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.Era seduta su una poltrona della Sala Comune, la stessa del giorno in cui aveva realizzato -grazie a Nicholas Confessore Mc Callister- di provare dei sentimenti per il suo migliore amico. Le gambe penzolavano molli al di là del bracciolo, i suoi occhi si muovevano veloci a rincorrere parole nere su bianco. Era lo stesso libro che aveva visto leggere dal ragazzino, per cui si era fidata dei suoi gusti. E non aveva sbagliato. Leggeva di due ragazzini che si erano scelti; leggeva di due ragazzini che da amici erano diventati amanti; leggeva di due anime che si erano riconosciute ed amate nel profondo. E lei, ingenuamente, si rivedeva nel giovane Patrocolo, in quell'amore forte e viscerale per Achille. Si rivedeva in quel ragazzino figlio di re ritenuto stupido ed inutile, troppo poco per suscitare l'interesse di qualcuno, l'affetto di qualcuno.
Aveva divorato quel libro pagina dopo pagina, imprimendo nella mente quelle frasi che proprio non ne volevano sapere di lasciarla stare. Quei secondi, quei mezzi secondi, in cui i nostri sguardi si toccavano erano gli unici momenti della giornata in cui sentissi qualcosa. L’improvvisa morsa allo stomaco, la rabbia che prendeva a scorrere. Ero come un pesce che fissava l’amo. Era forse la diapositiva perfetta per descrivere il suo rapporto momentaneo con Brooks. Le uniche volte che riusciva ad intrecciare lo sguardo con il suo lei si sentiva viva, confusa dai mille sentimenti che provava ma viva. Chiuse il libro, dopo aver girato l'ultima pagina. Quella storia antica quasi quanto l'uomo l'aveva lasciata impotente, in balia del dolore e dell'amore più potenti. I suoi occhi erano lucidi ed il libro era stretto al petto, come un figlio. Fu così che la trovò Jack, primino come lei, che si avvicinò un po' titubante dandole un'appuntamento per quella sera alle venti alla Stanza delle Necessità. Era confusa. Eppure una vocina le suggeriva di presentarsi, che forse non sarebbe stato l'ennesimo atto di schernimento nei suoi confronti. Da quando aveva chiuso con Brooks, infatti, aveva iniziato a perdere peso, guadagnando però delle occhiaie profonde ed uno sguardo privo di quel brio che lo contraddistingueva. Così, dopo aver messo a disposizione quel libro agli altri Dioptase, salì nel suo dormitorio per una doccia veloce e per indossare un abito semplice, bianco, con dei fiorelli giallo ed arancio; per coprirsi un chiodo di pelle nera e gli anfibi ai piedi. Aveva lasciato liberi i suoi capelli indefiniti tra ricci e molto mossi. Non un accenno di trucco sul viso, già le sembrava tanto costringere le sue forme in un vestito del genere. A pochi minuti alle otto la strega aveva lasciato la sala comune per dirigersi verso quella delle necessità senza troppe aspettative. Era solo un'opportunità per conoscere altre persone e fare amicizia, nient'altro. Vero? Ma quando arrivò al muro non c'era Jack ad attenderla, bensì la foto di una persona che mai si sarebbe spettata di vedere. «Ah ah, simpaticissimo scherzo», digrignò i denti, pronta a fare dietrofront e tornarsene da dove era venuta. Ma altre furono le parole di quella canzone che aveva letto, precisamente quel paragrafo che ruotava sul riconoscimento. Patrocolo si era detto forte così tanto da riconoscere l'altra metà di sè anche nel pieno della follia. Che il suo inconscio avesse fatto il resto? Perché il pensiero alla fine era volato su Brooks, su quello che erano stati, su quanto le mancassero le loro mani intrecciate, gli abbracci goffi e le sue battutine imbarazzanti. E nel pieno delle cose che più odiava di lui -e che più le mancavano- che la porta si materializzò e a lei non restava da far altro che spingerla per entrarvi. Solo che si era aspettata tutto tranne che quello. Amava le lucine calde a rischiarare gli esterni, non ne aveva mai fatto segreto con lui, così come adorava dondolare sulla pista da ballo o scatenarsi come una pazza perché lui era così carismatico da riuscire persino in quell'impresa. Lo sguardo si spostò ad accarezzare fiori, tra cui spiccavano orchidee e tulipani, inebriandola con i loro profumi. Profumi che si mischiavano al caminetto scoppiettante con tanto di divano e poltrone rosse, così come passavano parte delle vacanze natalizie fuori da Hogwarts. E poi una vasca, bellissima, che fu capace di tingerle le gote di rosso. Sembrava stonare ad un occhio poco allenato, ma in un certo qual modo qualcuno aveva cercato di riprodurre i suoi luoghi di comfort. Avrebbe voluto manifestare qualcosa ma era presa troppo in contropiede che il massimo che riusciva a fare era respirare e guardarsi intorno, fino a superare il banchetto -era certa di aver visto qualche suo piatto preferito, tra cui i suoi amati cavoli- fino a raggiungere lui. Broos era lì, con le sue camicie dalle fantasie strane, con quel viso sbarazzino e l'occhio furbo. Era lì e la guardava. La guardava apertamente e non com'era solito fare a lezione. Ed il cuore di Amalea Davidson si spezzò. Era doloroso reggere quello sguardo, poteva sentire le lacrime iniziare a formarsi, ma aveva giurato -oh, se l'aveva fatto- che da lei, lui, avrebbe avuto solo indifferenza. Recuperò la forza, guardandolo ed avvicinandosi al tavolo, pronta a lasciarsi sfuggire la più lunga sequela di improperi che la sua mente fosse in grado di partorire. Peccato però che nel suo campo visivo comparve la grafia dell'amico e la curiosità, si sa, è la più grande nemica, soprattutto di una donna. Si abbeverò di quelle parole come acqua fresca nel deserto. Le fece proprie, le amò e le odiò. E poi fece quello che sapeva fare meglio. «Visto che dici che farmi soffrire ti uccide, perché sei ancora vivo?» Aveva rialzato lo sguardo per incontrarlo ma non era più seduto sulla sedia, era proprio lì, accanto a lei, a farle un inchino e a chiederle di ballare. «Broolyn, perché? Perché stai facendo tutto questo?» mentre la testa si era pronunciata con un segno di diniego per quell'invito. «Vuoi forse darmi il colpo di grazia? Mi odi così tanto?»Amalea Davidson"Fill your paper with the breathings of your heart."
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.Quella stanza era affollata. Non si riferiva tanto al numero spropositato di set volti a farla stare bene, non parlava neanche di loro due. In quella stanza c'erano così tante sensazioni, così tanti sentimenti da farle venire un senso di claustrofobia. C'era l'accortezza, la gentilezza, la speranza, la volontà di recuperare, ma anche la rabbia, la delusione, la frustrazione, l'illusione che tutto potesse ripararsi in un batti baleno, la certezza che quella sera ci sarebbe stato un punto.
Non sapeva se era un punto che dava inizio ad un nuovo capitolo o se metteva fine a quel racconto una volta per sempre. Non sapeva perché il suo migliore amico avesse organizzato tutto quello dopo le settimane che avevano passato ad ignorarsi. Non sapeva proprio nulla se non che era stanca, sfibrata dal provare sentimenti così grandi che non riuscivano a farla dormire, a farla vivere.
Quelle parole che affermavano quanto in realtà già sapesse -perché erano anche le stesse che usava lei per spiegare parte di quel racconto- erano come stilettate. Cosa voleva esattamente da lei? Voleva corromperla con le loro attività preferite, il suo cibo preferito per ricordarle cos'erano stati e cosa sarebbero potuti essere? Oh, eccome se lo sapeva. I ricordi, di cui erano fatti, erano stati i suoi migliori amici, confidenti, carcerieri e torturatori. Aveva rivissuto gli ultimi cinque anni della sua vita, più e più volte, solo per capire quando si era innamorata di lui, per tornare a quel momento preciso e cercare di cancellarlo con un colpo di spugna. Una risata amara l'aveva accolta quando aveva compreso come non era un singolo episodio ad averla fregata, bensì tante piccole cose che l'avevano cotta a puntino. Ecco perché lei risultò fredda nel rifiutare un ballo; ecco perché lei gli fece quelle domande dolorose; ecco perché lei cercò di trattenersi alla difesa di lui. «Non si direbbe», commentò, aprendo le braccia ad indicare tutto quello. Ma lui continuava a guardarla, a scavarle dentro, a cercare chissà cosa nei suoi occhi. Si era accorto di come solo in quel momento si erano illuminati? E poi aprì bocca, rovinando tutto, di nuovo. «Sul serio, Brooklyn? Mi chiedi davvero questo dopo due mesi?» Il tono alzato di un paio di ottave, il nasino ad arricciarsi e le guance a tingersi di rosso furia. Furia perché aveva visto di nuovo quello sguardo con cui l'aveva investita dopo che lei aveva baciato Thomas. Fece per ribattere ma lui, forse comprendendo l'antifona, cercò di recuperare. «Che cosa s-» Le sopracciglia sollevate, aggettivi che aveva già sentito pronunciargli ma mai in quel modo. Quando le prese la mano Amalea si sentì di nuovo intera, a casa. Morgana, quanto le era mancato il loro toccarsi e cercarsi continuamente. Quella sensazione era così travolgente che si accorse solo all'ultimo di quella mano a posarsi sotto il mento, solo quando si trovò a specchiarsi nello sguardo dolce di O'Connor. Erano vicini, così vicini che poteva sentire l'odore del suo dentifricio, le noti legnose del bagnoschiuma che usava, il profumo della sua pelle. «Brooks», un nome sussurrato che sembrò di troppo. Perché Brooks si avvicinava, sempre di più, senza distogliere lo sguardo, fino a far sfiorare le loro labbra. Un contatto fugace che però le fece allargare le pupille che iniziarono a consumare il chiaro dell'iride. Il cuore prese a battere all'impazzata, forse l'aveva sempre fatto ma se n'era accorta solo ora perché rischiava di uscirle fuori dal petto. Era il suo o quello dell'irlandese?
Non lo seppe mai con certezza perché il suo perse un battito quando Brooklyn Ryan O'Connor la baciò.
Un bacio leggero, casto, solo un millimetro più intenso a quello che le aveva dato lei in guferia. Lei che poi gli aveva lasciato la scelta di darglielo o scappare. Lui che aveva scelto la seconda opzione. Staccò le labbra dalle sue, ne sentiva già la mancanza, ma dovette farlo perché la speranza in lei era già pronta a far partire un trenino stile capodanno. Ma prima di dare il via voleva la certezza, perché la possibilità che finisse schiantata al suolo era alta. Questa volta non ci sarebbe stato il mare ad attutire l'impatto, ma solo terra arida e brulla, la terra dell'oscurità. Solo una parola riuscì ad uscirle, fievole: «Perché?»Amalea Davidson"Fill your paper with the breathings of your heart."
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.Non erano mai stati separati per così tanto tempo da quando i loro cammini si erano incrociati. Sì, avevano bisticciato, tenendo su il muso, per ore e giorni ma mai, mai, più di una settimana. Quella volta però tutto sembrava essere diverso. I giorni si erano accumulati, la caparbietà della Corva era divenuta granitica. Le era mancato, più di quanto fosse disposta ad ammettere, cercandolo nelle piccole cose della vita quotidiana. Quante volte aveva sentito il peso della sua mano nella sua mentre camminava solitaria per i corridoi; quante erano le volte che scopriva qualcosa, notava un minimo particolare e si voltava per condividerlo con lui. Troppe, infinite. Puntualmente arrivava a darsi della stupida perché Brooklyn non c'era più e la colpa era solo e soltanto sua. Perché non era stata in grado di accontentarsi di quanto le offriva, lasciando vincere il suo egoismo. Lo voleva per sé e non più come migliore amico. Quello non le bastava più.
Ma se da una parte sperimentava il senso dell'abbandono, con alti picchi di rimorso e con una volontà sempre più forte di fermarlo e chiedere di dimenticarsi tutto per iniziare di nuovo ad essere Ama&Brooks, dall'altra veniva divorata lentamente dalla gelosia. Vederlo interfacciarsi con Marlee era sempre più un pugno nello stomaco, perché lei stava prendendo quel posto che era sempre stato suo. Non era tanto la possibilità che fossero tornati insieme, che facessero l'amore ogni volta che potevano nella loro sala comune. Ciò che la distruggeva era vedere il modo con cui lui scherzava con lei, dimostrando a tutti una complicità profonda.
E che complicità. Forse più di quella che lei aveva condiviso con O'Connor. Era stata la rabbia, era stata la solitudine ad accettare l'invito di Jack, per non rimanere a piangersi addosso, nascondendosi -almeno in parte- dietro i feels che le avevano lasciato Achille e Patroclo. Aveva indossato un vestito ma non aveva davvero perso tempo nel cercare di essere più carina. Farlo sarebbe stata solo una facciata, farlo avrebbe significato davvero chiudere con Brooklyn. Ma il concasato le aveva tirato un tiro mancino, anzi chi l'aveva fatto davvero era stato il fulcro di tutti i suoi pensieri, quella persona verso cui aveva cercato di applicare la sua indifferenza come un cerotto che però non faceva altro che staccarsi continuamente. Ritrovarselo lì, nella sala delle necessità, circondato dalle cose che le piacevano aveva scatenato una forte razione. Sorpresa, rabbia, sgomento, confusione. Incertezza. Ryan sapeva che tutto poteva essere frainteso, vero? Che lei avrebbe potuto leggervi in quelle accortezze qualcosa di più, qualcosa che richiamava la speranza. Non poteva permettersi di lasciarsi andare ad essa ad occhi chiusi, neanche per lui, perché non poteva permettersi il lusso di affondare sempre di più in quel pozzo freddo ed oscuro. Aveva fermato qualsiasi sua iniziativa, a partire dall'invito a ballare, perché tutto quello di cui lei aveva bisogno era di avere risposte ai suoi mille perché. Qualcuno era iniziato ad arrivare nel tipico stile dell'irlandese, sfoggiando ancora una volta una gelosia che, per lei, non poteva permettersi. Ma forse il Grifondoro sapeva cosa stesse facendo, perché se non aveva intenzione ferirla che senso aveva toccarla di nuovo, avvicinarsi a lei e... baciarla? Si sarebbe persa nel bacio, ancora qualche secondo e lo sfarfallio del suo cuore avrebbe lasciato la realtà per immergersi in quello che sembrava davvero un sogno. E mentre lei chiedeva lui cercò mai di interrompere il loro contatto fisico. «Morgana, perché deve essere tutto così perfetto, di nuovo?» Perché l'unione delle loro mani tornava a farla sentire intera? Si concentrò sulle sue parole, sulle sue micro espressioni, sul suo calore, pronta ad immagazzinarle per sempre nella sua memoria. I dubbi di lui che prima erano stati i suoi, il senso di attrazione come una calamita, e poi quelle parole. Parole che aveva scioccamente continuato a sperare di udire. E comprese come fosse reale e non un sogno dal modo in cui lui prese a stringerla con forza in un abbraccio. Era il suo cuore a battere così forte? O era quello di lui? Brividi sconquassarono il suo cuore quando quelle due parole vennero pronunciate in un sussurro. E allora si riscosse aggrappandosi a quelle spalle larghe ma ancora un po' acerbe. Ricambiò la stretta, appoggiando il viso sulla sua spalla, respirando a fondo il suo profumo. Sogno o realtà non voleva nessuno a ridestarla. «Mi piaci anche tu». Si allontanò da lui, tirando un po' su col naso e sbuffando una risata. «Ma questo lo sapevi già». Un sorriso sempre più largo sul suo volto mentre si allontanava da lui, accennando appena un inchino. «Per caso, l'invito a quel ballo è ancora valido?»Amalea Davidson"Fill your paper with the breathings of your heart."
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