Everything you touch surely dies

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    Uno poteva essere un caso, due un errore, il terzo... significava che qualcosa non andava. Ma, a conti fatti, la Lynch aveva superato quel numero sacro già da diverso tempo. L'ultimo, in mero ordine cronologico, era stato Cameron Cohen. Si erano evitati dopo aver ceduto alla passione fisica, che aveva già dato avvisaglie durante l'estate, riunendosi solo per dividersi definitivamente. Lui aveva rivelato il tradimento ai danni della Prefetta degli Ametrin, lei all'intera formazione dei Black Opal che erano scesi per dare una mano ai docenti sul finire di dicembre. Col senno del poi aveva compreso come farlo fosse stata una mossa azzardata, soprattutto perché non aveva pensato come quegli avvenimenti avrebbero potuto rovinare -non che fosse più rosea- la vita di Cohen ad Hiddenstone. Blake sembrava essere sul piede di guerra, un po' come la Russia con l'Ucraina e il resto del mondo occidentale nelle ultime settimane; gli altri non avevano avuto che parole dure ed aspre nei confronti di entrambi. Lei era abituata a sentire giudizi sul suo conto, sulla sua vita privata e sulla sua persona in generale, ma nell'ultimo periodo era diventato davvero sfibrante, persino per una come lei, fingere che «puttana», «rovina coppie» e chissà quale altro epiteto più edulcorato fossero riusciti a partorire i suoi coetanei crocifiggendola per essere stata di fatto umana.
    Quel venerdì pomeriggio era appena uscita dalla sua Sala Comune, dopo aver partecipato alla classe di Olwen, quando vide un gruppetto di tre ragazze del quarto anno iniziare a lanciarle occhiate cariche di disgusto, non curandosi di mantenere il loro tono basso, ma anzi inducendo i ragazzini del biennio che passavano da lì a rallentare per unirsi a loro mentre scendeva la grande scalinata che portava al piano terra. Cercò di non curarsi dei versi e dei gesti volgari che gli altri fecero, mantenendo alta la testa e senza neanche aumentare il passo. Avrebbe voluto correre, via, lontano da lì ed invece si limitò a mettere un passo avanti l'altro fino a raggiungere le soglie della Sala Grande, il luogo che aveva scelto per studiare al posto della biblioteca, ma preferì tirare dritto fino alla fine del corridoio. I passi si erano fatti più malfermi e veloci, mentre la porta un po' scorticata si faceva sempre più vicina. La mancina prese la bacchetta pronta a compiere un rapido movimento in direzione della serratura. «Alohomora». Sentito il meccanismo la spalancò trovandovi dentro due primini in atteggiamenti poco consoni o forse sì. «Fuori», sibilò quel comando con gli occhi accesi dalla rabbia, mentre i due ragazzi cercavano di ricomporsi pantaloni e camicia e battere in ritirata. Non se ne curò, preferendo avvicinarsi all'insieme di mazze di scope più o meno rovinate, prendendone una, dal manico legno sottile, che iniziò a sbattere rabbiosa contro un secchio di metallo capovolto. Colpì. Una volta, due, tre volte fino a che non iniziò a sentire il familiare scricchiolio del legno iniziare a cedere.
    Elisabeth
    Lynch

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    Il tirocinio, i compiti, le lezioni... tutto era un continuo scappare, una fuga dal ricorrersi perpetuo degli impegni che assillavano e soffocavano ogni studente che desiderava solo un attimo di tregua da quella che era la vita scolastica. O almeno, per studenti come Jones era così. Ma c'era sempre un barlume di speranza per uno studente di Hidenstone: l'arrivo del sabato. Le lezioni terminavano il venerdì pomeriggio e da quel momento in poi era la gioia più grande che Lucas potesse provare: la libertà. Aveva preso l'abitudine di spegnere il cervello, di evadere da quelle mura come poteva, anche semplicemente per fumarsi una canna in santa pace, in mutande, sul suo divano. Era quello che aspettava dal lunedì mattina e che oggi, finalmente era arrivato, puntuale come ogni settimana.
    Aveva finito rune, trovando comunque interessante la lezione che aveva tenuto Olwen, nonostante quel docente non riuscisse nemmeno troppo bene ad inquadrarlo; risultava essere gentilmente inquietante e questo lo destabilizzava un tantino. Aveva raccolto la sua roba dal banco, sistemato la tracola e cercato assiduamente dove diamine fosse finito il suo magifonino. Con molta probabilità lo aveva lasciato in Sala Comune, ragione per cui, quando la lezione terminò, ci mise un po' ad accorgersi che fosse rimasto da solo in quell'aula.
    Era ora di andare, raggiungere il dormitorio, prendere la propria roba e scappare verso la libertà del weekend.
    Attraversò i corridoi, con in mano la sua agenda per vedere la settimana dopo cosa gli aspettava, tra i tirocini e le lezioni. Con molta probabilità avrebbe avuto anche un po' di tempo per sentire Markab, visto che voleva fargli leggere la prima parte del suo libro e sapere cosa ne pensasse. Già, il lavoro al suo romanzo autobiografico aveva preso il decollo dall'anno precedente e ora era arrivato ad un buon punto, aveva solo bisogno di un occhio esperto e quale miglior occhio se non quello del Castelwine.
    Cercava di incrociare gli orari e i giorni, mentalmente, provando a trovare un angolino per chiedere al reporter di incontrarsi, quando davanti a lui un gruppetto di ragazze si fermò improvvisamente, facendolo scontrare appena contro una di esse. «Ma che... oh, scusat---» - le ragazze del quarto anno sembravano non essersi accorte minimamente di quello scontro, intente a bisbigliare qualcosa, mentre fissavano la scala principale. «Dicono sia successo mentre lui era ancora fidanzato» - «E' disgustosa, povera Mia...» - Lucas sollevò un sopracciglio, sentendo nominare il nome della sua prefetta, quindi cercò di fare qualche passo avanti, mentre si univano al gruppo anche ragazzini del biennio che ci andarono giù più pesante con le parole, facendo aggrottare la fronte dell'ametrino, come se fosse contrariato a quel che stava sentendo. Ancora un passo, per togliere dalla vista quel gruppetto e guardare incuriosito chi fosse la malcapitata vittima di quelle dicerie «Permesso...» - mormorò, provando a spezzare quel gruppetto di pettegoli e volgari ragazzini «Ehi, lui non è l'altro? Quello che le stava dietro al primo anno...» - sentì ridacchiare una di loro, mentre l'amica del quarto anno sembrava riferirsi a lui.
    Ma che cazzo stava succedendo? Lo sguardo di Lucas guardò di sguincio la ragazzina, con un piccolo ringhio a sollevargli le labbra «Pensi mi abbia sentito? Non è nella tua Casa?» - trattenne un respiro, mentre le iridi celesti andarono verso la scala dove sembrava stesse scendendo la tanto attesa e commentata Regina Elisabetta che - a detta loro - aveva seppellito diversi mariti.
    Quel respiro trattenuto quasi lo soffocò quando il celeste vide scendere quei gradini da Liz. «Se cade facciamole un video, magari è una vendetta per quello che ha fatto a Mia.» - altri ridolini irritanti, mentre Lucas stava cercando di mettere insieme i pezzi di quella conversazione.
    Improvvisamente la sua vista fu coperta da un altro ragazzino del biennio che si unì al gruppo «Ora le vado a chiedere se si fa un giro anche con me.» - disse, facendo scoppiare a ridere tutti per i suoi gesti volgari di bacino, mentre simulava un'azione che non era degna nemmeno delle peggiori prostitute sulla faccia della terra. Liz si stava allontanando verso il fondo del corridoio, aveva voltato le spalle probabilmente a quel gruppetto.
    La mascella di Lucas si irrigidì e la tracolla cadde in terra, mentre prese dal bavero della giacca della divisa il ragazzino e lo spinse verso una delle colonne al muro dietro di loro «Oh... buono... cos'è vuoi farti un giro prima tu?» - rise il ragazzino, mentre cercava di farsi grande davanti ai suoi amici. Lucas lo strattonò, ancora con più rabbia, stringendo le dita su quella giacca come se volesse strappargliela «Un'altra parola. Una sola. E ti troverai a bere con la cannuccia il tuo pasto, seduto su una sedia spinta da una delle ragazze qua dietro. Per. Tutta. La. Vita.» - il suo tono era basso, un ringhio aggressivo mentre con la coda dell'occhio guardava le ragazzine che per il gesto improvviso e impulsivo del Jones avevano fatto un passo indietro «Adesso sparisci e se trovo te o i tuoi amichetti a fare ancora certe cose, non mi fermerò a questo.» - fece ancora più pressione verso la colonna, mentre lo sguardo rimaneva fermo sul ragazzino «Sparite.» - lasciò la presa sul ragazzino, spingendolo verso quelle del quarto anno, mentre lui riprese velocemente la tracolla e affrettò il passo verso la direzione che aveva visto prendere ad Elisabeth. La cercò, destra e sinistra. Niente. Vide due ragazzini, davanti alla porta del ripostiglio «Ehi, voi... avete visto la Lyn---» - i rumori che vennero dal ripostiglio fecero arrestare le sue parole. Aprì la porta, vedendo quella mazza venir sbattuta con rabbia verso quel secchio, quindi tentò di afferrarla quando Liz la portava verso l'alto. Se ci fosse riuscito, poi avrebbe fatto chiudere l'entrata dietro di lui, con un colloportus rapido «Ehi, ehi, ehi...» - bisbigliò con un tono dolce, provando a fermare quella rabbia «Liz...» - gli occhi celesti di lui cercarono i cerulei dell'0palina, se li avesse trovati le avrebbe sorriso appena. «Dovresti usare questa mazza sulle teste di quei tizi là fuori, non su questo secchio...» - provò a dirle con quel sorriso sghembo che gli sollevava solo l'angolo sinistro delle labbra, quel sorriso che lei conosceva bene, che le era familiare, mentre avrebbe cercato, se lo avesse permesso di fare un passo in sua direzione. Il tono era basso e caldo, come se non avesse minacciato nessuno poco prima, manco fosse un cane rabbioso «Vieni qua...» - avrebbe provato a dirle, cercando di allungare un braccio verso le sue spalle per provare a stringerla in un abbraccio.
    lucas j. jones

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    Non erano frasi diverse e sconosciute quelle che quel giorno aveva sentito, ma per quanto avesse avuto la forza di continuare ad andare avanti, a stringere i denti e a non farsi scalfire, ogni singola sillaba in realtà aveva eroso il suo scudo. Dopo anni ed anni Elisabeth Lynch non ce la fece più. Se fosse stata un ragazzo molto probabilmente si sarebbero complimentati con lei; purtroppo, però, aveva avuto l'ardire di nascere con l'apparato genitale femminile, identificarsi anche nello stesso genere ed essere una fottutissima ragazza che aveva fatto l'errore di finire a letto con il suo migliore amico. E poi perché diavolo continuava a giustificarsi nella sua mente? Raggiungere lo sgabuzzino fu un po' come per un uomo sperduto nel deserto raggiungere una piccola oasi: la salvezza. Scacciati gli occupanti, invece di piangere e dondolarsi in un angolino come una persona comune, la battitrice fece quello che sapeva meglio fare: battere. Solo che non c'era soddisfazione nel sentire il legno cedere ed il metallo scadente del secchio piegarsi sotto la furia dei suoi colpi. Fece per caricare il colpo finale quando qualcosa arrestò il movimento. Sollevò lo sguardo notando come ci fosse una mano alla fine dell'asta e che il proprietario della stessa fosse l'ultima persona al mondo che avrebbe dovuto vederla in quel modo: Lucas Jughead Jones. Non sapeva quanto di quella storia fosse a conoscenza, non sapeva neanche se il suo ex ragazzo avesse prestato orecchio ai bisbigli e agli scherni che la accompagnavano di nuovo con una frequenza maggiore rispetto a quello cui era abituato. A quanto pare tutto. «Ti prego, fammi finire» e con un'ultima strattonata liberò la presa e la riversò sul secchio fino a spezzare definitivamente la mazza che lasciò cadere con un tonfo nel secchio, prima di voltarsi verso il bruno e lasciarsi abbracciare. «Finirà mai?» Chiese con il viso soffocato nel suo petto. «Perché sono stanca, Jug, stanca davvero».
    Elisabeth
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    Mentre copriva la distanza che lo portava a quello sgabuzzino, nella mente di Lucas iniziarono a palesarsi mille e più domande. A cosa si riferivano quelle ragazze? Cos'era successo in questi mesi a Liz? La vedeva spesso nelle lezioni combinate, ma quello non era mai stato il posto giusto per potersi fermare a parlare. Era tutto così confuso, ma la vera domanda, che Lucas si pose nel suo inconscio fu: voglio davvero sapere, prima di aiutarla a star meglio?
    E quella domanda, fu l'unica ad avere una risposta decisa: no. Elisabeth e Lucas avevano passato momenti di alti e bassi, questo non poteva negarlo nessuno dei due, tuttavia, c'era una cosa di cui Jug era sicuro: se lei fosse caduta giù all'inferno, lui si sarebbe bruciato tra le fiamme alte per correre a recuperarla, senza chiedersi nemmeno perchè lo avesse fatto. Ed era forse questo che l'aveva spinto ad entrare in quel ripostiglio, fregandosene di tutto quello che stava succedendo dietro di loro e del vociare continuo di studenti che stavano vedendo quella scena. Gli interessava solo sapere come stava, sentire quale fosse il problema e tirarla su dalla melma che la stava facendo affogare. La rabbia che stava riversando su quel secchio era qualcosa che non aveva mai visto in Liz. La stava osservando, mentre la mazza scricchiolava e aveva tentato di fermarla, forse anche solo per dirle che lui era lì, solo per avvisarla che non fosse da sola, non questa volta.
    Annuì alla sua richiesta, lasciando che la mazza venisse spezzata e poi gettata in terra. Lui rimase lì ad attendere che prendesse un respiro, prima di avvolgerla tra le braccia. Era da molto che non sentiva il corpo di Liz così vicino, poggiò il mento tra i suoi capelli, lasciandola parlare, sentendo al sua voce leggermente ovattata, mentre la mano le accarezzava piano i capelli «Lo so Liz, lo so.» - mormorò piano, mentre istintivamente le lasciò un bacio sui capelli «Finirà, credimi. Finirà quando qualcun altro farà qualcosa degna di nota. Perchè questa scuola va avanti così...» - era la pura verità, non avrebbe negato alla ragazza quale fosse il divertimento dei ragazzini e delle ragazzine lì dentro, non avrebbe potuto mentirle solo per compatirla «Ma tu devi reagire, Liz. Non farti piegare, non da loro.» - respirava piano, così come il ritmo delle sue parole, con la quale voleva darle anche solo un'istante di tranquillità «E se non ce la fai da sola, io sono qui.» - lasciò lunghi attimi di silenzio, mentre le dita le carezzavano i capelli, lentamente e delicatamente.
    «Ti va di parlarmene?» - domandò con cautela.
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    Il clangore del legno che incontrava il metallo in un ritmo continuo e costante era al pari di un decotto preparato dalle sapienti mani di Mave per chi soffriva di malanni stagionali: un toccasana. In quel movimento ripetuto neanche facesse parte della catena di montaggio all'interno di un'industria, Elisabeth vi trovava il modo di non crollare, di aggrapparsi alla rabbia che era via via montata man mano che le insinuazioni si facevano largo a suon di cattiverie lungo il suo filtro, fino a lacerarlo del tutto. E avrebbe continuato, fino a distruggere sia la mazza che il secchio, per poi passare ad altro se non fosse stato per Lucas Jughead Jones che aveva deciso di intervenire, fermandola proprio quando mancavano un paio di colpi alla distruzione degli oggetti. Aveva finito col pregarlo di farle portare a termine quel piccolo compito che si era data per poi crollare tra le sue braccia, porgendo domani a cui nessuno avrebbe potuto dare risposta, neanche lei. Ma Lucas era così, cercava di aiutarla, di tenderle una mano anche se quello che meritava era ben altro, visto cosa gli aveva fatto e quanto delle sue azioni lo avessero reso quel ragazzo che nonostante tutto le lasciava un bacio sulla testa, in una dolcezza disarmante. «Torneranno sempre a me, Jug, sempre», perché nonostante fossero in due in quella storia, la montagna di merda, per lo più, era riservata a lei. Poteva uscire uno scoop più succulento del suo, magari avrebbe tenuto banco per i tre mesi successivi, ma dopo... si tornava sempre dove si era stati bene, no? E, in un modo contorto, alla fine, tornava sempre a Jug, in quella che poteva anche esser vista come una relazione malata tra i due. Si facevano del male, lei soprattutto, ma alla fine l'affetto che li univa c'era sempre. Lui c'era sempre. «Davvero non lo sai?» Domandò, scostandosi lentamente ma senza di fatto interrompere il movimento delle sue dita nella sua chioma, permettendogli di incontrare il suo sguardo. Lucas voleva diventare un giornalista, delle volte fiutava anche il gossip, ma quando nell'occhio del ciclone c'era lei sembrava voler fare sempre orecchie da mercante. «Io e Cameron abbiamo fatto sesso». Sganciò la bomba, senza preoccupassi di ornarla con orpelli o tentare di indorare la pillola. «E lo che è sbagliato, lo so, che Mia stia soffrendo per il mio egoismo, per il nostro egoismo, ma...» Si fermò, per trovare delle parole migliori che andassero al di là del "avevo un prurito intimo e non ho usato Chilly". Perché dirlo sarebbe stato troppo riduttivo. «Abbiamo... ho provato a resistere, ad evitare di rimanere sola con lui per pura che da una scintilla divampasse il peggiore degli incendi, ma non ce l'ho fatta. Dovevo capire perché c'era questo tra noi, quando la nostra amicizia, il nostro supportarci puntasse solo e soltanto quella direzione». Si sentiva così piccola, così smarrita, perché alla fine aveva deciso di buttarsi in mezzo al fuoco, ma non aveva capito proprio nulla. «Solo che... è stato inutile, sono ancora più confusa di prima». Ammise, risollevando i suoi occhi cerulei su di lui. «E sono confusa da quando ho voltato le spalle a te, a noi, per Joshua. Da quel momento in poi è stato solo caos, come se avessi perso la bussola». Quanto potevano far male quelle parole nel pronunciarle, ma quanto avrebbero potuto far male all'Ametrin nel sentire il nome di colui che alla fine l'aveva allontanato dalle sue braccia? O era ancora sotto l'effetto anestetizzante, magari quello di una canna dell'ultim'ora? «E ho provato a ritrovare la via. Da sola, con l'aiuto di qualche docente ed anche di Hinds, ma alla fine mi sono smarrita di nuovo, Jug». Il che era profondamente triste quanto veritiero. Si era fatta terreno bruciato con le sue stesse mani, aveva allontanato tutti, aveva erto barriere finendo solo con un risultato: era sola, tremendamente sola. E perdere Cohen era stato l'ultimo tassello che la stava portando verso il crollo, verso quel fondo da cui avrebbe solo potuto risalire. «Morgana, mi sento così stupida», mormorò, passandosi le mani sul viso con fare stanco. Non sapeva se il ragazzo del suo primo bacio fosse ancora vicino a lei dopo quanto aveva detto. «Perché alla fine ogni cosa che tocco muore».
    Elisabeth
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    Probabilmente se il rumore che stava provocando Liz sarebbe continuato, avrebbe attirato altra gente fuori da quella porta, forse su anche per questo che Lucas lasciò che quello potesse essere l'ultimo colpo decisivo, che diede fine alla vita di quella mazza di legno, prima di ritrovarsi a stringere il corpo rabbioso di Elisabeth Lynch. Era certo che il motivo per cui lei era lì rinchiusa derivasse da quello che era accaduto fuori, con quel gruppo di ragazzi e ragazze con cui anche lui aveva avuto a che fare.
    Ma qualsiasi fosse stata la sua colpa, Lucas non avrebbe mai lasciato che le pesasse sulle sue sole spalle, avrebbe tentato in qualsiasi modo gli venisse concesso, di alleggerire il carico di quella che era la pena che la stava schiacciando.
    Le labbra abbandonarono la sua testa dopo essersi impresse dolcemente su quella, poi si schiusero a lasciare che rispondessero a quelle parole «E noi non glielo permetteremo, Liz...» - le sussurrò piano, come se fosse una promessa solenne.
    Era vero, non avrebbe permesso che sarebbero tornate come un boomerang verso di lei, non sapeva ancora bene come, ma se ci fosse un modo per poter fermare tutto quello strazio per Elisabeth, lui sicuramente lo avrebbe trovato e lo avrebbe messo in opera.
    Nonostante tutto era così che funzionava, tra loro, no? C'erano sempre distanzi enormi a dividerli, a vederli fare scelte ed esperienze diverse; ma poi tornavano sempre ad incontrarsi ed intrecciarsi in uno spazio totalmente loro. E tutto quello aveva del tossico, per entrambi, ma era come se loro ci vivessero di quel tossico. Qualsiasi cosa succedeva, lei riusciva sempre a trovarlo e lui non smetteva mai di accoglierla e farle spazio accanto a sé.
    Scosse il capo, mentre le dita continuavano a scivolare su quella seta e gli occhi di lui venivano rapiti da quelli dell'opalina «Sentire quelle voci che sono lì fuori non è sapere... io crederò sempre e solo a quello che mi dirai tu, Liz...» - le labbra si incresparono in un piccolo sorriso, mentre era pronto ad ascoltare quello che l'aveva spinta a rinchiudersi lì a rompere mazze di scope.
    Una doccia fredda, una secchiata di ghiaccio che lui sentì lanciare addosso, ma a cui cercò di rimanere impassibile, lasciandole spazio per parlare; lui avrebbe solo ascoltato, nonostante sentiva un nodo alla gola a quella rivelazione che non si spiegava benissimo. Non arrestò quel suo parlare, facendo in modo di farle tirare fuori quello che aveva dentro, anche se le sue sembravano più giustificazioni, alle sue orecchie. La mano destra di Lucas che accarezzava i capelli, scivolò lungo la spina dorsale della ragazza, dolcemente, lambendone l'incurvatura, per poi arrestarsi poco prima dei reni e ritornare verso l'alto; la mancina, invece, avrebbe tentato di sfiorarle la guancia, mentre raccontava, per scostare una ciocca dei suoi capelli dietro l'orecchio.
    Quel racconto, seppur esternamente tentava di non palesarlo, era come se fossero mille spilli nel petto e non ne comprendeva il motivo; Elisabeth si era ritrovata nuovamente in un triangolo, ma questa volta nessuno dei vertici era lui e non sapeva se esserne felice o lasciarsi prendere dal rimorso. Ma Lucas era consapevole che quella che aveva di fronte era la ragazza più pericolosa che era passata dalla sua vita e così come aveva aperto l'acqua ghiacciata sulla sua testa, poteva immergerlo completamente in un ghiacciaio, nudo, e vederlo congelare.
    E così, da lì a poco, successe: quella sua frase fu come uno sparo in pieno petto. Le sue mani si arrestarono sul corpo di lei e sgranò gli occhi, non potendo più trattenere alcuna espressione sul volto. Quel nome che non sentiva pronunciare da anni, ora era ritornato su quelle labbra, con quella che era una delle frasi che lo stava confondendo più di ogni cosa al mondo. Fu in quel momento che Lucas rimpianse di essere lucido, di non avere la mente annebbiata dalla cannabis, perchè forse quelle parole sarebbero state più gestibili se addolcite dagli effetti della marjuana.
    Cosa stavano facendo lì dentro? Stava permettendo a Elisabeth di sfogarsi su quello che era successo con Cameron? Stavano affrontando, sotto una nuova luce, il loro rapporto e cosa ne era derivato?
    Non riusciva a dire una parola, erano state delle bombe deflagrate improvvisamente e non sapeva da dove iniziare. La vide nascondersi dietro le sue stesse mani, per un attimo. Non si era allontanato da lei, ma le sue braccia erano ritornate lungo i fianchi e lui nemmeno si era accorto che fosse successo.
    Poi... quella frase finale. Fu come se lo avesse schiacciato giù con il piede, affogandolo nel ghiacciaio, mentre una lastra di gelo lo chiudesse sotto. Fu l'istinto a farlo muovere, a fargli afferrare quelle mani, se lo avesse permesso e stringerle, portandole al proprio petto, mentre un passo si muoveva verso di lei, a macinare ancora la distanza tra i loro colpi, come se si fosse pentito di aver permesso al suo corpo di lasciare andare quello dell'opalina.
    «Non tutto - le mormorò piegando piano la testa verso il basso per cercare i suoi occhi e incastrarli con i propri e se ci fosse riuscito, lei avrebbe trovato un sorriso delicato ad accoglierla, come se le stesse aprendo la porta di casa, durante una bufera di neve, per farla entrare e riscaldare.
    Doveva dire qualcosa riguardo tutto quello che lei aveva vomitato fuori e doveva iniziare dal principio di quel discorso. Cameron e lei. Dannazione, ancora non aveva idea di cosa muovesse il fastidio di quel loro rapporto, ma sentiva tanto la necessità di voler dare un pugno alla porta che poco prima aveva chiuso «Liz, errare è umano. E non per questo te ne devi fare una colpa. E per quanto può essere stato egoista da parte vostra, tu non avevi niente da perdere... lui sì, tanto. E ha deciso di perderlo.» - parlava piano, seppur c'era una certa vibrazione nel suo tono che mal celavano il fastidio di quella verità «Dovevi capire... stavi cercando qualcosa... ma... cosa stai cercando realmente, Elisabeth - il tono divenne quasi un sussurro, mentre tentava di non distogliere il cristallo dal ceruleo di lei.
    Rimase in silenzio, come se non avesse il coraggio di continuare ad affrontare quel discorso, che ora virava alla loro distanza, era come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato, eppure sentiva le parole tornargli su per la gola, come se volessero scappare.
    Giocò con le sue dita, se Liz non gli avesse tolto le mani dalle proprie «Mi fa strano, sai. Intendo dire, ogni volta che ti smarrisci, io ti trovo...» - lo sguardo che si era calato sulle loro mani, rimase lì mentre non riusciva a frenare quello che diceva «E' come se ci fosse un sottile filo di trama che ci riporta a dover fare i conti sempre con la nostra distanza, con il nostro esserci allontanati per... Joshua, facendoci intrecciare con la verità dei fatti.» - dire quel nome fu come vomitare dopo una sbronza, lo stomaco si ribellò al pronunciarlo. Ma la vera domanda era: qual era la verità dei fatti? «Non è vero che ogni cosa che tocchi muore... io sono ancora qui, accanto a te, Elisabeth Lynch. Ti ho detto che non ti saresti liberata così facilmente di me.» - cercò di ironizzare sulla cosa, sbuffando una sarcastica risata a riguardo e cercando di sfiorarle ancora la guancia, con il palmo della propria mano.
    lucas j. jones

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    «Peccato che non tutti siano come te», rispose con un sussurro alla sua promessa solenne, come se davvero fosse disposto ad indossare da lì fino alla fine dei giorni la sua armatura splendente. O magari qualche costume da supereroe giusto per mantenere l'anonimato. Il problema era che lo credeva davvero capace di tutto ciò, così come era perfettamente consapevole di come lui non avrebbe mai prestato davvero attenzione ai pettegolezzi che giravano su di lei. A cosa servivano, in passato, quando l'aveva sempre osservata da lontano? Ma ora...
    Ora si trovava tra le sue braccia a rivelare l'ultima delle stronzate che aveva fatto, perdendo di fatto il suo migliore amico, il suo complice, l'unica persona sulla faccia della terra a comprenderla davvero. E per cosa? Non lo sapeva neanche lei. Aveva ceduto, lo aveva voluto, se lo era preso e probabilmente lo avrebbe fatto di nuovo. Perché lei era così, maledettamente sbagliata e tossica. Ma la vera medaglia, quel pomeriggio, doveva essere data proprio a Jones, capace di farle l'unica domanda che aveva senso in un insieme di non sensi. «Non lo so», si ritrovò ad ammettere, sconfitta. «Un senso, in tutto questo, non lo so». Sembrava soffrire della malattia del viaggiatore, di colui che non riusciva mai a rimanere fermo nello stesso posto, pronto a fare nuove esperienze e lasciarsi il passato alle proprie spalle incurante di chi avrebbe lasciato indietro. Possibile che era una wanderlust dei sentimenti?
    Era sfatta, stanca, frustrata, così tanto che anche i suoi gesti lo rivelavano con chiarezza e poco importava che Lucas la conoscesse così bene dopo tutti quegli anni. Lui che era rimasto al suo fianco, nonostante avesse visto qualcosa spezzarsi nel suo sguardo quando gli aveva rivelato di lei e Cameron. Perché per quanta acqua potesse esser passata sotto i ponti alcuni sentimenti non svanivano mai del tutto. Ed i suoi rimanevano, nonostante l'avesse distrutto col suo tocco. Allontanò le mani dal suo viso, sollevandolo per permettere ai loro sguardi di incontrarsi e donarle un senso di pace, di calma, come quel sorriso che ritrovò su quel viso. Un'altra cosa che non meritava. Errare poteva essere anche umano, ma lei sembrava perseverare in quel dannatissimo cammino. Un ennesimo triangolo, ennesimi rapporti rovinati e in nome di cosa questa volta? Non sapeva dare un nome a tutto quello, se non che Cohen le mancava più di quanto potesse immaginare. Come aveva fatto a guadagnarsi quei sentimenti? Quell'affetto profondo capace di sfumare i confini tra amicizia ed amore? Magari, se qualcuno avesse avuto l'ardire di domandarlo, non avrebbe saputo come rispondere.
    Ad una cosa però sì, più o meno. Loro due. Forse il loro era un semplice filo rosso che si era allentato ed ora era tornato a tendersi. «O quando sono in difficoltà, in qualunque condizione possa essere, trovo sempre la strada per tornare da te», suggerì, memore di come avesse sempre trovato un porto sicuro in lui. Lui che cercò di non sputare odio a quel nome che li aveva divisi, lui che continuava a rimanere lì, per lei. «Perché? Perché sei qui nonostante tutto quello che ti ho fatto?» Ebbe paura di porre quella domanda, non era davvero sicura di voler sapere la risposta. Non in quel momento almeno.
    Elisabeth
    Lynch

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    Black Opal
    Serpeverde
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