Le buone vecchie abitudini

Aveva risposto all’appello di Sigurd. Non era una Predona, non era una costruttrice, non era neanche denrisiana, eppure aveva lasciato il suo nome, dopo aver informato il suo partner della scelta. Lo strano senso del dovere, le rigide regole della morale che seguiva perché vi credeva, l’avevano portata a decidere di non assistere inerme a quello che sarebbe stata la fine del mondo per come lo conoscevano.
Quella Kenna si trovava nella foresta, nello stesso spiazzo dove aveva affrontato la vecchia druida risorta, lì dove aveva incontrato anche una delle studentesse per cui, a modo suo, provava un certo affetto. Non aveva neanche aperto il suo negozio preferendovi appendere un cartello prima di dirigersi nel cuore dell'isola, nel fresco della mattina di dicembre, che l'aveva indotta ad indossare abiti comodi, caldi e resistenti, con una -all’apparente- ventiquattro ore ad oscillare nella presa morbida della sua mano.
Il suo era un rito che di solito compieva quando sapeva che si sarebbe imbarcata in qualche avventura alla ricerca di templi nascosti, sepolture ancora sigillate ed intrise di antiche e vecchie magie. Bisognava ammettere però che negli ultimi tempi erano più rare le spedizioni di quel genere, venendo chiamata più per consulti e traduzioni di antichi testi, tanto che quel parallelepipedo dall’aria così comune aveva finito con il prendere polvere dapprima nello studio ad Hidenstone e poi nel retro della sua bottega.
Lo lasciò lì, dove aveva visto la morte tornare a reclamare un corpo che gli era stato rubato poco più di un anno prima, puntandovi contro il catalizzare che mosse rapida da est ad ovest per due volte, pronunciando l'incantesimo dissigillante. «Cistem Aperio».
Aprendolo si sarebbe rivelato un manichino d’allenamento incantato.
Era un po' arrugginita e ci stava che preferisse allenarsi con qualche incantesimo per non fare la figura della schiappa in un covo di vipere. Già, agli occhi dei più -e sicuramente anche a quelli dello stesso Garlic- era una stupida e sudicia inglese. Era nata così e così sarebbe morta. Poco avrebbe avuto modo di cambiare quella scalata sociale, neanche fossero nell'India più antica e tradizionalista delle caste.
Con eleganza disegnò una saetta, indicando il manichino incantato. «Electro!» Sebbene la scarica elettrica generata le fosse riuscita il bersaglio incantato dalla magia riuscì a schivarlo senza troppe cerimonie, non suscitando però alcuna emozione nella scozzese, quasi se l'aspettasse una reazione del genere.
Senza perdersi d'animo, effettuò tre giri in senso orario -«Zeffileus!» Dei dischi generati solo due riuscirono ad andare a segno ferendo il fianco sinistro e la spalla destra e rivelando parte della sua imbottitura. Ma il bersaglio si muoveva, non dandole particolari riferimenti, cambiando direzione come se fosse su di un manico di scopa, come se fosse un giocatore di quidditch su un manico di scopa. Ed improvvisamente si sentì rispedita indietro nel tempo, a quando proteggeva i tre anelli dei Serpeverde dagli attacchi dei Cacciatori. Attenzione, intuito, mai perdere il target era quanto aveva appreso. Non lasciarsi distrarre da finte, virate o passaggi inesistenti ma seguire sempre e solo la Pluffa. Tanto sapeva che a proteggerle le spalle c'erano i fidi Battitori. E così era con quel manichino che sembrava voler a tutti i costi mimetizzarsi con la flora e sfruttare i giochi di luce di un cielo autunnale che si avviava al gelo dell'inverno.
Fu in uno dei cambi di traiettoria che compì una stoccata verso di lui, che aveva compiuto un movimento verso l'alto, alzando il tono di voce nel pronunciare il suo «Bombarda!» Che però finì col perdersi oltre le fronde degli alberi, senza però intaccarli, e procedendo verso l'infinito ed oltre. Ma non Ivonne, che con un'altra stoccata cercò di schiantarlo con uno «Stupeficium!» Peccato però che questi le sfuggì nuovamente, facendo iniziare ad irrigidire i nervi della magistorica, come se fosse tornata nella sua aula e davanti a lei avesse un manipolo di studenti svogliati il cui unico intento era quello di farle perdere le staffe. Ma fu proprio la palestra avuta con gli adolescenti di ieri e di oggi che la MacEwen non si scompose più di tanto, puntando la bacchetta verso l'oggetto per fargli perdere quota e tirare verso di sé, con un «Descendo!» che però le riuscì solo per fargli perdere quota e prima che riuscisse a sfuggirle di nuovo castò un «Impedimenta!» con tanto di linea immaginaria che da nord andava verso sud.
A cui seguirono quattro giri in senso antiorario, con l'intento di travolgerlo con un turbine di coltelli. «Diffindo Coeli!» Persino qualche ramo venne spezzato dal sortilegio laceravento che lei stessa aveva creato, scagliando lontanissimo il fantoccio che ormai non era più visibile, lasciandosi indietro pezzi di imbottitura per l'intera radura.
La donna, con un leggero fiatone, lasciò che il silenzio della foresta tornasse ad avvolgerla prima di tracciare una freccia che dall'alto si sarebbe fermata in direzione del suo petto. «Accio manichino!» Ci volle qualche secondo più del solito prima di vedere sfrecciare verso di lei il manichino decisamente mal ridotto dalla prima sessione di allenamento. Arretrò di un passo, lasciando che lo stesso finisse ai suoi piedi dopo aver compiuto una discreta parabola. Con aria annoiata puntò il catalizzatore con la volontà ben precisa nella sua mente di rimettere insieme i pezzi. «Reparo.» E quando anche l'ultimo batuffolo fu sigillato dietro un punto croce l'ex docente assunse la posizione d'attacco. «Ricominciamo.»

"

"