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PRIVATA Marina Stonebrug"Eventually, everything connects."
Le opportunità vanno colte.
Non esiste forma più devota di rispetto agli dei che cogliere le loro occasioni offerte ai mortali, così come non vi era modo più rispettoso per celebrare la natura che goderne dei frutti.
Aveva raggiunto il lago di Vaan con calma, distaccandosi a fatica dal suo prezioso Negozio solo e soltanto perché gli elfi domestici che appartenevano alla sua famiglia da prima che lei nascesse erano stati istruiti alla perfezione. Non lasciare nessun oggetto fuori posto, raccogliere ogni granello di sabbia e polvere, la punizione non sarebbe stata gradevole in caso di fallimento.
Normalmente avrebbe presidiato all'evento, tuonando ordini e sibilando minacce, tuttavia una notizia era stata cullata dal vento fino a raggiungere le sue orecchie. Un Kelpie impazzito, probabilmente proveniente dagli oceani, aveva portato scompiglio nel lago di Vaan e diversi predoni si erano lì raccolti per farlo secco. Qualche indovino avrebbe imputato un evento simile come un messaggio dell'ira funesta degli dei, adirati per chissà quale motivo, altri ancora avrebbero dato la colpa alle oscure influenze che animavano il regno dei vivi in concomitanza di Halloween.
Per Marina si trattava di una probletunity, ovvero un'opportunità nata da un problema.
Era cosa nota a tutti che i resti di un Kelpie fossero perfetti per celebrare alcuni riti astrali, o evocare divinità legate al mare. Le ossa si prestavano alla creazione di artefatti con un uso simile ma il sangue era il vero tesoro: perfetto per tracciare rune e simboli divinatori.
«Ragazzo, da che parte si sono recati i predoni?».
Il capo ruotò in direzione di un ragazzino dai capelli arruffati. Il sangue che gli sporcava le mani e il tintinnare di galeoni faceva intuire che avesse dato man forte ai cacciatori, in un modo o nell'altro.
Il piccolo alzò il capo, studiando la strega dai piedi, cinti in dei sandali di pelle bianca, al resto del corpo, accarezzato da una vestaglia druidica nera, troppo sottile per nascondere come sotto a questa non fosse indossato alcun pezzo d'intimo.
«I miei occhi sono qua sopra».
«Signora Stonebrug, da quella parte, signora».
Un galeone venne lanciato al ragazzo i cui occhi, ancora fissi sul seno della strega, non furono abbastanza rapidi per coglierlo al volo. Il galeone cadde a terra e Marina proseguì lungo il sentiero seguendo il continuo vociare di un gruppo di persone.
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Ali oscure, oscuri presagi.
I passi divoravano le distanze con la stessa brama con cui Jörmungandr trova piacere nel far di sé stesso il proprio pasto. L'umidità nell'aria le accarezzava la pelle come il più intimo degli amanti e la domatrice di astri non se ne curò minimamente. Fu la stessa natura a portarle un dono, oscuro come la notte, ineluttabile come le tenebre.
Il pollice orbitò fino al becco della creatura, accarezzandolo, più che sfiorandolo, con la cura di una sorella di fronte a un fratello. Esistevano esseri più antichi a cui la Druida aveva deciso di donare le proprie attenzioni e dedicare gli spazi bianchi della sua vita. Quegli spiriti, così antichi, avevano ricambiato dandole colore.
Il breve sorriso che le illuminò il volto si spense quando il chiacchiericcio si fece più intenso. Lo sguardo era freddo, predatorio, una lama di ghiaccio che scivolò sul resto dei predoni lì radunati per spartirsi ciò che restava della carcassa del kelpie, appesa tramite pioli e uncini a tre grosse sequoie. Rivoli di sangue coloravano la carne macellata, cadendo a terra per generare piccole pozze di putridume.
«Dovete essere abili».
Mentiva, come il mare che annunciava terra celata da miraggi e illusioni. Il corpo del Kelpie era stato massacrato, un abile cacciatore non avrebbe mai deturpato così un premio tanto ambito.
In quel piccolo gruppo di denrisiani, ne contava almeno sei, un paio d'occhi acquistò altezza. Kmer era impossibile da non notare, due metri di muscolo e ignoranza, un capo privo di pelo ma decorato da mille cicatrici.
«E non solo a cacciare, vuoi provare?».
Doveva avere sangue di mezzo-gigante, Kmer, perché gli bastarono un paio di passi per raggiungere Marina, la sua lunga ombra a inglobarla.
Eppure la druida, solida come gli scogli, attese, gli occhi ancora ancorati al cadavere. Silenziosa come la nebbia, due volte più letale.
«Ti ho fatto una domanda».
La grossa mano fece per stringere il braccio della ragazza, nudo come il vento.
Doveva avere sangue di mezzo-gigante, Kmer, perché non spiccava certo per ingegno.
«Electro».
Al forte rumore di staticità, seguì un rombo dirompente e l'odore di carne bruciata. Kmer sfrecciò verso il lago, più veloce di un falco, sprofondando nelle acque corrotte dal sangue.
«Spero non vi dispiaccia».
La strega avanzò tra i predoni, ora taciturni come pesci di fronte al grande squalo. La destra calò in una tasca del vestito per estrarre una fiala che, lentamente, prese a colmarsi del sangue violaceo della creatura. La sinistra fece giusto in tempo a sventolare la bacchetta e un boccone di carne, il cui profumo ricordava l'estate, levitò verso il corvo, suo nuovo compagno.
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Le persone ambiziose credono di essere gli artefici del proprio destino.
Le persone ambiziose, con una buona dose di saggezza e umiltà, convincono tutti gli altri che siano gli dei ad accendere la forgia e dare forma al metallo.
Non biasimò il corvo per la sua reazione, il fiato di Kmer odorava di morte più di quanto lo stesse facendo la carcassa a pochi passi di distanza. Fu lieta, ma non lo avrebbe ammesso, che il gigante non avesse staccato il capo al povero volatile con un semplice morso come punizione per la sua molestia.
Si era meritato il suo premio, il Nero piumato. Avrebbe dovuto dargli un nome, non che credesse che l'altro l'avrebbe accompagnata ancora a lungo. I figli del cielo seguono le correnti e per quanto un giorno Marina avrebbe domato anche loro, quel futuro era troppo lontano per vantare pretese sul presenza.
Ciò che successe nel momento in cui il corvo fece per allontanarsi sarebbe stato un segreto, almeno per lui, d'altronde, seppur Messaggero, non poteva ricoprire il ruolo di padre degli Dei.
Una cosa era certa, la Druida aveva ormai quasi completato il suo processo di estrazione e valorizzazione di ciò che era restato del Kelpie. Merito di Kmer, di cui non vi era più ombra o fetore, elemento che avrebbe fatto intuire al Nero che il sangue di gigante se ne fosse andato da quel luogo. Qualcuno, di meno attento ai dettagli e certamente più propenso al viaggiare leggero che farsi carico d'una occasione, sarebbe stato felice per il massacro perpetrato sul demone marino. Solo e soltanto questo avventarsi sull'essere aveva reso l'estrazione così facile perché c'era veramente poco da estrarre.
Al ritorno del corvo si piegò appena lasciando che il suo abito druidico danzasse verso il basso, le ombre a nasconderne le forme, ma non abbastanza per frenare la fantasia dei presenti.
«Ci sai fare con gli uccelli».
Le pupille di ghiaccio passarono da parte a parte un ragazzo, una dodicina d'anni a stento forse, capelli rasati sui lati e portati più lunghi al centro. Sguardo furbo e in funzione di questa furbizia il giovanotto alzò le mani a mo' di scudo.
«Scherzavo, eh».
«Come hai detto di chiamarti?».
«Corbin, signora. Mi chiamo Corbin».
«Corbin, sai di che pietra si tratta?».
Il ragazzino allungò il collo come una giraffa, lo sguardo incuriosito a esaminare il dono da ogni lato. Lo stesso fecero i restanti quattro predoni ma non Marina i cui occhi erano ancora fissi sul corvo.
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Tra tutte le pietre l'ametista era una delle più rivelanti nel mondo della divinazione. Variante del quarzo, secondo le teorie della magitecnica ne riprendeva il misticismo, ma anche il legame con gli spiriti, il tutto coronato da enigmi e simboli, elementi fondamentali della pratica divinatoria.
Era in questa nube di dubbi che la strega aveva imparato a districarsi meglio di tanti altri, ma non abbastanza. Del resto lei non aveva ancora sacrificato il suo occhio e Mimir non le aveva mai offerto la possibilità di accettare quello scambio. Poco importava, per ciò che valeva la pena sapeva attendere, per tutto il resto padroneggiava l'arte del conquistare.
«AH!».
Al gracchiare del corvo, Corbin si portò le mani di fronte al muso, fissando il volatile di traverso. Il ragazzo era visibilmente spaventato dall'emissario degli dei, forse proprio per la sua natura profetica. Del resto, per quanto giovane, era tra i sei che avevano preso parte alla caccia del Kelpie e non sembrava averne riportato ferita alcuna.
«Calmati».
La mano della Druida si sollevò e con il potere degli antichi saggi placò l'animo di Corbin, così come gli anziani sapevano fare con le tempeste e i maremoti.
Il suo ascendente sugli uomini era pari alla potenza della gravità che il Sole sapeva esercitare sul resto degli astri, ma fu l'arrivo della notte a infuocare il caos. La visione della toten-rune portò i predoni ad alzarsi, qualcuno sputò a terra, altri ancora si afferrarono i genitali con fare scaramantico.
Marina intrecciò le braccia, gli occhi rivolti al cielo e poi al Kelpie. L'ombra di un sorriso, lo stesso di chi sa che ogni occasione va colta.
«Gli Dei hanno parlato. Il modo in cui avete posto fine alla vita di questo Kelpie è stato ritenuto indegno e il Padre del Tutto ci ha fatto l'onore di riferircelo».
Un leggero cenno del capo a intimare il silenzio dei denrisiani.
«Raggiuntemi all'Osservatorio all'Alba di domani, portate doni da sacrificare in nome di Njörðr per placare ciò che avete istigato nei suoi confronti deturpandone in questo modo un suo figlio e mancando di rispetto una sua messaggera».
Un'occhiata al vetriolo al primo dei tanti che tentò di obiettare, poi silenzio a sancire la sua autorità.
«Prendete la vostra libbra di carne e andatevene».
Uno a uno i denrisiani si alzarono da lì, lasciando il Nero e Marina in un sacro silenzio, tanto intimo quanto prezioso.
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Edited by Sigurth Gunnarsson - 13/10/2021, 12:23. -
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Il silenzio sapeva essere eloquente per chi aveva il dono di poter ascoltare.
Raramente un corvo si priverebbe di una carne così prelibata, lo stesso però non poteva dirsi di un volatile la cui presenza era giustificata dagli dei. Non sarebbe stata la prima volta che una divinità si fosse 'abbassata' ad offrire consiglio, e spesso queste lo avevano fatto in altri modi. Il mondo onirico sembrava il piano migliore in cui mettere in contatto l'anima di un mortale con l'essenza degli eterei.
Lo sguardo seguì il Nero nel suo moto verso la carcassa, forse in attesa di altri segni o magari con l'unico obiettivo di coglierne i segreti. Al rumore di carne che si spezza come un fiore di sangue, il sopracciglio destro della Druida si piegò verso l'alto, come poi fece il capo per rispondere all'altezza dell'Animagus.
È grosso.
Fu il suo primo pensiero, nascosto da un volto di pietra e corallo. Le narici si dilatarono a stento per far tesoro di una boccata d'aria che le permise di tornare a percepire i lembi più estremi di pelle. Il capo si piegò appena per seguirne i movimenti. Probabilmente si sarebbe incredibilmente offesa perché l'altro non si era da prima presentato a lei, ma forse glielo concesse in quanto gli dei sapevano essere la priorità, o magari perché c'era altro a distrarla.
«Ti ringrazio».
Passi leggeri si staccarono dai ciottoli cullando la druida al fianco del predone. La sinistra a sospingere verso l'alto la mano ferita dell'Animagus.
«Devi disinfettare le bende, prima».
Era portata per gli incanti curativi, la sua professione lo richiedeva, ma questi non erano certamente la sua specialità. Sapeva domare gli astri e il clima, piuttosto, ma le basi le conosceva.
Il catalizzatore si gonfiò di una luce cerulea che sarebbe andata ad accarezzare la mano dell'uomo provocandogli un leggero formicolio, un prezzo equo da pagare per non perdere la mano tra qualche giorno.
«Sottovalutare gli dei è pericoloso».
La bacchetta venne fatta scivolare sul fianco della strega, le mani ora libere di stringere i lembi della stoffa per aggiustarne i margini. Medicarsi da solo era difficile, invece curarsi con la magia sarebbe stato un affronto al sacrificio appena compiuto.
Dunque un colpo secco per far premere bene il tessuto contro la ferita. Doloroso, come un ricordo o qualcosa che meritava d'essere ricordata.
«Lo stesso può dirsi di chi si finge un loro messaggero. Cosa ti ha spinto in questo lago? Ti
sei posato sulla mia spalla prima ancora che avessi raggiunto i predoni che poi mi hanno offeso, sei forse dotato di veggenza?».
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L'intimità che il coraggio dell'altro e la prontezza di lei seppero offrire a entrambi aveva un che di sacro. Il Predone aveva gettato il fiammifero, dando vita al fuoco, la Druida si era limitata a versare benzina, trasformandolo in un incendio. Da quelle fiamme ne era uscito uno spettacolo mozzafiato, rappresentato da un lago tutto per loro, e i pochi pesci che cozzavano contro lo specchio d'acqua a qualche dozzina di metri di distanza.
Il vento era l'ultimo dei compagni, frustando le foglie produceva echi e risate che Marina non esitò a cogliere.
«Sei una persona generosa, vedo».
Un sorriso ad aprire quella parentesi mentre le braccia scivolavano l'una sull'altra, non per esplicitare chiusura quanto più per ritrovare forza nella sua stessa carne. Da quella distanza l'odore dell'altro vinceva con prepotenza l'aroma del lago, ricordando alla strega le foreste più selvagge di Denrise.
«Prego».
Un sussurro, tanto intimo da scivolare tra pelle e carne. L'altro non aveva reagito allo strattone della Druida, decisivo per ovvie ragioni quanto doloroso per motivi ben più futili, e ciò tradiva una considerevole abilità nel controllare il proprio corpo.
«Il dio che porta sulla terra i doni del cielo e della tempesta sceglie solo le anime più degne».
Non stava cercando di smentire l'altro, quanto più, dando coronando l'ultima parola a gemma di uno scettro reale, scoprire il motivo di quelle attenzioni.
«Cosa ti ha reso degno di lui?».
Delle volte Ǫkuþórr, il Fulmine che viaggia sul carro, sapeva stupire fedeli e studiosi. Spesso degnava i guerrieri più abili delle sue attenzioni, in funzione del modo in cui questi sapevano cogliere anime sulla terra da offrire ai cieli, altre ancora considerava i guerrieri, trasportandoli lui stesso da un piano all'altro dell'esistenza, per il semplice piacere di godere delle loro libagioni e delle loro donne terrene.
«Dunque non hai un terz'occhio».
Una mezza risata a dare colore a quelle parole, poi l'indice a scoccare con forza contro il petto del predone, forte di una confidenza che l'altro non aveva offerto ma lei aveva preteso. Non un terz'occhio, per lo meno, ma data la stazza non si sarebbe sorpresa se avesse avuto una terza gamba.
Se non altro era dotato di una dose di umorismo in più rispetto al denrisiano medio.
«Marina Stonebrug, proprietaria dell'Osservatorio. Immagino tu sia un Predone, a giudicare dalla stazza e l'ascia, vero... Sigurth?».
Pronunciò il nome con falsa insicurezza, quasi a voler fingere di esserselo dimenticato.
Poi fece un passo indietro, corpo che affonda inerme nelle ombre, per tornare da ciò che restava del Kelpie, le spalle rivolte verso l'uomo.
«Come il cielo è ricco di stelle, così il mare è pieno di pesci. Il Kelpie rappresenterebbe un famiglio degno del migliore dei predoni, la sua versatilità ha come unico limite la fantasia, ma un Demone che osa varcare il lago di Vaan non è abbastanza sveglio per ricoprire il ruolo di compagno di un predone così ambizioso, o per lo meno di un predone scelto da Thor».
Il volto a piegarsi verso la spalla, coperta dal sottile tessuto nero come la notte, l'ombra di un sorriso a decorarle il volto di perla.
«Perché non domare il mare e reclamarne uno negli oceani più selvaggi?».
Thor poteva averlo scelto come messaggero, Marina era eccitata all'idea di scoprirne il motivo.
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La loro isola, nell'ultimo millennio, aveva partorito guerrieri e druidi dalle abilità straordinarie. Una teoria che tentava di spiegare quanto accaduto verteva sull'importanza data da quel popolo al significato delle cose. Le rune erano simboli e come tali i Denrisiani ne studiavano risvolti e motivi, sfruttandoli a proprio vantaggio per rituali e incantamenti. La stessa propensione, trasmessa da generazione a generazione, spingeva i guerrieri a studiare gli incanti nella loro forma più bruta per farli propri ed estrarne il massimo del potenziale.
«O forse il tuo destino non è proteggere, ma portare qualcuno alla vittoria sconfiggendo un Protettore».
L'ambizione era una linea più resistenti di una barriera, costituiva un vetro impenetrabile che solo i più forti d'animo avevano il coraggio di sfidare, solo i predestinati riuscivano a spezzare la catena, però.
«Conosci gli astri e hai preso parte alle spedizioni di uno dei più interessanti uomini di mare di Denrise, però questo può dirsi di tanti altri predoni».
Cercò di mantenere un velo di serietà in quell'istante in cui, da esploratrice e donna curiosa, il suo unico intento era scoprire cosa Thor avesse visto nell'altro. Il signore dei Fulmini era una delle divinità più pericolose del loro Pantheon, esecutore di Odino, aveva compiuto più di un massacro senza esitare dove tante altre divinità, di pantheon più molli o meno, avrebbero esitato. Non tanto per rispetto o riflesso di una falsa umanità, quanto più per consapevolezza della difficoltà di prestarsi a tali gesta. Eppure, qualcuno simboleggiato da un martello, non poteva che forgiare il proprio destino e, da quel che poteva vedere di Sigurth, anche l'altrui.
Non commentò il massaggio dell'altro, che percepì ben sotto la pelle, ma l'ombra che le macchiava il volto si sciolse rivelando un affilato sorriso, probabilmente imputabile alla battuta dell'altro sul terz'occhio. O magari ad altro.
«La potenza dei Wyrm è seconda solo al timore che incute il loro ruggito, mi dispiace per il tuo lutto, Sigurth, ma sono certa che Arvid avrà combattuto con onore e che ora, per nostra gioia, stia celebrando nelle Sale del Padre di tutto».
Un cenno del capo e qualche secondo di silenzio per celebrare il lutto dell'altro convinta fermamente di quanto detto per poi riprendere ad ascoltare le parole dell'altro quando questo spezzò la sua preghiera.
«Gli Dei hanno sempre un motivo per dispensare favori e problemi, basta dargliene qualcuno solo per alimentare i primi ed evitare con tutto il cuore di favorire i secondi. La tua umiltà è un vento che sembra portare nella giusta direzione».
Un tenero sguardo venne riservato all'altro, così diverso. Sia la Druida che il Predone erano sicuri di sé, sopravvissuti così lungo a una terra così brutale come Denrise, ma dove la prima vedeva nell'ambizione un dono, il secondo sembrava percepirla come una minaccia.
Fu nel partorire quella consapevolezza che il ventre dei cieli si tinse di un freddo grigiore e un boato risuonò sul lago, echeggiando con una forza tale da entrare nella carne, una spietata pioggia a lavare via ciò che restava del sangue di Kelpie.
Avrebbe potuto usare le sue doti per placare il temporale, le sarebbe bastato così poco, ne era consapevole. Al contrario non avrebbe saputo dare una spiegazione al suo braccio teso verso quello di Sigurth, la Druida in silenzio, pronta a seguirne la guida.
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«È la sensibilità dei druidi che ci porta a notare le fratture tra le cose, problemi a cui dover porre rimedio, prima che dal grembo del caos nasca la grande fine».
Un sorriso leggero le illuminò il volto, lieta di aver stupito l'altro con un nuovo punto di vista. Era questa la specialità della strega, il fulcro della sua ambizione, trovare una roccia e immaginarsi la statua al suo interno. Qualcuno glielo disse, anni addietro, che sarebbe stata un'ottima artista. Ci aveva creduto, ma alla materia morta preferiva la viva, parole e carne, questi i materiali che sapeva maneggiare meglio.
«Affrontare i sei da solo e uscirne vincitore».
Restituì le stesse parole all'altro come un'eco lontano.
«Non ti manca l'autostima, vedo».
Lo sguardo risalì la figura dell'altro, ammantata di luce, mentre le ombre generate dall'incanto si insinuavano tra le pieghe dei vestiti, resi evidenti dall'acqua che aveva spinto i tessuti contro la carne.
«Il fisico lo hai, ma non basta quello in situazioni simili».
Il che era vero, solo qualcuno con la forza di Thor avrebbe potuto sopraffare così tanti nemici a colpi d'ascia. Che il Predone potesse vantare anche della disciplina di Tyr o della sensibilità di Freya? Altre doti... su cui fare leva? O che semplicemente Thor lo avesse seriamente benedetto con il suo tuono, caricandogli la pancia di furia e i muscoli di energia?
Di contro bastarono pochi secondi per pulirsi di dosso il falso manto di umiltà, mala interpretazione della druida, che aveva vestito l'altro per pochi secondi. Avere timore degli dei, per un uomo, era una scelta saggia.
Come ogni volta, dal momento in cui era nata, il fascino dei Picchi di Odino sapeva catturarla a centinaia di metri di distanza. Lo sguardo era puntato su quelle forme che aveva memorizzato e l'unica difficoltà del tragitto non fu il terreno scosceso o scivoloso, reso tale dall'infida pioggia, ma il non farsi distrarre da quell'intenso bagno di ricordi. Fu per quel motivo che permise a Sigurth di continuare a giostrare con il suo braccio, o forse fu altro a convincerla, chi può dirlo.
«Curioso».
Non conosceva il punto in cui era stata portata e le pupille finirono per dilatarsi, no ntanto per adattarsi alle condizioni di luce quanto più per cogliere ogni dettaglio. La curiosità era uno dei venti che sapeva trascinare la sua Drakkar e nel superare gli stretti cunicoli, la prima domanda che le abbandonò le labbra una volta raggiunta la fine fu.
«Come hai conosciuto questo posto?».
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