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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    Nelle parole della druida Sigurth sentì l'eco di una fine da tempo annunciata, il predone inspirò e, la sua voce si ritrovò a sussurrare un unica parola. «Ragnarök...» Lo sguardo del Predone andò a posarsi su quello di Marina, si poteva intravedere un lampo di determinazione. Sigurth si sarebbe scrocchiato il collo per poi fare lo stesso con le dita delle mani. «Il crepuscolo degli dèi. È a ciò che alludi?» Chiese fermandosi un attimo lungo il percorso. «Non è solo il fisico Marina è tutto l'insieme, il fisico da solo non basta senza avere la saggezza di scegliere i nemici al momento giusto nel posto giusto.» Una strategia utile quando spingeva le navi nemiche nei punti conosciuto per trarle in trappola e depredarle di ogni bene. Fu solo una volta all'interno della grotta, una volta che si fu nuovamente trasformato da Corvo a uomo che si concesse di parlare con la druida. «Cosa trovi curioso?» Chiese, appoggiandosi alla parete e incrociando sia braccia che gambe tra loro. «Semplice, era la tana di un Erkling che stavo inseguendo all'età di dieci anni quando ha tentato di catturare mio fratello minore.» Disse senza mezzi termini, minimizzando l'accaduto, erano passati diciassette anni da allora è quella grotta era stata la sua piccola oasi di tranquillità dove poter passare un po' di tempo a contatto con la natura e gli dèi imparando dagli scritti di Snorri Sturluson cose che, a Denrise, erano la quotidianità. Da quel giovane ragazzo che aveva ucciso l'erkling con la sua Skeggöx era venuto su un uomo forte e vigoroso che solcava i mari alla ricerca di fortuna e gloria. La caverna in effetti aveva qualche traccia di civiltà, poche comodità che avrebbero reso la permanenza forzata del predone e della Druida, a causa del temporale imminente, un po' meno disagevole.
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    Marina Stonebrug
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    «Alludo a questo, esattamente».
    Le parole della druida abbandonarono le sue labbra con grazia, come fa un torrente che discende a valle. Acqua pura è vita per animali e umani, ma basta un passo falso per rimanerne travolti. I pericoli più letali sono tali perché vengono sottovalutati. Eppure è proprio in questa mortalità che si può apprezzare tutto il resto.
    «Non fraintendermi, Sigurth, non ti predicherò mai di dover fare questo o quello per rimandare il crepuscolo».
    Le braccia della strega scivolarono dietro i fianchi, le dita intrecciate l'una all'altra per sancirne la presa, come se quella terra fosse sua e nessuna radice potesse minarne l'equilibrio.
    «È da apprezzare, al contrario, l'essenza di questo evento».
    Non si dilungò troppo al riguardo lasciando morire il discorso lì, prima della traversata. Le rendeva tutto più facile pensare che in un futuro lontano non ci sarebbe stato più nessuno. Passare da persona a cenere, da cenere a ricordo, da ricordo a nulla. Perché imporsi vincoli se tutto si sarebbe rivelato vano?

    «Ero certa di conoscere ogni angolo di questa zona, ma hai saputo stupirmi, ecco cosa è curioso».
    La voce risuonò nella grotta come un'eco trasportato dai venti, portando calore in un luogo altrimenti dimenticato. Le mani scivolarono su una superficie rocciosa per tastarne la friabilità, dunque il palmo venne rivolto verso il volto della druida stessa. Lo sguardo brillò di luce propria come sé stesse esaminando oro e non semplice umidità.
    Senza dire altro la destra raggiunse la bacchetta. Il catalizzatore disegnò pochi ghirigori con eleganza ed eloquenza, come se ne dipendesse la solidità di una barriera runica. Dunque dalle tracce magiche lasciate a mezz'aria si liberò uno sciame di lucciole luminose, troppo calde per essere approcciate al tatto. Questi riccioli di fuoco finirono per vorticare su sé stessi in un sicuro vortice di fiamme che gettò il suo calore e la sua luce all'interno della stanza.
    «Spero non ti dispiaccia».
    Il fuoco aveva più di un'utilità ma un predone esperto come il Gunnarson probabilmente lo sapeva persino meglio di lei.
    «E come è finita?».
    Marina chinò il capo come una bimba che ascolta le storie dell'anziana del villaggio, i capelli le caddero sulle spalle incorniciandole il volto. Solo dopo riprese una certa stabilità e compostezza.
    «Con l'Erkling, intendo».
    Era curiosa di sapere. Delle creature simili sapevano piegare anche i più abili cacciatori. Per pericolosità alla stregua di un Kelpie, i due avevano già testimoniato come persino un manipolo di denrisiani esperti avrebbe potuto avere difficoltà simili.
    Attese dunque, scivolando verso il basso testimoniando come il freddo della pietra fosse un ricordo. Le gambe distese lungo il fuoco e lo sguardo rivolto al predone.


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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    Lo sguardo del Predone si fissò su quello della Druida, serio, l'espressione del viso mostrava determinazione e gli occhi del Gunnarsson si staccarono solo per un momento. «Non fraintendermi, non temo il Ragnarok, so bene che è un evento che non si può fermare ma ho fatto delle ricerche e so bene che, da quell'evento non sarà la fine del tutto ma anzi,ci sarà una rinascita ed è a quella che io guardo.» Il braccio dell'uomo andò a piegarsi verso la schiena, come per grattare un punto a lui inaccessibile, tuttavia quando venne riportato nella posizione normale di fronte a Marina apparve l'ascia Skeggöx che Sigurth portava con sé. «Sér hon upp koma öðru sinni Jörð ór ægi iðjagræna Falla fossar, flýgr örn yfir Sá er á fjalli fiska veiðir Sal sér hon standa sólu fekra Gulli þakðan á Gimléi Þar skulu dyggvar dróttir byggja Ok um aldrdaga ynðis njóta.¹» Avrebbe detto nella lingua dei propri avi, osservando la ragazza e posando una mano sulla spalla di lei. Quando poi l'argomento si spostò sulla sua impresa giovanile Sigurth sorrise e accavallò una gamba sull'altra. La lasciò alzarsi osservandola compiere quei gesti con la bacchetta e le annuì, grato per quello che la Druida aveva evocato. «Grazie.» Le disse ascoltando poi la domanda di lei su quanto accaduto in quel luogo, la storia era banale ma, dato che Marina voleva saperne di più, lui la accontentò. «Era una notte senza luna, una di quelle più buie e fredde, considerarsi anche il periodo dell'anno. Sembrava fosse giunto il Fimbulvetr ad annunciare il Ragnarok e quella notte non so come, non so perché ma mi svegliai durante la notte per andare in bagno, cosa che solitamente non accade. Ancora assonnato stavo per dirigermi di nuovo a letto quando mi accorsi che mio fratello Lofrik non era nel suo letto, all'epoca avevamo un unica stanza in cui tutti e sei dormivamo, altrimenti non saprei dire se me ne sarei accorto. Cercai in tutta la casa per poi osservare fuori e notare una traccia di impronte nella neve, non feci altro che mettere una pelliccia per ripararmi dal freddo e afferrare la mia ascia, avevo dieci anni e aiutavo già mio padre a spaccare la legna un giorno sì e l'altro pure e sapevo già maneggiarla piuttosto bene. Anche le mie sorelle più piccole, dell'età di tre anni, avrebbero saputo seguire quelle tracce. Dal villaggio a questa grotta, seguì quella duplice serie di impronte, una la riconobbi erano quelle di un bambino di sette anni, mio fratello Lofrik. Mentre le altre, non avevo mai visto tracce di quel genere fino ad allora, non sapevo nemmeno cosa fosse un Erkling eppure eccomi, lì di fronte a quella grotta senza uno straccio di idea su cosa fare. Mi venne in aiuto il fuoco acceso proprio lì.» Indicando il punto dove poco prima Marina si era messa a tracciare il proprio incanto. «Un pentolone ribolliva sopra di esso e mio fratello era lì, in una gabbia che ora non c'è più mentre vedevo finalmente quella creatura per la prima volta. Era più grosso di uno gnomo, la sua altezza dovette essere di poco più di novanta centimetri, aveva un viso appuntito e suonava una certa, sembrava esattamente come uno di quegli elfi che si divertono tanto a rappresentare i Babbani nelle loro storie fantastiche e mi ricordo quella risatina, acuta troppo acuta per le mie orecchie sembrava lo stridere di unghie su una lavagna, ma vidi che mandava in estasi il mio fratellino che smise immediatamente di piangere.» Scuote il capo. «A pensarci oggi era così banale, era tutto così maledettamente perfetto per attirare i bambini. Eppure quando sorrise vidi la sua bellezza scemare in meno di due secondi, spessi denti appuntiti incorniciavano la bocca di quell'essere e approfittando della musica che suonava mentre l'acqua o quella cosa che aveva in pentola bolliva coprendo i miei passi gli sgusciai alle spalle. E il resto è quanto, mio fratello se la cavò con una cicatrice, un morso che la creatura gli diede prima del mio intervento, gli aveva asportato un bel lembo di pelle e muscoli nel braccio.» E infine, tacque.

    //¹Affiorare lei vede ancora una volta la terra dal mare, di nuovo verde. Cadono le cascate, vola alta l'aquila lei che dai monti cattura i pesci. Vede lei ergersi una corte più bella del sole d'oro ricoperta, in Gimlé. Là abiteranno schiere di giusti e per sempre vivranno felici.
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    Marina Stonebrug
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    Aveva dell'ossimoro il modo in cui Sigurd sapeva muoversi. Della stazza di un orso, i muscoli riflettevano ombre e luci concedendogli la grazia di una tigre. Fù con questa determinazione che l'uomo portò una mano dietro la schiena lasciando che i muscoli assumessero tono e spessore per poi porgerla di fronte a Marina.
    Lo sguardo della druida rimase sospetto sulla lunghe dita del predone per un secondo di troppo. La pupilla si dilatò nel cogliere i segni di un passato vissuto senza temere la morte, le parve quasi di aver di fronte uno stormo di stelle e di essere tornata alle prime lezioni di Astronomia.
    Poi il capo si piegò verso la lama e così le iridi, simili a finestre circolari su un mare in tempesta, ora ridotte allo spessore di un fragile anello di vetro sotto la pressione della tagliente pupilla.
    «Rimango della mia idea».
    La strega trovò contegno in quelle parole al retrogusto di miele, sospese su un carnoso sorriso, gli occhi rivolti verso il mago piegate dall'attenzione appena riposta.
    «O forse il tuo destino non è proteggere, ma portare qualcuno alla vittoria sconfiggendo un Protettore».
    Lasciò che le parole riecheggiassero, letteralmente, nella stanza di pietra e solo quando l'eco finì per sciogliersi si concesse altro.
    «Hai certamente protetto tuo fratello ma quello era solo un inizio. Le cose non accadono per caso, Sigurd, e sono certa che siano stati gli dei a solleticarti la vescica e darti la forza. Per sconfiggere un protettore devi imparare a sconfiggere e la lezione di oggi vale mille volte più di quella di domani».
    Come spiegarsi, altrimenti, una possibilità così piccola che aveva trovato compimento in un atto tanto puro. Gli dovevano aver svegliato Sigurd stimolandone i sensi e lo avevano fatto vincere contro una creatura così ostile risvegliandone la foga.
    «Cosa ne avete fatto della carcasse?».
    Volse il capo verso il focalare rivelando con quelle parole sia una domanda che il calore delle curiosità accesa da Sigurd. Il braccio andò poi a tracciare una serie complessa di triangoli luminosi che impattarono contro le fiamme. Allo sfrigolare del fuoco seguì il profumo della Primavera e la sinfonia del vento che accarezza le foglie più vive.
    Il fuoco divampò verso il soffitto colorandone la pietra di una luce persistente simile a una coltre di vapore estivo. Brillante come il topazio più prezioso, la nuova volta proiettò nella stanza un calore più intenso ma famigliare.
    L'idea che il focolare potesse ricordargli la trappola di un essore così ripugnante le aveva infuso ribrezzo, ma non la aveva privata del gusto di udirne i racconti.
    «Sono certa che ieri, come oggi, avrai saputo collezionare più di un tesoro».


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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    La mente del Predone volò, il tessuto dei ricordi si dipanò e ciò che accadde quella notte di ormai diciassette anni prima venne rivissuto dal figlio di Gunnar. La notte in cui, secondo Marina Stonebrug, la strada del Denrisiano inizio a prendere forma. Nevicava, quella giornata, per tutto il giorno era scesa una coltre di neve che aveva ammantato tutto quanto di un bianco che quasi faceva male agli occhi con il riverbero del sole. Il Gunnarsson aveva lavorato tutto il giorno insieme al figlio di Ragnar Bjornsson, in quella giornata avevano abbattuto almeno una decina di grosse e robuste querce destinate esclusivamente alle Drakkar che sarebbero state costruite in quei prossimi mesi. La sera era stata passata in famiglia con Sheyla che cullava la piccola Kara, l'ultima figlia di Gunnar, incapace di riposare a causa dei gemelli che lottavano tra loro per l'ultimo pezzo di pane da inzuppare nella zuppa di cipolle. Due scalmanati, non si erano dati pace nemmeno durante il giorno, uscendo di casa e facendo una grossa battaglia a colpi di palle di neve con gli altri ragazzini di Denrise. Le note olfattive della cipolla, il pianto isterico di Kara e la litigata dei due fratelli erano ben presenti nella mente del Predone, come anche il divertimento che lui stesso aveva provato nel vedere sollevati per la caviglia i due fratelli da un incantesimo del padre. Avrebbe alzato lo sguardo e, nel farlo, non avrebbe visto la parete della caverna ma il camino acceso dove scoppiettano i ciocchi di legno, come fruste sulle pelli dei cavalli durante la Caccia Selvaggia. Sigurth si riscosse da quel viaggio nei ricordi con Marina che accettava la sua mano sulla spalla. «Perdonami, per un attimo Muninn ha deciso di dispiegare le sue ali e farmi rivivere quella serata.» Avrebbe detto, con lo sguardo avrebbe osservato il crepitare del fuoco creato dalla Druida. Si sarebbe alzato, andando a prendere una delle numerose pellicce, in questo caso quella di un orso bruno particolarmente grosso e se avesse colto da parte della donna i tipici tremori del patire il freddo avrebbe coperto se stesso e le con quella pelliccia ritornando con la mano, questa volta, sul fianco di lei. Un polpastrello sarebbe andato ad accarezzare delicatamente la pelle della ragazza coperta dalla veste druidica mentre, con espressione seria e riflessiva, il Predone iniziava a prendere coscienza di ciò che la Druida, emissaria degli Dèi, riteneva fosse il suo percorso di vita. «Suppongo che Heimdallr abbia vegliato su di me quella sera, Marina.» Avrebbe voltato lo sguardo verso di lei, trovandosi a pochi centimetri dal suo volto. «Come quest'oggi Njǫrðr abbia mandato quel Kelpie al lago per farci incontrare, di rimando anche il figlio di Odino ha mandato questa tempesta per farci stare quì. Non pretendo di conoscere il volere degli Dèi, Marina, ma qualcosa dovrà pur significare tutto questo.» Il tono del Predone era basso e calmo, il calore dei loro corpi sotto la pelliccia d'orso si era regolarizzato trovando un equilibrio tra loro. «L'erkling è stato sepolto nella fredda e dura terra invernale. Una semplice fossa, nessun segno di riconoscimento su di essa ed è passato talmente tanto tempo che, se ci passassi vicino adesso, nemmeno ti accorgeresti di esserci stata accanto.» Disse con una nota di insofferenza al cambio d'argomento. La mano accarezzava la sottile veste nera mentre lo sguardo di lui ruotava e si posava sul fuoco da campo che avevano allestito. «I tesori non sono nulla, se non sai condividerli insieme a qualcuno o qualcuna. Potrei avere accumulato un sacco di ricchezze e comunque sia non farmene nulla dato che non avrei necessità di utilizzarle.» Il predone si sarebbe schiarito la voce, ritornando con lo sguardo dalle iridi verde smeraldo su quelli luminosi come il mare di Denrise di lei e, un leggero sorriso sarebbe apparso sotto i baffi biondi schiariti dal sole invernale. Lì, in quella caverna rischiarata dal fuoco, il figlio di Gunnar avrebbe, a dispetto della propria mole e stazza, posato delicatamente la mano sotto il mento della Druida e, avvicinandosi a lei con il volto al suo, avrebbe posato le labbra sulle sue mentre la mano che stava sul suo fianco avrebbe continuato a carezzarla.
    by RevelioGDR
     
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    Marina Stonebrug
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    Non c'era nulla da condonare nell'umanità che il predone aveva appena dimostra, anzi, forse la sacerdotessa si sarebbe addirittura dovuta complimentare.
    «Sei più benvoluto di quello che credessi, Sigurth, se anche Muninn ha deciso di prenderti sotto la sua ala».
    Gli lasciò il tempo di replicare oppure no, mentre il suo sguardo serpentino strisciava sulla muscolatura dell'uomo avvolta dalla dinamica luce proiettata dal focolare. Si differenziava dal resto dei denriasiani, Gunnarsson, sia per la musculatura taurina, sia per il portamento da campione degli dei. Chissà che lo stesso fato lo stesso osservando con gli stessi occhi affamati di Marina.
    Più neutro fu lo sguardo che gli riservò quando, trionfante con la pelliccia d'orso, Sigurth tornò sui suoi passi per prendere il fianco di Marina. La sacerdotessa era lontana dal tremare, ma sorrise di rimando alla gentilezza dell'altro per poi frustare la fiamma incantata che acquistò spessore e corpo, proiettando nella grotta una luce si soffusa ma calda come la Primavera più invasiva.
    Un calore particolare, unico, forse più propenso a invitare i presenti a privarsi delle vesti che a ricercarne altre.
    Forse.
    «Qualcuno che peccherebbe di arroganza potrebbe pensare che gli dei abbiano grandi piani in mente, per noi, se Njǫrðr ha sacrificato uno dei suoi vassalli più importanti per legare le nostre vite».
    Convenne, lasciando le labbra libere di inarcarsi in quello che era un sorriso di puro compiacimento.
    Lungi da lei il volersi reputare degna di tale onore, tuttavia, era proprio quello che era successo: un kelpie era stato sacrificato e loro due si erano conosciuti.
    Dell'Erkling non le interessava più del dovuto. Una creatura rara, quella, le cui ossa erano perfette per creare strumenti musicali in grado di piegare anche la mente più rigida o convincere persino l'anima più casta. C'era da dire, però, che tutto quello era un surplus, o un aiuto, e che il mago - o la strega - che si trovava a suonarlo, avrebbe comunque dovuto vantare.
    «Temo che dei tesori non vada apprezzato il presente, come hai già fatto notare, perché il loro valore risiede solo nel loro utilizzo».
    Il volto rivolto verso quello del predone, reso brillante da un'espressione angelica.
    «Il futuro, d'altro canto, ha già più valore, perché rappresenta finalmente il momento in cui trovano impiego».
    Mentre le labbra di Sigurth si avvicinarono a quelle di Marina, l'indice di questa si frappose tra i due.
    «Ma il passato... è il passato che ne testimonia la vera importanza. Del tesoro non è il valore o impiego a tenerti in vita, ma la caccia che hai affrontato per ottenerlo, e non c'è tesoro di valore per cui non serva combattere».
    Un chiaro riferimento che lasciò sospeso tra i due, per poi alzarsi staccandosi dall'altro e approcciare l'uscita della grotta.
    Un ultimo sorriso sulle labbra, evidenziato dal sole che aveva varcato le spesse nuvole.
    «Stammi bene, Sigurth, e non pensare troppo a me.
    Gli dei potrebbero essere gelosi»
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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    Il Gunnarsson si era sempre reputato degno dell'attenzione degli Dèi, il futuro gli avrebbe riservato un incontro con il Figlio di Odino ma questo, per il momento, era ben lontano dall'essere saputo dal Predone. Profondamente credente negli dèi Asgardiani Sigurth rivolgeva prevalente le proprie preghiere al Padre degli Dèi e a suo figlio Thor senza tuttavia disdegnare, come marinaio, Njord. Il navigatore della Filbulwinter stava assaporando quel momento d'intimità che, secondo il suo parere, il fato aveva disegnato per lui e Marina. «Perdonami Marina ma non credo che sia arroganza da parte mia pensare questo. Il destino delle Norne ci attende tutti, non c'è modo di fuggire. Il giorno per rispondere alla chiamata di Odino, o attraversare il cancello di Hel.» Rispose, dando una risposta profondamente spirituale rispetto a quella che poteva essere una semplice banalità. Quando lei frappose la mano tra le loro labbra Sigurth si ritirò e lasciò che la ragazza si alzò. L'uomo si alzò anch'esso e, sorridendo all'affermazione della donna chinò il capo, portandosi la mano chiusa a pugno sopra il cuore. «È stato un piacere conoscere la Druida dell'Osservatorio. Arrivederci Marina, possa Heimdall vegliare su di voi.» E, con quell'augurio Sigurth si congedò alla ragazza, che sparì nel cunicolo da cui erano arrivati. Attese qualche minuto e, infine, percorse a ritroso il passaggio nella montagna ritrovandosi all'esterno. Un rombo di tuono spacca il cielo e la pioggia continua incessantemente a scendere. Un fulmine colpisce una fredda luce brillante sulla terra bagnata dal sangue del Kelpie. Sigurth guardò verso il lago di Vaan, il volto rischiarato dal lampo, con passo lento e deciso sarebbe andato verso il villaggio di Denrise. Lì sarebbe andato al Canto della Sirena dove avrebbe voluto prendersi un Drink ma, la presenza di tre Inglesi, glielo avrebbe impedito. Quella, tuttavia, sarebbe stata un'altra storia.
    by RevelioGDR
     
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