If opportunity doesn’t knock, build a door.

@Marcus

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    Lilith Clarke
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    Non basta scopare bene per essere una coppia.
    La risposta di Marcus la stupì e non poco. Probabilmente le sue labbra che si aprirono a disegnare una O perfetta, lo dimostrarono esplicitamente. Era strano che quel ragazzo volesse fare l'auror, non perché non lo riteneva in gamba, ma perché era una strada davvero tanto in salita che pochi sceglievano. Sorrise appena, spostando un riccio dietro l'orecchio che venne scoperto appena mostrando l'orecchino che aveva alla parte superiore dell'orecchio destro «Quindi saremo colleghi, dopo Hidenstone.» - disse appena, come se fosse un incoraggiamento a fare il meglio che potesse, per raggiungere la sua meta il prima possibile. E lei? Che stava facendo con quell'obiettivo che aveva? Lo aveva dimenticato? Aveva perso la sua strada? Il suo obiettivo era rimasto fisso lì, dove lo aveva lasciato e stava perdendo tempo, stava perdendo la concentrazione. Era distratta dal raggiungere quell'obiettivo che tanto ambiva.

    La riccia sembrava davvero interessata a conoscere i suoi gusti musicali, quasi curiosa di vedere se qualcosa in comune ci fosse anche nella linea musicale. Effetivamente erano piuttosto distanti, ma il suo paragonarsi a Picasso la fece sorridere, dimenticando di quanto i generi da lui seguiti, fossero lontani anni luce dalle melodie che lei stessa produceva. Annuì a quelle parole «La musica segue un percorso, cresce, si modifica e va per la sua strada. Esattamente come noi. A volte torna indietro, per riprendere quello che per strada aveva lasciato...» - fece una pausa. E se fosse tornata anche lei a riprendere ciò che aveva lasciato alle sue spalle? Probabilmente non sarebbe stato lì, doveva fare i conti anche con quell'eventualità.

    Quando Lilith propose a Marcus di andare con lei, notò la sua perplessità e si morse il labbro, come se in quel momento si fosse sentita sbagliata. Chinò il capo, prendendo a giocare con l'angolo della copertina del proprio libro, che non aveva aperto per niente, complice quella chiacchierata inaspettata. Tuttavia, la risposta affermativa del primino, le fece risollevare il testino riccio e guardare il giovane. Sorrise appena, compiaciuta di non rimanere da sola, di nuovo, a fare i conti con il suo silenzio. Tirò un respiro profondo e poi venne distratta dal cenno di lui. «Mh?» - seguì lo sguardo di Marcus e si ritrovò ad incrociare quello di Ludmilla «Non mi importa di lei. Sarebbe capace di seguirci pur di inventare qualche storiella divertente.» - l'ironia si fece spazio, a calci, nella sua voce. Quindi si alzò e, anzi, per un attimo tornò la Lilith del primo anno: attese Marcus che la seguisse e poi passò accanto alla studentessa «Buona giornata Ludmy» - disse, con un sopracciglio alzato e un accenno di strafottenza.

    Fuori dalla biblioteca, Lilith prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi come se fosse stata fino a quel momento in apnea.
    «Uff...» - sospirò appena, quindi, per poi riaprire lo specchio dei suoi occhi a guardar Marcus «Sei pronto?» - disse con un sorriso accennato, per poi fargli strada verso uno dei corridoi del quarto piano dell'Accademia, quello che portava alla stanza che Lilith adorava particolarmente, quella delle necessità.
    «Sai, non avevo voglia di restare sola. Il silenzio fa tanto rumore, a volte. E non è questo il momento in cui voglio ascoltarlo.» - ammise, quasi come se si fosse tolta un peso di dosso, veramente pesante. Sorrise appena al primino, quindi prese la bacchetta e con decisione proferì la forumla dell'Incantesimo di Apertura, davanti al grande portone.
    La stanza si aprì e una volta dentro, avrebbe fatto segno a Marcus di entrare. L'aria di chiuso si respirava ancora e il camino spento era esattamente dove lo ricordava.
    «Bentornata, signorina Clarke. E' da molto tempo che non ci vediamo.» - la voce gentile e bassa del pendolo, custode della Sala, accolse i due studenti «Oh, è in compagnia, a quanto pare. Cosa desidera, veramente, quest'oggi?» - Lilith sorrise appena, quindi nella stanza apparvero due poltrone, di quelle comode, vicino al caminetto con al centro un tavolino basso e un paio di libri sopra, letture disparate.
    Dietro ad una delle poltrone, una valigetta dalla forma ben riconoscibile di un violino, poggiata lì, sullo schienale.
    «Questo è il posto dove mi rifugio di solito. Un'ora dove posso creare il mio mondo e non farmi trovare da nessuno. Ci sei mai stato?» - domandò, lasciandosi cadere su una delle poltrone.
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    Colleghi, sì. - Le sorrise gentilmente, senza darci troppo peso. Era difficile dire se sarebbe stato veramente così, per chiunque dei due. Lo sperava per entrambi, però. Non aveva motivo di non augurarle buona fortuna, in quel modo un po' impacciato.

    Le parole di Lilith sembravano intenzionate a trarlo in pensieri più profondi di quanto desiderava in quel momento. Le parole di Marcus, seppur potessero sembrare ben pensate, erano molto più sentite e istintive di quanto si potesse pensare. - Come noi, eh? - Commentò sovrappensiero, con un filo di voce, ma si scosse da quella trance in fretta per evitare di estraniarsi dall'altra. La questione Ludmilla lo fece quasi sogghignare, e riuscì a trattenersi dal riderle in faccia da quella che era una beffa in piena regola verso la pettegola. Anche se, doveva ammetterlo, vederli uscire insieme poteva sempre generare qualche voce. Di cui si sarebbe preoccupato, se solo si fosse impicciato un po' prima della vita sociale degli altri. Ma in quel momento, erano solo possibili voci che non avevano ancora visto la luce, e che era certo sarebbero state di poco conto, ininfluenti. In ogni caso, aveva di meglio da fare che badare a quello. Senza contare che, al momento, stava solo cercando di capire dove la Clarke lo stesse cercando di portare. Era ancora un po' incerto sul seguirla, ma non importava, aveva preso la sua decisione, anche solo per rignraziarla.

    Quando furono fuori dalla biblioteca, il sospiro del prefetto spostò la sua attenzione sulla sua figura, squadrandola attentamente. Rispose annuendo alla sua domanda. - Sì, fai pure strada.

    Percorsero quei corridoi per arrivare ad un luogo che Marcus conosceva, ma in cui non si era mai sentito di entrare. Non sapeva se il motivo fosse la paura di scoprire di cosa avesse bisogno, o se solo non sentisse il bisogno di farlo. Era strano, per uno con la sua curiosità. Quella volta, quindi, era ufficialmente la prima volta che entrava di sua sponte lì dentro. Le parole della Dioptase lo fecero intenerire, per un attimo, ma anche stranire. - Non c'è problema, a volte uno sconosciuto è la persona migliore con cui parlare. Quella stanza vuota, che aveva solo un oggetto di cui aveva sempre sentito parlare, si trasformò dopo una breve conversazione col pendolo, arredandosi di due sedute, un tavolino basso, qualche passatempo e, cosa che atirò l'occhio, una custodia di violino. Tutto il resto sembrava di circostanza, ma quello no. Ripensò alle descrizioni della stanza, a ciò che aveva sentito. - Non sempre è ovvio quello di cui si ha bisogno. - Era per quello che parlava tanto di musica, che si era interessata così tanto? Osservò la ragazza sedersi, e fece lo stesso nella seduta opposta alla sua. Le parole furono, di nuovo, di domanda. - Questo è il posto dove mi rifugio di solito. Un'ora dove posso creare il mio mondo e non farmi trovare da nessuno. Ci sei mai stato? - Scosse la testa, sorridendole. - Non ti biasimo, sembra davvero rilassante. Io no, non ci sono stato, non finora, almeno. - Si guardò di nuovo attorno, come a voler assorbire la vista di quel luogo. - Non mi sono mai incuriosito troppo, in realtà. - Gettò di nuovo lo sguardo verso di lei, curioso - Quindi tu vieni sempre qui quando vuoi stare da sola? - Mosse poi lo sguardo verso la custodia di violino, certo che fosse la domanda giusta da fare. - Per caso, anche quello fa parte dei tuoi momenti solitari?

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    Marcus Ainsworth - Dioptase - 16 anni - Scheda - Stat.
     
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    Non basta scopare bene per essere una coppia.
    Per Lilith, in quel momento era come se fosse tornata indietro di anni, come se stesse conoscendo per la prima volta quella scuola e le persone che vi erano dentro. Stava ricostruendo tutto quello che aveva buttato giù, lasciando scoperte delle ferite, come se la coperta fosse troppo corta per poterle accogliere tutte. Parlare con Marcus la stava aiutando a capire come poteva rialzarsi, come ogni cosa mutava e prendeva una forma diversa, esattamente come la musica... esattamente come loro. Abbozzò un sorriso, arrossendo appena, alle sue parole, quindi annuì. Loro erano proprio come note su un pentagramma, come chiavi di violino che aprivano sempre una strofa nuova. Ogni cambiamento di ritmo era segnato, un passo in avanti in quella vita che stavano costruendo. Erano uno spartito Jazz, forse? Un imprevedibile ritmo che passava dall'adagio all'allegro, senza che loro decidessero realmente che piega prendere, se non quella imprevedibile che la vita metteva davanti.
    Al saluto della Prefetta, Ludmilla sembrò sobbalzare, come se si fosse sentita scoperta nello spiare i due Dioptase. Spinse sul foglio la matita che aveva in mano, rompendone la punta e Lilith la guardò con la coda dell'occhio, con un sorriso appena appena strafottente. Su quello era ancora capace di essere la solita Lilith Clarke, quella che amava mostrarsi incurante degli altri.
    L'unica differenza era nel fatto che prima le riusciva con più facilità, fare la stronzetta, adesso ci aveva messo un po' di più, come se i pensieri che le affollavano la mente, fossero fin troppo pesanti rispetto al resto.
    E il sospiro fuori dalla biblioteca lo dimostrava.

    Quando giunsero in quella stanza che all'apparenza sembrava non avere nulla di particolare, Lilith respirò un'aria familiare. Chiusa la porta alle loro spalle, sentì quasi lasciar lì fuori il peso del problema. Sicuramente non l'avrebbe dimenticato e non sarebbe sparito, ma forse - lo sperava - per un'ora sarebbe stata molto più leggera.
    Alle sue parole lo osservò appena, ma non commentò niente, quasi a voler ponderare bene sul motivo che l'avesse spinta a chiedere la sua presenza lì, dove si lasciava andare ogni volta che il mondo le pesava sulle spalle.
    Quando la stanza ascoltò i suoi pensieri, probabilmente pescò anche il ricordo di quel violino, che aveva lasciato scappare poco prima nella sua testa, parlando di musica.
    Non aveva fatto caso alla custodia, posta alle spalle della sua poltrona e per il momento, presa dalle parole di Marcus, non ci avrebbe pensato.
    «Qui costruisco il mio mondo. Quel mondo in cui fuggire e che per un po' di tempo è esattamente come lo desidero io.» - sorrise, accarezzando la poltrona e rannicchiando le gambe sotto il sedere, mentre gli occhi si chiudevano appena e respirava quell'aria di serenità.
    La testa si mosse a confermare la sua supposizione «Sempre. Quando quella porta si chiude, ci sono solo io e i miei desideri che prendono forma.» - sembrava quasi la lampada di Aladino, detta così, eppure era una sorta di genio della Lampada, quel pendolo che aveva ascoltato il suo bisogno.
    Seguì lo sguardo di Marcus, corrucciando la fronte e si sporse dalla poltrona per vedere quella custodia. Sgranò gli occhi e un sorriso malinconico si disegnò sul volto della metamorfa «Farah.» - mormorò allungando una mano verso la custodia e afferrando il violino. Portò l'involucro sulle gambe e lo accarezzò «L'ho abbandonato nel momento in cui ho iniziato Hidenstone... rompendo la promessa che avevo fatto a mio padre, quella di diventare una brava violinista. Farah. Avevo dato un nome al mio violino...» - un sorriso rimaneva stampato sul volto di Lilith «Conosci la storia di Dorian Gray, Marcus?» - chiese la ragazza, sollevando poi il vetro dei suoi occhi, a guardare il volto del ragazzo.
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    Il ragazzo non riuscì a fare a meno di ritrovare una posizione, dopo qualche minuto, in parte in imbarazzo per quella situazione improvvisa. Era divertente, in un certo senso, ma era anche estremamente strano. Solo ora si era fermato a chiedersi come mai avesse acconsentito. La risposta prevalente del suo animo era gentilezza, ma sembrava che il volersi distrarre facesse parte dei motivi. Se c'era altro, non ne era certo, ma quelle due erano le emozioni principali.

    Erano state le parole di risposta di Lilith a riportarlo fuori da quei pensieri, che non potè evitare di ascoltare. Diceva che era lì che costruiva il suo mondo. Lo capiva, quella stanza che poteva materializzare tutto, anche solo per poco tempo, aveva un appeal unico. Un appeal che, però, per uno come lui non era lo stesso. Lo incuriosiva dal punto di vista magico, ma non da quello umano. Quella stanza, per lui, poteva essere oggetto di ricerca, ma mai di puro piacere, almeno in quel momento. Di conseguenza, le aprole che uscirono dalla sua bocca per andare verso la ragazza furono stranamente dirette, ma aspettò a pronunciarsi, fino alla fine del discorso. - Perchè non te lo costruisci fuori da questa stanza? - Il commento gli era uscito naturale, ma questa volta era ben pensato. Non si fermò, infatti, ma continuò a spiegare. - Gli obiettivi che ci poniamo sono irrealizzabili solo in due casi: se ti arrendi, e se muori. - Questa era una filosofia che aveva appreso dai genitori. Le situazioni di estremo pericolo erano sempre dietro l'angolo, e per sopravvivere serviva ingegno e abilità, e anche una buona dose di fortuna, a volte. Ma soprattutto, volontà. Se il desiderio di sopravvivere, o di raggiungere il proprio obiettivo è abbastanza forte, i limiti possono essere superati. Certo, a volte ci sono dei muri insormontabili anche così, ma a volte si abbassano di quei pochi centimetri che servono per poterli scalare. Annuì poi verso la ragazza, mentre prendeva il discorso di nuovo in mano. - Il dipinto che invecchiava al posto del padrone. - Incrociò le braccia, alzando lo sguardo verso il soffitto, cercando di ricordare meglio. Doveva ammettere che la storia lo aveva interessato il giusto, forse perchè riteneva difficile interfacciarsi con il protagonista. - Quel quadro finiva distrutto da lui stesso. Un suicidio, in pratica. - Soddisfatto del brevissimo sunto, riportò gli occhi su quelli dell'altra. - Cos'è, vuoi fare che il tuo violino invecchi per te? - Nonostante l'espressione seria dell'altra, non riuscì a fare a meno di fare quella battuta e di ridere in maniera leggera, per poi rivolgerle un sorriso sincero. - Ricordo qualcosa, comunque. Perchè? - La curiosità si fece di nuovo spazio nella sua espressione e, soprattutto, nel suo sguardo.

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    A Lilith, parlare con Marcus sembrava stesse facendo un effetto lenitivo. Un effeto che non era atteso da parte della Prefetta, ma che in quel momento apprezzava in maniera sublime, quasi come se si stesse cibando di quella sensazione di pace e tranquillità che le stava dando quel confrontarsi con lui.
    Era strano come un estraneo potesse darle quel tipo di emozioni, eppure era come se fosse la cosa giusta, passare del tempo con lui in quel momento. Un po' come se fosse lo specchio della sua coscienza che la metteva innanzi a pensieri che non sarebbe riuscita a formulare da sola.
    La domanda di Marcus fu interessante, tanto che prima di rispondere dovette pensarci un po' su. Si morse il labbro, pensierosa «Non lo so. E' come se quando uscissi da questa stanza, sentissi i riflettori puntati su di me. Qualsiasi cosa io faccio, soprattutto dopo... » - si fermò appena e iniziò a giocherellare col bordo della gonna della sua divisa «... soprattutto dopo Halloween del duemiladiciannove.» - era strano come le fosse uscita quella frase. Insomma, sembrava non ci pensasse più, ed invece sentiva il peso di quella situazione vissuta come se fosse ancora dietro l'angolo. Sorrise timidamente, risalendo con lo sguardo al suo volto, un pochetto imbarazzata.
    Non potè contraddire quello che disse successivamene, tuttavia «La strada per diventare auror e quella per dedicarsi allo strumento, sono entrambe molto in salita e spesso le due cose collidono. Quando suonavo, lo studio del violino e quello della scuola erano spesso in contrasto tra loro, tanto da dover decidere da che parte stare.» - ammise con sincerità, seppur riconosceva che quella custodia le mancava come l'aria. Forse era uno di quelli strumenti utili a fuggire dalla realtà.
    Sì, annuì ancora al ragazzo col capo e i ricci che si mossero appena, molleggiando su loro stessi. Rise appena alla domanda «No, questo mai. Dorian aveva incatenato la sua anima a quel quadro. Beh, questo violino, ogni volta che lo suono è come se mi svuotasse di una parte di me.» - aprì lentamente la custodia di Farah e lo tirò fuori, carezzandone il legno «E' come se strappasse tutte le parti marce e le trasformasse in note. Non so se sia possibile, ecco, però ho sempre pensato fosse così. Quando suonavo le note prendevano il ritmo di quel che mi passava per la testa. Avrei potuto continuare per ore, fino a svuotarmi completamente e ricominciare come se ciò che mi affligeva fosse stato sdradicato completamente. Non so... non so se mi spiego, ecco.» - era quella la motivazione che l'aveva spinta ad accumularlo al quadro del libro «Pensi sia possibile? O che sia pazza?» - il tono si fece un tantino ironico sull'ultima parte della domanda, sollevando gli occhi al cielo con un piccolo scrollare il capo, ridendo appena.

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    Marucs soppesò le parole della ragazza. Non capiva benissimo cosa intendesse, anche perchè non ne conosceva le esatte circostanze. Già il fatto che fosse un prefetto era una possibile spiegazione, in fondo dovevano occuparsi di molti più aspetti rispetto ad un normale studente. Il pensiero però fu chiaro, o meglio aggiunse il chiodo al punto giusto. Cos'era successo in quel giorno? Non era ancora a scuola, ovviamente, in quel periodo, e non era nemmeno sicuro di aver sentito niente al riguardo. Forse si era solo fatto sfuggire l'informazione.

    Annuì quando Lilith gli spiegò perchè non era riuscita a continuare a studiare quello strumento che in realtà tanto sembrava amare. Poteva capire il sentimento, e lui stesso non aveva avuto intenzione di dividere le sue attenzioni, ma lo percepiva come un peccato. Sebbene fosse convinto che non fosse una scelta sbagliata, lui stesso non aveva avuto mai passioni troppo approfondite se non la musica, ma il suo piacere era ascoltarla, non farla. Era ovviamente più semplice di ciò che Lilith avrebbe dovuto fare. Era ovvio che si fosse ritrovata davanti ad una scelta, per quanto potesse essere difficile. - Capisco. - Si strinse nelle spalle, leggermente a disagio, conscio di non poter dire nulla a riguardo. La strada che percorrevano, in fondo, era la stessa, anche se con diversi punti di approccio.

    A toglierlo da quella sensazione, il discorso della prefetto. Era un concetto... Strano, astratto, eppure in un certo senso comprensibile. Provò a tradurlo nei suoi termini, semplici, meno parte dell'immersione dell'altra. - Sfogavi le tue emozioni, no? Non c'è pazzia, credo sia normale. - Se poteva farlo lui ascoltando semplicemente musica e mimando il testo delle canzoni quando era frustrato o triste, probabilmente chiunque poteva provare qualcosa di simile. Non c'era modo che lo trovasse strano, forse era molto più umano di quanto si potesse pensare.

    Sorrise, poi spostò lo sguardo dagli occhi di Lilith alla custodia, mordendosi il labbro per un attimo, dubbioso, esitante. Il suo sguardo ripetè il percorso un paio di volte prima che trovasse il coraggio di dire quello che aveva in mente. - Ti andrebbe di suonare? N-non devi sentirti obbligata, però. - Non sapeva nemmeno perchè avesse fatto quella proposta, a dirla tutta. Forse era solo un modo per aiutarla a distrarsi, o forse era per togliere sè stesso da un attimo di difficoltà, così che anche lui potesse tornare a pensare lucidamente. - Magari ti aiuta un po', e... beh, sono curioso, tutto qua.

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    lilith clarke
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    La semplicità con cui parlava con Marcus era quasi disarmante, come se il ragazzo fosse un ottimo specchio in cui riflettersi e confessare quello che più le annebbiava la mente. Lilith non se ne rendeva nemmeno conto di quanto fosse riuscita ad aprirsi e di cosa stesse affrontando in una sola giornata. Probabilmente sarebbe uscita stanchissima da quella stanza, e da quella conversazione, in particolar modo; una cosa però l'avrebbe notata, non subito sicuramente, ma qualche giorno dopo, riflettendo a mente fredda su quello che era successo lì dentro: stava andando oltre; stava riuscendo ad affrontare ogni punto che le stava ostancolando la strada e stava trovando soluzioni che nemmeno lei sapeva di poter avere a portata di mano. Tuttavia, sputando fuori tutta quella valanga di storie, si accorse di quanto Marcus potesse esserne all'oscuro, e lei lo stava trascinando in mezzo, senza che lui lo avesse realmente chiesto. Scosse la testa, infatti «Dimentico che probabilmente certe cose non le sai o non sono di tuo interesse, perdonami.» - sorrise, il suo tono era leggermente più disteso rispetto a quando erano in biblioteca, come se quella stanza stesse facendo sentire i suoi effetti sulla Prefetto.

    Marcus rimase in ascolto e forse Lilith aveva bisogno esattamente di qualcuno che la ascoltasse, senza contraddirla, senza iniziare una battaglia come spesso accadeva in altre occasioni con altri attori. Lilith stava tirando fuori l'esigenza di parlare di se stessa, di sentirsi ascoltata e di non dover lottare per far valere le sue emozioni. E Marcus le stava dando questa opportunità, accogliendo le sue parole e dandole anche ottimi spunti di crescita. E a lui stava mostrando un fianco scoperto, un fianco di ci faceva parte quel violino che aveva sulle gambe «Davo un suono a quelle emozioni che mi premevano verso il basso. E ogni singola corda che vibrava ne prendeva un pezzo e lo rendeva musica.» - specificò la Prefetto, sorridendo al primino che le stava facendo una grande compagnia. Il legno di Farah era perfetto, quasi intatto,
    Sussultò appena alla domanda di Marcus, sgranando gli occhi mentre ne guardava il volto «I-io?» - domanda scema, ma che in quel momento non riuscì a frenare, sentendosi spiazzata e imbarazzata allo stesso tempo. Le sue guance, infatti, si tinsero appena appena di un rosato tenue, mentre un sorriso dolce si fece largo tra le labbra della riccia. Guardò Farah e il suo archetto, ne carezzò le forme e poi annuì appena, quindi si alzò, lasciando la custodia vuota sulla poltrona. «Potrei provare a---» - si interruppe, guardando poi con il celeste dei suoi occhi verso l'alto come se stesse pensando a qualcosa, con un sorriso quasi furbo disegnato in viso. In quello stesso istante si posizionò con il violino nell'incavo tra la spalla sinistra e il collo, quindi posizionò le dita e l'archetto e «Sono pronta...» - mormorò, probabilmente alla stanza, mentre una leggera melodia d'ambiente iniziava ad espandersi nell'aria. Un paio di secondi di quella specie di soffio d'aria musicale e partirono le dita a danzare tra le corde, mentre l'archetto scivolava avanti e indietro e il corpo di lei si muoveva come una marionetta gestita dallo strumento. Un alzare ed abbassare di toni, mentre sotto la melodia degli altri strumenti faceva da contorno.

    metamorfomaga
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6 replies since 16/2/2021, 12:10   105 views
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