Make me Wanna...

Olive - Lucas

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    Eppure una volta, la biondina era un essere fin troppo sociale. Almeno così ha sempre creduto, ma in realtà, tutto quel tempo da sola con i propri pensieri deve averla cambiata fin troppo ed ora... giorno dopo giorno, è sempre più sicura di essere forse nel posto sbagliato. Non riuscendo a seguire come vorrebbe le lezioni - semplicemente non ne ha la testa - non comprendo ancora del tutto quel mondo magico in cui non ha trovato posto quando aveva undici anni, figurarsi ora. Troppo legata a quelle cose definite babbane, a tutto il tempo trascorso insieme al semplice vissuto. Motivo per cui di sabato di pomeriggio si ritrova lì al lago, trovato un pezzettino di terra non coperto totalmente della neve candida, eppure capace anche questa di bruciare la pelle come il fuoco, spezzarla e graffiarla. La giacca in pelle è stesa a terra, in modo che ci possa stare tranquillamente seduta a gambe incrociate, le calze autoreggenti che arrivano a metà della coscia pallida e resa più rosea dal freddo, le scarpe con il tacco infilato nel terriccio, il top lasciato in parte scoperto dalla camicia oversize, le braccia come sempre coperte da fin troppi bracciali che ne nascondono completamente la pelle degli avambracci. Tra le braccia, una chitarra. Non è da troppo tempo in quel luogo o probabilmente sarebbe già finita in ipotermia, ma abbastanza per avere le guance arrossate, il naso lucido. Ma le dita funzionano ancora ed è per questo che riesce a pizzicare le corde. Gli occhi socchiusi e puntati su un quadernino, i capelli scompigliati ed ossigenati lasciati sciolti, chinata in avanti scrivacchia sul quadernino lasciato aperto davanti a lei, prima di tornare a concentrarsi sulla musica. «Take me, I'm alive. Never was a girl with a wicked mind but everything looks better when the sun goes down... »la voce esce tranquilla dalle labbra, gli occhi socchiusi per poter continuare a guardare la chitarra acustica che probabilmente ha visto giorni migliori. E appare più stanca del solito, con i capelli che vanno appena in avanti a crearle quasi una tendina a nascondere quel corpo un po' troppo magro, troppo lunghi che arrivano a sfiorare terra con le punte rovinate. Tira appena indietro la testa, togliendosi un po' i capelli dal volto, ma senza smettere di suonare.«I had everything, Opportunities for eternity, And I could belong to the night.» eppure quanto tempo è passato da quando poteva considerare di avere tutto? Fin troppo, tanto da ricominciare senza nulla. «Then your eyes, your eyes..I can see in your eyes, your eyes...You make me wanna die. » e la musica dopo aver decellerato per un momento, torna ad aumentare, nessun plettro tra le dita, lascia che siano i polpastrelli a scivolare costantemente sulle corde. E mugugna appena, senza continuare con le parole, ma solo con le note della chitarra, osservando più attentamente le proprie dita, concentrata in un qualche modo, andando ad interrompere solo per chinarsi ancora una volta. E i giorni in cui era un essere socievole sono sempre più lontani, no?
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    Il lago.
    Uno dei posti che più potevano essere di ispirazione per uno scrittore in piena fase creativa.
    Lucas sceglieva spesso posti isolati per le sue ricognizioni mentali, soprattutto quando arrivava il weekend e la scuola si svuotava quasi completamente di buona parte degli studenti. Anche questa volta aveva deciso di non tornare a Londra, nella sua dependance, solo perché ciò che cercava per mandare avanti il suo libro, non avrebbe potuto trovarlo in quelle quattro mura. Non quella volta, non adesso.
    Il freddo invernale era secco, a Lucas non dispiaceva, si sentiva a suo agio con quella temperatura. In capo aveva il suo solito cappellino, il giubbino di pelle copriva la felpa nera pesante e sotto portava dei jeans dal lavaggio classico, che si infilavano negli anfibi neri che proteggevano dal caldo anche i suoi piedi.
    Ci avrebbe volentieri dormito con quelle temperature, fuori in una radura. Non sarebbe stata una cattiva idea passare una notte fuori, effettivamente, ma la scrittura del libro chiedeva di essere portata ad un buon punto e non poteva continuare a tergiversare, proprio ora che sentiva di poter dare il meglio.
    Camminava verso il sentiero che portava a lago, quando dalla tasca del giubbino fece scivolare il pacchetto di sigarette un po' mal ridotto, dal quale prese un tubicino e lo porto tra le labbra.
    Strinse appena, delicatamente, aspirando mentre la fiamma dell'accendino ne accese la punta.
    Il fumo. Un vizio che non si sarebbe tolto così facilmente.
    Era arrivato quasi alla fine del sentiero, quando all'orecchio gli giunsero delle note di una chitarra. Aggrottò la fronte, tirando ancora dalla sigaretta una buona boccata, quindi allungò il passo, incuriosito da chi stesse suonando in riva al lago.

    Quando giunse a destinazione, riconobbe il colore dei capelli della ragazzina che aveva incontrato in Sala Comune qualche mese prima. Un sorriso appena accennato, dal lato sinistro, si sollevò sul volto di Lucas, mentre si avvicinava a lei. Arrivò alle sue spalle, cercando di fare meno rumore possibile «Insomma, ogni volta che cerco un po' di solitudine, trovo te. Non sarai per caso l'incarnazione della mia solitudine, Livs?» - esordì una volta arrivato nelle sue vicinanze, aspirando ancora una volta dal tubicino di tabacco.
    «Bella canzone.» - disse, facendo qualche passo per spostarsi poco di lato alla ragazza, osservando il lago.
    Non aveva notato sicuramente l'abbigliamento di Livs, preso com'era ad osservare quanto potesse essere rilassante quella distesa d'acqua.
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    No, non si accorge che qualcuno è nei dintorni, tutta presa dalla propria musica, mentre con una mano si sistema la camicia addosso, torna poco dopo a pizzicare le corde, ma il sussulto a quella voce dietro di sé aumenta un po' la forza, mentre di scatto si volta insieme al suono, gli occhi per un momento spalancati.
    «...cazzo.» la prima cosa che dice mentre l'altro parla ancora, già ha le dita sensibili per via del freddo, ed il meglio della mancina viene per un momento portato alle labbra mentre aggrotta le sopracciglia. La mano sulla tastiera non ci ha neanche fatto caso che l'ha afferrata, neanche fosse pronta ad usare la chitarra come la più utili delle armi improprie.
    «Chi sa stare da solo con la propria solitudine è l'unico che andrà avanti.. » borbotta, le sopracciglia ancora aggrottate ed il tono automaticamente ironico, smorsato dal dito che tiene in bocca, forse è il momento di postare la chitarra ed è quello che fa, andando ad infilare le mani tra le cosce e stringerle in esse, tirando appena su le ginocchia, ma continuando a guardarlo dal basso.
    «Tu invece sei l'incarnazione dei miei cazzo di infarti, Lucas?» alza un sopracciglio, arricciando le labbra in un sorrisetto ironico. Ma è il complimento a farle tirare appena una smorfia.
    «Nah, accettabile. E non è finita.» cerca lo sguardo dell'altro nell'ultima frase, come a dire che non è pronta per essere ascoltata. E forse non lo sarà semplicemente mai. Ed una mano scivola fuori dal poco calore della propria pelle, per potersi allungare verso di lui, in ricerca.
    «Mi fai fare un tiro? Le ho finite.» sempre pronta a scroccare insomma.
    «E poi perché non mi spieghi che cazzo ci fai qui di sabato invece di andartela a spassare con qualcuno?» e non si sente troppo a disagio con quel tipo, sarà che è una delle poche persone con cui ha parlato, o il fatto che gli abbia offerto da fumare quindi abbia trovato una strada sicura per un minimo simpatia - per quanto rimanga sempre abbastanza ironica e pungente, neanche fosse un gatto randagio, che sta ancora decidendo se graffiare o avvicinarsi. Lo sguardo perennemente stanco, che va anche posato sull'acqua prima di tornare verso di lui, sul volto altrui precisamente. Ed in qualche modo, potrebbe apparire sempre sulla difensiva.
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    L'esclamazione principesca di Livs fece ghignare appena appena Lucas, certo di essere riuscito nel suo intento: quello di coglierla di sorpresa. Alla fin dei conti, se preso per il verso giusto, Lucas era un simpaticone, no? Forse per i malati di cuore non sarebbe stata una bella cosa, ma per lui era il massimo del divertimento.
    Senza voltare lo sguardo verso di lei, la coda dell'occhio di Lucas si girò ad osservarla, un tantino divertito «Fatta male?» - domandò, come se in realtà non gli importasse niente, ma con un pizzico di interesse celato, facendo cenno con il mento al dito che la ragazzina si era portata alle labbra.
    Quella frase, detta con così tanta leggerezza, lo fece sobbalzare appena. Finalmente il ragazzo si voltò in direzione dell'ossigenata. In quel momento, oltre ad accorgersi della sua chitarra poggiata ormai, notò l'abbigliamento della ragazzina. Aggrottò le sopracciglia, quasi come se fosse preoccupato e si avvicinò. «Peccato che la mia solitudine ha deciso di prendere il raffreddore, oggi.» - disse, con un tono un po' severo, ma comunque gentile.
    Fece per togliersi il giubbino di pelle e si spostò alle spalle di Livs, glielo poggiò sulle spalle e tornò al suo fianco. Questa volta, però si calò per sedersi accanto alla bionda. Non ammetteva repliche alla questione giubbino, pareva abbastanza chiara la cosa. Tirò una boccata alla sua sigaretta, per poi sputare il fumo fuori, con una risata per la sua frase «Può darsi, ad ognuno la propria incarnazione, no?» - il sorriso di sbiego si allargò appena.
    Il tubicino passò di nuovo tra le labbra di Lucas «Per me è bella, anche incompleta.» - affermò, guardandola con quelle labbra sollevate dal lato sinistro. Gli occhi chiari di lui, poi seguirono la mano dell'ossigenata. Ride, Jughed, nel vedere quella ricerca di ossigeno nero che veniva fatta. Gli occhi glaciali risalirono a lei, mentre una sbuffata di fumo venne lanciata fuori poco sopra la sua testa «Sto quasi pensando che ti piaccia fumare ciò che passa prima da me, Livs.» - il suo tono era ironico, per niente infastidito. Si portò la sigaretta alle labbra, quindi tirò ancora un altro po' di tabacco e catrame, quindi avvicinò il volto alla mano di lei, invitandola a prendere quel che richiedeva.
    Dopo aver lasciato la sua sigaretta alla ragazza, Lucas rimase colpito da quella domanda, ma velò la sorpresa con un ghigno «Potrei farti la stessa domanda, signorina. E chi ti dice che io non me la stia spassando?» - domandò sarcastico, con un tono appena appena roco.
    Si schiarì la voce, probabilmente il fumo stava mettendo a dura prova le sue corde vocali «Potrei spassarmela a star solo con la mia solitudine, no?» - e questa volta, c'è da ammetterlo: sottolineo esplicitamente le ultime parole, per stuzzicare la biondina.
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    Alla domanda, aggrotta ancora le sopracciglia, prima di fare spallucce. «Ho le dita sensibili.» con ancora il dito in bocca, ma poi lo abbandona, alla fine è più il freddo a ferirle la pelle che una corda di chitarra: per quella è iena di calletti sui polpastrelli, di chi ormai suona da anni e anni, senza smettere. O senza aver voluto smettere, almeno. Ammettere di essersi fatta male, in un modo più normale, non è chissà quanto nelle sue possibilità. Ma almeno, è un dolore passeggero, che ormai già ha dimenticato. Non si accorge neanche del suo sobbalzare, parla troppo poco spesso con qualcuno per accorgersi quale sia un pensiero che dovrebbe tenersi per sé e quale dire ad alta voce, non trovando un chissà quale filtro, lasciando uscire la voce roca e strascicata senza problemi. Alla fine, della persona che ha davanti sa solo che è un mostratore di uova, a cui piace creare infarti e che le ha offerto da fumare vicino al camino. E che anche lui scrive canzoni, se non ricorda male dai messaggi. «Mh?» lo sguardo interrogativo, prima di alzare un sopracciglio ed arricciare il labbro in un sorrisetto. «Pensavo fosse la solitudine a far ammalare.» evitando così il discorso. Difficile spiegare che di vestiti pesanti ne ha ben pochi e che anche mostrare così sfacciatamente il corpo è solo autodifesa, almeno nella sua testa. Ed anche se difficile, perché dovrebbe spiegarlo? Ma rimane stupita dal gesto, andando una volta che ha il giacchetto sulle spalle a stringercisi un po' dentro, per quanto l'espressione si faccia guardinga per un momento. Ma ricambia il sorriso a quella sua domanda ironica, prima di allungare le gambe e tentare si metterle su quelle dell'altro, facendosi più vicina. «Sia mai che si ammali il mio infarto allora, sempre che non si imbarazzi.» ironica, ci manca poco che gli si metta in braccio insomma se glielo permettesse. «Posso quindi dire che ti ho fatto ascoltare qualcosa come promesso, giusto?» ma sembra schivare in qualche modo quel complimento, alla fine lei ricerca altro, non si sente chissà quanto brava in quella che dovrebbe essere la propria arte, e come potrebbe essere bello il casino che in realtà ha in testa? Un sorriso ancora allunga le labbra su quel visetto infantile che la fa apparire più piccola di quello che è, andando a prendere il filtro dalle labbra dell'altro per fare un tiro, ma senza passargli la stessa cortesia di non fumargli in faccia: anzi, sembra farlo di proposito, ad aspirare una boccata e soffiare piano il fumo in direzione dell'altro: giusto attenta a non mandarglielo negli occhi, ma rimanendogli vicina. «Se fosse così, che faresti, Lucas?» perché che è sfacciata dovrebbe averlo capito fin dal primo incontro no? Un'altra boccata, ma stavolta indirizza il fumo di lato, andando a sorridere. «Ti risponderei che sto scappando dall'uomo nero.» ironica, ma c'è quasi della verità nelle parole, l'uomo nero che tiene al guinzaglio la bestia che è quella rabbia che tiene a bada con farmaci, cercando nella solitudine della pace, ma senza in realtà trovarla finché non esprime tutto con quelle note a riempirle le orecchie, insieme al battito che le ricorda di essere ancora viva. «Sarebbe un modo decisamente particolare di spassarsela, sicuro di riuscire a tenere a bada la tua solitudine, o ti farai trascinare dal caos che crea?» ironica, ancora, divertita dall'essere stuzzicata e senza tirarsi indietro, prima di aspirare ancora, anche se aveva chiesto solo un tiro, ma ehi, l'ultimo glielo lascia, semplicemente avvicinandogli il filtro alle labbra, invitandolo a prenderselo direttamente dalle proprie dita.
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    La presenza di Livorno al lago aveva scombussolato non poco i piani di Lucas. Tuttavia il ragazzo sapeva cogliere da quelle strane combinazioni che il fato gli metteva davanti e probabilmente lei sarebbe stata l’ispirazione di quella giornata fredda invernale. C’era un’altra cosa che Luca sapeva ben cogliere, il sarcasmo e l’ironia e quella ragazza ne aveva da vendere. Forse era quello il motivo per cui si sentiva libero di esprimersi senz alcun timore di essere sbagliato o di ferirla? Era un po' come passare il tempo con Blake, ma con un qualcosa in più che a Lucas non era ancora ben chiara.
    Era questo desiderio di capire cosa fosse, che lo spingeva a non trovare un altro spazio rispetto a quello che lei occupava. La guardò con la coda dell’occhio a quell'affermazione «Forse dovresti averne più cura di quelle dita, se suoni.»- la gentilezza di Lucas rimaneva sempre la stessa, nonostante il tono pacato e caldo che usava, che pareva quasi fosse disinteressato alla cosa.
    I gesti dell'ametrino rimanevano spontanei anche quando sembravano programmati, il freddo era un dato di fatto e la preoccupazione che potesse ammalarsi non era assolutamente falsa. Rise a quelle sue parole «Non sempre. Può essere una grande amica, se la si sa tenere a bada.» – rispose lui, con quel sorriso smezzato che era il massimo che riusciva a fare, delle volte. Quello stesso sorriso che si trasformò in un ghigno quando la vide infilarsi nel suo giubbetto di pelle «Ti sta enorme» – commentò, prendendola un po' in giro. Il suo sguardo, tuttavia tradì il suo troppo osservarla, quasi apprezzando l’aspetto che aveva in quel pezzo di stoffa.
    Aveva imparato quasi sempre a prevedere i gesti di chi aveva vicino, ma con Livs non era stato semplice fin dal primo incontro. Era forse questo che lo portava ad avvicinarsi? Vedere cosa lei avrebbe fatto? O forse il bisogno di sentirsi se stesso, senza alcun limite? Lei lo portava a tirar fuori ciò che lui gettava sul fondo del suo cuore, quei suoi aspetti un po' bui che con lei sembrano quasi normali, nonostante non fossero del tutto giusti e ben accetti dal resto della società. Fu per questo che questo che quando allungò le gambe su di lui, la cosa lo stupì, ma nascose lo stupore, ancora una volta, senza evitare quel contatto fisico che sembrava così ingenuo e spontaneo. Rise alle sue parole, o meglio sbuffò un sorriso, celando l’effettivo imbarazzo che gli aveva provocato «Non ti starai mica preoccupando per me?» – sollevò un sopracciglio, con fare strafottente e provocatorio. Quasi istintivamente, approfittando del suo gesto, le mise una mano dietro la schiena, all’altezza dei reni, spingendolo delicatamente per farla sedere in braccio. Fu un gesto quasi involontario, come se fosse normale, nonostante l'imbarazzo in cui quella situazione lo facesse trovare. «Non so se posso accontentarmi, ma per ora ci proverò » – ghigno ancora, guardandola negli occhi, mentre si appropriava della sua sigaretta. Era diventato quasi un vizio divertente, quello di Livs, ma forse Lucas non lo avrebbe ammesso facilmente. Quando il fumo gli carezzò il viso, il moro non fece alcuna smorfia di disgusto, se non alzare un angolo delle labbra, senza spostarsi dalla nube tirata fuori «Chi sono io per negarti una cosa del genere?» – ribatté con tono ironico e pungente.
    Forse involontariamente le stava dando spazi che non avrebbe dovuto concedere, ma era tutto così strano. Sembrava quasi che stesse dandole la possibilità di portare fuori quella parte di lui che tentava di reprimere. Che fosse vero che il lato sinistro della sua famiglia fosse inutile da cancellare? Con Livs era facile cadere in ogni vizio che gli altri reputavano sbagliato, che lui reprimeva per farsi accettare dagli altri. Cos’era veramente giusto e cosa sbagliato? Rise appena alla sua frase «E perché scappi da lui? Potrebbe essere arrivato a te, comunque, e averti presa in braccio.» – cosa aveva Livs di cosi diverso dalle altre persone? Sembrava accettarlo per i suoi difetti, per il suo essere imperfetto, senza chiedergli di cambiare o nascondere quello che era. Ma, realmente, cos’era Lucas? Stava facendo fatica a non diventare quello che suo padre e suo nonno erano, ma quando si specchiata negli occhi di Livs sembrava accettare anche quel suo lato oscuro. Forse avrebbe potuto riprendere la sua ricerca…
    «E chi ha detto che voglio scappare dal caos che crea?» – chiese con un’espressione curiosa e indisponente «Magari è proprio quel caos che sto cercando per sentirmi vivo, non ti pare?» – quella domanda, probabilmente avrebbe dovuto farla più a se stesso, che a lei. Cosa stava veramente cercando? Guardò la sigaretta e poi lei, quindi avvicinò le labbra al filtro, senza distogliere il ghiaccio dal suo sguardo. Le labbra chiusero quel filtro e tirarono delicatamente, ma avide, per poi in un soffio cacciarne la nube bianca sfiorando con quel respiro tossico la pelle chiara di lei, quasi come una carezza.
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    Avere dei piani, è il modo migliore per non portarli a termine. Per questo bisogna solo prefissarsi dei piccoli punti ed aggiornali mano a mano. L'idea era quella di andare a scrivere la propria musica in solitudine a lago: nessuna decisione però sulle tempistiche e la fattibilità della cosa. Motivo per cui, cambiare, mutare, lasciarsi trascinare per lei non è un problema. E qualcosa con cui scaldarsi in quella giornata, perché non dovrebbe essere la migliore delle cose? Per quanto inaspettato fosse stato quel momento. Non cercando di cogliere niente se non quello che le viene offerto, e come potrebbe essere facile ferirla? Non è qualcosa di fragile, non vuole esserlo, è più il martello lei, non il vetro che viene frantumato. O almeno così prova ad essere. Alza un angolo delle labbra alle sue parole andando a socchiudere gli occhi «Certo, ma se le mettessi sotto una campana di vetro per paura di ferirle, non proverebbero nulla.» andando a picchiettarle un momento sul legno, prima di tornare a lui. «E tu sai tenerla a bada?» ironica, lascerebbe anche uno sbuffo che sa di accenno di risata, completamente tranquilla e senza prendere in giro nessuno. E pare a proprio agio, non come se fosse con uno sconosciuto, andando poi a stringersi il giubbotto e guardarsi curiosamente. «Non direi! Mi sta benissimo.» arricciando ancora le labbra in un sorrisetto, ma lasciando anche il giacchetto aperto come la camicia di tessuto morbido, rimanendo a proprio agio anche in quel giacchetto effettivamente troppo grande, sistemandosi i capelli dietro le orecchie, che in realtà non hanno neanche il più piccolo foro. Ed è chiaro su quel volto infantile che in realtà non conta per lei quello che gli altri possono pensare, dal trucco, il modo di vestirsi, il modo di parlare. Non ha semplicemente alcun freno. Per questo il più minimo gesto non appare qualcosa di studiato ma spontaneo, perché lo è. «Mhh.. forse, solo per questo momento, perché sei qui. Ma non farti illusioni, è solo per non sentirmi in colpa se poi andrai in giro con il moccio in sala comune.» Alzando gli occhi grigi al cielo per un momento, lasciandosi provocare. «Penso che il naso rosso ti starebbe decisamente male.» Ma se l'altro lo permette, andando anche a spingerla in quel modo delicato, si sistema in braccio a lui senza tanti problemi, e non c'è neanche il più minimo imbarazzo su quel volto pallido, arrossato solo dal freddo. «No, non farlo.» divertita, andrebbe ad allungare una mano per andare a giocare con un ciuffo dei capelli sfuggiti al cappellino. «Se puoi avere di più non accontentarti. Perché dovresti?» curiosamente, lo chiede, mentre ricambia il suo sguardo. Ma alla sua domanda ridacchia appena. «Attento Lucas, potrei approfittarne.» lo avvisa, perché più cerca di pungere, più trova un fioretto pronto a tirare di scherma. E più spazio le da più se ne prende senza il più minimo problema. Con le dita continuerebbe a rigirarsi una sua ciocca tra le dita, come un gatto a cui viene dato un piccolo gioco che penzola. E lo sguardo si fa provocatore a quella domanda, andando ad alzare un sopracciglio, la mano libera che scivola con i polpastrelli a sfiorargli lo zigomo sempre se questo fosse permesso. Sfacciata, senza imbarazzo. «Perché quando scappi vieni cercata. Quando scappi vogliono afferrarti. Ma se tu a decidere di fermarti e farti trovare. E' quella la vera libertà. Se è arrivato ed ora gli sono in braccio...» un sussurro divertito, mentre si sporge appena in avanti «...è perché lo voglio io.» le labbra ancora arricciate in un sorriso. Ma è l'ultima domanda a farla ridacchiare, mentre lentamente si sposta, sistemandosi direttamente a cavalcioni su di lui, abbandonando la cicca della sigaretta ormai finita da una parte per potergli posare le braccia sulle spalle, sempre con lentezza per essere sicura di non andare oltre, ma allo stesso tempo senza in realtà preoccuparsi. «Non ho detto che vuoi scappare dal caos, Lucas...no, sarebbe un tale spreco» sorride, inclinando le testa di lato, prima di abbassarsi piano per cercare di arrivare con le labbra al suo orecchio. «Ti sto chiedendo se saresti capace di domarlo, il caos...» sottolinea con la voce l'ultima parola, stuzzicano ora lei quel ragazzo, carezzando la sua di pelle con il proprio respiro, fin troppo vicino se permesso. E si, la bionda ossigenata sembra fatta per peccare e trascinare.
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    UN RAGAZZO SOGNA SEMPRE DI ESSERE IN UN GRUPPO, ROCK: TUTTO È PIÙ GRANDE DELLA REALTÀ.
    Passare il tempo con Livs era come entrare nell'Eden e farsi tentare dal serpente. Quello stesso serpente che per la religione cristiana aveva portato Eva a commettere il peccato originale. Ogni respiro della biondina era come un sibilo seducente che chiedeva di esser seguito, tagliando con facilità lucchetti di catene che incarceravano i lati oscuri di qualcuno. E in quel caso, quel qualcuno era Lucas. Una mantide pronta a colpire, per ottenere un brivido di emozione. Livs era così naturale nei suoi atteggiamenti che era altrettanto facile esserlo, per lui. Non doveva star su a pensare a cosa fare e cosa non fare, non doveva star attento ai gesti o alle parole che non era il caso di dire. Sembrava inibire ogni freno che il ragazzo si era imposto. «Sarebbe sicuramente un peccato non poterle usare. Sono certo che con quelle dita tu sia brava a dare diverse cose.» – alzò un sopracciglio, con aria strafottente, mentre il sorrisetto divertito rimaneva disegnato sulle sue labbra. Rise alla sua domanda, che sembrava avere un filo di ambiguità al suo interno «Potrei fare molto più del tenerla a bada.» – disse con tono ironico e un tantino pungente, non accorgendosi del gioco strano che si stava creando tra loro. Era semplice lasciarsi andare, molto più difficile sarebbe stato ritrovare il freno da tirare, se non fosse uscito subito da quel vortice incantatore, ma al momento non sembrava interessare più di tanto al ragazzo, rientrare nei suoi limiti. Si sentiva libero, forse dopo tanto tempo, e la sensazione era piacevole, quasi l’aveva dimenticata. La guardò con il suo giubbetto addosso, scuotendo il capo divertito alle sue parole. Tralasciò per un attimo il parlare, osservando in quel pezzo di stoffa gigante. Effettivamente le stava bene, dovette ammetterlo a se stesso, sembrava particolarmente in linea con i suoi gusti. Sospirò appena, ridendo poi all’idea di avere il naso rosso «Attenta, potrei riprendere il mio giubbino… e non solo. Chissà poi chi avrà il naso rosso, dei due.» – la stuzzicò appena, facendola sistemare, inerme, com’era più comoda sulle sue gambe. Si morse il labbro alle sue successive parole, ora che era così vicino che il sibilo del serpente sembrava quasi essere entrato nella sua testa. Con la coda dell’occhio segui la mano che andò a giocare con i suoi ciuffi. Già perché privarsi di qualcosa? Perché accontentarsi? Lucas prese un respiro, breve, prima di tornare a rispondere a quelle frasi che parevano pregne di significati diversi «E chi dice che mi accontento così facilmente?» – la provocò appena, mentre la mano che l’aveva aiutata a salire sulle sue gambe si fece sentire appena, premendo sul suo fianco, rise per qualche secondo «Sarebbe un peccato accontentarsi. Bisogna essere avidi, a volte. E volere sempre di più… » – calò il tono di quelle due ultime parole, quasi in un soffio di nicotina sospirato. La sua mano sembrò subito prendere al balzo quelle parole e avida accarezzò lo zigomo del ragazzo. Lucas la lasciò fare, mentre i suoi occhi cristallo non mollavano quelli di lei «Dovrwsti essere più minacciosa quando avverti qualcuno che potresti approfittarne.» – la canzonò appena, quasi come se fosse stato naturale risponderle così. Stava cadendo in ogni sua provocazione e non si stava nemmeno impegnando per pensare alle risposte, cosi naturali, che lei gli tirava fuori. La lasciò sporgere verso il suo orecchio, in quel sussurro intrinseco di peccato. Lucas socchiuse appena gli occhi, accostando il volto a quello della ragazzina che si era avvicinata, per cercare il suo, di orecchio «E cos’altro vorresti, adesso, dall'uomo nero?» – domandò in un sussurro che con le labbra sfiorarono il suo lobo. Quando la biondina si mise a cavalcioni, Lucas rimase appena appena spiazzato, ma nascose lo stupore dietro un ghigno curioso. Di nuovo era pericolosamente vicina, con quel sibilo che lo chiamava a liberare quel che lui cercava di non essere. Le mani di lui si posero sui fianchi, per un breve istante, mentre di nuovo spirava in sua direzione «Non c’è caos che io non possa domare.» – rispose con tono caldo e appena appena accennato. La mano, poi, la destra, si spostò lentamente dal fianco della ragazza scivolando sulla sua pelle, dirigendosi, se non si fosse mossa, verso il suo interno coscia. Avrebbe carezzato quella pelle, per poi dirigersi alla tasca dei propri jeans, lì dove aveva il pacchetto di sigarette. Lo avrebbe cacciato, con un ghigno divertito sul volto, mentre guardava la ragazza. Sì una provocazione in piena regola d’arte.
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    In effetti, cosa c'è meglio della libertà, del piacere, del semplice respiro che il peccato concede? Perché resistere a quello che si desidera essere? Che senso ha respirare per gli altri e non per se stessi? Questo è il centro di quel serpente sussurrante, che forse, non dovrebbe neanche essere visto in modo negativo. Perché lei non sta cercarlo di portarlo da nessuna parte, è semplicemente così se stessa che riesce a trascinare naturalmente, senza neanche farci il più minimo caso. Perché non ha idea di quello che sta facendo all'altro, di come lo sta facendo sentire. L'unica cosa che muove quel corpo sottile, scoperto, sfacciato, è semplice desiderio e mera curiosità. Ed in realtà è ancor più naturale di quanto mai potrebbe immaginare Lucas. Perché in quel momento la mente della bionda viene istigata dalle parafrasi, dall'introspettività del momento, da quei sussurri che sono come balsamo che scivola sotto la pelle insieme all'acqua calda. Non si rende conto delle parole che sta dicendo, di quel che sta mostrando, anche se sempre in quella chiave che ha un sapore dolce e malizioso. No, non sta neanche usando parolacce, figurarsi. Non potrebbe esserci momento, in quella giornata dal freddo secco e gelido, più naturale. Lo sguardo si socchiude, il sorriso si allunga appena alle sue parole, il sopracciglio si inarca appena. E quel volto piccolo diventa ancor più infantile. Ma non risponde, non per il momento. Si gode la risata dell'altro mentre gioca solo con lo sguardo, andando lei in risposta ad aprir le labbra inumidite precedentemente dalla lingua, lasciando uscire il basso suono di una piccola risata. <ah si? E cos'è questo molto di più, Lucas?> ed il tono continua a sottolineare quell'ambiguità, quel gioco in cui si sta trascinando lei stessa insieme al ragazzo, perché non le interessa: cosa ha da perdere nell'essere se stessa, nel prendersi e dire ciò che vuole? Non è il tipo da andare a casa e ripensare al vissuto, al "avrei potuto dire questo" no, semplicemente apre la bocca e parla, pungente, divertita, maliziosa, ambigua. E se in questo modo taglierà le catene dell'altro, perché no? E' scritto negli occhi grigi che continuano ad osservarlo senza perderlo di vista, che costrizioni, freni, in quel piccolo corpo non esistono e mai esisteranno. Non è stata creata per questo. Il sorriso che continua ad esserci, mentre avvicina un po' il volto al suo, divertita ancora dalle sue parole. <non solo? Cosa vuoi prenderti Lucas?> sistemata sulle sue gambe, continua a pizzicarlo. E per quanto quella visita non era per niente in programma, l'incontrarlo non lo era, ora sta girando pian piano a suo favore quel che succede. Stavolta almeno, non sta tirando fuori uova, la sta guardando, la lascia fare e la istiga a fare di più. Tanto basta, per insistere a prendere quello che vuole stavolta. Il labbro inferiore che viene per un momento catturato dai denti, come se non volesse mostrare quel sorriso che ne esce subito dopo a quella risposta. <a volte? Oh no... l'avidità è un pregio Lucas. Vuoi una qualcosa? Prendilo.> e la mano che sta tra quei ciuffi sfuggiti dal cappellino, scivolerebbe tra i suoi capelli, in quella che sembra una carezza ma è solo per sfilare l'indumento, che va sistemare sul proprio capo mentre si sistema a cavalcioni, mentre il sorriso si fa più sottile. <non ho bisogno di essere minacciosa, non è forse così?> lo istiga, mentre continua a giocare con i ciuffi se concesso, approfittando di quella vicinanza per sussurrare ancora al suo orecchio. <perché che io possa approfittarne a te non dispiace affatto, vero?> e la risposta alla sua domanda, sarebbe stringere appena quei fili castani tra le dita, mentre continua a sorridere, socchiudendo lo sguardo quando le dita sfiorano la pelle scoperta. Ma non fa altro che sorridere quando l'altro scivola invece ad afferrare il pacchetto di sigarette, giocando a quel modo. Perché una mano abbandona il suo capo solo per poter afferrare quel cartoncino e lasciarlo cadere poco lontano, per poter riprendere se permesso la sua mano, portandola di nuovo a quello che la biondina probabilmente pensa sia il posto giusto, lasciando aderire il palmo dell'altro contro la pelle e spingendo con la propria a lasciarlo risalire, mentre con l'altra, cercherebbe di fargli chinare appena indietro il capo, avvicinando ancora il volto al suo tanto da sfiorare la punta del naso con il proprio gelido, lasciando che il l'aria calda del respiro si intrecci con quella del ragazzo. <voglio usi le mani per qualcosa di più adatto che prendere una sigaretta... che domi il caos che ha davanti... o forse non vuole che gli mostri come posso essere brava con le dita?> mormora, il tono basso, sempre con quella sottile punta di divertimento in quello che sta facendo, gli occhi che cercano ancora quelli dell'altro neanche potesse leggerci qualcosa all'interno, chinando appena il capo per afferrare il labbro inferiore dell'altro con i denti se permesso, senza ferire, solo ed unicamente ancora una volta per istigare. <non lo vuoi un premio per aver trovato la tua solitudine?> un sussurro leggero questa volta, mentre attende, come se cercasse una sorta di consenso da parte dell'altro per fare di più.
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