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.Marina Stonebrug"Eventually, everything connects."
«Alludo a questo, esattamente».
Le parole della druida abbandonarono le sue labbra con grazia, come fa un torrente che discende a valle. Acqua pura è vita per animali e umani, ma basta un passo falso per rimanerne travolti. I pericoli più letali sono tali perché vengono sottovalutati. Eppure è proprio in questa mortalità che si può apprezzare tutto il resto.
«Non fraintendermi, Sigurth, non ti predicherò mai di dover fare questo o quello per rimandare il crepuscolo».
Le braccia della strega scivolarono dietro i fianchi, le dita intrecciate l'una all'altra per sancirne la presa, come se quella terra fosse sua e nessuna radice potesse minarne l'equilibrio.
«È da apprezzare, al contrario, l'essenza di questo evento».
Non si dilungò troppo al riguardo lasciando morire il discorso lì, prima della traversata. Le rendeva tutto più facile pensare che in un futuro lontano non ci sarebbe stato più nessuno. Passare da persona a cenere, da cenere a ricordo, da ricordo a nulla. Perché imporsi vincoli se tutto si sarebbe rivelato vano?
«Ero certa di conoscere ogni angolo di questa zona, ma hai saputo stupirmi, ecco cosa è curioso».
La voce risuonò nella grotta come un'eco trasportato dai venti, portando calore in un luogo altrimenti dimenticato. Le mani scivolarono su una superficie rocciosa per tastarne la friabilità, dunque il palmo venne rivolto verso il volto della druida stessa. Lo sguardo brillò di luce propria come sé stesse esaminando oro e non semplice umidità.
Senza dire altro la destra raggiunse la bacchetta. Il catalizzatore disegnò pochi ghirigori con eleganza ed eloquenza, come se ne dipendesse la solidità di una barriera runica. Dunque dalle tracce magiche lasciate a mezz'aria si liberò uno sciame di lucciole luminose, troppo calde per essere approcciate al tatto. Questi riccioli di fuoco finirono per vorticare su sé stessi in un sicuro vortice di fiamme che gettò il suo calore e la sua luce all'interno della stanza.
«Spero non ti dispiaccia».
Il fuoco aveva più di un'utilità ma un predone esperto come il Gunnarson probabilmente lo sapeva persino meglio di lei.
«E come è finita?».
Marina chinò il capo come una bimba che ascolta le storie dell'anziana del villaggio, i capelli le caddero sulle spalle incorniciandole il volto. Solo dopo riprese una certa stabilità e compostezza.
«Con l'Erkling, intendo».
Era curiosa di sapere. Delle creature simili sapevano piegare anche i più abili cacciatori. Per pericolosità alla stregua di un Kelpie, i due avevano già testimoniato come persino un manipolo di denrisiani esperti avrebbe potuto avere difficoltà simili.
Attese dunque, scivolando verso il basso testimoniando come il freddo della pietra fosse un ricordo. Le gambe distese lungo il fuoco e lo sguardo rivolto al predone.
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Aveva dell'ossimoro il modo in cui Sigurd sapeva muoversi. Della stazza di un orso, i muscoli riflettevano ombre e luci concedendogli la grazia di una tigre. Fù con questa determinazione che l'uomo portò una mano dietro la schiena lasciando che i muscoli assumessero tono e spessore per poi porgerla di fronte a Marina.
Lo sguardo della druida rimase sospetto sulla lunghe dita del predone per un secondo di troppo. La pupilla si dilatò nel cogliere i segni di un passato vissuto senza temere la morte, le parve quasi di aver di fronte uno stormo di stelle e di essere tornata alle prime lezioni di Astronomia.
Poi il capo si piegò verso la lama e così le iridi, simili a finestre circolari su un mare in tempesta, ora ridotte allo spessore di un fragile anello di vetro sotto la pressione della tagliente pupilla.
«Rimango della mia idea».
La strega trovò contegno in quelle parole al retrogusto di miele, sospese su un carnoso sorriso, gli occhi rivolti verso il mago piegate dall'attenzione appena riposta.
«O forse il tuo destino non è proteggere, ma portare qualcuno alla vittoria sconfiggendo un Protettore».
Lasciò che le parole riecheggiassero, letteralmente, nella stanza di pietra e solo quando l'eco finì per sciogliersi si concesse altro.
«Hai certamente protetto tuo fratello ma quello era solo un inizio. Le cose non accadono per caso, Sigurd, e sono certa che siano stati gli dei a solleticarti la vescica e darti la forza. Per sconfiggere un protettore devi imparare a sconfiggere e la lezione di oggi vale mille volte più di quella di domani».
Come spiegarsi, altrimenti, una possibilità così piccola che aveva trovato compimento in un atto tanto puro. Gli dovevano aver svegliato Sigurd stimolandone i sensi e lo avevano fatto vincere contro una creatura così ostile risvegliandone la foga.
«Cosa ne avete fatto della carcasse?».
Volse il capo verso il focalare rivelando con quelle parole sia una domanda che il calore delle curiosità accesa da Sigurd. Il braccio andò poi a tracciare una serie complessa di triangoli luminosi che impattarono contro le fiamme. Allo sfrigolare del fuoco seguì il profumo della Primavera e la sinfonia del vento che accarezza le foglie più vive.
Il fuoco divampò verso il soffitto colorandone la pietra di una luce persistente simile a una coltre di vapore estivo. Brillante come il topazio più prezioso, la nuova volta proiettò nella stanza un calore più intenso ma famigliare.
L'idea che il focolare potesse ricordargli la trappola di un essore così ripugnante le aveva infuso ribrezzo, ma non la aveva privata del gusto di udirne i racconti.
«Sono certa che ieri, come oggi, avrai saputo collezionare più di un tesoro».
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Non c'era nulla da condonare nell'umanità che il predone aveva appena dimostra, anzi, forse la sacerdotessa si sarebbe addirittura dovuta complimentare.
«Sei più benvoluto di quello che credessi, Sigurth, se anche Muninn ha deciso di prenderti sotto la sua ala».
Gli lasciò il tempo di replicare oppure no, mentre il suo sguardo serpentino strisciava sulla muscolatura dell'uomo avvolta dalla dinamica luce proiettata dal focolare. Si differenziava dal resto dei denriasiani, Gunnarsson, sia per la musculatura taurina, sia per il portamento da campione degli dei. Chissà che lo stesso fato lo stesso osservando con gli stessi occhi affamati di Marina.
Più neutro fu lo sguardo che gli riservò quando, trionfante con la pelliccia d'orso, Sigurth tornò sui suoi passi per prendere il fianco di Marina. La sacerdotessa era lontana dal tremare, ma sorrise di rimando alla gentilezza dell'altro per poi frustare la fiamma incantata che acquistò spessore e corpo, proiettando nella grotta una luce si soffusa ma calda come la Primavera più invasiva.
Un calore particolare, unico, forse più propenso a invitare i presenti a privarsi delle vesti che a ricercarne altre.
Forse.
«Qualcuno che peccherebbe di arroganza potrebbe pensare che gli dei abbiano grandi piani in mente, per noi, se Njǫrðr ha sacrificato uno dei suoi vassalli più importanti per legare le nostre vite».
Convenne, lasciando le labbra libere di inarcarsi in quello che era un sorriso di puro compiacimento.
Lungi da lei il volersi reputare degna di tale onore, tuttavia, era proprio quello che era successo: un kelpie era stato sacrificato e loro due si erano conosciuti.
Dell'Erkling non le interessava più del dovuto. Una creatura rara, quella, le cui ossa erano perfette per creare strumenti musicali in grado di piegare anche la mente più rigida o convincere persino l'anima più casta. C'era da dire, però, che tutto quello era un surplus, o un aiuto, e che il mago - o la strega - che si trovava a suonarlo, avrebbe comunque dovuto vantare.
«Temo che dei tesori non vada apprezzato il presente, come hai già fatto notare, perché il loro valore risiede solo nel loro utilizzo».
Il volto rivolto verso quello del predone, reso brillante da un'espressione angelica.
«Il futuro, d'altro canto, ha già più valore, perché rappresenta finalmente il momento in cui trovano impiego».
Mentre le labbra di Sigurth si avvicinarono a quelle di Marina, l'indice di questa si frappose tra i due.
«Ma il passato... è il passato che ne testimonia la vera importanza. Del tesoro non è il valore o impiego a tenerti in vita, ma la caccia che hai affrontato per ottenerlo, e non c'è tesoro di valore per cui non serva combattere».
Un chiaro riferimento che lasciò sospeso tra i due, per poi alzarsi staccandosi dall'altro e approcciare l'uscita della grotta.
Un ultimo sorriso sulle labbra, evidenziato dal sole che aveva varcato le spesse nuvole.
«Stammi bene, Sigurth, e non pensare troppo a me.
Gli dei potrebbero essere gelosi».
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