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.Uno poteva essere un caso, due un errore, il terzo... significava che qualcosa non andava. Ma, a conti fatti, la Lynch aveva superato quel numero sacro già da diverso tempo. L'ultimo, in mero ordine cronologico, era stato Cameron Cohen. Si erano evitati dopo aver ceduto alla passione fisica, che aveva già dato avvisaglie durante l'estate, riunendosi solo per dividersi definitivamente. Lui aveva rivelato il tradimento ai danni della Prefetta degli Ametrin, lei all'intera formazione dei Black Opal che erano scesi per dare una mano ai docenti sul finire di dicembre. Col senno del poi aveva compreso come farlo fosse stata una mossa azzardata, soprattutto perché non aveva pensato come quegli avvenimenti avrebbero potuto rovinare -non che fosse più rosea- la vita di Cohen ad Hiddenstone. Blake sembrava essere sul piede di guerra, un po' come la Russia con l'Ucraina e il resto del mondo occidentale nelle ultime settimane; gli altri non avevano avuto che parole dure ed aspre nei confronti di entrambi. Lei era abituata a sentire giudizi sul suo conto, sulla sua vita privata e sulla sua persona in generale, ma nell'ultimo periodo era diventato davvero sfibrante, persino per una come lei, fingere che «puttana», «rovina coppie» e chissà quale altro epiteto più edulcorato fossero riusciti a partorire i suoi coetanei crocifiggendola per essere stata di fatto umana.
Quel venerdì pomeriggio era appena uscita dalla sua Sala Comune, dopo aver partecipato alla classe di Olwen, quando vide un gruppetto di tre ragazze del quarto anno iniziare a lanciarle occhiate cariche di disgusto, non curandosi di mantenere il loro tono basso, ma anzi inducendo i ragazzini del biennio che passavano da lì a rallentare per unirsi a loro mentre scendeva la grande scalinata che portava al piano terra. Cercò di non curarsi dei versi e dei gesti volgari che gli altri fecero, mantenendo alta la testa e senza neanche aumentare il passo. Avrebbe voluto correre, via, lontano da lì ed invece si limitò a mettere un passo avanti l'altro fino a raggiungere le soglie della Sala Grande, il luogo che aveva scelto per studiare al posto della biblioteca, ma preferì tirare dritto fino alla fine del corridoio. I passi si erano fatti più malfermi e veloci, mentre la porta un po' scorticata si faceva sempre più vicina. La mancina prese la bacchetta pronta a compiere un rapido movimento in direzione della serratura. «Alohomora». Sentito il meccanismo la spalancò trovandovi dentro due primini in atteggiamenti poco consoni o forse sì. «Fuori», sibilò quel comando con gli occhi accesi dalla rabbia, mentre i due ragazzi cercavano di ricomporsi pantaloni e camicia e battere in ritirata. Non se ne curò, preferendo avvicinarsi all'insieme di mazze di scope più o meno rovinate, prendendone una, dal manico legno sottile, che iniziò a sbattere rabbiosa contro un secchio di metallo capovolto. Colpì. Una volta, due, tre volte fino a che non iniziò a sentire il familiare scricchiolio del legno iniziare a cedere.Elisabeth
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.Non erano frasi diverse e sconosciute quelle che quel giorno aveva sentito, ma per quanto avesse avuto la forza di continuare ad andare avanti, a stringere i denti e a non farsi scalfire, ogni singola sillaba in realtà aveva eroso il suo scudo. Dopo anni ed anni Elisabeth Lynch non ce la fece più. Se fosse stata un ragazzo molto probabilmente si sarebbero complimentati con lei; purtroppo, però, aveva avuto l'ardire di nascere con l'apparato genitale femminile, identificarsi anche nello stesso genere ed essere una fottutissima ragazza che aveva fatto l'errore di finire a letto con il suo migliore amico. E poi perché diavolo continuava a giustificarsi nella sua mente? Raggiungere lo sgabuzzino fu un po' come per un uomo sperduto nel deserto raggiungere una piccola oasi: la salvezza. Scacciati gli occupanti, invece di piangere e dondolarsi in un angolino come una persona comune, la battitrice fece quello che sapeva meglio fare: battere. Solo che non c'era soddisfazione nel sentire il legno cedere ed il metallo scadente del secchio piegarsi sotto la furia dei suoi colpi. Fece per caricare il colpo finale quando qualcosa arrestò il movimento. Sollevò lo sguardo notando come ci fosse una mano alla fine dell'asta e che il proprietario della stessa fosse l'ultima persona al mondo che avrebbe dovuto vederla in quel modo: Lucas Jughead Jones. Non sapeva quanto di quella storia fosse a conoscenza, non sapeva neanche se il suo ex ragazzo avesse prestato orecchio ai bisbigli e agli scherni che la accompagnavano di nuovo con una frequenza maggiore rispetto a quello cui era abituato. A quanto pare tutto. «Ti prego, fammi finire» e con un'ultima strattonata liberò la presa e la riversò sul secchio fino a spezzare definitivamente la mazza che lasciò cadere con un tonfo nel secchio, prima di voltarsi verso il bruno e lasciarsi abbracciare. «Finirà mai?» Chiese con il viso soffocato nel suo petto. «Perché sono stanca, Jug, stanca davvero».Elisabeth
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.Il clangore del legno che incontrava il metallo in un ritmo continuo e costante era al pari di un decotto preparato dalle sapienti mani di Mave per chi soffriva di malanni stagionali: un toccasana. In quel movimento ripetuto neanche facesse parte della catena di montaggio all'interno di un'industria, Elisabeth vi trovava il modo di non crollare, di aggrapparsi alla rabbia che era via via montata man mano che le insinuazioni si facevano largo a suon di cattiverie lungo il suo filtro, fino a lacerarlo del tutto. E avrebbe continuato, fino a distruggere sia la mazza che il secchio, per poi passare ad altro se non fosse stato per Lucas Jughead Jones che aveva deciso di intervenire, fermandola proprio quando mancavano un paio di colpi alla distruzione degli oggetti. Aveva finito col pregarlo di farle portare a termine quel piccolo compito che si era data per poi crollare tra le sue braccia, porgendo domani a cui nessuno avrebbe potuto dare risposta, neanche lei. Ma Lucas era così, cercava di aiutarla, di tenderle una mano anche se quello che meritava era ben altro, visto cosa gli aveva fatto e quanto delle sue azioni lo avessero reso quel ragazzo che nonostante tutto le lasciava un bacio sulla testa, in una dolcezza disarmante. «Torneranno sempre a me, Jug, sempre», perché nonostante fossero in due in quella storia, la montagna di merda, per lo più, era riservata a lei. Poteva uscire uno scoop più succulento del suo, magari avrebbe tenuto banco per i tre mesi successivi, ma dopo... si tornava sempre dove si era stati bene, no? E, in un modo contorto, alla fine, tornava sempre a Jug, in quella che poteva anche esser vista come una relazione malata tra i due. Si facevano del male, lei soprattutto, ma alla fine l'affetto che li univa c'era sempre. Lui c'era sempre. «Davvero non lo sai?» Domandò, scostandosi lentamente ma senza di fatto interrompere il movimento delle sue dita nella sua chioma, permettendogli di incontrare il suo sguardo. Lucas voleva diventare un giornalista, delle volte fiutava anche il gossip, ma quando nell'occhio del ciclone c'era lei sembrava voler fare sempre orecchie da mercante. «Io e Cameron abbiamo fatto sesso». Sganciò la bomba, senza preoccupassi di ornarla con orpelli o tentare di indorare la pillola. «E lo che è sbagliato, lo so, che Mia stia soffrendo per il mio egoismo, per il nostro egoismo, ma...» Si fermò, per trovare delle parole migliori che andassero al di là del "avevo un prurito intimo e non ho usato Chilly". Perché dirlo sarebbe stato troppo riduttivo. «Abbiamo... ho provato a resistere, ad evitare di rimanere sola con lui per pura che da una scintilla divampasse il peggiore degli incendi, ma non ce l'ho fatta. Dovevo capire perché c'era questo tra noi, quando la nostra amicizia, il nostro supportarci puntasse solo e soltanto quella direzione». Si sentiva così piccola, così smarrita, perché alla fine aveva deciso di buttarsi in mezzo al fuoco, ma non aveva capito proprio nulla. «Solo che... è stato inutile, sono ancora più confusa di prima». Ammise, risollevando i suoi occhi cerulei su di lui. «E sono confusa da quando ho voltato le spalle a te, a noi, per Joshua. Da quel momento in poi è stato solo caos, come se avessi perso la bussola». Quanto potevano far male quelle parole nel pronunciarle, ma quanto avrebbero potuto far male all'Ametrin nel sentire il nome di colui che alla fine l'aveva allontanato dalle sue braccia? O era ancora sotto l'effetto anestetizzante, magari quello di una canna dell'ultim'ora? «E ho provato a ritrovare la via. Da sola, con l'aiuto di qualche docente ed anche di Hinds, ma alla fine mi sono smarrita di nuovo, Jug». Il che era profondamente triste quanto veritiero. Si era fatta terreno bruciato con le sue stesse mani, aveva allontanato tutti, aveva erto barriere finendo solo con un risultato: era sola, tremendamente sola. E perdere Cohen era stato l'ultimo tassello che la stava portando verso il crollo, verso quel fondo da cui avrebbe solo potuto risalire. «Morgana, mi sento così stupida», mormorò, passandosi le mani sul viso con fare stanco. Non sapeva se il ragazzo del suo primo bacio fosse ancora vicino a lei dopo quanto aveva detto. «Perché alla fine ogni cosa che tocco muore».Elisabeth
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.«Peccato che non tutti siano come te», rispose con un sussurro alla sua promessa solenne, come se davvero fosse disposto ad indossare da lì fino alla fine dei giorni la sua armatura splendente. O magari qualche costume da supereroe giusto per mantenere l'anonimato. Il problema era che lo credeva davvero capace di tutto ciò, così come era perfettamente consapevole di come lui non avrebbe mai prestato davvero attenzione ai pettegolezzi che giravano su di lei. A cosa servivano, in passato, quando l'aveva sempre osservata da lontano? Ma ora...
Ora si trovava tra le sue braccia a rivelare l'ultima delle stronzate che aveva fatto, perdendo di fatto il suo migliore amico, il suo complice, l'unica persona sulla faccia della terra a comprenderla davvero. E per cosa? Non lo sapeva neanche lei. Aveva ceduto, lo aveva voluto, se lo era preso e probabilmente lo avrebbe fatto di nuovo. Perché lei era così, maledettamente sbagliata e tossica. Ma la vera medaglia, quel pomeriggio, doveva essere data proprio a Jones, capace di farle l'unica domanda che aveva senso in un insieme di non sensi. «Non lo so», si ritrovò ad ammettere, sconfitta. «Un senso, in tutto questo, non lo so». Sembrava soffrire della malattia del viaggiatore, di colui che non riusciva mai a rimanere fermo nello stesso posto, pronto a fare nuove esperienze e lasciarsi il passato alle proprie spalle incurante di chi avrebbe lasciato indietro. Possibile che era una wanderlust dei sentimenti?
Era sfatta, stanca, frustrata, così tanto che anche i suoi gesti lo rivelavano con chiarezza e poco importava che Lucas la conoscesse così bene dopo tutti quegli anni. Lui che era rimasto al suo fianco, nonostante avesse visto qualcosa spezzarsi nel suo sguardo quando gli aveva rivelato di lei e Cameron. Perché per quanta acqua potesse esser passata sotto i ponti alcuni sentimenti non svanivano mai del tutto. Ed i suoi rimanevano, nonostante l'avesse distrutto col suo tocco. Allontanò le mani dal suo viso, sollevandolo per permettere ai loro sguardi di incontrarsi e donarle un senso di pace, di calma, come quel sorriso che ritrovò su quel viso. Un'altra cosa che non meritava. Errare poteva essere anche umano, ma lei sembrava perseverare in quel dannatissimo cammino. Un ennesimo triangolo, ennesimi rapporti rovinati e in nome di cosa questa volta? Non sapeva dare un nome a tutto quello, se non che Cohen le mancava più di quanto potesse immaginare. Come aveva fatto a guadagnarsi quei sentimenti? Quell'affetto profondo capace di sfumare i confini tra amicizia ed amore? Magari, se qualcuno avesse avuto l'ardire di domandarlo, non avrebbe saputo come rispondere.
Ad una cosa però sì, più o meno. Loro due. Forse il loro era un semplice filo rosso che si era allentato ed ora era tornato a tendersi. «O quando sono in difficoltà, in qualunque condizione possa essere, trovo sempre la strada per tornare da te», suggerì, memore di come avesse sempre trovato un porto sicuro in lui. Lui che cercò di non sputare odio a quel nome che li aveva divisi, lui che continuava a rimanere lì, per lei. «Perché? Perché sei qui nonostante tutto quello che ti ho fatto?» Ebbe paura di porre quella domanda, non era davvero sicura di voler sapere la risposta. Non in quel momento almeno.Elisabeth
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