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    Denrise
    Marina Stonebrug
    "Eventually, everything connects."

    Le opportunità vanno colte.
    Non esiste forma più devota di rispetto agli dei che cogliere le loro occasioni offerte ai mortali, così come non vi era modo più rispettoso per celebrare la natura che goderne dei frutti.
    Aveva raggiunto il lago di Vaan con calma, distaccandosi a fatica dal suo prezioso Negozio solo e soltanto perché gli elfi domestici che appartenevano alla sua famiglia da prima che lei nascesse erano stati istruiti alla perfezione. Non lasciare nessun oggetto fuori posto, raccogliere ogni granello di sabbia e polvere, la punizione non sarebbe stata gradevole in caso di fallimento.
    Normalmente avrebbe presidiato all'evento, tuonando ordini e sibilando minacce, tuttavia una notizia era stata cullata dal vento fino a raggiungere le sue orecchie. Un Kelpie impazzito, probabilmente proveniente dagli oceani, aveva portato scompiglio nel lago di Vaan e diversi predoni si erano lì raccolti per farlo secco. Qualche indovino avrebbe imputato un evento simile come un messaggio dell'ira funesta degli dei, adirati per chissà quale motivo, altri ancora avrebbero dato la colpa alle oscure influenze che animavano il regno dei vivi in concomitanza di Halloween.
    Per Marina si trattava di una probletunity, ovvero un'opportunità nata da un problema.
    Era cosa nota a tutti che i resti di un Kelpie fossero perfetti per celebrare alcuni riti astrali, o evocare divinità legate al mare. Le ossa si prestavano alla creazione di artefatti con un uso simile ma il sangue era il vero tesoro: perfetto per tracciare rune e simboli divinatori.
    «Ragazzo, da che parte si sono recati i predoni?».
    Il capo ruotò in direzione di un ragazzino dai capelli arruffati. Il sangue che gli sporcava le mani e il tintinnare di galeoni faceva intuire che avesse dato man forte ai cacciatori, in un modo o nell'altro.
    Il piccolo alzò il capo, studiando la strega dai piedi, cinti in dei sandali di pelle bianca, al resto del corpo, accarezzato da una vestaglia druidica nera, troppo sottile per nascondere come sotto a questa non fosse indossato alcun pezzo d'intimo.
    «I miei occhi sono qua sopra».
    «Signora Stonebrug, da quella parte, signora».
    Un galeone venne lanciato al ragazzo i cui occhi, ancora fissi sul seno della strega, non furono abbastanza rapidi per coglierlo al volo. Il galeone cadde a terra e Marina proseguì lungo il sentiero seguendo il continuo vociare di un gruppo di persone.




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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    «Da quel luogo vengono fanciulle
    di molta saggezza,
    tre, da quelle acque
    che sotto l'albero si stendono.
    Ha nome Urðr la prima,
    Verðandi l'altra
    (sopra una tavola incidono rune),
    Skuld quella ch'è terza.
    Queste decidono la legge,
    queste scelgono la vita
    per i viventi nati,
    le sorti degli uomini.»

    (Edda poetica - Völuspá - Profezia della Veggente XX)

    Il fato di ogni uomo era determinato dalle tre Norne, nessuno poteva sottrarsi al destino che gli era stato riservato. Nemmeno il Padre degli Dèi Odino sarebbe sfuggito a una delle profezie delle Norne quando, alla ricerca della conoscenza sarebbe giunto a Jǫtunheimr per bere alla fonte magica di Mímir, sacrificando tuttavia l'occhio sinistro. Così il Padre del Tutto si dotò di due corvi, Huginn e Muninn con cui poté farli viaggiare per il mondo portando notizie e informazioni al loro padrone. Odino li faceva uscire all'alba per raccogliere informazioni e loro ritornano alla sera, sedendo sulle spalle del dio e sussurrandogli le notizie nelle orecchie.

    Quel giorno a Denrise si percepiva odore di sangue, una caccia era stata indetta e l'animale braccato dai predoni nel lago di Vaan. Il Kelpie impazzito era stato simbolo di sventura, un evento reputato dai druidi come il segno dell'ira degli Dèi, le nubi temporalesche, gonfie di pioggia scurivano il cielo e un fulmine, evocato da Thor Odinsson, cadde nel mare le cui onde erano dei grossi cavalloni che nemmeno il più navigato dei timonieri Denrisiani avrebbe osato sfidare. Njörðr probabilmente era adirato per l'uccisione di una sua creatura e se la giovane negoziante avesse levato il capo verso il cielo avrebbe notato come un corvo, il cui piumaggio molto più folto rispetto al normale solitamente nero avrebbe richiamato a certe sfumature più chiare, sorvolava la zona con volute circolari. Il suo gracchiare sarebbe potuto essere presagio di sventura, Odino padre degli Dèi posava il suo occhio rimanente su ciò che stava succedendo sull'isola. Il corvo descriveva in cielo alcune volute sbattendo le ali per mantenersi ad un'altezza adeguata e sfruttare le correnti ascensionali provenienti da terra. Marina sarebbe giunto sul luogo della carneficina del Kelpie e, in quel momento, sentì posarsi sulla propria spalla destra qualcosa mentre il gracchiare del corvo a pochi centimetri dal suo orecchio si faceva sentire che fosse Huginn o Muninn questo la Denrisiana non avrebbe saputo dirlo.
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    Marina Stonebrug
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    Ali oscure, oscuri presagi.
    I passi divoravano le distanze con la stessa brama con cui Jörmungandr trova piacere nel far di sé stesso il proprio pasto. L'umidità nell'aria le accarezzava la pelle come il più intimo degli amanti e la domatrice di astri non se ne curò minimamente. Fu la stessa natura a portarle un dono, oscuro come la notte, ineluttabile come le tenebre.
    Il pollice orbitò fino al becco della creatura, accarezzandolo, più che sfiorandolo, con la cura di una sorella di fronte a un fratello. Esistevano esseri più antichi a cui la Druida aveva deciso di donare le proprie attenzioni e dedicare gli spazi bianchi della sua vita. Quegli spiriti, così antichi, avevano ricambiato dandole colore.
    Il breve sorriso che le illuminò il volto si spense quando il chiacchiericcio si fece più intenso. Lo sguardo era freddo, predatorio, una lama di ghiaccio che scivolò sul resto dei predoni lì radunati per spartirsi ciò che restava della carcassa del kelpie, appesa tramite pioli e uncini a tre grosse sequoie. Rivoli di sangue coloravano la carne macellata, cadendo a terra per generare piccole pozze di putridume.
    «Dovete essere abili».
    Mentiva, come il mare che annunciava terra celata da miraggi e illusioni. Il corpo del Kelpie era stato massacrato, un abile cacciatore non avrebbe mai deturpato così un premio tanto ambito.
    In quel piccolo gruppo di denrisiani, ne contava almeno sei, un paio d'occhi acquistò altezza. Kmer era impossibile da non notare, due metri di muscolo e ignoranza, un capo privo di pelo ma decorato da mille cicatrici.
    «E non solo a cacciare, vuoi provare?».
    Doveva avere sangue di mezzo-gigante, Kmer, perché gli bastarono un paio di passi per raggiungere Marina, la sua lunga ombra a inglobarla.
    Eppure la druida, solida come gli scogli, attese, gli occhi ancora ancorati al cadavere. Silenziosa come la nebbia, due volte più letale.
    «Ti ho fatto una domanda».
    La grossa mano fece per stringere il braccio della ragazza, nudo come il vento.
    Doveva avere sangue di mezzo-gigante, Kmer, perché non spiccava certo per ingegno.
    «Electro».
    Al forte rumore di staticità, seguì un rombo dirompente e l'odore di carne bruciata. Kmer sfrecciò verso il lago, più veloce di un falco, sprofondando nelle acque corrotte dal sangue.
    «Spero non vi dispiaccia».
    La strega avanzò tra i predoni, ora taciturni come pesci di fronte al grande squalo. La destra calò in una tasca del vestito per estrarre una fiala che, lentamente, prese a colmarsi del sangue violaceo della creatura. La sinistra fece giusto in tempo a sventolare la bacchetta e un boccone di carne, il cui profumo ricordava l'estate, levitò verso il corvo, suo nuovo compagno.




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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    Il corvo in ogni cultura aveva la sua nomea di uccello portatore di sventura e morte, fama che l'animale non mancava di sottolineare con la sua saprofagia. Malphas, uno dei settantadue demoni evocati dal Re Salomone era considerato uno spirito molto potente, comandante di quaranta legioni che, se evocato, sarebbe apparso prima in forma di Corvo per poi mutare in forma umana. Lo stesso Satana era solito, secondo la cultura cristiana, assumere la forma del corvo. Nella mitologia greca il Corvo aveva una brutta nomea. Quando Apollo s’innamorò di Coronide, ordinò a un corvo dal piumaggio bianco di fare la guardia alla sua amata incinta mentre lui si recava a fare un viaggio a Delfi. Coronide non fu fedele e tradì Apollo con Ischide, ma il corvo non gli riferì l’accaduto. Quando Apollo ne venne a conoscenza, per punizione, fece diventare nere le piume del corvo. Nella mitologia scandinava, tuttavia, il corvo è l’uccello sacro di Odino: il supremo dio norreno lascia liberi i suoi corvi, Huginn e Muninn, ogni mattina per avere informazioni su ciò che sta accadendo nel mondo di Miðgarðr. La sera i corvi tornavano, gli si posavano su una spalla e gli raccontavano ciò che avevano visto e sentito. Marina Stonebrug si era fatta inconsapevolmente un amico, il corvo nero dal piumaggio folto e leggermente screziato da piume più chiare si lasciò toccare sul becco e restò appollaiato sulla spalla della Druida fino all'arrivo della donna al Lago di Vaan. «Craa!» Il suo becco emise un verso più breve e con un tono più basso al vedere i sei predoni di fronte alla donna e, quando il mezzogigante si avvicinò a Marina, il corvo si sarebbe alzato in volo un momento con un colpo d'ali. «Craa!» L'incanto della giovane mise in fuga il predone e il corvo, tenendosi in volo, avrebbe osservato la scena per poi planare dolcemente di nuovo sulla spalla della giovane. Avrebbe accettato con gioia il boccone di carne cruda e, solo quando questa si sarebbe piegata per raccogliere il sangue di Kelpie, il Corvo si sarebbe librato in volo per poi allontanarsi verso l'interno del lago verso le montagne. Un po' di tempo passò e, il corvo, di ritorno aveva portato con sé nel becco una pietra colorata lasciandola cadere a terra vicino a Marina. «Craaa craaa craaa.» Avrebbe gracchiato con un verso più frequente e ripetuto ma non stridulo, come se fosse stato un saluto amichevole.
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    Marina Stonebrug
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    Le persone ambiziose credono di essere gli artefici del proprio destino.
    Le persone ambiziose, con una buona dose di saggezza e umiltà, convincono tutti gli altri che siano gli dei ad accendere la forgia e dare forma al metallo.
    Non biasimò il corvo per la sua reazione, il fiato di Kmer odorava di morte più di quanto lo stesse facendo la carcassa a pochi passi di distanza. Fu lieta, ma non lo avrebbe ammesso, che il gigante non avesse staccato il capo al povero volatile con un semplice morso come punizione per la sua molestia.
    Si era meritato il suo premio, il Nero piumato. Avrebbe dovuto dargli un nome, non che credesse che l'altro l'avrebbe accompagnata ancora a lungo. I figli del cielo seguono le correnti e per quanto un giorno Marina avrebbe domato anche loro, quel futuro era troppo lontano per vantare pretese sul presenza.
    Ciò che successe nel momento in cui il corvo fece per allontanarsi sarebbe stato un segreto, almeno per lui, d'altronde, seppur Messaggero, non poteva ricoprire il ruolo di padre degli Dei.
    Una cosa era certa, la Druida aveva ormai quasi completato il suo processo di estrazione e valorizzazione di ciò che era restato del Kelpie. Merito di Kmer, di cui non vi era più ombra o fetore, elemento che avrebbe fatto intuire al Nero che il sangue di gigante se ne fosse andato da quel luogo. Qualcuno, di meno attento ai dettagli e certamente più propenso al viaggiare leggero che farsi carico d'una occasione, sarebbe stato felice per il massacro perpetrato sul demone marino. Solo e soltanto questo avventarsi sull'essere aveva reso l'estrazione così facile perché c'era veramente poco da estrarre.
    Al ritorno del corvo si piegò appena lasciando che il suo abito druidico danzasse verso il basso, le ombre a nasconderne le forme, ma non abbastanza per frenare la fantasia dei presenti.
    «Ci sai fare con gli uccelli».
    Le pupille di ghiaccio passarono da parte a parte un ragazzo, una dodicina d'anni a stento forse, capelli rasati sui lati e portati più lunghi al centro. Sguardo furbo e in funzione di questa furbizia il giovanotto alzò le mani a mo' di scudo.
    «Scherzavo, eh».
    «Come hai detto di chiamarti?».
    «Corbin, signora. Mi chiamo Corbin».
    «Corbin, sai di che pietra si tratta?».
    Il ragazzino allungò il collo come una giraffa, lo sguardo incuriosito a esaminare il dono da ogni lato. Lo stesso fecero i restanti quattro predoni ma non Marina i cui occhi erano ancora fissi sul corvo.


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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    Ametista, la pietra quella che il corvo aveva posato sul terreno si trattava di una pietra dalle sfumature violacee. Una pietra del genere si era solito dire che l’ametista risveglia la propria consapevolezza spirituale accrescendo la conoscenza di una realtà al di là della materia. Aiutando a percepire, quindi, l’aspetto spirituale che si celava dietro gli avvenimenti. Di conseguenza, l’Ametista, sarebbe riuscita ad essere un buon rimedio per rielaborare un lutto che, in quel momento, si poteva collegare alla creatura di Njörðr o a quello che, alcuni Denrisiani, avevano celebrato alla costa giorni precedenti. Un segno divino da parte del Padre degli Dèi? Il corvo avrebbe voltato il capo verso il predone che aveva parlato emettendo un verso. «Craaa!» Il suo becco emise un verso breve dal tono basso, avrebbe aperto le ali spiccando un balzo per darsi lo slancio e muovere le ali quel tanto che sarebbe bastato per appollaiarsi sulla spalla di Marina. Sfidare gli occhi e le orecchie del Padre del Tutto non era saggio, anche il più idiota dei Denrisiani lo sapeva e Sigurth, in forma di Corvo, se la godeva troppo nel ruolo di Messaggero degli Dei per prendere nuovamente forma umana e sfidare tutti i presenti per aver mancato di rispetto ad una Druida di Denrise. Facendo la giusta pressione sul terreno per il salto che lo avrebbe condotto sulla spalla di Marina con un unico artiglio della zampa aveva disegnato sul terreno una runa ᛦ che per uno studioso di quel linguaggio arcaico si sarebbe rivelata essere nient’altro che una Algiz rovesciata: la runa chiamata Yr. Il significato di Yr era l’esatto opposto di quello Solare di Algiz, il nome con cui è meglio conosciuta è toten-rune, runa della Morte. Un avvertimento che il Gunnarsson in forma di Corvo non avrebbe più ripetuto nemmeno di fronte ad un fratello Denrisiano. «Craaa!» Avrebbe ripetuto il verso all'indirizzo dei predoni di fronte a Marina.
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    Marina Stonebrug
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    Tra tutte le pietre l'ametista era una delle più rivelanti nel mondo della divinazione. Variante del quarzo, secondo le teorie della magitecnica ne riprendeva il misticismo, ma anche il legame con gli spiriti, il tutto coronato da enigmi e simboli, elementi fondamentali della pratica divinatoria.
    Era in questa nube di dubbi che la strega aveva imparato a districarsi meglio di tanti altri, ma non abbastanza. Del resto lei non aveva ancora sacrificato il suo occhio e Mimir non le aveva mai offerto la possibilità di accettare quello scambio. Poco importava, per ciò che valeva la pena sapeva attendere, per tutto il resto padroneggiava l'arte del conquistare.
    «AH!».
    Al gracchiare del corvo, Corbin si portò le mani di fronte al muso, fissando il volatile di traverso. Il ragazzo era visibilmente spaventato dall'emissario degli dei, forse proprio per la sua natura profetica. Del resto, per quanto giovane, era tra i sei che avevano preso parte alla caccia del Kelpie e non sembrava averne riportato ferita alcuna.
    «Calmati».
    La mano della Druida si sollevò e con il potere degli antichi saggi placò l'animo di Corbin, così come gli anziani sapevano fare con le tempeste e i maremoti.
    Il suo ascendente sugli uomini era pari alla potenza della gravità che il Sole sapeva esercitare sul resto degli astri, ma fu l'arrivo della notte a infuocare il caos. La visione della toten-rune portò i predoni ad alzarsi, qualcuno sputò a terra, altri ancora si afferrarono i genitali con fare scaramantico.
    Marina intrecciò le braccia, gli occhi rivolti al cielo e poi al Kelpie. L'ombra di un sorriso, lo stesso di chi sa che ogni occasione va colta.
    «Gli Dei hanno parlato. Il modo in cui avete posto fine alla vita di questo Kelpie è stato ritenuto indegno e il Padre del Tutto ci ha fatto l'onore di riferircelo».
    Un leggero cenno del capo a intimare il silenzio dei denrisiani.
    «Raggiuntemi all'Osservatorio all'Alba di domani, portate doni da sacrificare in nome di Njörðr per placare ciò che avete istigato nei suoi confronti deturpandone in questo modo un suo figlio e mancando di rispetto una sua messaggera».
    Un'occhiata al vetriolo al primo dei tanti che tentò di obiettare, poi silenzio a sancire la sua autorità.
    «Prendete la vostra libbra di carne e andatevene».
    Uno a uno i denrisiani si alzarono da lì, lasciando il Nero e Marina in un sacro silenzio, tanto intimo quanto prezioso.


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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    La morte in ogni cultura era vista di cattivo occhio. Nella società di Denrise, che manteneva orgogliosamente una cultura vichinga riguardo la morte era un momento critico nella famiglia del defunto che, di conseguenza, veniva circondato da una fitta serie di regole e tabù. Nonostante le tradizioni guerresche dei Denrisiani, esisteva un elemento di paura che circondava la morte e ciò che vi faceva riferimento. Se il deceduto non veniva sepolto nel modo appropriato, poteva non trovare pace nell'aldilà. La persona morta poteva allora far visita ai parenti come spettro. Una tale visione era spaventosa e di cattivo auspicio e solitamente veniva interpretata come un segno di ulteriori lutti in famiglia. Se Sigurth fosse stato umano avrebbe sogghignato dalla gioia nel vedere sei uomini, grandi e grossi, farsela sotto per la paura di aver adirato Njörðr. Il mare era un aspetto fondamentale per il popolo di Denrise e avere attirato la sfortuna di colui che sul mare deteneva il potere equivale all'essere estromesso da ogni Drakkar, nessuno avrebbe portato con se qualcuno che poteva fare arrivare il Kraken dell'elargitore di fortune e sfortune ai marinai e ai pescatori. Finalmente soli, Druida e Corvo restarono in silenzio, uno sulla spalla dell'altra. Se la Druida avesse voluto, carezzare il folto piumaggio del volatile le sarebbe stato possibile. Placido e tranquillo, il nero Messaggero di sventura per i predoni di Denrise sarebbe sceso dalla spalla di Marina per avvicinarsi ai resti del Kelpie. Alla luce lunare Marina poté vedere come il corvo, in un rapidissimo processo di crescita, divenne uomo. Un Denrisiano indubbiamente alto un metro e novantasei per centotre kg di muscoli, dal petto glabro. Sul braccio sinistro si poteva intravedere un tatuaggio: un drago nidhoggr stilizzato. L'uomo, dall'età sembrava inferiore ai trent'anni, teneva i capelli lunghi, liberi al vento, barba e baffi medio lunghi curati di un castano chiaro tendente al biondo e due occhi chiari, di un verde smeraldo, scrutavano i resti del Kelpie con attenzione. Vestiva abiti comodi, un camisaccio di lino e delle pantabraghe di cuoio che gli lasciano libertà di movimento, al fianco pendeva un'ascia Skeggöx e la bacchetta magica. Sospirò inchinandosi e carezzando i resti della Creatura Magica, poi avrebbe levato il proprio sguardo al cielo. «Signore delle navi! Io, Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson, ti invoco e ti prego di accompagnare questo tuo figlio per l'ultimo tragitto. Accetta il dono del mio sangue come sacrificio per la morte ingiustificata di questa creatura magnifica.» Sigurth si sarebbe tagliato il palmo della mano con il filo dell'ascia, stringendo la mano a pugno e facendo cadere le gocce del proprio sangue nell'acqua del lago di Vaan. «Avete agito bene, Druida, con quei Predoni. Molti tendono a dimenticare il rispetto verso gli antichi Dèi e alle loro Messaggere.» Si sarebbe alzato, prendendo un pezzo di stoffa con cui avvolgersi il palmo della mano per fermare lo scorrere del sangue.
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    Edited by Sigurth Gunnarsson - 13/10/2021, 12:23
     
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    Il silenzio sapeva essere eloquente per chi aveva il dono di poter ascoltare.
    Raramente un corvo si priverebbe di una carne così prelibata, lo stesso però non poteva dirsi di un volatile la cui presenza era giustificata dagli dei. Non sarebbe stata la prima volta che una divinità si fosse 'abbassata' ad offrire consiglio, e spesso queste lo avevano fatto in altri modi. Il mondo onirico sembrava il piano migliore in cui mettere in contatto l'anima di un mortale con l'essenza degli eterei.
    Lo sguardo seguì il Nero nel suo moto verso la carcassa, forse in attesa di altri segni o magari con l'unico obiettivo di coglierne i segreti. Al rumore di carne che si spezza come un fiore di sangue, il sopracciglio destro della Druida si piegò verso l'alto, come poi fece il capo per rispondere all'altezza dell'Animagus.
    È grosso.
    Fu il suo primo pensiero, nascosto da un volto di pietra e corallo. Le narici si dilatarono a stento per far tesoro di una boccata d'aria che le permise di tornare a percepire i lembi più estremi di pelle. Il capo si piegò appena per seguirne i movimenti. Probabilmente si sarebbe incredibilmente offesa perché l'altro non si era da prima presentato a lei, ma forse glielo concesse in quanto gli dei sapevano essere la priorità, o magari perché c'era altro a distrarla.
    «Ti ringrazio».
    Passi leggeri si staccarono dai ciottoli cullando la druida al fianco del predone. La sinistra a sospingere verso l'alto la mano ferita dell'Animagus.
    «Devi disinfettare le bende, prima».
    Era portata per gli incanti curativi, la sua professione lo richiedeva, ma questi non erano certamente la sua specialità. Sapeva domare gli astri e il clima, piuttosto, ma le basi le conosceva.
    Il catalizzatore si gonfiò di una luce cerulea che sarebbe andata ad accarezzare la mano dell'uomo provocandogli un leggero formicolio, un prezzo equo da pagare per non perdere la mano tra qualche giorno.
    «Sottovalutare gli dei è pericoloso».
    La bacchetta venne fatta scivolare sul fianco della strega, le mani ora libere di stringere i lembi della stoffa per aggiustarne i margini. Medicarsi da solo era difficile, invece curarsi con la magia sarebbe stato un affronto al sacrificio appena compiuto.
    Dunque un colpo secco per far premere bene il tessuto contro la ferita. Doloroso, come un ricordo o qualcosa che meritava d'essere ricordata.
    «Lo stesso può dirsi di chi si finge un loro messaggero. Cosa ti ha spinto in questo lago? Ti
    sei posato sulla mia spalla prima ancora che avessi raggiunto i predoni che poi mi hanno offeso, sei forse dotato di veggenza?»
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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
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    Solo dopo aver placato gli Dèi, Sigurth volle dedicarsi alla donna. Avrebbe fatto alcuni passi verso di lei, azzerando la distanza che li separavano, ma la druida fu più lesta avvicinandosi per esaminare la ferita che il Predone si era autoinferto. «Non c'è di che, è la verità. Quegli stolti con la loro uccisione avrebbero potuto condannare le Drakkar a rimanere a terra per mesi se il signore delle navi non fosse stato placato.» Avrebbe detto, accennando un sorriso sincero alla Druida. Le avrebbe fatto piacere ricevere l'aiuto di una come lei per evitare che la ferita si infettasse e alla magia curativa l'uomo abbassò il capo in segno di ringraziamento. «Grazie, davvero.» Ascoltò le parole della ragazza, che disse di non sottovalutare gli dèi o chi si finge un suo emissario e, se dapprima il significato delle sue parole lo fece sorridere, ad un esame più attento si fece perplesso chiedendosi sé la giovane lo accusasse di essere un impostore. «Il padre degli Dèi mi ha scelto, ha inviato come emissario il fulmine di suo figlio Thor, donandomi la capacità di rappresentarlo come Corvo.» Spiegò, citando la mattinata di pioggia in cui Thor Odinsson gli aveva scagliato addosso il fulmine che aveva mutato il suo corpo nella forma ancestrale del corvo. Poi ascoltando le successive domande della giovane donna le avrebbe detto. «Sinceramente parlando, ho sentito della notizia giù al Porto e ho cercato di muovermi veloce per poter arrivare il prima possibile. Un Kelpie è una creatura magnifica, averne avuta una qui al lago di Vaan sarebbe stata una fortuna e il mio sogno, un giorno, è domarne una per poter usufruire di lei come compagna fedele. Purtroppo però sono arrivato troppo tardi, avevano già fatto a pezzi quella creatura e stavo volando attorno al luogo quando ti ho vista arrivare.» Un sospiro, guardando verso gli ultimi resti della creatura. «Non credo di possedere il terzo occhio, no, forse il Padre degli Dèi ha guidato le mie ali verso di te per un qualche motivo. Comunque non mi hai ancora detto il tuo nome, dovrò chiamarti Druida per tutta la serata?» Una risata sarebbe uscita dalle labbra del predone.
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    L'intimità che il coraggio dell'altro e la prontezza di lei seppero offrire a entrambi aveva un che di sacro. Il Predone aveva gettato il fiammifero, dando vita al fuoco, la Druida si era limitata a versare benzina, trasformandolo in un incendio. Da quelle fiamme ne era uscito uno spettacolo mozzafiato, rappresentato da un lago tutto per loro, e i pochi pesci che cozzavano contro lo specchio d'acqua a qualche dozzina di metri di distanza.
    Il vento era l'ultimo dei compagni, frustando le foglie produceva echi e risate che Marina non esitò a cogliere.
    «Sei una persona generosa, vedo».
    Un sorriso ad aprire quella parentesi mentre le braccia scivolavano l'una sull'altra, non per esplicitare chiusura quanto più per ritrovare forza nella sua stessa carne. Da quella distanza l'odore dell'altro vinceva con prepotenza l'aroma del lago, ricordando alla strega le foreste più selvagge di Denrise.
    «Prego».
    Un sussurro, tanto intimo da scivolare tra pelle e carne. L'altro non aveva reagito allo strattone della Druida, decisivo per ovvie ragioni quanto doloroso per motivi ben più futili, e ciò tradiva una considerevole abilità nel controllare il proprio corpo.
    «Il dio che porta sulla terra i doni del cielo e della tempesta sceglie solo le anime più degne».
    Non stava cercando di smentire l'altro, quanto più, dando coronando l'ultima parola a gemma di uno scettro reale, scoprire il motivo di quelle attenzioni.
    «Cosa ti ha reso degno di lui?».
    Delle volte Ǫkuþórr, il Fulmine che viaggia sul carro, sapeva stupire fedeli e studiosi. Spesso degnava i guerrieri più abili delle sue attenzioni, in funzione del modo in cui questi sapevano cogliere anime sulla terra da offrire ai cieli, altre ancora considerava i guerrieri, trasportandoli lui stesso da un piano all'altro dell'esistenza, per il semplice piacere di godere delle loro libagioni e delle loro donne terrene.
    «Dunque non hai un terz'occhio».
    Una mezza risata a dare colore a quelle parole, poi l'indice a scoccare con forza contro il petto del predone, forte di una confidenza che l'altro non aveva offerto ma lei aveva preteso. Non un terz'occhio, per lo meno, ma data la stazza non si sarebbe sorpresa se avesse avuto una terza gamba.
    Se non altro era dotato di una dose di umorismo in più rispetto al denrisiano medio.
    «Marina Stonebrug, proprietaria dell'Osservatorio. Immagino tu sia un Predone, a giudicare dalla stazza e l'ascia, vero... Sigurth?».
    Pronunciò il nome con falsa insicurezza, quasi a voler fingere di esserselo dimenticato.
    Poi fece un passo indietro, corpo che affonda inerme nelle ombre, per tornare da ciò che restava del Kelpie, le spalle rivolte verso l'uomo.
    «Come il cielo è ricco di stelle, così il mare è pieno di pesci. Il Kelpie rappresenterebbe un famiglio degno del migliore dei predoni, la sua versatilità ha come unico limite la fantasia, ma un Demone che osa varcare il lago di Vaan non è abbastanza sveglio per ricoprire il ruolo di compagno di un predone così ambizioso, o per lo meno di un predone scelto da Thor».
    Il volto a piegarsi verso la spalla, coperta dal sottile tessuto nero come la notte, l'ombra di un sorriso a decorarle il volto di perla.
    «Perché non domare il mare e reclamarne uno negli oceani più selvaggi?».
    Thor poteva averlo scelto come messaggero, Marina era eccitata all'idea di scoprirne il motivo.


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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    Una risata, avrebbe interrotto il silenzio della notte. Sigurth inclinò il capo verso destra, guardando da quell'angolazione la druida di fronte a sé, i capelli gli caddero di lato e, portandosi la mano alla tasca Sigurth estrasse un elastico sottile nero per poi legarsi i capelli. «Lo sono con chi se lo merita, Sacerdotessa, il popolo di Denrise ha il mio rispetto, faccio parte di questa comunità e quel che penso è che i nomi non siano dati a caso. Le Norne guidano il nostro cammino e il nostro nome può essere fonte di indizi su ciò che siamo destinati. Sigurth deriva dal nome norreno Sigurðr, composto dagli elementi sigr e varð, se la prima significa vittoria la seconda invece rappresenta il termine guardiano. Suppongo che il mio cammino, ancora lungo, debba ricoprire un ruolo di protettore. Forse di Denrise? Non lo so, ma quando verrà quel momento ne uscirò vittorioso.» Spavaldo e sicuro di sé, sì probabilmente Marina lo aveva già capito, ma quella spavalderia e sicurezza derivavano da una vita sempre in bilico. Un carattere forgiato e temprato dalle sfide che i tre fratelli minori e le due sorelle hanno contribuito ad aumentare. In una società come quella di Denrise anche le sorelle potevano ascendere a favorite e questo contribuiva a dare al giovane la sicurezza e la determinazione di superare qualsiasi sfida. «Suppongo di essermi distinto sul Drakkar di Olaf Andersson, ho combattuto serpenti marini, creature marine e di terra sul suo Drakkar ed ero il più giovane fino a qualche anno fa. Conosco gli astri e le creature marine, so combatterle, conosco le loro abitudini e potrei domarle, sì.» Disse cercando qualità che il figlio di Odino avrebbe potuto apprezzare. Poi al ripetere delle parole della druida accennò un sorriso. «Quando stamattina mi son guardato allo specchio non era ancora spuntato, no.» Replicò, facendole una battuta sul terzo occhio. Quando lei scoccò il dito contro il suo petto Sigurth fu rapido a intercettare il braccio. Non per scostarle il dito ma per tenerlo sul proprio petto mentre con la mano massaggiava il muscolo dell'avambraccio della ragazza. Lo avrebbe lasciato, senza trattenerla con forza quando lei si ritirò tra le ombre per avanzare verso i resti del Kelpie. Un nuovo sorriso comparve sulle labbra del predone quando lei lo chiamò per nome. «E un piacere fare la tua conoscenza Marina Stonebrug, sì sono un predone, navigo sul drakkar di Olaf Andersson. Sono ritornato a Denrise dall'ultima spedizione ma soprattutto per il lutto di Arvid, ucciso in combattimento da un wyrm.» Le parole che Marina pronunciò stuzzicarono l'ego già enorme di Sigurth che, all'idea di avere un figlio di Njörðr come cavalcatura, si infervorò. «Non nego che mi piacerebbe avere un Kelpie come cavalcatura, l'ho detto prima, ma da quì pretendere di domare il regno del signore delle navi non sono così avventato. Njörðr è solitamente imprevedibile e bizzoso nel dispensare i suoi favori e quindi può benissimo in un battibaleno vanificare il lungo lavoro di noi predoni.» Un lampo, seguito da un tuono, illuminò il volto di Sigurth per un momento nel buio della notte. Le gocce di pioggia iniziarono a cadere dalle nubi che sovrastavano l'intera isola di Denrise iniziando a bagnare i corpi e le vesti del Predone e della Druida come se lo stesso figlio di Odino stesse lanciando un messaggio alla donna. Se prima era stata la druida a prendere l'iniziativa ora era tempo per Sigurth di fare lo stesso. «Thor Odinsson sta per coprire Denrise con uno dei suoi temporali, ti prego, seguimi conosco bene il territorio qui attorno e conosco una grotta libera dove possiamo ripararci dalla pioggia.» Il Gunnarsson avrebbe teso la mano verso di lei, attendendo che Marina facesse la propria scelta.
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    La loro isola, nell'ultimo millennio, aveva partorito guerrieri e druidi dalle abilità straordinarie. Una teoria che tentava di spiegare quanto accaduto verteva sull'importanza data da quel popolo al significato delle cose. Le rune erano simboli e come tali i Denrisiani ne studiavano risvolti e motivi, sfruttandoli a proprio vantaggio per rituali e incantamenti. La stessa propensione, trasmessa da generazione a generazione, spingeva i guerrieri a studiare gli incanti nella loro forma più bruta per farli propri ed estrarne il massimo del potenziale.
    «O forse il tuo destino non è proteggere, ma portare qualcuno alla vittoria sconfiggendo un Protettore».
    L'ambizione era una linea più resistenti di una barriera, costituiva un vetro impenetrabile che solo i più forti d'animo avevano il coraggio di sfidare, solo i predestinati riuscivano a spezzare la catena, però.
    «Conosci gli astri e hai preso parte alle spedizioni di uno dei più interessanti uomini di mare di Denrise, però questo può dirsi di tanti altri predoni».
    Cercò di mantenere un velo di serietà in quell'istante in cui, da esploratrice e donna curiosa, il suo unico intento era scoprire cosa Thor avesse visto nell'altro. Il signore dei Fulmini era una delle divinità più pericolose del loro Pantheon, esecutore di Odino, aveva compiuto più di un massacro senza esitare dove tante altre divinità, di pantheon più molli o meno, avrebbero esitato. Non tanto per rispetto o riflesso di una falsa umanità, quanto più per consapevolezza della difficoltà di prestarsi a tali gesta. Eppure, qualcuno simboleggiato da un martello, non poteva che forgiare il proprio destino e, da quel che poteva vedere di Sigurth, anche l'altrui.
    Non commentò il massaggio dell'altro, che percepì ben sotto la pelle, ma l'ombra che le macchiava il volto si sciolse rivelando un affilato sorriso, probabilmente imputabile alla battuta dell'altro sul terz'occhio. O magari ad altro.
    «La potenza dei Wyrm è seconda solo al timore che incute il loro ruggito, mi dispiace per il tuo lutto, Sigurth, ma sono certa che Arvid avrà combattuto con onore e che ora, per nostra gioia, stia celebrando nelle Sale del Padre di tutto».
    Un cenno del capo e qualche secondo di silenzio per celebrare il lutto dell'altro convinta fermamente di quanto detto per poi riprendere ad ascoltare le parole dell'altro quando questo spezzò la sua preghiera.
    «Gli Dei hanno sempre un motivo per dispensare favori e problemi, basta dargliene qualcuno solo per alimentare i primi ed evitare con tutto il cuore di favorire i secondi. La tua umiltà è un vento che sembra portare nella giusta direzione».
    Un tenero sguardo venne riservato all'altro, così diverso. Sia la Druida che il Predone erano sicuri di sé, sopravvissuti così lungo a una terra così brutale come Denrise, ma dove la prima vedeva nell'ambizione un dono, il secondo sembrava percepirla come una minaccia.
    Fu nel partorire quella consapevolezza che il ventre dei cieli si tinse di un freddo grigiore e un boato risuonò sul lago, echeggiando con una forza tale da entrare nella carne, una spietata pioggia a lavare via ciò che restava del sangue di Kelpie.
    Avrebbe potuto usare le sue doti per placare il temporale, le sarebbe bastato così poco, ne era consapevole. Al contrario non avrebbe saputo dare una spiegazione al suo braccio teso verso quello di Sigurth, la Druida in silenzio, pronta a seguirne la guida.



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    Sigurth Bjornhethin Leiksun Gunnarsson
    Predone | 27 anni
    Leiksun, letteralmente Figlio della Battaglia, un nome che ogni Gunnarsson aveva ereditato dall'evento che aveva spinto Gunnar figlio di Ragnar a prendersi in moglie Sheyla Hillard la donna che per sbaglio o destino aveva avuto la sfortuna di incrociare i propri passi con il Predone. Avevano combattuto e, la donna, ritrovandosi vinta dal Denrisiano aveva avuto in sorte quello che mai una donna vorrebbe. Estrapolata dalla società magica che l'aveva partorita Sheyla si era ritrovata in una realtà a lei estranea fatta da antiche usanze, dèi norreni e una collettività poco incline ad aperture nei confronti degli stranieri. Eppure secondo il nuovo punto di vista della Druida ogni suo nome era possibilmente soggetto ad una diversa interpretazione, come ella stessa disse riguardo al suo nome principale. «È un interessante punto di vista. Non ci avevo mai pensato.» Il Gunnarsson si sarebbe fatto perplesso, come se stesse studiando la nuova prospettiva in quel momento. Un sorriso increspò le labbra del Predone e estrasse la bacchetta per far luce con un semplice incanto della Luce. Lì, alla luce della bacchetta, marina avrebbe potuto vedere bene l'intera figura dell'uomo ma soprattutto avrebbe potuto notare una collana con alcuni macabri trofei al collo di lui, squame di creature marine, orecchie di creature magiche e altro. «Hlórridi mi ha visto combattere e quando mi ha scelto mi ha colpito con Mjöllnir con una tale forza che avrebbe ucciso un uomo normale, sono certo che nonostante la tua perplessità sarà svanita come nebbia al sole quando lo vedrai tu stessa. Avrei potuto affrontare quei sei da solo e uscirne vincitore» Le disse con sicurezza, non era sbruffoneria, il Denrisiano avrebbe certamente potuto tenere testa al manipolo di Predoni che si era attirato le ire di Njörðr. La giovane sorrise al massaggio e il predone era certo che, se la donna avesse voluto, avrebbe potuto continuare a massaggiarla. Quando lei nominò Arvid e il Wyrm Sigurth fece un leggero gesto con la mano, come se non fosse importante. «Non dispiacerti, ha combattuto con onore fino alla fine, assestando lui stesso il colpo di grazia alla creatura prima di morire. Come hai detto te a quest'ora starà banchettando nella sala del Valhalla.» Arvid, quel fottuto figlio di puttana, era stato preso e scortato dalle valchirie nel Valhalla dove sarebbe stato accolto da Bragi. Il Ragnarok gli avrebbe dato nuovamente possibilità di lottare come Einherjar. Al sentirsi definire umile Sigurth Gunnarsson scoppiò in una risata. «Umile, io? No Marina, non sono per nulla umile, solamente ho il buonsenso di non contrariare gli Dèi.» Avrebbe accolto la mano di lei, prendendola per mano con una delicatezza che mal si addiceva ad un Predone, qualcuno abituato a fare della forza la sua arma primaria. Scaltro e sicuro di sé, due qualità che ben si sposavano nel Gunnarsson, avrebbe condotto con passo deciso la giovane verso nord, verso i Picchi di Odino, luogo che aveva avuto modo di conoscerne i segreti. Lungo il cammino avrebbe taciuto, godendo del tocco delicato e della pelle morbida della Druida. Il suo petto si gonfiava inspirando il profumo della natura che tuttavia dava modo all'uomo di sentire anche quello della ragazza. Arrivò ad una parete rocciosa e, con precisione, tenendo il catalizzatore in bocca per illuminarsi la via, come erano soliti fare i pirati con i coltelli, scostò un arbusto rivelando un'apertura grande abbastanza per far passare una persona. Dovette lasciare la mano della donna e ritrasformarsi in Corvo per poter passare in alcuni punti dove solo Marina sarebbe stata in grado di passare. «Craa, Craa.» Avrebbe volato fino ad uno slargo più ampio in attesa della Druida e lì, una volta assieme, sarebbe mutato nuovamente in forma umana.
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    Marina Stonebrug
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    «È la sensibilità dei druidi che ci porta a notare le fratture tra le cose, problemi a cui dover porre rimedio, prima che dal grembo del caos nasca la grande fine».
    Un sorriso leggero le illuminò il volto, lieta di aver stupito l'altro con un nuovo punto di vista. Era questa la specialità della strega, il fulcro della sua ambizione, trovare una roccia e immaginarsi la statua al suo interno. Qualcuno glielo disse, anni addietro, che sarebbe stata un'ottima artista. Ci aveva creduto, ma alla materia morta preferiva la viva, parole e carne, questi i materiali che sapeva maneggiare meglio.
    «Affrontare i sei da solo e uscirne vincitore».
    Restituì le stesse parole all'altro come un'eco lontano.
    «Non ti manca l'autostima, vedo».
    Lo sguardo risalì la figura dell'altro, ammantata di luce, mentre le ombre generate dall'incanto si insinuavano tra le pieghe dei vestiti, resi evidenti dall'acqua che aveva spinto i tessuti contro la carne.
    «Il fisico lo hai, ma non basta quello in situazioni simili».
    Il che era vero, solo qualcuno con la forza di Thor avrebbe potuto sopraffare così tanti nemici a colpi d'ascia. Che il Predone potesse vantare anche della disciplina di Tyr o della sensibilità di Freya? Altre doti... su cui fare leva? O che semplicemente Thor lo avesse seriamente benedetto con il suo tuono, caricandogli la pancia di furia e i muscoli di energia?
    Di contro bastarono pochi secondi per pulirsi di dosso il falso manto di umiltà, mala interpretazione della druida, che aveva vestito l'altro per pochi secondi. Avere timore degli dei, per un uomo, era una scelta saggia.
    Come ogni volta, dal momento in cui era nata, il fascino dei Picchi di Odino sapeva catturarla a centinaia di metri di distanza. Lo sguardo era puntato su quelle forme che aveva memorizzato e l'unica difficoltà del tragitto non fu il terreno scosceso o scivoloso, reso tale dall'infida pioggia, ma il non farsi distrarre da quell'intenso bagno di ricordi. Fu per quel motivo che permise a Sigurth di continuare a giostrare con il suo braccio, o forse fu altro a convincerla, chi può dirlo.
    «Curioso».
    Non conosceva il punto in cui era stata portata e le pupille finirono per dilatarsi, no ntanto per adattarsi alle condizioni di luce quanto più per cogliere ogni dettaglio. La curiosità era uno dei venti che sapeva trascinare la sua Drakkar e nel superare gli stretti cunicoli, la prima domanda che le abbandonò le labbra una volta raggiunta la fine fu.
    «Come hai conosciuto questo posto?».



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