movimento a gonfiare il giubilo che aveva appena sistemato non poteva essere frutto della sua immaginazione. Abbassò di scatto lo sguardo sul volume che gli copriva la testa e quella mano che attenuò la discesa fino ad afferrarlo. Non era la sua. «Ancora mi chiedo come siamo riusciti a…» cercare un termine che non suonasse negativo quanto evitare fu alquanto difficile, soprattutto così, su due piedi. Tra i due era lui quello bravo con le parole, lei al massimo aveva il potere di trasformarle in armi. «Non scontrarci così spesso come nell’ultimo periodo, ecco», ne imitò il tono basso, arretrando di un paio di passi per permettergli di voltarsi. Lasciò libera l’insinuazione su chi, tra i due, stesse giocando a fare lo stalker, preferendo concentrarsi su quanto aggiunse una frazione di secondo più tardi. «Ehi, no, nessun fastidio!» Rispose di getto, alzando le mani davanti a lei. «Al massimo sono io quella che deve andar via, c’eri tu per prima qui» e nel dirlo iniziò ad incamminarsi verso le sue cose, pronta a raccoglierle. «Magari riuscirò a trovare uno spazientito in Sala Comune. Dovrebbe essere più tranquilla, visto che è sabato». Un sorriso tirato prima di iniziare ad impilare tutto con estrema velocità.
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    Era quasi ridicolo come il loro rapporto cambiava repentinamente ogni volta che gli sguardi dei due si incrociavano tra loro. Passavano dal ridere e punzecchiarsi al leccarsi vicendevolmente le ferite, fino a giungere al disagio e all'imbarazzo, anche solo in un battito di ciglia.
    Svegliarsi con il profumo di Elisabeth nelle narici aveva dato a Lucas un senso di pienezza che forse aveva dimenticato come potesse essere. Era come se quel profumo, quell'odore così familiare, gli avesse dato un assaggio di quotidianità diversa da quella che aveva sempre vissuto.
    Aveva, per un frammento forse troppo lungo di quel dormiveglia, pensato a quanto sarebbe stato bello avere le proprie felpe intrise di quel profumo, di quella tranquillità che ritrovava ogni volta che sapeva che l'opale stesse bene, o semplicemente vedendola al sicuro davanti a lui. Era come se la fase del risveglio volesse giocargli un brutto scherzo, avvicinandolo ad un'idea che stava tentando di scacciare dalla propria testa. Sapeva che Elisabeth non sarebbe mai uscita dalla sua vita, era consapevole che ogni donna che sarebbe giunta dopo di lei avrebbe solo assaporato il più misero degli amori che per lei aveva provato e sapeva anche quanto entrambi si erano fatti del male, in quella relazione che li aveva lanciati da parti opposte, tanto da farli perdere. Almeno fin quando lei non era piovuta dal cielo, direttamente nella sua piscina.
    E anche quel giorno il loro rapporto era cambiato, lo aveva fatto anche nella stanza delle necessità, quando lei gli aveva chiesto di aiutarla a mettere un punto a quel loro rapporto. E lui non ci era riuscito, aveva solo fatto un altro dei suoi casini e questo aveva portato a distanziarli di nuovo.
    Curioso come quell'incontro aveva devastato entrambi e aveva portato alla successiva rottura con Emma, per motivi completamente lontani da Liz.
    E poi si era trovato ad aprirle la porta, di nuovo, con una bottiglia in mano e una canna nella sua.
    Insomma, ogni loro incontro aveva segnato un cambiamento nel loro rapporto. Per questo, quando Lucas aprì gli occhi cristallo, lo specchio d'acqua vibrò appena a scontrarsi con quello della ragazza e mentre la voce proferiva sarcastiche parole, la mente pensava a cosa sarebbe successo, a come sarebbe cambiato quel giorno il loro rapporto.
    Sollevò un sopracciglio «Come siamo riusciti ad evitarci, dici? Ah, devo dire con tanta difficoltà da parte mia.» - quelle parole vennero lasciate nell'aria con una disarmante leggerezza, mentre il sorriso sguincio accoglieva un nuovo sguardo sul volto della ragazza. Era vero, si erano evitati, ma adesso sembrava che nessuno dei due volesse riprovare quella sensazione; almeno, non Lucas. Stare nella stessa stanza con lei aveva sicuramente un sapore nuovo, ma doveva ancora capire quale fosse il gusto che stava assaporando e per farlo avrebbe dovuto restarci, in quella stanza.
    Cosa che invece lei sembrava non voler fare. Per un attimo lo sguardo di Lucas si allargò stupito, mentre si allungava al suo banco a rubarle un quaderno a caso «Ehi! E chi ha detto di andar via?!» - le chiese guardandola dubbioso, mentre macinava quelle distanze fino a giungere al posto che aveva scelto per mettere i suoi libri, provando a mettersi tra loro e lei, per bloccare quell'impilare la roba in maniera frenetica, poggiando il sedere al bordo del banco, se ci fosse riuscito «Wo-wo-wo. Non starai mica scappando da me?» - cercò di intingere dell'ironia in quella domanda, mentre sollevava il braccio col quaderno che le aveva rubato «Se prendo in ostaggio questo non potrai scappare.» - cercò di buttare il tutto sul gioco, perchè in fondo, non voleva che andasse via e se quello poteva essere un modo per trattenerla ancora un po', allora sarebbe stata la mossa migliore. La guardava, il suo specchio cristallo si incastrava nei cerulei di lei, mentre la sfidava con lo sguardo «Avanti, Lynch... cosa devo fare per farti capire che non voglio che tu vada...» - il pensiero correva in maniera troppo veloce, mentre cercava di mantenere alto e fuori dalla sua portata quel quaderno.
    lucas j. jones

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    Quando due persone, tra cui c’era stato un certo tipo di passato, tornano a gravitarsi intorno non va mai come si penserebbe, lisci come l’olio. Se avesse dovuto fare un paragone avrebbe associato il loro rapporto al tentativo di stiraggio di una camicia di lino: neanche il tempo di lisciare una piega in un mix d’acqua e vapore col ferro da stiro che -TAC- ecco comparirne un’altra. E allora riprendi da capo, fino a quando, snervata, decidi che è meglio lanciare una nuova moda piuttosto che strozzare qualcuno con il filo per collegare il dispositivo elettronico alla corrente. E non pensate di servirvi di quei cosi infernali che promettono una stiratura perfetta addirittura lasciando il capo appeso alla cruccia: balle, tutte balle.
    E così, eccoli lì, in un valzer di stoffe e ferri da stiro, a cercar di capire che cosa dire, cosa fare e soprattutto quanto. Ormai sembrava che non fossero più capaci nel mantenere una distanza di circostanza che lei aveva attribuito alla magistrale magia di quel castello che li faceva incontrare pochissime volte e per lo più in contesti puramente scolastici. E invece… invece, a quanto sembrava, era frutto di un lavoro certosino dell’ametrino. «Ed io che credevo fosse naturale come pensare», fece spallucce ed una espressione sorpresa. Alla fine bisognava accettare come molto spesso ci si lasciasse guidare dai pensieri che ognuno si faceva per le azioni -o la loro mancanza- di una persona nei loro confronti. Con la paura che, soprattutto dopo la bomba che aveva sganciato, non volesse trascorrere del tempo con lei, che altri potessero trovarli insieme e dar adito a nuovi pettegolezzi, ma semplicemente perché non voleva essere di troppo, alla domanda di Jones decise di rispondere con le azioni, andando a recuperare le sue cose, gettandole in maniera confusionaria nella sua borsa per lasciargli completamente l’aula visto che, tra i due, l’intrusa era solo e soltanto lei. Cercò di non prestare attenzione al puro caos che stava versando nella sua borsa, a dispetto di come li aveva tirati fuori con ordine, non volendo prestare attenzione a quella vocina interiore che le suggeriva di tirare di nuovo fuori tutto per reinserirli in modo corretto, distribuendo il peso per ogni tasca e comparto previsto. Avrebbe dovuto resistere fino a quando non avrebbe trovato un luogo dove rimettere ordine, e lo avrebbe fatto se il ragazzo non fosse riuscito a sgusciare tra lei ed il tavolo, sfilandole di mano l’ultimo quaderno che le mancava, sedendosi sulla superficie dura. «No, non sto scappando», un’affermazione che la rendeva falsa, soprattutto alle orecchie di lui, visto che quando era arrivato il momento di stringere la Black Opal aveva preferito darsela a gambe, mentre lui era in cucina a prepararle qualcosa. Stava davvero compiendo le stesse azioni di due anni prima? Sul serio non aveva compreso nulla dei propri errori?
    Si arrese, lasciando che la borsa scivolasse aperta sulla sedia, fino a farla sbilanciare e cadere, rovesciando le sue cose sotto il tavolo. Non diede peso. I palmi delle mani ora erano impegnati a sorreggerla aggrappandosi al bordo del tavolo. Era vicina a lui ma non lo vedeva: il volto era chino, nascosto dai capelli sciolti che la nascondevano, mentre quella domanda che era riuscita a frenare nella stanzina a qualche porta di distanza da lì non tornò a salire prepotentemente, come la tensione, l’energia del magma che si era accumulato alla bocca del vulcano, pronto ad esplodere. E così fece anche lei, nel silenzio assoluto che aveva avvolto la stanza, se non per i loro respiri flebili. «Perché? Perché sei qui nonostante tutto quello che ti ho fatto?» Lentamente sollevò il capo, voltandolo nella sua direzione, cercando di scrutarlo al di là della cortina di capelli che coprivano parzialmente il suo viso. Perché il punto era tutto lì, perché ora non c’era la Lewis dietro cui nascondersi; non c’era Hinds con cui divertirsi per non pensare davvero. E aveva provato, lo aveva fatto davvero, a seguire i consigli del mezzogigante di viversi la vita come veniva e per un po’ aveva funzionato, fino a quando il suo menefreghismo, il suo ego, non avevano dato vita a qualcosa che aveva avuto la capacità di ferire ben tre persone e di mettere in mezzo amicizie, persone che volevano la sua testa o quella di Cohen. Perché si poteva cercare di scappare dai propri errori, ma alla fine questi riuscivano sempre a stanarti dal buco oscuro in cui ti nascondevi.
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    La verità era che per quanto distanti, la mente di entrambi tornava sempre all'altro. Era questo quello che accadeva a Lucas e Liz, com'era successo anche quella volta. Che fosse estate, primavera, autunno o inverno, il destino voleva che si incontrassero e che lo facessero in qualsiasi circostanza fosse loro concessa, cercando di incasinare i loro fili ancora di più. Un groviglio che sarebbe stato difficile sbrogliare, poi, se avessero continuato a girare uno intorno all'altro.
    Lucas era cambiato, nel tempo che li aveva tenuti lontani: forse era meglio dire che aveva semplicemente tolto il freno da alcuni dei filtri che si era imposto ed ora, nonostante incrociare lo sguardo di Elisabeth gli facesse muovere dentro imbarazzo, tenerezza ed eccitazione allo stesso tempo, cercava di ben mascherare quella realtà in cui avrebbe voluto solo capire rapidamente cosa stessero facendo entrambi.
    Era sempre stato difficile tra di loro, ma sembrava che in quella difficoltà si trovassero a meraviglia, quasi come se riuscissero davvero a viverci nelle difficoltà di quel loro rapporto indefinito. Più la loro vita si increspava, infrangendosi in quella dell'altro come le onde sui frangi flutti, più parevano non voler scappare dallo tsunami che si stava generando.
    Probabilmente, in tutto questo, si metteva anche il fatto che Lucas aveva deciso quanto fosse inutile evitare Liz. Farlo l'aveva portato solo a ritrovarsela a cadere sbronza nella sua piscina, quindi perchè rischiare una vita così giovane, piuttosto che andarle incontro? E non si impegnava più a cambiare strada, luoghi di frequentazione o farsi patturnie riguardo ai percorsi da fare per non incontrare quegli occhi.
    «Naturale evitarti, pfff...» - il suo tono ironico venne smorzato da uno sbuffo di risata, quasi a mostrarsi più divertito di quanto volesse apparire a quella credenza che non era assolutamente reale.
    Lo sguardo di cristallo dell'ametrino non lasciava un attimo quello ceruleo dell'opale, pur mentre questa raccattava la sua roba, quasi a voler fuggire da quella stanza per un motivo a dir poco futile. Era così rapida nei movimenti che l'ametrino avrebbe dovuto fare uno scatto ancora più fulmineo per poter acciuffare uno di quei libri pur di riavere la sua attenzione. Stava ricacciando dentro con un disordine che non era suo, pur di fare tutto così velocemente.
    Senti quelle parole e Lucas sollevò ancora di più il braccio con il libro, insieme ad un sopracciglio, il destro ad indicare quanto poco ci stesse credendo «Hai infilato tutto nello zaino, credevo volessi portarti anche il banco per quanto stessi raccogliendo tutto con velocità.» - soffiò lui, mentre il ghiaccio cercava di entrarle dentro, di incastrarsi come un tarlo nella sua mente, quasi come se volesse rimanerle più impresso di quelo che forse già non era. Sapeva quanto fosse rapida a sparire, Liz: lo aveva fatto due anni prima, a casa sua. Niente le vietava di farlo ancora e ancora e ancora... o forse sì; questa volta sarebbe stato lui a bloccarla.
    Se lo avesse concesso, si sarebbe sporto verso di lei, per accorciare le distanze, con quel sorriso sguincio che pareva quasi dispettoso. Se glielo avesse permesso, quindi, avrebbe ripreso a parlare con un tono più basso «Se rimani, questo torna da te. Altrimenti... lui torna in stanza con me.» - e mentre proferiva queste parole, non staccò nemmeno un attimo lo sguardo dalla ragazza, seppur qualcosa nella sua tasca vibrava.
    Lo stava facendo da un po', ma la vibrazione era talmente lieve da poterla sopportare. Tuttavia, l'insistenza lo stava innervosendo e nonostante guardasse Liz, sentiva che quel telefono doveva smettere di vibrare all'istante, quindi allungò la mano libera a schiacchiare i tasti laterali per silenziarlo.
    Niente. Dopo pochi attimi di nuovo «Un secondo...» - disse, ma senza mollare un attimo il contatto visivo, sfilò l'aggeggio dalla tasca e lo sollevò per portare lo schermo all'altezza della portata visiva. 15 chiamate perse e 24 messaggi.
    Il mittente? Solo uno.
    Lucas fece scivolare il dito su un messaggio e ne lesse il testo. Sbuffò«Castlewine. Spero sia importante o giuro che lo odierò a vita.» - mormorò dopo aver rimesso in tasca il telefono, spiegando a Liz cosa stesse succedendo «Hai vinto questa battaglia, Lynch... ma lui, viene con me...» - disse con un occhiolino, sgusciando via da vicino a lei e riprendendo la sua tracolla ficcandoci dentro il libro e la penna che stava utilizzando, con anche l'eventuale quaderno di Elisabeth.
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