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.Venerdì, terzo giorno di lezioni, quarto da quando aveva messo piede ad Hidenstone. Il neo Ametrin, in pochissimo tempo, era già riuscito a lasciare il segno, rivelando quanto fosse profondamente disagiato oltre che poco rispettoso di regole e decoro. Prima ancora di salire sull'imbarcazione ante rivoluzione tecnologica si era infatti rivelato un marpione mettendo occhi, mani e bocca su un bel bocconcino corrispondente ad una moretta panterona e tutto pepe. Moretta che aveva portato all'apice della felicità prima di essere beccato da un docente davvero troppo curioso -insomma, lui credeva fermamente che nessuno potesse vederli se non mettendosi di impegno- e per lui profondamente insoddisfatto. L'uomo, invero, se l'era presa con lui, senza prender provvedimenti senza mancare in quelle settantadue ore la propria avversione nei suoi confronti ogni volta che i loro sguardi si incontravano. Se quando era stato colto sul fatto aveva dato del vecchio viscido marpione in caccia di giovani pollastrelle... nella cabina aveva aggiunto anche le voci di stronzo, menefreghista ed approfittatore una volta che la Whitemore gli aveva rivelato della paternità di un figlio, cui aveva scoperto l'esistenza pochi istanti prima. «Ma vedi 'sto stronzo!» Pensò King all'ennesima occhiata gelida del runista durante quell'ultima ora di lezione di quella settimana, finendo con il limitarsi ad annuire a quella richiesta che gli parve piuttosto telefonata. Mentre i suoi compagni, che ancora non conosceva così bene, defluivano fuori dall'aula l'ex Wampus ricacciò le sue cose nello zaino, infilando solo uno spallaccio, per incamminarsi con fare svogliato, aria strafottente ed odio nello sguardo fino alla cattedra cui l'uomo evocò una sedia proprio per lui. «Merlino, proprio vecchia scuola.» Si lasciò cadere sulla seduta rigida, abbandonando lo zaino sotto la sedia, allargando le gambe e ripiegandone solo la destra, con le spalle tese verso il basso e lo sguardo che seguiva per lo più le gonnelle delle ragazze che il viso di Olwen. «E così vorresti essere simpatico?!» Gli scoccò una occhiata torva, ruotando il capo verso di lui visto che ormai erano rimasti solo in due in quell'aula. Le iridi nocciola si puntarono in quelle verdi -tono su tono con la camicia, giusto per sembrare ancora più impomatato- senza mai abbassare lo sguardo, mentre le labbra si stiracchiarono in un ghigno insolente (come se la postura assunta fosse meglio). Lo lasciò parlare, registrando quelle frasi e bollandole come stupide nonché patetico tentativo di instaurare una conversazione per poi calare la zampata. Aveva già visto così tante volte quello schema applicato su di lui che decise di anticipare le sue mosse. Con fare teatrale portò una mano a coprirsi la bocca un paio di volte in quello che era uno sbadiglio da premio Oscar. «Professore, non ha nessuna platea qui. Siamo solo io e lei, quindi perché non andiamo subito al dunque? Non mi sembra uno che apprezzi il tentennamento, no?» Protese il busto in avanti, poggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia ed usando le mani come ponte per sorreggere il suo mento. «Lei dovrebbe essere l'ultimo uomo al mondo che possa criticare me e le mie azioni. Il vero problema è avermi sorpreso subito dopo aver procurato un orgasmo ad una ragazza o... che quella ragazza sia la madre di suo figlio, stesso figlio che lei non ha riconosciuto e abbandonato?» Se prima il tono era di sfida, ironico e con toni caldi, nella sua seconda parte di intervento l'uomo -senza troppe difficoltà- avrebbe potuto percepire come fosse tremendamente serio e come ci credesse in quello che stava dicendo, perché quelle accuse le aveva mosse proprio sulle informazioni che la corvina gli aveva personalmente dato.Nathan Parker
King"The biggest misunderstanding about me is that I'm just a bratty, gobby idiot."AmetrinWampusQuidditchcode by ©#fishbone
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.Che tra i due non scorresse buon sangue era evidente anche ad un non vedente. Da una parte Nathan schifava Lancelot Olwen per il suo essere un padre irresponsabile, mentre il runista lo odiava perché si era dato da fare con una ragazza. «Manco commerciassi in artefatti magici oscuri o, peggio, vendita sottobanco di Puffole Pigmee.» Fatto era che non ebbe alcuna sorpresa nel sentirsi chiamare per rimanere oltre l'orario di lezione, era così telefonata quella richiesta che per un momento si chiese se anche il biondino avesse compreso di essere nel Terzo Millennio e non nel Medioevo. Comunque alla fine l'angloamericano aveva lasciato il suo posto solo per occupare una nuova seduta proprio davanti alla scrivania, lasciandosi cadere nella sua posa da sbruffone numero uno, di solito quella di marzo sul suo personalissimo calendario anche se preferiva di gran lunga febbraio. Il perché? Semplice, si vedeva nudo con l'arco e una faretra piena di frecce pronto a colpire i cu-ori delle ragazze. «Bla bla bla. Il mio tempo è prezioso, il tuo no, gne gne gne. Che pesantume.» Eppure, al rimarcare la domanda King non poté sottrarsi nuovamente e quindi decise di cambiare strategia. «Bene o male qui si conoscono tutti perché hanno frequentato Hogwarts, quindi capirà che per me è stato più difficile fare nuove conoscenze in soli due giorni.» Avrebbe rimarcato determinate parole con pause strategiche, una inflessione nella voce ed uno sguardo che lasciava intendere quanto il doppio senso celato fosse senza un duplice significato, bensì con una freccia che andava in un senso unico. «Gli Ametrin si sono dimostrati quasi tutti gentili, ma devo dire che anche le altre case mi hanno accolto alla grande, alcuni anche Oltre Ogni Previsione.» No, oltre la Whitemore non aveva ancora avuto modo di conoscere meglio la popolazione femminile hidenstoniana ma cosa ne poteva sapere il giovane docente? Alla fine l'aveva già bollato e di certo lui non si sarebbe scomodato nel fargli cambiare opinione. Anzi... avrebbe continuato ad alimentare quella sua avversione, cercando di smascherarlo e far emergere la sua pochezza in tutto il suo splendore. Non fu solo la sua lingua ad essere tagliente ed aggressivo passiva, ma anche la sua postura. Il sorriso sardonico si allargò nel vederlo sbiancare, con quegli occhi che persero lo sbrilluccichio di chi era convinto di avere il coltello dalla parte del manico. Ma ad ogni successiva parola del Lancillotto che aveva fregato Ginevra a Re Artù, il giovane Ametrin era sempre più nervoso, tanto da non curarsi affatto delle mani sbattute sul tavolo e neanche della sua lividezza. «Illazioni?! a sua reputazione?!» Si alzò di scatto, facendo un paio di passi e posando entrambe le mani sulla cattedra. «Crede sul serio che Jessica Veronica Whitemore abbia potuto mentire sulla paternità di suo figlio?» I muscoli delle braccia erano tesi e lo si poteva notare anche dalla stoffa tesa della giacca. «Jessica mi ha detto che è il padre di suo figlio non una stupida voce di corridoio, ma la diretta interessata. Se permette le credo e le credo ancor di più a pensare alla sua reazione neanche avessi ucciso tutti quelli che ha ucciso il vostro Voldemort!» Non stava urlando ma la sua voce era tesa, dura e che non lasciava spazio a credere che fosse uno scherzo ai danni del professore, quanto più la volontà del ragazzo nel difendere quella corvina con cui si era divertito, trovando una complicità incredibile anche in così poche ore. «Ed è per questo che ci ha seguiti, no? Perché lei crede ancora che Jessica sia roba sua! Beh, le rivelo una cosa: lei l'ha abbandonata, insieme ad Alex. Non ha più diritti su di loro.» E riassunse la posizione eretta, guardandolo torvo con l'altro che aveva addirittura appellato una rivista patinata che aprì su una specifica intervista dove fu immediato il viso sorridente della Prefetta degli Opali. Quasi strappò da quelle mani quel giornale, divorando con le pupille ogni singola riga stampata di quelle dichiarazioni delle giovane strega ad una perfetta sconosciuta. E per un attimo Nathan Parker King perse un battito e no, non per la paternità del bambino quanto più per le innumerevoli sofferenze patite dalla giovane, la lontananza dei genitori e la vicinanza del solo zio, oltre che la difficoltà nel crescere un bambino completamente da sola. Lo studente indietreggiò di qualche passo, lasciando nelle mani dell'altro la rivista e spostando in sottofondo le parole del runista, finendo con lo scontrarsi con la sedia cui ricadde con un tonfo sordo. «Jessica non aveva motivo per mentirmi sulla paternità di Alex e Lucas può essere un nome così comune per mascherarne uno ben più raro.» Osservò l'ex Wampus, aggrappandosi con unghie e denti alle rivelazioni avute nella cabina poco più di quarantotto ore prima. Nella sua testa rivedeva in loop la scena e non le sembrava che la corvina volesse percularlo in merito. Che fosse troppo credulone? Sì, ci poteva stare. Che non fosse una cima? Anche. Che il professor Olwen era più che un impiccione da uno strano fetish? Assolutamente sì. «Si vuole delle scuse false, con carta intestata o senza?» Scosse la testa, purtroppo non credeva ancora che quella fosse la verità. «Chi mi dice che non ha trasfigurato la rivista a suo piacimento? Chi mi dice che sia vero che lei non è il padre di Alex? Solo lei? Mi dispiace, io credo a Jessica.» Con il braccio destro teso sotto la sedia cercò di recuperare lo zaino per metterlo in spalla. «Se non c'è altro, andrei.»Nathan Parker
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.Sin dalle prime battute, ad un occhio esterno, la conversazione che si stava tenendo al termine di Antiche Rune era tutto tranne che convenzionale. Come un un ring i due avversari si stavano studiando prima di sferrare vari ganci con l'intento di mandare l'altro k.o. e Nathan Parker King non si stava tirando affatto indietro, nonostante davanti a lui ci fosse un professore, nonché suo Responsabile. Ironia, ignoranza, strafottenza, pazienza e disagio erano a far loro compagnia, con il bostoniano che aveva come diavoletto sulla spalla la sfrontatezza dei suoi anni.
«E lo dice a me? Mpfh, forse è lui che farebbe meglio a provare qualcosa di nuovo, almeno così si ravviva un po'.» Lo vedeva un po' sbattuto con quei colori, sebbene facessero coppia con quello delle iridi, e soprattutto si vedeva che aveva bisogno di dar sfogo al gingillo che aveva tra le gambe. Forse così facendo si sarebbe tolta quell'orribile rughetta tra le sopracciglia. C'era da dire che sull'aspetto sessuale quello era un pensiero che faceva su ogni singolo docente e non solo su quello davanti a lui.
«Son qui solo da due giorni, mi dia il tempo. Però posso dirle di essere sulla strada giusta...»
Lasciò volutamente la frase in sospeso, così come sospesa -per un attimo- fu l'atmosfera prima di detonare. O meglio, Lancelot Olwen detonò, perdendo la maschera della compostezza e finto buonismo che indossava sempre. Ovviamente questo dal suo punto di vista.
«Ma che cazzo c'ha da ridere?» Il nervosismo si fece largo in lui, mentre ascoltava man mano il docente dargli letteralmente del coglione. Vero, avrà avuto solo un neurone, ma a certe offese ci arrivava anche lui che non era famoso per spiccare d'arguzia. «Che abbia una fissazione per gli uccelli?» No perché altrimenti non si spiegava il riferimento, tutt'altro che velato, al suo mancato orgasmo dietro al chiosco delle bibite.
«E lei, in ventiquattro ore, ha compreso ogni minima sfumatura della sua fidanzata? O è solo preveggente?» Lo incalzò, carezzando la mascella pronunciata, continuando a dardeggiare col suo sguardo il prof che sembrava recare ancora traccia del suo momento di ilarità. «Come le ho già detto Jessica non aveva nessun motivo per mentirmi. Altrimenti perché metter su tutto questo teatrino?»
Lo stava davvero chiedendo al runista? Possibile che, nonostante le avvertenze, non riuscisse a comprendere come l'ex serpeverde si fosse fatta beffe di lui?
«Perché io sì, ho qualcosa da nascondere secondo lei? Perfetto, la chiamo!» Apri la tasca posteriore del suo zaino per afferrare il megifonino, scorrere la rubrica e far partire una chiamata. «Ehm, Jess, senti puoi venire all'aula di Rune, adesso...? É piuttosto urgente.» Aveva deciso volontariamente di non menzionare la presenza di Olwen all'interno dall'aula per prendere in contropiede la strega e metterla con le spalle al muro. In fondo, perché prendersi gioco di lui visto che era stato chiaro sin da subito? Voleva vederci più a fondo nella cosa e di certo non voleva che l'altra si preparasse un bel copione per recitare la parte della mammina Prefetta. Chiusa la chiamata avrebbe atteso l'arrivo dell'Opale senza perdere di vista ogni singola reazione dell'uomo e, quando la corvina fosse entrata nell'aula, non ci avrebbe perso nulla nello sventolare la rivista sotto i suoi occhi neri come la pece. «Chi è il padre di Alex? Quello che c'è scritto qui o lui?» Niente mezzi termini, niente dolcezza, niente complicità nel suo sguardo che ora si mostrava confuso e profondamente deluso.Nathan Parker
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SPOILER (clicca per visualizzare)Giadì tocca a te(?).. -
.Jessica WhitemoreQuel giorno non aveva molte lezioni, fortunatamente. Aveva avuto solamente Difesa e Rune, mentre quella sera avrebbe avuto Astronomia, quindi, avendo ore buca, sentì lo squillo del magifonino ed ebbe la possibilità di rispondere. Era venerdì 4 settembre, l'ultimo giorno di quella breve prima settimana di scuola da studentessa del triennio. Era in biblioteca a fare delle ricerche per dei compiti di Alchimia, era concentrata
e quel fastidioso trillo -se lo era scordato attivo- rimbombò tra gli scaffali, facendola sobbalzare ed alzare la testa dal libro che stava consultando. Si guardò attorno, temendo che una delle due bibliotecarie gemelle, avesse sentito il suono che, sebbene non fosse forte, in un ambiente così silenzioso, pareva l'esplosione di una bomba. Fortunatamente era abbastanza lontana dalla loro postazione. Premette il dito sulla cornetta verde e rispose. Che c'è, Nath? Stavo studiando- stava iniziando a dire. Non chiese nemmeno chi fosse, il nome dell'ametrino campeggiava in grande sulla schermata. Nell'aula di Rune? Il tono di Jess era piuttosto sorpreso e perplesso. Che si fosse cacciato nei guai con Olwen? Beh, non era sicura che lo avesse preso molto in simpatia, dopo quel giorno al molo. O forse aveva altre intenzioni non troppo consone per l'aula in questione. Sbuffò, chiudendo il libro con un botto sonoro. Dammi cinque minuti e ci sono. Chiuse la chiamata e ripose tutto il proprio materiale nello zaino, issandoselo in spalla. Era curiosa di capire che problema ci fosse e certo non poteva immaginare che il ragazzo avesse avuto la geniale idea di riferire a Lancelot ciò che lei -prendendolo in giro- gli aveva detto. Lasciò quindi la biblioteca e raggiunse le scale, percorrendole con tutta calma, rimuginando ancora sul perché di quella chiamata improvvisa e dello strano luogo d'incontro che lui aveva imposto.
Scese lentamente tre piani, fino a trovarsi al primo dov'era situata l'aula in questione. Fuori il sole non era ancora calato, l'estate non sembrava voler cedere il passo, infatti esso illuminava i corridoi della scuola, donando una sensazione di tranquillità e calore. Sensazione che sarebbe durata molto poco ancora, probabilmente. Si fermò davanti alla grande porta, tre metri di meraviglia. Per tergiversare ulteriormente, si mise a fissare la superficie della porta, intarsiata di simboli magici, simboli non magici e rune. Era in legno massiccio e aveva l'aria di essere pesantissima, però al suo passaggio cadde come un castello di carte al vento, incantata come al solito. Quindi si ritrovò all'interno dell'aula ma... non vi era solo Nathan, bensì poco più in là, si trovava anche Lancelot Olwen, il loro docente di Antiche Rune. Gli occhi addosso la misero stranamente a disagio. Si avvicinò con circospezione. Ci si rivede! Salutò Lance, memore della lezione tenuta solo poche ore prima, poi fece per salutare anche Nathan e chiedere spiegazioni, quando la risposta arrivò ben prima che lei potesse porre la propria domanda. Non aveva mai visto King con quello sguardo così freddo e capiva perfettamente perché. Mantenne compostezza, per quanto possibile, anche se era leggermente sbiancata ed aveva perso un paio di battiti. Ma seriamente era stato così idiota da andare da Olwen? Che cosa gli diceva il cervello? Roteò gli occhi al cielo come se fosse una questione da poco, quindi avrebbe preso il giornale dalle sue mani -giusto per prendere tempo e racimolare le idee. Si avvicinò ulteriormente, posandosi con noncuranza contro la cattedra, fingendo di leggere il giornale, ma questa pantomima non sarebbe potuta andare avanti oltre, quindi posò l'oggetto di nuovo sulla cattedra, tornando a guardare l'ametrino. Mi sembra palese a questo punto, Nath. Incrociò le braccia al petto e ricambiò lo sguardo senza mai abbassare il proprio. L'unico ruolo che ha avuto il professore, è stato durante il parto. Fece una pausa, sospirando. Non era stato un ruolo da poco, quello era certo, ma in ogni caso non era lui il padre. Certo, è stato dove avrebbero dovuto esserci mio padre e quello di Alex, ma nulla di più. Non credevo che mi avresti presa così sul serio. Ora si girò verso Olwen, quasi a volergli chiedere spiegazioni con lo sguardo. Cosa, esattamente, le ha detto Nathan? Domandò, sperando che una punizione non pendesse sulla sua testa come una spada di Damocle.CODICE ROLE © dominionpf. -
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.Noia, noia, profondissima noia. Non era solo la lezione ad essere soporifera, proprio chi la teneva era tale. La mano che carezzava la mascella si spostò davanti alla bocca per celare il principio di uno sbadiglio che ben si sposava con il suo pensiero.
«Da come parla sembra che il biscottino non lo inzuppi così spesso» a cui aggiunse l'immagine di lui che a stento praticava la posizione del missionario.
Nella vita del professor Olwen ci voleva un po' di pepe o avrebbe finito col perire tra i suoi stessi vestiti privi di brio. Chi avrebbe cosparso di spezie la sua vita non era dato saperlo, probabile che fosse lui, la sua amabile medimaga o chiunque altro avrebbe avuto lasfortuna di incrociare il suo cammino. Al momento quello che poteva fare era tentare di scarmigliare la sua chioma non poi così perfetta.
«Non è di certo colpa mia se lei è vecchio e le sue maniere sono del secolo scorso», osservò, con un sorrisetto strafottente che spense quando venne invitato a contattare lui stesso la Black Opal. In una chiamata breve ma intesa, in una situazione di stallo -dove i muscoli delle sue spalle erano dolorosamente contratti- che sembrò infinita fino a quando la persona oggetto della questione non si palesò, perdendo velocemente il velo di lussuria che comunque riuscì a scorgere per qualche brevissimo istante.
E poi il valzer delle menzogne, delle verità nascoste e dello scherzo iniziò, con il neo ametrino completamente smarrito da quello scambio di parole così auliche di cui comprese relativamente poco anche perché nella sua mente vibrava fortemente una sola domanda. «Perché percularmi?» Dal suo punto di vista lei non è che ci avrebbe guadagnato chissà cosa da quello stupido giochino, alla fine lui non si sarebbe comunque tirato indietro dal donarle un po' di gioia.
Le iridi nocciola però non si persero neanche un movimento dei due, tanto che quando lo vide accarezzare con cura il suo avambraccio. «Ma questo allora continua, oh», le mani lungo i suoi fianchi si strinsero senza però mai chiudere del tutto il pugno, per poi scattare definitivamente quando iniziò a sciorinare sottrazioni di gemme valide per la coppa delle case un po' ad cazzum.
«Non mi interessa dei punti. Me ne tolga anche cento, non so che farmene di uno stupido trofeo», se solo avesse saputo che qualche mese dopo avrebbe finito col farne guadagnare diversi e pure più di quelli che avrebbe potuto immaginare.
Mantenne lo sguardo alto su quello del docente, senza fare una piega davanti a quella sfilza di spoiler criptici andava presentando. «E cosa vuole fare? Costringermi a rassettare le sue cose, fare il suo valletto? Non sono venuto qui per indossare un grembiulino e una cuffietta». Un guizzo di stizza si sarebbe potuto leggere nel suo sguardo, rimanendo comunque serio, come se avesse preso con pazienza tutto quello che da lì a qualche mese si sarebbe prospettato per lui.
«Come desidera», si allontanò, non salutandolo affatto quando l'altro pensò bene di raccattare le sue cose e lasciare soli i due amanti nella sua aula. «Mpfh», uno sbeffeggio uscì dalle sue labbra, voltando lentamente il corpo in direzione della Whitemore.
«Perché mi hai tirato 'sto tiro mancino? In fondo non ne avevi motivo per avermi dalla tua» Un paio di passi e fu vicino a lei, molto più vicino di quanto sarebbe stato ritenuto opportuno da Olwen, anche se non nella misura che lui tanto odiava.
«Cos'è, la tua vita è troppo triste? Senti qualche mancanza? Ti hanno spezzato il tuo piccolo, delizioso, cuoricino e quindi hai deciso di giocare col primo sconosciuto che passava?» Il tono era fortemente ironico, sbeffeggiante, atto a ferire l'animo dell'Opale o quanto meno a scalfirlo. «Eppure al molo avevi tirato fuori gli artigli da pantera, volevi le stesse cose, eri così libera...» Le carezzò appena una guancia, tirando indietro i capelli fino ad adagiarli dietro l'orecchio. «Ma vediti ora... un agnellino innocente, tutta accorta alle parole davanti al suo bel professorino». Sebbene gli angoli delle labbra fossero rivolti all'insù i suoi occhi erano arrabbiati, delusi. «Magari non è neanche l'unico che hai intortato finora, vero? E qualcuno c'è caduto nella tua trappola di povera ragazza madre lasciata dal padre del bambino, no?» Le sollevò il mento, muovendolo un po' prima di lasciarlo andare. «Avanti, sentiamo cos'hai da dire», si allontanò, andando a posare il fondoschiena sulla cattedra, incrociando le caviglie e le braccia al petto. «Sii sincera, per una volta, se ci riesci. Non tanto per me, quanto per te stessa»Nathan Parker
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.Jessica WhitemoreRicevere una chiamata di Nathan dove le chiedeva di andare nell'aula di rune, la preoccupava. Non era poi un mistero che dopo il primo settembre al porto, Olwen non vedesse troppo di buon'occhio l'ametrino, ma mentre si avviava come richiesto, si chiese a lungo che cosa l'altro avesse combinato e che cosa potesse c'entrare lei. Non aveva di certo collegato quella chiamata a ciò che la corvina gli aveva detto in cabina e mai si sarebbe aspettata che Nathan fosse così stupido, rendendo ciò che voleva essere un semplice scherzo, qualcosa di più grande e che aveva coinvolto in prima persona proprio Lancelot.
Ad ogni modo, non ci mise troppo ad arrivare alla meta, entrando quindi nell'aula e salutando -a modo suo- i due.
Dei... dubbi che solo io posso sanare? Ripeté, preoccupata, volgendo lo sguardo ora ad uno, ora all'altro, senza sapere che cosa aspettarsi ma pentendosi immediatamente di aver accettato l'invito; col senno di poi, sarebbe stato meglio fingere di avere lezione o, ancor, avercela davvero. Sospirò, avvicinandosi. Sentiamo.
Ed ecco che si ritrovò la Gazzetta del Profeta tra le mani, la rivista aperta su una pagina particolare che riportava un'intervista fatta da lei più di un anno prima, quando durante il campo di fine anno, quasi senza preavviso, era nato Alex. Ricordava con esattezza ogni parola da lei scritta, oltre che ogni attimo di quei minuti che a lei erano sembrati lunghissimi e terrificanti. Era stata una fortuna che vi fosse la tenda del San Mungo presenziata da Annie, oltre che le capacità runiche del suo docente. Era certa che, in caso contrario, avrebbe partorito lo stesso ma con molto più dolore e difficoltà.
Sospirò quando l'uomo le mise la mano sulla spalla e sorrise, sentendosi quasi alleggerita di un peso che non sapeva di avere. Quasi si commosse nel sentire le sue parole, pensando le stesse cose. Cioè, non avevano nessun legame di sangue, tuttavia per lei era stato sempre presente come un padre fin dal primo anno e di ciò non poteva che essergliene grata. No, ovviamente al porto tutto mi aspettavo, meno che essere nominata prefetta. Asserì, sincera, stringendosi nelle spalle. Se vogliamo essere precisi, però, abbiamo la stessa età. Azzardò, guardando l'adulto negli occhi, pentendosi di aver fatto quello scherzo ad una persona non troppo sveglia come King. La fece sentire addirittura in colpa, anche se ciò che lei aveva fatto, non era niente in confronto ad una Preside che mandava a morire i suoi studenti, di mura che non avrebbero saputo difendere alcunché e dei pericoli mortali che dovevano affrontare almeno una volta al mese, tuttavia si guardò bene dal trasformare quei suoi pensieri in parole, limitandosi ad annuire, ora lo sguardo basso.
Le spiaceva davvero averlo deluso, poiché -anche se non si sarebbe detto- Lancelot era uno dei pochi adulti che rispettava davvero, senza riserve e che, in un certo senso, ammirava.
Quando Olwen si rivolse a Nathan, la corvina trasse un sospiro di sollievo. E meno male che Nathan non aveva pensato di andare subito dalla Burke! Sarebbe stato un casino mille volte più grande di loro e che avrebbe potuto provocare grosse ripercussioni, anche se era abbastanza sicura che Victoria, dall'alto della sua onniscienza, non avrebbe mai creduto alle parole dell'ametrino, però avrebbe potuto far passare dei guai molto grossi ai due... tipo farli diventare i suoi portaborse! Il sogno di Morrigan, insomma.
Alla fine decise di lasciare la stanza e per un secondo Jessica avrebbe voluto afferrarlo per il polso e trattenerlo, non tanto perché avesse paura di Nathan, ma perché sapeva che ciò che avrebbe detto l'ametrino, non sarebbe stato gentile nei suoi confronti. L'opalina alzò il braccio e lo protese verso il docente, salvo poi farlo ricadere lungo il corpo e lasciarlo andare. Arrivederci. Soffiò, in un mormorio distratto, girando il capo finalmente verso il suo avversario.
In presenza del runista, aveva volutamente glissato sulle risposte di Nath, ma ora che erano soli gli gettò un'occhiataccia, in attesa che fosse lui a rompere quel silenzio teso. Il ragazzo, alla fine, parlò e si avvicinò a lei, erano ormai a pochi millimetri l'uno dall'altra. Non disse nulla, non subito. Lo lasciò parlare, sfogarsi, dire tutto ciò che aveva da dire. Anche ferirla, se era necessario. Si ritrasse quando le accarezzò la guancia, osservandolo dolorosamente, sentendo la mano prudere ad ogni parola da lui pronunciata, sentendosi quanto mai punta sul vivo. Soprattutto alla sua stoccata finale. Era confusa, ancora quella sensazione di sapere qualcosa ma non ricordarselo, di sfiorare con le dita un ricordo fumoso.
Senza quasi che se ne accorgesse, la sua mano partì con le cinque dita aperte a lasciare un segno sulla guancia di King. Lo sguardo di Jess si era fatto più duro mentre si allontanava. Non ti azzardare mai più a parlarmi così. La sua voce era di pietra (un po' come il pene di Nathan da lì a qualche minuto (?)), le sue iridi scure forse lo erano di più. Non dire mai più una cosa del genere. Gli ripeté, giusto perché il concetto gli entrasse bene in testa. Mi dispiace di averti preso in giro, okay? Non volevo che finisse così, ma ormai è andata e tu non hai nessun diritto di trattarmi in questo modo. Probabilmente i diritti ce li aveva eccome, ma quell'idea non aveva sfiorato nemmeno l'anticamera del cervello della ragazzina. Non ho intortato nessuno, Olwen, da quando sono qui, si è sempre dimostrato un'importante figura di riferimento per me, una certezza nella quale credere, come il padre che non ho più. Le ultime parole furono un sussurro appena udibile, mentre svelava al ragazzo come il genitore non fosse più presente. Non era morto, o almeno così Jess pensava, ma era fuggito chissà dove con sua madre. Jess, nel dire quelle frasi, aveva alzato leggermente la voce ma ora sembrava sconfitta, incapace di proseguire. Si andò a posare affianco a lui -mantenendo una certa distanza- sulla cattedra di Lancelot.CODICE ROLE © dominionpf.