Where wolf’s ears are, wolf’s teeth are near.

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    Denrise
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    Denrise
    Marina Stonebrug
    "Eventually, everything connects."

    La Portatrice di tiranni, un enorme galeone commerciale, aveva appena attraccato al porto di Denrise. Per dimensioni e volume, la nave gettava ombra persino sulle drakkar più temute.
    Al suo arrivo si era mobilitato l’intero corpo marittimo dell’isola. Alcuni braccianti, quelli più forti, avevano puntato gli occhi sui carichi più pesanti e dal valore più alto: oro incantato, spezie curative, e tessuti pregiati. I burocrati, che in quell’angolo di mondo potevano contarsi sulla punta delle dita, avevano dato inizio a una caccia spietata nei confronti del capitano, o almeno del suo luogotenente: lo spazio che la Portatrice avrebbe occupato aveva un costo e qualcuno doveva pur pagarlo.
    Il vociare dei marinai si mischiava al salmastro odore dell'aria tessendo una tela cacofonica e caotica che in molti avrebbero disprezzato, ma non Marina.
    «Qualcuno in questa topaia ha voglia di fare qualcosa?»
    Pronunciò quelle parole con disprezzo mentre le palpebre, affilate come le lame dei predoni che si erano voltati nella sua direzione, si tesero per mettere a fuoco i presenti.
    Le mani erano ben lontane dalla bacchetta, artefatto magico che per la strega rappresentava solo l'ultima delle sue armi, troppo impegnate a sorreggere un pesante scrigno di legno nudo e crudo, come il mare che si era lasciata alle spalle.
    Qualcuno nella folla fece per dire qualcosa, forse un "puoi trasportarlo con la magia", ma una rapida occhiata al vetriolo riportò ordine e silenzio.
    All'interno di quella pesante scatola si trovavano delle sfere di vetro poco più piccole di un pugno chiuso. Per forma e dimensioni simili a gli artefatti babbani utilizzati per riprodurre la neve, le sfere erano in verità composte dal vetro orientale Pachiuk, famoso in tutto il mondo per produrre lenti straordinarie. Eppure, la natura e le leggi che ne regolano l'equilibrio ci insegnano come non si possa ottenere nulla senza dare via qualcos'altro.
    Nel caso specifico quel particolare tipo di lente doveva rimanere incontaminato: niente smaterializzazione, nessun incanto levitante, e tanti altri limiti simili.
    Fu in quell'oceano di persone che Marina trovò la sua perla. Doveva avere pochi più anni di un ragazzo qualsiasi, ma gli occhi raccontavano una storia diversa, quella di un uomo che era sopravvissuto a più di una tempesta. Le pupille di Marina si dilatarono ma con un rapido cenno del capo i lunghi capelli le discesero sul dolcevita blu e un'ombra celò anche il più lieve segno di interesse.
    «E tu vuoi renderti utile o restare a guardare?»
    Gli lasciò il tempo di riflettere, o andarsene se avesse voluto, poi con un costante movimento del capo indicò la scatola. Aveva bisogno di aiuto, ma anche un orgoglio che le avrebbe impedito di rivelarlo.


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    Non appena appoggiò uno degli stivali a terra si rese conto che il tempo, quel giorno, rispecchiava alla perfezione il suo umore. Addirittura avrebbe pensato di averlo comandato lui stesso, se solo non fosse certo di aver avuto tempo anche solo per pensare a quell’eventualità, vista la quantità di lavoro imprevisto che ti ritrovavi sempre a fare su una nave, volente o nolente. Sotto a quel cielo grigio piombo e la pioggia sottile, che si dimostrava ancora più fastidiosa di un vero e proprio acquazzone perché affilata e pronta a infilarsi rapidamente sotto ai vestiti, il porto si era riempito di grida e borbottii, provenienti da tutti gli uomini che avevano cominciato a scendere dalle Drakkar che stavano attraccando.
    Eirikr era parte di questi, per quanto più taciturno e ombroso di molti altri compagni, intenzionato a lavarsi le mani il prima possibile dai suoi incarichi e allontanarsi dal mare almeno per qualche istante. Quella che avevano appena conclusa era stata un’uscita impegnativa, come molte dopotutto, e la sua schiena agognava anche solo qualche ora spesa in un posto meno umido e più stabile del ventre di una nave. Non che il mare non gli piacesse, era parte integrante della sua vita e il solo fatto che parte della sua infanzia fosse legata alle onde che si infrangevano sulle coste di Denrise non poteva lasciarlo impassibile. Parte della sua vita era stata segnata da quel mare, ricordava ancora quando suo padre gli mostrava la Drakkar e lui sapeva a malapena come issarsi sopra e sfiorava le reti come se fossero mostri giganti in attesa di essere domati.
    Per quanto gli anni a Durmstrag lo avessero plasmato non avrebbe potuto mai negare il suo legame con l’isola e con la natura che la circondava: ogni volta che saliva su una Drakkar sentiva una vaga nostalgia invaderlo, eppure ogni volta che scendeva a terra si ricordava di quanto quella vita gli stesse stretta. Non che non avesse trovato un modo tutto suo per cercare di sopravvivere, non poteva lamentarsi più di tanto dopotutto dal momento che era sempre stato capace di trovare qualcosa con cui tenersi impegnato, ma non significava che avesse intenzione di fare quella vita per tutta la sua esistenza.
    “E bravo il mio ragazzo, migliori ogni volta di più” tuonò una voce baritona al suo fianco, assestandogli una poderosa pacca su una spalla che costrinse Eirikr a voltarsi appena e accennare un vago sorriso. Il volto segnato dal vento e dalla salsedine del padre gli rivolse un sorriso molto più luminoso ed entusiasta del suo, avviandosi poi a occuparsi di alcune casse poco lontano. Se solo avesse saputo… ogni volta che il suo vecchio si lasciava andare a simili dimostrazioni di affetto il ragazzo non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per ogni singolo pensiero fatto, per ogni volta che aveva fatto un passo in avanti per progettare la sua “fuga” da quel punto, per ogni volta che era salito su una Drakkar pensando che quella sarebbe stata l’ultima volta.
    Abbassò di nuovo lo sguardo, giusto il tempo per finire di fare alcuni nodi su una fune, prima di passarsi le mani sui pantaloni di spessa tela, allontanandosi poi dal porto. In quel momento aveva bisogno di svuotare la testa, di lasciare andare ogni pensiero ed ogni preoccupazione e concentrarsi su altro che non fosse lui che cercava di andarsene e il mondo intero che sembrava volerlo tenere ancorato lì per sempre. Se non altro ora era terra, si sarebbe concesso qualche distrazione, qualsiasi cosa che non avrebbe di certo potuto concedersi su una nave: si diresse con passo sicuro verso la locanda più vicina al porto, lasciando i suoi problemi alleggerirsi ad ogni passo.
    Si infilò nel locale aprendo la porta con decisione ed elargendo sorrisi e pacche sulle spalle ad alcuni amici che trovò lì dentro. Non appena mise piede in quel posto sembrò cambiare bruscamente, e sarebbe stato difficile dire se fosse quella la sua maschera o quella che aveva indossato fino a quel momento, o forse nessuna delle due.
    Era di certo più rilassato, con una pinta di birra in mano e circondato da rumori che si allontanavano parecchio dallo sciabordio delle onde o dal vento che si insinuava tra le vele della nave, eppure i suoi occhi non erano mai totalmente tersi.


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    Marina Stonebrug
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    Il cumulo di pioggia che aveva preso di mira Denrise era tenace come un cancro; il suo continuo riversarsi sugli specchi d'acqua che formavano, o circondavano, l'isola aveva reso il possibile pescato diffidente nei confronti della superficie. Rintanati negli angoli più oscuri e pericolosi dei fondali, quel prodotto di punta per una civiltà così antica aveva forzato gran parte dei predoni a spingersi altrove, aumentando le ore di lavoro previste e favorendo un continuo accumularsi di calli sulle mani più esperte.
    Probabilmente quello di Eirikr era uno tra le paia di mani coinvolte in questo maldestro processo, ma Marina non provò pena.
    "Mi sta ignorando?"
    I denti si strinsero contro la carne lentamente, ma con costanza, al punto che il lato interno del labbro inferiore parve trasformarsi in una serpe di fuoco. Le sopracciglia calarono con furia contro lo sguardo spettrale, il cui colore ora ricordava il letale ghiaccio che circondava Denrise nei mesi più freddi.
    Ci fu un attimo di esitazione, il pensiero e l'idea di cercare qualcun altro ben più predisposto di quell'orangotango troppo cresciuto, e poi un timido sbuffo che le abbandonò le labbra.
    Destino amaro abbraccia gli stolti che ignorano gli indovini.
    «Posso solo immaginare a cosa tu stia pensando, predone, ma se non vuoi aiutarmi, ti sconsiglio con tutto il cuore di dirmelo in questo modo».
    Riprese a parlare con una calma spettrale a dare colore alle sue parole, la stessa del mare prima di essere colpito da una tempesta; e se del primo mostrava il controllo, della seconda avrebbe potuto mostrare la violenza.
    «Quindi, vuoi aiutarmi o preferisci restartene a bere questa birra annacquata?».
    Il locandiere sbuffò e fece per dire qualcosa, a Marina bastò un'occhiata al vetriolo per metterlo a tacere. Poi, con la stessa naturalezza, rivolse un tacito sorriso a Eirikr.
    Tra le mani, tese come le corde di una drakkar, si trovava ancora la scatola in legno, ultima protettrice delle tanto delicate lenti. Ultima protettrice, tra l'altro, della pazienza della druida.


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    Eirikr J. Donneville
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    Eirikr e le buone maniere avevano una relazione tormentata da sempre: se da una parte aveva sempre provato a lavarsi via di dosso la sua scorza da Denrisiano, burbera e dura, d’altro canto era un tipo che non amava i convenevoli e preferiva sempre essere diretto e deciso, a costo di non sembrare troppo delicato, piuttosto che tergiversare. Infondo il mare gli aveva insegnato un linguaggio più pratico che imbellettato e lui non era di certo uno di quei damerini da città con cui aveva avuto a che fare a Parigi, e che tanto gli davano sui nervi.
    Certo, continuava a negare la sua natura di figlio di Denrise, continuava a disprezzare quella cittadina ed era evidente che, almeno in parte, fosse diverso dagli altri abitanti, soprattutto rispetto ai predoni che popolavano il porto. Quell’aria di smarrimento, l’aura di uno che forse non apparteneva del tutto a quel posto, erano entrambi elementi che lo perseguitavano ovunque e che lo costringevano a sentirsi, puntualmente, in equilibrio sul filo del rasoio.
    Da un lato il richiamo del mare era difficile da ignorare, faceva parte di lui, di tutto ciò che aveva sempre conosciuto, e dall’altro quel posto rimaneva lontano dai suoi progetti, una realtà dalla quale continuava a volersi distaccare senza mai riuscirci del tutto.
    Ci aveva provato, con Parigi, e per qualche strana ragione quella ragazza le ricordava, in minima parte, quello che la città aveva rappresentato per lui a suo tempo: esotica, strana, curiosa ma comunque troppo distante da lui perché potesse capirla fino in fondo. Un suo sopracciglio folto scattò verso l’alto, mentre il ragazzo inclinava la testa con tutta la calma del mondo, come se i vestiti zuppi non lo infastidissero affatto. Dopotutto, lui, con l’acqua ci aveva a che fare quasi ogni giorno.
    “Non ho mai detto di non volerti aiutare.” le fece notare con semplicità, stringendosi appena nelle spalle e infilando di nuovo le tasche nelle mani. Non avrebbe dovuto sentirsi troppo urtato dal suo atteggiamento, dopotutto non era certo il difensore di quel posto e della sua dignità, non aveva niente da perdere, eppure non capiva la ragione del suo atteggiamento.
    “Oh beh non è la birra migliore che tu abbia mai assaggiato, ma non è così male. Non è comunque urgenza di berla ora.” rispose poco dopo, indicando poi con un rapido cenno col mento la scatola che portava tra le braccia. “Ma se posso dare un consiglio eviterei di tenerla in quel modo: stai attirando più occhiate di quanto immagini.” buttò lì, accennando anche un mezzo sorriso alla fine, parlando sempre con leggerezza, come se avesse appena fatto un’osservazione sul lunatico tempo denrisiano.

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    Marina Stonebrug
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    L'umidità gravava sui due, pesante come la carcassa di un leviatano. Marina, nata nel grembo più selvaggio di quell'isola, aveva ben presto appreso come adattarsi a queste temperature, arrivando addirittura a sfruttarle nel momento del bisogno. Stesso approccio, speculare come il riflesso di un corpo sul dorso di una lama, era stato adottato con i modi dei Denrisiani.
    Non che lei sapesse essere da meno, si intende.
    Se quel ragazzo non avesse avuto uno scopo ben preciso, non si sarebbe fatta troppi problemi a schiantarlo nel momento opportuno. Era quello il bello della magia: non serve avere muscoli o stazza, ma solo prontezza di riflessi e fermezza di spirito. Marina aveva entrambi, eppure questa volta anche Eirikr non parve essere da meno.
    «Ti ringrazio».
    Soffiò, tingendo di malizia le ultime lettere di quel paio di parole. Gli occhi a risalire il fisico del predone, per fermarsi solo quando gli sguardi si intrecciarono l'uno con l'altro.
    Sporse il busto poco più in avanti per colmare le distanze, la sola scatola di legno a separarli. Dunque il peso andò a bloccare le punte dei piedi della strega permettendole di conquistare in altezza la distanza che separava lo sguardo dei due. Le loro labbra si sarebbero ritrovate così vicine da rischiare di sfiorarsi anche solo per errore, ma non ci furono baci, solo segreti concessi a pochi centimetri di distanza dall'orecchio.
    «Ho un negozio, è mio compito attirare occhiate. Non ti sei chiesto perché ho scelto un bel ragazzo come te e non uno di questi ammassi di grasso, birra, e ignoranza?».
    Fece un passo indietro, sibilina, confidando che ormai fossero le mani di Eirikr a sorreggere il pacco.
    Se così fosse stato, accennando un cenno del capo avrebbe richiesto all'altro di seguirla fuori dal locale dove, tracciando simboli di natura astrale, avrebbe aperto le nubi sopra di loro in modo che la pioggia li risparmiasse.
    Certe conoscenze andavano approfondite da asciutti.
    «In tutto questo, come posso chiamarti?».
    Uno sguardo lento, dal basso in alto.
    «Sei un Predone, giusto?».

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    Eirikr J. Donneville
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    Se non fosse stato per la spiacevole sensazione dei corti capelli appiccicati alla nuca probabilmente non si sarebbe nemmeno accorto del tempo così avverso, del freddo vento che cominciava a tirare, facendo sciabordare con più decisione le onde contro gli scogli. Per quanto Erikir avesse anche provato a scappare a Parigi, a fare la vita da cittadino, il suo corpo era comunque abituato alle intemperie e a tutte le sfide che la vita di un Predone gli metteva di fronte ogni giorno, che gli piacesse o meno facevano parte di lui e quel temperamento gli scorreva nelle vene.
    Ad un primo acchito non le era sembrato che la ragazza fosse di quelle parti, oltre al fatto che era abbastanza sicuro di non averla mai vista prima, doveva aver pensato esattamente quel che avevano pensato gli altri uomini al porto, poco prima: troppo curata e affascinante per essere una Figlia del Mare, come se potesse davvero essere così. Era il primo ad avere avuto a che fare con donne che sapevano guidare una nave almeno con la sua stessa maestria e che, al contempo, erano regine del femminismo e della seduzione, eppure c’era qualcosa in lei di esotico, diverso da quello a cui era abituato.
    Se Denrise era prevedibile e noiosa, ai suoi occhi, Marina sembrava una variabile interessante, anche solo da studiare. Era innegabile come fosse dotata di un certo fascino, e per quanto Eirikr non fosse uno che teneva a legami o pensava a cose serie, aveva gli occhi, un istinto più che funzionante e una propensione naturale a cercare qualsiasi cosa potesse strapparlo dalla sua monotonia, che fosse una notte di fuoco o una belva marina da catturare. Non che ci fosse sempre differenza tra le due cose.
    Alzò un sopracciglio, cogliendo solo in quel momento il suo ragionamento ma senza perdere occasione per dedicarle un mezzo sorriso.
    “Quindi mi hai scelto solo per il mio bel faccino? Ouch.” la prese in giro, impendendo alla cassa di cadere, tenendola con fermezza anche quando la ragazza si allontanò di nuovo, lasciando dietro di sé una scia di profumo decisa e intensa. Non era un pivellino e forse anche per questo riuscì a mantenere una certa compostezza, seguendola senza battere ciglio quando usò i suoi incantesimi per salvarli dalla pioggia. “Non credo di averti mai vista in giro. Sono stato cieco fino ad oggi?” avrebbe quindi domandato, per poi annuire brevemente, un altro mezzo sorriso a segnargli il volto.
    “Eirikr Donneville.” rispose brevemente, e se la ragazza avesse avuto anche solo una vaga conoscenza del luogo non avrebbe faticato a ricollegare il cognome a quello di suo padre, Predone da sempre e famoso quantomeno nel porto di Denrise. “E tu invece, Straniera? Hai un nome?”


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    Marina Stonebrug
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    Fu il modo in cui la scatola scivolò dalle mani delicate di lei a quelle più vissute di lui a farle capire tante cose, distinte, lontane ma vicine, come le stelle che aveva studiato a lungo. Eirikr era un uomo forte, la solidità con cui le sue braccia reagirono al peso improvviso lo rendeva evidente. Eirikr era un uomo di cui si sarebbe potuta fidare, la prontezza con cui aveva accettato il suo fardello era un tacito invito.
    «Che sei anche forte lo sapevi giù. Probabilmente avresti potuto passarti metà locale a braccio di ferro senza spendere una goccia di sudore».
    Fu uno sbuffo a gonfiarle le guance, ora dello stesso colore delle pesche che pregano di essere colte. Durò poco. Il soffio abbandonò le labbra, come una brezza che supera le grotte nel ventre della costa, lasciando dietro di sé solo il taglio di un sorriso.
    «Vedi, Denrise è un paradiso, ma non è l'unico».
    Fece un passo indietro e proseguendo sullo stesso moto si mise in cammino, tenendo le mani cinte dietro la schiena. Il capo a piegarsi, di tanto in tanto, per assicurarsi che bel faccino la stesse ancora seguendo.
    «Sono nata in quest'isola ma quando ho concluso i miei studi in Inghilterra ho deciso di esplorare il mondo. Ho vissuto nei sette mari, studiandone la cultura e le leggi, e dunque ho usato le mie conoscenze per proteggere la natura».
    In tutte le sue forme, persino le più corrotte. Dove arriva la luce, si diramano le ombre. Una verità scomoda, questa, su cui avrebbe sorvolato, almeno per un po'. Eirikr avrebbe percepito che ci fosse anche dell'altro, ma non è nel mistero il fascino dell'esotico?
    «Eirikr».
    Ripeté, seria, con tutta l'intenzione di memorizzarlo.
    «Molti mi chiamano opportunità, in pochi, nel bene o nel male, finiscono per chiamarmi Marina Stonebrug».
    Conosceva il nome dei più grandi predoni perché lì, dove si celano le opportunità, la sua memoria non vacilla mai. Eppure, non ricollegava quello di Eirikr a nessuna impresa.
    «Anche tu hai preso parte alle recenti spedizioni? O te ne sei tenuto alla larga?».
    Un sorriso a metà bocca avrebbe fatto intuire al predone che ci fosse anche un'altra domanda, nascosta tra le righe, e se te ne sei tenuto alla larga, vorresti redimerti?.
    Marina era troppo affascinante per essere una figlia del Mare, forse. Eppure ci si dimentica di come sia questo stesso Mare a spingere uomini a abbandonarsi alle spalle il passato per gettarsi verso un futuro indefinito, seducente, esotico, senza la più pallida idea di cosa ci sia a attenderli.

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    Non era abituato a ragionare troppo su certi dettagli come la sua forza, non era qualcosa di cui si preoccupava spesso. SI poteva dire tranquillamente che avesse lasciato al suo corpo il compito di svilupparsi, e un po’ per via del suo sangue Denrisiano, un po’ per la sua educazione rigida e impegnativa a Durmstrang, aveva finito per sfoggiare un fisico notevole senza nemmeno sapere come ci fosse riuscito. D’altro canto la vita da Predone non faceva altro che accentuare la sua corporatura, e con lo stile di vita che seguiva era difficile nascondere i suoi muscoli.
    Aveva preso la scatola con la cura necessaria, quella che usava anche quando si occupava di creature delicate o delle vele, che di certo richiedevano una certa cura anche da braccia forti come le sue. Ridacchiò alle sue parole, scuotendo piano la testa. “E’ probabile.” concesse alla fine, con una punta di orgoglio, per poi alzare un sopracciglio alla sua affermazione.
    Vedere Denrise paragonata ad un paradiso era strano, lui non avrebbe usato quelle parole nello specifico. Era lì perché non riusciva a togliersi di dosso quello che sembrava un destino già scritto, ma non aveva mai smesso di cercare nuove possibilità. Era ancora lì perché non si era tolto di dosso del tutto le delusione di Parigi, quanto fosse andate male le cose quando aveva provato a cambiare davvero. Non era da escludere che non ci avrebbe riprovato, si trattava solo di accettare il fallimento e andare avanti, e con il suo orgoglio non era sempre facile.
    “Su questo non ho dubbi. replicò a mezza voce, seguendola trasportando la scatola senza fare bruschi movimenti, camminando con passi silenziosi appena dietro di lei, lasciando che controllare ogni cosa.
    La vita della ragazza sembrava affascinante, non proprio quello che Eirikr avrebbe sognato per sé stesso ma di certo entusiasmante. La ascoltò attento, provando a ignorare il senso di inutilità che gli chiuse la bocca della stomaco per qualche istante: perché chiunque sembrava in grado di fare qualcosa della propria vita, tranne lui? Se non altro dalle parole della ragazza traspariva chiaramente come non fosse tutto rose e fiori, ed era anche normale no? Eirikr lo sosteneva sempre che la vita sapeva essere bastarda, anche quando meno te lo aspettavi.
    Inclinò leggermente la testa alla sua presentazione, lasciandosi scappare un mezzo sorriso divertito. “Una premessa lunga… e io ho il privilegio di chiamarti Marina?” domandò diretto, senza mezzi termini, cercando di capirci qualcosa di più: la ragazza aveva qualcosa di particolare che non riusciva a cogliersi, ed era sempre stato difficile per lui rifiutare le sfide.
    Annuì brevemente alla sua domanda. “Non tutte e dipende quali intendi. Un Predone non è mai davvero fuori da nessuna spedizione” osservò, e non era chiaro se fosse contento della cosa oppure no.

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    La natura è un'amante esigente. Marina non si era mai pentita di averla scelta come sposa perché all'altare questa si era presentata senza il minimo di esitazione, pretendendo lo stesso anche dalla Druida, di contro. L'unico divorzio che la sua dolce metà avrebbe accettato era la morte, ma spesso questa altro non era che una semplice pausa.
    Aveva compiuto quella scelta per un ventaglio di ragioni ma il fulcro, l'unica cosa a cui non avrebbe rinunciato veramente, era il modo in cui questa la faceva vinta.
    Marina avrebbe esplorato il labirinto di muscoli di Eirikr, lo avrebbe potuto fare anche lì, davanti al resto di Denrise. Eppure, non le sarebbe bastato, come al naufrago non basta l'acqua di mare per sopravvivere. Divertimento, era questo l'unico nutrimento che avrebbe soddisfatto la sua fame.
    Qualsiasi posto può diventare un Paradiso, basta un angelo che ti faccia toccare le nuvole.
    «Non avrai mai dubbi con me».
    Sibilò di rimando, entusiasta e divertita, incastonando gli occhi del colore del mare con quelli più profondi dell'altro. Amava esplorare sia le grotte marine che le persone, l'approccio cambiava di volta in volta, ma non il piacere delle sorprese.
    «Eirikr, puoi chiamarmi Marina anche ora».
    È un sorriso a anticipare quel segreto che in pochi avevano avuto l'onore di raccogliere.
    «È, al contrario, ristretto il numero di persone che può chiamarmi opportunità».
    Lo sguardo risalì il fisico del predone, temprato dal tempo, teso sotto il peso delle lenti. Lei, di certo, lo avrebbe potuto chiamare opportunità.
    «Ho sentito parlare di certe streghe, devote all'oscuro, che hanno offeso il villaggio aggredendo uno dei nostri capitani. Ne sai qualcosa?».
    Sentire parlare gli altri era sempre un piacere e distinguere il suono della voce di Eirikr, scandita dal suono della pioggia lontano, aveva un qualcosa di affascinante che Marina non avrebbe mai ammesso.
    «O, più in generale, c'è una qualche spedizione in cui vorresti prendere parte?».
    Lei ne aveva più di una in mente. La natura è un'amante gelosa, ma di ampie vedute quando le si presenta un ragazzo degno di attenzione.

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    Eirikr era uno che si affidava spesso all’istinto, e che spesso proprio per questo aveva commesso errori di valutazione. Non era così bravo a leggere le intenzioni delle persone, forse in questo era più un Denrisiano di quanto gli piacesse ammettere, di vecchio stampo per giunta: burbero, distaccato in certi frangenti, ma anche spaccone quando la situazione glielo permetteva.
    Avrebbe sostenuto il suo sguardo, scoprendolo ancora più misterioso e difficile da leggere di quanto poteva immaginare, e anche se non era bravo di suo a comprendere al volo chi aveva di fronte, era abbastanza certo che in quel caso non fosse nemmeno colpa sua. La ragazza aveva un fascino diverso da qualsiasi persona avesse incontrato prima, più simile al fascino di un mare in tempesta, e non aveva idea di che cosa pensare al riguardo: era ovvio che ne fosse attratto, ma al contempo non sapeva come comportarsi, se lasciarsi andare o opporre resistenza.
    C’era da dire che la sua vita era costellata da persone con fascini agli antipodi, e lui finiva sempre per cedere in un modo o nell’altro, anche se sempre impegnato ad affermare il contrario. Una notte di divertimento era quello che avrebbe fatto bene anche a lui, ne era certo, anche se la convinzione che aveva in quel momento sarebbe sfumata, come ogni volta, la mattina dopo. Era ancora un mistero perché una notte non sembrasse mai risolvere i suoi problemi ma, al massimo, portarne di nuovi.
    Inclinò la testa leggermente, seguendo attento i suoi movimenti.
    “Marina. Vedrò di ricordarmelo.” la punzecchiò con un mezzo sorriso, con tutto l’intento di stuzzicarla, come se la donna ne avesse bisogno.
    Non aveva ancora mollato la scatola che portava tra le braccia, e anche se i muscoli erano tesi per tenerla sollevata non sembrava percepire troppa fatica. D’altronde era abituato a ore e ore di navigazione e a tutti gli sforzi che una drakkar poteva obbligarti a fare, non erano certe un mucchio di lenti a preoccuparlo. Si fece più attento alla sua domanda, cercando di sondare il terreno: non si poteva dire che il ragazzo fosse bravo ad evitare i guai, spesso ci si infilava con entrambe le scarpe con un certo entusiasmo, ma di certo quella non era una domanda qualunque.
    “E’ successo di recente, è vero. Non ero presente ma non si è fatto altro che parlarne per settimane, per il porto.” ammise per poi passarsi la lingua sul labbro inferiore. “Forse la domanda giusta è: hai qualche spedizione che possa interessarmi?” avrebbe quindi domandato questa volta, in modo più diretto, perché gli sembrava evidente che la donna avesse qualcosa in serbo per lui o non avrebbe ripetuto più o meno la stessa domanda due volte, no?

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    Marina Stonebrug
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    La notte le aveva sempre portato consigli, e mai pentimenti. Nelle stelle sapeva distinguere una via da percorrere o un sussurro di cui fare tesoro. Tra le lenzuola sapeva godere di ogni momento, consapevole che l'unica costante di ogni risveglio sarebbe stata un ottimo ricordo delle ore vissute la sera prima, e ciò non aveva mai rappresentato un problema. Uomini sposati o angeli da tentare, tanto più forte è la catena, tanto più piacevole è sentire il gemito quando il ferro finisce per spezzarsi.
    A guardarla camminare leggera come una brezza, al punto che le stesse travi di legno su cui premevano i passi sospiravano a stento, nessuno avrebbe saputo dire se Marina stesse valutando o meno di avere Eirikr come compagno in quella gabbia da combattimento che si sarebbe rivelata la sua camera da letto. La verità era più profonda, al piacere di una notte preferiva l'eterno brivido dell'avventura, il sentirsi viva tra anima e pelle, su una Drakkar o scontrandosi contro uno spirito oscuro.
    «Ne sono certa».
    Riempì lo spazio lasciato dal sorriso dell'altro sorridendo a sua volta, le labbra piegate dalla malizia ma anche dal divertimento. Il predone sembrava un uomo di mondo, non il primo ragazzo vomitato dai mari, ma a differenza degli altri denrisiani, oltre ai muscoli sembrava avere anche un cervello.
    «I venti che soffiano al porto percorrono l'intero globo trascinando sussurri e segreti da un capo all'altro del mondo».
    È per questo che anche lei sapeva di cosa l'altro stesse parlando. I remi delle drakkar potevano essere animati per spingere questi capolavori di carpenteria oltre i limiti dello spazio e del tempo, ma solo il vento del cambiamento poteva portare un Capitano a fare la differenza.
    «Cosa sai di preciso? E di quello che è stato fatto, cosa ne pensi?».
    Mani cinte dietro la schiena e passi a guidare l'altro in quel sentiero verso l'osservatorio. Marina non aveva bisogno di tenere sott'occhio la strada che le scivolava sotto il naso e la sua attenzione era totalmente rivolta a Eirikr. Voleva sapere. Voleva sapere cosa l'altro avrebbe fatto se ne avesse avuto il potere.
    «E guerriero, sei un bel ragazzo, lo sappiamo, ma non mi concedo facilmente. Ho certamente in programma spedizioni che potrebbero interessarti, la domanda è se sarà nei miei interessi portarti con me».
    Come ogni tempesta, anche lei andava studiata, conosciuta, domata.
    «Qual è il tesoro a cui ogni denrisiano ambirebbe?».

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    Aveva sempre cercato risposte ovunque, notte compresa. Ogni volta che cercava una distrazione lo faceva in realtà sperando di avere una qualche illuminazione, sperando che la risposta che tanto agognava cadesse dal cielo, come una delle migliori stelle cadenti. Non era ancora successo e lui continuava a sperare, anche se non investiva niente in nessuna di quelle esperienze da una notte, anche se sapeva prima ancora di iniziare che non avrebbero portato a niente di più.
    Non era nemmeno disposto a rischiare di nuovo, aveva già dato e non aveva intenzione di ripetere l’esperienza. Dopotutto le cose da una notte aveva il pregio di non legarlo a niente, e per quanto volesse tanto lasciare l’isola, fin da quando era solo un ragazzo, condivideva con i Denrisiani e gli uomini di male la loro brama per la libertà.
    Se non altro Marina sembrava sulla sua stessa lunghezza d’onda, l’aria si stava facendo elettrica in modo piacevole, abbastanza da sentire i peli sulla nuca tendersi leggermente, mentre lui cercava di intuire con più attenzione quale fosse il suo obbiettivo. Era un gioco per lo più, un modo per tenersi attivo, per nutrirsi della novità che aveva di fronte: si lamentava tanto della monotonia del Porto, si lanciava in missioni pericolose per sentirsi più vivo e ora che aveva di fronte quella ventata d’aria fresca non poteva fare a meno di respirare a pieni polmoni.
    Marina sembrava inarrestabile, delicata e aggressiva al tempo stesso, dava l’impressione di sapere molto bene come giocare le proprie carte e di avere una serie di assi nella manica che non aveva paura di usare.
    “E parlano anche di te questi venti?” avrebbe domandato senza mezzi termini,studiando la reazione dell’altra per poi stringersi nelle spalle, leggermente più attento alle sue parole a quello che stava cercando. Non comprendeva perché tante domande circa quel che era accaduto, come se potesse cambiare qualcosa o come se la sua opinione fosse così rilevante.
    “Ho ascoltato i racconti che il vento che tanto ami ha portato con sé, ho sentito parlare di Cora, delle Sorelle, del loro desiderio di vendetta ma i denrisiani sanno essere accorati quando si parla dell’orgoglio della loro casa e non è sempre facile valutare. Cosa penso di quel che han fatto? Hanno combattuto, con onore, nessuno si sarebbe tirato indietro o avrebbe potuto fare altro, nemmeno io.” avrebbe ammesso stringendosi nelle spalle, seguendola senza fiatare ma comunque i sensi sempre meno rilassati di quanto avrebbe voluto dare a vedere, forse anche perché in quel posto si sentiva di certo meno a suo agio che sulla sua tanto odiata Drakkar.
    La sua domanda lo avrebbe portato a corrucciare le sopracciglia. “Ambire? I Denrisiani non ambiscono, se hanno la protezione del Mare e il suo favore non c’è altro che potrebbero desiderare.” le fece notare con leggerezza, lasciando che lo sguardo vagasse davanti a sé e da come aveva parlato era evidente che lui non si sentisse parte di tutto quello, anzi era abbastanza sicuro di essere nato nel posto sbagliato perché lui con quella filosofia di vita non c’era mai andato d’accordo.

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    «Quei venti parlano anche di me, certo, ma tu sei sordo e non li hai ancora ascoltati. O magari sei un abile attore e sai già se questi annunciano bonaccia o tempesta, e vuoi solo goderti lo spettacolo».
    Un sorriso elettrico incurva le labbra carnose, assorte.
    Con una fatica che eguagliava quella degli schiavi che trascinavano le drakkar sulle spiagge per pulirne la stiva e completare l'inventario, Marina spinse lo sguardo all'orizzonte in cui, robusta e solida come lo sguardo d'Odino, si stagliava la torre dell'Osservatorio. Aveva sposato quel luogo e avrebbe giocato a carte la sua stessa vita se fosse servito, eppure in quel momento l'idea di staccarsi dall'altro le pesava. Diversi passi sarebbero ancora dovuti trascorrere prima che i due fossero finalmente, o forse no, arrivati.
    Come il ferro chiama a sé il fulmine, gli zaffiri della Druida calarono ancora una volta sul Predone. Una curiosità sporca di malizia a macchiarle lo sguardo.
    «Cosa hai sentito di Cora? E cosa sai delle Sorelle?».
    Voleva sapere, assaporare ogni goccia di conoscenza dell'altro. Tutte le fibre del suo corpo presero a gridare in preda all'eccitazione, un fuoco su cui Eirikr aveva appena versato benzina. Il più triste dei fardelli è l'ambizione, un incendio che brama solo di crescere, per distruggere prima i nemici e poi la persona che ha dato vita alla prima scintilla.
    «Una folle, la Delaine, o forse un genio. Ci vuole coraggio e pazzia per fare ciò che ha fatto».
    Le pupille dilatate nel blu delle iridi si fecero languide, la voce di miele, il messaggio più oscuro.
    Non le interessava minimamente della donna che aveva impugnato Excalibur e le cose sarebbero cambiate solo e soltanto sé la stessa avesse avuto tra le mani la più letale delle spade, o per lo meno qualcosa di abbastanza mortale da risultare degno di desiderio.
    È un istante ma quella tensione e elettricità viene spezzata da un raggio di luce a ciel sereno, le stesse parole del predone.
    «I Denrisiani non ambiscono, se hanno la protezione del Mare e il suo favore non c’è altro che potrebbero desiderare».
    Ripete la frase, parola dopo parola, asciugandola di colore e scherzo. Era incredibilmente seria.
    «Ma mai nessuna persona che si rivede perfettamente in un gruppo parla di questo come se fosse qualcosa a sé».
    I passi rallentarono fino a fermarsi.
    «Non voglio sapere a cosa ambisce un denrisiano, voglio sapere a cosa ambisci tu, Eirikr».


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    Di certo l’altra non le mandava a dire, sembrava ben consapevole del potere delle parole e come utilizzarle al meglio. “O forse non li ascolto proprio tutti, non mi piace rovinarmi le sorprese.” avrebbe replicato, sentendosi comunque meno pronto e immediato di quanto non fosse lei, come se la sua stessa mente si rendesse conto di quanto avesse già perso in partenza.
    Perché finiva sempre per sentirsi un idiota in momenti come quello? Gli pareva di non riuscire a tenerle testa a dovere, anche se aveva intenzione di continuare a fingersi sicuro di sé e convinto di ogni singola mossa perché non c’era dubbio che avrebbe mostrato anche il minimo tentennamento. Se non altro sapeva di avere dalla sua parte un faccino niente male e due occhi che sapevano essere profondi quanto il mare in tempesta, che non sapeva sempre usare al meglio ma che spesso riuscivano ad ottenere grandi risultati senza che lui avesse grande bisogno di impegnarsi.
    Quando l’altra tornò a guardarlo negli occhi gli sembrò ancora più evidente quanto quel discorso la incendiasse, quanto fosse presa dall’argomento, quanto bramasse nuove informazioni. Voleva dargliele? Non era nemmeno sicuro che fosse un’idea saggia, ma d’altro canto non era in possesso di nessuna notizia che non avrebbe potuto reperire altrove, insistendo un po’.
    “So che Cora ha coraggio da vendere, e una mente abbastanza brillante da potersi considerare folle. So che non sembra intenzionata a fermarsi davanti a nulla, e che le sorelle sono riuscite a tenere testa a druidi e combattenti scelti. Mi chiederei scelti da chi, ma conosco alcuni di loro e sono abbastanza sicuro che non siano portati a lasciarsi battere facilmente. E so che qualsiasi Cora abbia in mente, per quel che mi riguarda, questo è solo l’inizio.” spiegò , lasciando che l’altra potesse nutrirsi delle sue parole, attento a comprendere che cosa potesse mai trarvi.
    Sembrava conoscere bene le vicende di cui stavano parlando, perché insistere nel chiedere altro? Perché la sua non sembrava una voce intrisa di rabbia o vendetta ma forse un briciolo di ammirazione? Si chiese se fosse una di loro, se fosse addirittura una delle sorelle, e sentì i suoi sensi tendersi, attenti, cercando di coglierne ogni dettaglio.
    Non si sentiva a casa a Denrise, anche se era nato e cresciuto lì, ma da lì a volerla vedere distrutta da una pazza come la Delaine ce ne passava. Non si era mai chiesto se sarebbe riuscito a permetterlo, se vedere la sua terra natale spazzata via avrebbe risolto i suoi problemi, ma non era sicuro di essere pronto ad accettare la risposta.
    Di certo Marina sembrava bravo a leggerlo, e c’era anche da dire che lui non si stava nascondendo granchè. Questa volta toccò ad Eirikr distogliere lo sguardo e portarlo all’orizzonte, sbuffando una mezza risata. “Domanda di riserva?” avrebbe domandato con leggerezza, glissando abilmente.


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    «Il cuore di un'avventuriero, temo, forse un Tuono Alato?».
    Quando la brezza riprese a soffiare, un vento caldo animò le parole della druida, lo stesso che sa dare forza ai marinai più provati dalla morsa dell'Inverno. Qualcuno avrebbe potuto additarla come una seduttrice, una mantide religiosa alla ricerca di un partner di cui cibarsi, altri ancora come una strega priva di vincoli esterni, un uragano che non poteva essere trattenuto. Marina si sarebbe astenuta dal commentare sia la prima che la seconda ipotesi, ben consapevole di come entrambe celassero del vero.
    Le sue parole erano brezza, aria priva di mura in grado di domarla, pronte a insinuarsi nella carne del prossimo. I più forti resistevano, i più deboli venivano spezzati. L'istinto sbagliava raramente e questa volta le stava suggerendo che Eirikr appartenesse alla prima delle categorie.
    E fu proprio per dar voce al proprio intuito che proferì il resto delle sue parole.
    «Ilvermorny è una scuola magica interessante».
    Voleva sapere, arrivare al nocciolo della questione, scavare nella sabbia dei fondali oceanici e stringere il forziere del tesoro. La storia del Predone era un libro e lei avrebbe divorato ogni singola pagina. Ilvermorny? O magari un'altra scuola? esperienze a Denrise o anche oltreoceano?.
    «Storie interessanti da udire, figuriamoci da vivere. Non ti sembra di trovarti di fronte a un pregiato taglio di carne cucinato da uno chef alle prime armi? Senti il profumo, viaggi con la fantasia sulla sua storia, ma quando la tua lingua sfiora la portata scopri di esserti perso una grande occasione».
    Rimpianto o delusione, un bivio che anche il meno navigato dei predoni si era trovato ad affrontare più di una volta.
    Una scelta da compiere e, a giudicare dalle parole che vennero pronunciate poco dopo, Eirikr sembrava aver già scelto.
    Nello sguardo di Marina non avrebbe percepito sotterfugio o menzogna, non si trattava di una Sorella o di una terrorista, ero solo una strega ambiziosa, priva di scrupoli o povera di limiti morali. Viveva in funzione del cambiamento ed era per questo che sapeva essere una calda brezza, ma anche un vento abbastanza solido da spostare una qualsiasi Drakkar, persino quelle arenate, come Eirikr.
    «Non fare il timido».
    Le calde falangi a sfiorare la mano del predone, in un invito a parlare, lasciando ogni ancora del suo passato libera di affondare in un mare che non lo avrebbe più considerato suo prigioniero.


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